La giungla del web si arricchisce quotidianamente di pagine di cui avremmo fatto, forse, volentieri a meno. Una diatriba su tutte sta rappresentando il paradigma moderno della dialettica sociale che viaggia sui social, nell'obsolescenza della carta stampata. La guerra dei mondi, indefinibile nei suoi contorni penalistici e moralistici: stiamo parlando della faida tra la giornalista Lucarelli e un indistinto agglomerato di utenti dei social media, rappresentati dal sindacato di 'Sesso Droga e Pastorizia'. Innanzitutto definiamone i contorni soggettivi: da un lato una persona, una giornalista, una professionista più o meno nota, più o meno apprezzabile. Dall'altro lato l'operazione è impossibile. "Popolo della rete" è un'espressione priva di senso e indica solo individui in possesso di una connessione interne, senza alcuna garanzia di collegare un volto a un profilo: le identità dei cosiddetti fake sono sì rintracciabili, ma solo in seguito a indagini approfondite. Si aggiunga che i confini geografici sono inutili nel web, mentre sono fondamentali per le autorità. Tale premessa da sola è sufficiente per misurare l'indeterminatezza del fenomeno. Portavoce del suddetto "popolo" nel caso di specie è la pagina facebook "Sesso Droga e Pastorizia", presa di mira dalla Lucarelli in quanto ricettacolo di cyber-bulli/e. Chiariamo subito che la pagina (e le altre del medesimo filone) ha scopo ironico, e ai meno bigotti riesce bene ridere di gran parte dei suoi contenuti. Ma la discussione corre su un filo piuttosto sottile: la linea di demarcazione tra humor e cattivo gusto si misura in micron. Ancor peggio la linea che separa la libertà di espressione dalla calunnia, dalla diffamazione o dall'ingiuria. Qui il moralismo lucarelliano trova ragion d'essere nelle leggi, ed è difficile dissentire. Quale è il limite fino a cui si può criticare qualcuno, fosse anche un personaggio pubblico? Se accadesse per strada, nella realtà reale (a cosa siamo arrivati, "realtà reale", mah) che Tizio coprisse di insulti volgarissimi Caio nessuno avrebbe dubbi sulla censurabilità di quel comportamento. In rete invece no. Non è affatto raro imbattersi in ragazzi (talvolta davvero giovanissimi, scuole medie o giù di lì) che danno sfogo a ogni istinto becero sulle pagine in discorso. È lecito farlo? E fino a che punto? Non menzioniamo volutamente la diffusione di materiale pedopornografico: a differenza dell'insulto offensivo essa è un reato "facilmente" individuabile. La crociata della giornalista romana appare francamente stucchevole nei toni e nelle modalità; peraltro si dubita che la signora abbia la coscienza pulita sui medesimi argomenti, vista la condanna per l'illecita diffusione di un video hard di Belen Rodriguez e una serie di altri "passi falsi" nell'esercizio della professione. Tuttavia, scremando il moralismo di facciata, si pone una questione seria: la perdita di soggettività delle parole sul web, lasciate libere di ferire, insultare, denigrare, discriminare e offendere, facendo rientrare nel concetto di libertà d'espressione tutto e il contrario di tutto, finendo per svilire un sacrosanto diritto costituzionale che indica e tutela tutt'altro. 'Je suis Charlie' resta uno slogan, di cui entrambe le fazioni si appropriano in base alle contingenze per mero opportunismo, e la famosa massima illuminista ormai deve essere aggiornata: "Non condivido quello che dici ma darei la tua vita affinchè tu possa postarlo". Immagini tratte da: - Immagine 1 da https://www.facebook.com/selvaggia.lucarelli?fref=ts - Immagine 2 da https://www.facebook.com/SessoDrogaPastorizia1/?fref=ts
0 Commenti
Lascia una risposta. |
Details
Archivi
Novembre 2020
Categorie |