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27/2/2017

La fine della democrazia rappresentativa ? Conferenza con il professor Alessandro Volpi

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L'incontro organizzato dalla Scuola di Cultura dei Giovani Democratici pone l'accento su alcuni temi della contemporaneità. L'occasione per discutere del concetto di democrazia e della sua stessa entrata in crisi. Ospite d'onore il sindaco di Massa Alessandro Volpi, nonchè professore di storia moderna e contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell'Università di Pisa.
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di Gionata Grassi

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Stemma Giovani Democratici

La dottrina dei "corsi e i ricorsi" della Storia è erroneamente attribuita all'italiano Gianmbattista Vico. O meglio, il significato che vuole comunicare il filosofo è stato mutato e non corrisponde al pensiero originale. La Storia non è di per sé sempre ciclica, ma in determinate situazioni di crisi o di stallo si possono ripresentare alcune situazioni già viste e analoghe a epoche storiche passate. La conferenza che si è tenuta lo scorso giovedì a Viareggio, organizzata dai Giovani Democratici, ha voluto tener conto di un argomento che si insinua nelle crepe della nostra contemporaneità: la messa in dubbio della democrazia rappresentativa e dei suoi istituiti. Una situazione, quella attuale, che per certi versi ricorda il pensiero profetico dello storico George L. Mosse, il quale constatò che la democrazia può entrare in crisi non solo attraverso una guerra ma anche attraverso l'imperversare di una crisi economica.

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Professor Alessandro Volpi
L'ambiguità in cui si è trovato il sistema economico italiano al momento dell'entrata nella comunità Europea e la recessione che ci ha colpito dal 2008 sono alcune della cause, nell'opinione dell'ospite della serata, il professor Alessandro Volpi, che hanno contribuito a mettere in crisi il nostro sistema democratico- rappresentativo. Prima di arrivare a ciò, il professore si concede un' introduzione storica sul concetto di democrazia in Italia. L'Italia è una democrazia sostanzialmente giovane, non vi è intrinseca una lunga tradizione democratica nella sua storia. Basti pensare che il suffragio universale maschile viene introdotto nel 1912; si può parlare di un paese liberale più che di un paese democratico fino al 1946. Anche la figura di Mazzini e la sua ideologia è da intendersi più come un modello che ambisce all'indipendenza del Paese piuttosto che alla creazione di un pensiero democratico organizzato. Anche nei socialisti, guidati da Filippo Turati, non si riscontra una logica meramente riformista ma piuttosto un'azione che avesse come obiettivo il conseguimento della rivoluzione marxista. Una prima riflessione democratica nel Paese si innesta dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Dopo il referendum del 2 giugno 1946, la Costituente, che si pone l'obiettivo di redigere il testo democratico, condensa perfettamente, nella selezione dei 75 eminenti personaggi politici, quel pezzo di tradizione culturale e politica del Paese che meglio riusciva a sintetizzare l'esperienza della Resistenza. La Costituzione diventa così, per il sindaco di Massa, il mito fondativo del Paese. A comprovare che il risultato, la nostra Costituzione, fosse una sinergia tra le tradizioni fondative del Paese, si può ben notare per quanto riguarda l'articolo numero 7 della stessa. Il Pci, contro la sua tradizione spiccatamente anti- clericale, vota a favore della recezione dei Patti Lateranensi da parte della neo-nata Repubblica. L'imperativo è veicolare la costituzione ed evitare rotture.
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La Costituente
E' chiaro, da questo ragionamento, che il nostro Paese e la sua fondazione è strettamente legata a ciò che grandi partiti di massa hanno rappresentato e va da sè, quindi, che dal momento che quest'ultimi entrano in crisi la democrazia si indebolisce. E' quello che stiamo vivendo adesso, i partiti non riescono più a interpretare le esigenze dei cittadini. Per il professore esistono poi altri fattori che hanno contribuito alla crisi della democrazia che vanno identificati in un altro campo classificatorio: quello economico. Il processo di costituzionalizzazione è passato anche attraverso il boom economico che ha portato un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita. I partiti si sono fatti garanti di questo processo attraverso un sistema economico basato sulla spesa pubblica e il continuo svalutamento della lira, che prevede l'indebitamento. Questo modello, con l'ingresso nell'Unione Europea attraverso il trattato di Maastrich e i suoi vincoli, è venuto meno. Il sistema entra in crisi. Nonostante ciò il professore non rinuncia all'idea di Europa, anzi: ne è un estremo protettore. Senza la moneta unica, nella sua visione, l'Italia non avrebbe resistito allo scossone finanziario che ci ha coinvolto a partire dal 2008. Rivedere i vincoli di Maastrich e formare un'Europa meno tecnica e burocratica appare un imperativo necessario da realizzarsi nel più breve tempo possibile. La guerra all'euro è una guerra post-ideologica utilizzata dalle "nuove destre", come ci spiega il sindaco.
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La bandiera Europea

