In uno scenario internazionale sempre più complesso ,tra attacchi terroristici sul territorio europeo, caos politico alle porte dell’Europa in Turchia, a cui si aggiungono le continue tensioni e guerre in Medio-Oriente, un altro fronte preoccupa sempre di più l’Occidente. Stiamo parlando dell’area del Mar Baltico, con tre paesi da poco entrati nella NATO, quali Estonia, Lettonia e Lituania. Probabilmente sovrastata dal clamore mediatico suscitato dalle altre crisi geopolitiche, è passata quasi inosservata la decisione da parte dell’Alleanza Atlantica di dispiegare quasi quattromila soldati nei paesi baltici. La mossa, che di per sé a molti può non dire nulla, in realtà cela una sorta di provocazione anti-russa sulla base della quale si sta giocando un revanscismo della Guerra Fredda che si riteneva cessata ormai venticinque anni fa. Molti analisti parlano di una seconda guerra fredda, affermazione a mio avviso non corretta, in quanto non tiene conto della continuità temporale tra gli anni ’90 e i primi anni 2000, in cui l’Alleanza, invece di far di tutto dal punto di vista politico-militare per mantenere lo status quo in Europa Orientale, ha sfruttato la relativa debolezza russa sotto ‘Eltsin, cercando di inglobare sempre di più i paesi dell’Est, fino ad arrivare alle porte della Russia stessa. Il paese di Putin, che nel frattempo è intervenuto regionalmente nella questione georgiana prima e ucraina poi, ha colto l’effettivo allargamento della NATO, con annessa proposta di costruire scudi missilistici non lontano dai proprio confini, come un attacco indiretto, innescando un vortice che sempre di più sta generando tensioni nelle ex repubbliche sovietiche, tra cui proprio le nazioni sopracitate. Lo scudo missilistico, ufficialmente in chiave anti-iraniana, nella realtà dei fatti è rivolto come messaggio contro la Russia stessa, vista l’esperienza balistica nei missili a corto e medio raggio che il paese ha sviluppato ai tempi dell’URSS. Le tre nazioni baltiche, contraddistinte fieramente da una storia plurisecolare, vivono con costante fermento ogni mossa militare russa, all’interno e all’esterno dei proprio confini. Memori di un passato sovietico fatto di repressione e appiattimento culturale, a seguito dell’ottenimento dell’indipendenza tra il 1989 e il 1991 hanno cercato immediatamente riparo tra le “sicure” e protettive braccia dell’Europa, entrando nella UE prima e nella NATO poi. Nel caso in questione, alla richiesta legittima di questi paesi di poter tornare a guardare all’Europa dopo decenni di isolamento, Europa a cui culturalmente i paesi baltici appartengono di diritto, si sono aggiunte le mire occidentali, volte al tentativo di schiacciare quanto più possibile la Russia post-sovietica per renderla inoffensiva. L’incontro quindi tra necessità europee e baltiche, ha portato Estonia, Lettonia e Lituania ad entrare nella UE solo tredici anni dopo la propria indipendenza (l’ingresso risale al 2004), anche a costo di enormi sacrifici economici. L’interesse commerciale tedesco, che vede nella decina di milioni di abitanti che popolano l’area un mercato appetibile, ha fatto il resto nel garantire strada spianata ai tre paesi. Estonia e Lettonia sono anche entrate nell’Area Euro. In parallelo sono state avviate anche le pratiche per l’ingresso nella NATO, poi completato. La mossa di portare un contingente di migliaia di soldati in questi paesi, in questo preciso momento storico, se ha destato alcune perplessità negli analisti, ha al contrario trovato il favore dei governi locali, che non esitano a denunciare assiduamente qualsiasi manovra militare russa nell’area (ricordiamoci la presenza, a Sud della Lituania, dell’enclave russa di Kalinigrad). La paranoia antirussa è del resto forte in questi stati, che additano la causa della stessa alla vecchia coercizione sovietica. Non è raro, che in ambienti vicini ai vari governi, si viva nel timore che le mire russe possano nuovamente spostarsi nell’area, non comprendendo probabilmente che in questi venticinque anni molte cose sono cambiate. In particolare ad essere cambiato è il ruolo russo nelle dinamiche geopolitiche mondiali, e il continuo allarmismo sul “mostro russo” sta di fatto minando di fatto un percorso di pace che deve necessariamente guardare anche a Mosca come possibile partner e non come rivale. A soffiare sul fuoco della paura ci si mette anche la Russia stessa, con svariate e imponenti esercitazioni militari nel Baltico, mentre non sono rari avvistamenti di aerei, navi, o sottomarini russi nei pressi delle acque territoriali delle tre repubbliche. In questo caso è evidente che tutte le parti in causa ci mettano del proprio per non facilitare i rapporti reciproci. Dall’altra parte dobbiamo riconoscere un tipico nostro difetto occidentale, che non fa altro che alimentare le paure dei paesi baltici e la tensione tra i contendenti . Il problema è stato nel ritenerci a pieno titolo vincitori della guerra fredda, e nel vedere come un successo della nostra società e della nostra cultura il crollo dell’URSS. Nella realtà il collasso dell’Unione Sovietica è dipeso più dalle contraddizioni intrinseche al paese stesso e al suo sistema, più che ai meriti politico-sociali occidentali. Il fatto di aver successivamente trattato la Russia, e di trattarla tuttora, come un perdente da accantonare, se non addirittura da umiliare, non ha fatto altro che risvegliare Mosca dal torpore degli anni ’90. Per il mantenimento della pace in Europa a mio avviso occorre quindi fare di più. Deve fare di più la Russia di Putin, rinunciando definitivamente al ruolo di superpotenza che non gli compete più nel XXI secolo, ma deve fare un passo indietro anche l’Occidente, evitando provocazioni spesso inutili e non adatte al clima che si respira nel 2016. Il dispiegamento dei soldati nel Baltico e la fomentazione del terrore antirusso di quei paesi è a tutti gli effetti un’occasione persa per garantire una pace duratura nel nostro continente. Immagini tratte da:
- http://www.euromic.com/pictures/5835.jpg - https://www.lrp.lt - http://balticreports.com/2010/05/24/baltic-border-control-increases/
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