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6/4/2017

Un chimico

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di Lorenzo Alemanno

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Chi scrive, esattamente come chi legge, non ha alcuna prova certa e inoppugnabile che il governo del Presidente siriano Bashar Al-Assad sia diretto responsabile dell’attacco del 4 aprile scorso, compiuto con armi chimiche nella provincia di Idlib nella Siria nord-occidentale, che ha causato oltre 70 morti civili di cui circa 20 bambini. Ci sono però indizi gravi, precisi e concordanti sulla responsabilità del governo centrale, tale che sia possibile attribuirgli con discreto margine di sicurezza la paternità dell’attacco. Innanzitutto i precedenti: è stato accertato da organizzazioni internazionali (l’Onu) che nell’agosto del 2013, nell’aprile 2014 e nel marzo 2015 in Siria si sono verificate operazioni di guerra attraverso l’uso di armi chimiche; si è trattato di missili carichi di gas sarin, una neurotossina che paralizza il sistema nervoso, e bombe al cloro, che provoca morte per asfissia. Gli attacchi, compreso quello recente, sono sempre avvenuti sul territorio controllato dai ribelli, i gruppi islamisti che puntano a sovvertire il governo legittimo di Assad. Tale eventualità sembrerebbe deporre con una certa ragionevolezza per la tesi che vuole il Governo responsabile dei massacri. Per loro natura le armi chimiche, quelle batteriologiche e quelle radioattive hanno effetti incontrollati sul territorio circostante, non è possibile definire con esattezza il loro raggio d’azione, ed è questo il motivo – ipocrita ma comprensibile – per il quale il loro uso è sanzionato come crimine di guerra. Appare dunque inverosimile che possano essere gli stessi insorti a utilizzare tali armi nel loro stesso territorio; il terrorismo, invero, non segue criteri logici, ma punta ad ingenerare irrazionale paura nei civili per renderli fragili e manovrabili. Tuttavia per quanto detto poc'anzi, una simile strategia politico-militare sarebbe sconclusionata se portata avanti con armi non convenzionali, stante la possibilità per i carnefici di danneggiarsi da sè. Infatti esse possono avere effetti sinergici imprevisti, avvelenare falde acquifere o la stessa aria: quale organizzazione, per quanto criminale, punterebbe a difendere o conquistare territori avvelenati? Inoltre le armi chimiche hanno canali differenti dalle armi “comuni”: la loro produzione è controllata (in virtù della Convenzione Internazionale sulle armi chimiche del 1997) e dunque la loro circolazione è ben più ardua dei kalashnikov onnipresenti negli scenari di guerra e guerriglia da 30 anni a questa parte in Africa e in Medioriente. Pare quindi molto difficile che i ribelli possano accedervi; tuttavia secondo la rivista Bloomberg “non è da escludere che i ribelli possano avere accesso ai depositi militari”. Un’ipotesi da prendere in considerazione, ma che tuttavia si scontra con la logica di utilizzare tali strumenti di sterminio umano ed ambientale sul proprio territorio. Inoltre le testimonianze dell’attacco del 4 aprile sono univoche nel dichiarare che l’attacco è piovuto dall’alto a opera dell’aviazione militare; la difesa isolata del Presidente Assad – sostenuta solo dall’alleato russo in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu – ha invece dichiarato che è stato un attacco convenzionale su alcuni depositi militari dei ribelli, contenenti armi chimiche, a perpetrare la strage. Le autopsie eseguite in Turchia su alcune vittime (alla presenza di delegati dell’Oms) hanno appurato che è stato usato del cloro nell’attacco: le immagini dei corpi spastici e schiumanti sono lì a testimoniarlo. La tragedia siriana pare infinita, l’Unicef ha sentenziato che nell’attacco del 4 aprile nella provincia di Idlib “l’umanità è morta”. Morta in un esperimento sbagliato, proprio come noi, idioti, che moriamo di paura ogni giorno che cambiamo canale per sentirci meno colpevoli, meno coinvolti. Meno umani.

Immagine tratta da www.tgcom24.mediaset.it


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