La conferenza finisce ed è tempo di domande per l'ospite. All'improvviso, dalla sala, si alza la voce di uno dei presenti che stava ascoltando in disparte la conferenza. La sua non è una domanda ma un vero e proprio intervento. Si lamenta che i giovani, quella stessa sera, non abbiano fatto domande all'ospite e che queste siano pervenute solo da un pubblico di età superiore. Invita i giovani a mettersi in gioco, a tornare a occuparsi di politica, a discutere animatamente ma con lealtà. È proprio questo il punto: tornare all'entusiasmo del coinvolgimento in prima persona. La società è cambiata, la qualità del discorso politico è diminuita. È il mondo "liquido-moderno" teorizzato dal sociologo Zygmunt Bauman, dove l'incertezza è divenuta una categoria dello spirito, l'unica certezza in un mondo veloce, appunto "liquido". La crisi del singolo e delle ideologie, la crisi dello Stato e del suo diritto: la fine di quei valori a cui l'individuo poteva rivolgersi in tempi di crisi. La politica non sembra aver compreso questo fenomeno di cambiamento epocale.


Immagini tratte da:

immagine 1: https://yt3.ggpht.com/-RbLSRf35gIs/AAAAAAAAAAI/AAAAAAAAAAA/qRkdZxObsMM/s900-c-k-no-mo-rj-c0xffffff/photo.jpg
immagine 2: http://lacnews24.it/filemanager/luglio2015/giovani-democratici.jpg
Immagine 3: http://image.archivioluce.com/foto/high/150/A00172122.JPG
Immagine 4: http://www.opinione-pubblica.com/wp-content/uploads/2016/02/bandiera-europa.jpg

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20/2/2017

Cronaca di una scomparsa annunciata

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La sinistra occidentale è di fronte a un bivio. Riuscirà a rigenerarsi?
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​di Alessandro Ferri
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Abbiamo visto la scorsa settimana che il primo turno delle prossime presidenziali francesi dovrebbe ricordare quello del 2002: all’epoca, contro ogni previsione, passarono al ballottaggio Jacques Chirac, presidente uscente di centrodestra, e Jean-Marie Le Pen, leader della destra xenofoba. A 15 anni di distanza, i sondaggi non prevedono un socialista al ballottaggio, ma un esponente di centro (Macron) o di centrodestra (Fillon) e, quasi sicuramente, Marine Le Pen, figlia del già citato Jean-Marie ed attuale segretaria del Front National.
In Spagna vi abbiamo raccontato in più articoli che ben due elezioni a distanza ravvicinata non sono riuscite a permettere alla sinistra di riprendersi il governo: PSOE e Podemos, vale a dire il centro-sinistra e la sinistra movimentista, si guardano come il fumo negli occhi e non sono riusciti a fare alcun accordo, con la conseguenza che il popolare Mariano Rajoy è rimasto alla Moncloa.
Nel Regno Unito, il segretario del Labour Jeremy Corbin fa fatica anche solo a mantenere il controllo sui suoi, al punto che proprio pochi giorni fa Tony Blair ha dichiarato che si sarebbe potuta evitare la Brexit, se solo i laburisti avessero avuto l’influenza di un tempo sugli elettori.
Negli Stati Uniti, Trump ha davanti a sé quattro anni di governo ed entrambe le Camere con maggioranza repubblicana. I Democratici hanno davanti a loro una lunga opposizione, a meno che il Presidente non combini qualche grosso guaio.
Non parliamo della situazione della sinistra italiana, divisa tra un partito di governo – il PD – e infiniti rivoli di quella che era la sinistra di lotta: vendoliani, civatiani, pisapiani e chi più ne ha più ne metta.
La sinistra occidentale, insomma, è ridotta ai minimi termini. A cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, proprio quando una crisi di lunghissima durata mette in luce gli aspetti più devastanti del sistema capitalistico, le forze del riformismo non riescono a dare risposte al proprio elettorato, che si è in larga parte rifugiato nelle accoglienti braccia dei movimenti populisti (di destra, come la Lega, di sinistra, come Syriza in Grecia, né-di-destra-né-di-sinistra, come il Movimento 5 Stelle). L’unico lumicino rimasto acceso è proprio là dove nacque la socialdemocrazia: in Germania, dove Angela Merkel si è ricandidata a un quarto mandato, ma i sondaggi attribuiscono buone percentuali al suo sfidante da sinistra Martin Schulz. Mancano ancora sei mesi, tuttavia.
Durante la guerra fredda, la sinistra si divideva in comunisti, che guardavano a Mosca, e socialdemocratici, che si affidavano a sistemi misti, capitalisti e statalisti, per accrescere il tenore di vita della classe operaia. Con la fine del comunismo, è arrivata la “terza via”: apriamoci al mercato, abbattiamo lacci e lacciuoli, apriamo la strada a un mercato del lavoro fluido. Così parlavano Blair, Clinton e D’Alema. Ma nel 2017 si è scoperto che la fluidità non ha cambiato in meglio l’economia, con il risultato che è nata l’incredibile categoria dei working poors, i “poveri che lavorano”, pagati male e tutelati peggio.
I risultati elettorali di oggi nascono dal non aver voluto riflettere su questo tema. La sinistra, anziché cercare nuove risposte alle nuove domande, si è divisa tra chi voleva usare le risposte della “terza via” e chi si affidava a categorie più vecchie ancora, buone per l’epoca di Breznev.
C’è da dire che a destra non si è saputo fare, in genere, di meglio, e questo ha aperto praterie sconfinate per i populisti. Se la sinistra e la destra vogliono sopravvivere, devono cercare nuove risposte alle nuove domande che pongono la società e l’economia. Altrimenti, il loro destino – e quello delle istituzioni che esse hanno contribuito a creare, come l’Unione Europea – è segnato.

Immagini tratte da: 
  • L’immagine di copertina è tratta da https://ettorecolombo.files.wordpress.com/2014/05/20140503-173003-e1399131435531.jpg.

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13/2/2017

"I dolori del giovane Donald"

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Il neo eletto Presidente degli Stati Uniti sta incontrando più di qualche difficoltà nell’attuazione del suo progetto politico.
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di Andrea Petrocca


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Detto fatto, o almeno provato. Dopo appena qualche giorno dal suo insediamento, il neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha tentato di dare seguito alla sua campagna elettorale passando dalle parole ai fatti.
Molte sono state le promesse di Trump durante la campagna per strappare la presidenza all’establishment americano, ma forse in pochi immaginavano che per prima cosa si occupasse degli immigrati islamici. Forse l’attenzione era più rivolta verso il famoso muro al confine col Messico o alla battaglia politica con la Cina e le istituzioni internazionali; invece Trump ha iniziato il suo mandato con l’emanazione di un provvedimento che vieta l’ingresso sul suolo americano di immigrati musulmani provenienti da sette paesi (Iraq, Iran, Yemen, Siria, Somalia, Libia e Sudan).
Tuttavia il decreto non ha avuto vita lunga. Le proteste sono dilagate velocemente in tutto il Paese e gli aeroporti hanno vissuto giorni concitati e, in alcuni casi, sono stati completamente bloccati.


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Inoltre, nonostante questa situazione già di per sé complicata, il neo presidente ha dovuto incassare un duro colpo quando un giudice federale di Seattle, James Robart (Repubblicano per giunta), ha sospeso il decreto, seguito a ruota da tanti altri giudici di altrettanti stati. I motivi di questa bocciatura sono da rintracciarsi nei gravi danni economici, sociali e soprattutto dei diritti umani che il decreto avrebbe comportato, riaprendo così le frontiere a quanti ne erano stati esclusi nei giorni precedenti.   
Ovviamente Trump non si è arreso: la casa bianca ha presentato ricorso, prontamente respinto dalla corte d’appello federale di San Francisco ampliando addirittura gli errori del decreto. Infatti, si è fatto notare non solo come la sospensione non rechi nessun pericolo di sicurezza al Paese ma addirittura che il decreto in nessun caso possa essere utile alla lotta al terrorismo, che era il motivo centrale per cui era stato emendato.
L’ultima carta rimasta da giocare per il tycoon è la corte suprema, ma persino i suoi più stretti collaboratori sconsigliano ciò visto che la parità dei suoi componenti (8 in tutto) tra repubblicani e democratici e un pareggio lascerebbe inalterato la sentenza della corte d’appello.
Detto questo le conseguenze del decreto presidenziale sono state davvero importanti, tanto negli States quanto all’estero. In alcuni stati il decreto è stato eccessivamente rispettato e questo ha portato a centinaia di fermi di immigrati con l’obbiettivo di rispedire a “casa” gli irregolari con precedenti. La stampa americana afferma che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono state fermate persone in regola, con la fedina pulita o macchiata da reati minori.
Anche dall’estero la risposta al decreto non si è fatta attendere, soprattutto dall’Iran dove sia l’ayatollah Ali Khamenei che il presidente Rohani hanno manifestato il loro malcontento accusando Trump di rilevare l’America per quello che è in realtà, un paese ipocrita e corrotto, il che chiude di fatto quel periodo di disgelo nei rapporti tra le due nazioni voluto dal predecessore Obama con il programma nucleare iraniano.
Probabilmente Trump non si aspettava una tale politica ostruzionista nei suoi confronti; tanto dall’opinione pubblica, quanto dalla stampa oltre che ovviamente dalla magistratura. Di fatto il neo presidente ha comunque annunciato l’emendazione di un nuovo decreto volto a contrastare in qualche misura l’immigrazione, sfidando tutti coloro che si oppongono alla sua decisione e in generale alla sua presidenza.
La battaglia del “giovane” presidente, nonostante i tanti contrasti e oppositori, è destinata dunque a proseguire e vedremo come andrà a finire.


Immagini tratte da:
- http://www.lastampa.it/2017/02/10/esteri/nuovo-decreto-di-trump-permetter-alle-aziende-usa-il-commercio-di-minerali-insanguinati-dAQWWKxgG3c6CsiBcAXpEN/pagina.html
- http://www.today.it/mondo/decreto-trump.html

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13/2/2017

Le elezioni degli altri

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Tra aprile e settembre, le due principali potenze dell’UE andranno alle elezioni. Sarà l’inizio della fine o il momento della svolta?

​di Alessandro Ferri
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Il 2017 è un anno decisivo per l’Unione Europea, non solo per l’arrivo di Trump alla Casa Bianca e per l’avvio delle trattative sulla Brexit. Nell’arco di pochi mesi, infatti, Francia e Germania cambieranno governo, chiedendo al popolo conferma delle politiche adottate, anche a livello continentale, negli anni passati. Trattandosi delle due principali potenze dell’Unione, il risultato di queste elezioni può avere effetti significativi sulla stessa esistenza dell’alleanza e sull’uso della moneta unica.
I francesi andranno alle urne per le Presidenziali il 23 aprile e il 7 maggio. Lo scenario dei candidati è piuttosto variegato, ma quelli che più probabilmente si contenderanno il passaggio al secondo turno sono:

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Benoît Hamon (49 anni), Emmanuel Macron (39), François Fillon (62) e Marine Le Pen (48)
A sinistra
  • Jean-Luc Mélenchon del Parti de Gauche (“Partito di Sinistra”), al momento il più famoso tra i tanti candidati anticapitalisti, marxisti e in generale antisistema. Si è parlato molto di lui perché ha tenuto un doppio comizio in contemporanea grazie a un ologramma (la tecnologia è una cosa meravigliosa!). A oggi, gli si accredita un 10% al primo turno.
  • Benoît Hamon del Parti Socialiste. Visto che il precedente candidato socialista è l’attuale Presidente François Hollande, Hamon dovrebbe essere uno dei papabili al secondo turno. Ma la rinuncia di Hollande a ricandidarsi, le pessime rilevazioni dei sondaggi e il durissimo scontro alle Primarie hanno sicuramente ridotto il consenso di Hamon. Alle Primarie dei Socialisti, ha avuto la meglio sull’ex primo ministro Manuel Valls, che esprimeva una linea più centrista. Hamon, invece, si è orientato decisamente a sinistra, promettendo anche il reddito di cittadinanza. Per il momento è dato al 15%.
 
Al centro
  • Emmanuel Macron, di En marche! (“In marcia”). Ex ministro dell’Economia, dell’Industria e gli affari digitali nel secondo governo Valls, Macron ha lasciato i socialisti preferendo posizioni più centriste. Ha fondato un movimento personale, che come spesso succede è stato visto con ironia nei primi tempi, ma ha conquistato rapidamente un largo consenso. A oggi gli si accredita il 20% dei consensi, un risultato inferiore solo a quello della Le Pen. È un convinto europeista.
  • François Bayrou del Mouvement Démocrate (“Movimento Democratico”). Si candida ormai dal 2002 e ha avuto il suo momento di gloria alle Presidenziali del 2007 (quelle vinte da Sarkozy), quando raggiunse il 19%. Oggi è dato al 5%, ma in un secondo turno i suoi voti potrebbero essere preziosi.
 
A destra
  • François Fillon, già primo ministro dal 2007 al 2012, per Les Républicains (“I Repubblicani”), cioè la destra moderata. Ha sbaragliato la concorrenza di Juppé e Sarkozy alle Primarie proponendosi come il candidato affidabile, tranquillo, onesto. Il suo dramma è iniziato quando è venuto fuori che ha stipendiato per anni la moglie come portaborse, senza che lei effettivamente svolgesse questo lavoro. Quali che siano gli effetti di questa accusa sul piano giudiziario, è chiaro che si tratta di un colpo durissimo per un candidato di questo tipo. A oggi ha il 17,5% dei consensi.
  • Marine Le Pen per il Front National, cioè l’estrema destra. Si fa vedere spesso con il nostro Matteo Salvini, ma di fatto il suo partito ha origine nel neofascismo (quindi più centralismo che devoluzione). Regina dei sondaggi (è data al 26%), è una antieuropeista convinta, al punto che ha promesso l’organizzazione di un referendum sulla Frexit, cioè l’uscita della Francia dall’Unione. È evidente che in tal caso l’Unione Europea collasserebbe.
 
I dati che abbiamo riportato riguardano il primo turno. Non essendoci candidati in grado di superare da subito il 50%, è praticamente certo il secondo turno del 7 maggio. Nei sondaggi sul ballottaggio, ovviamente non sono riportati i candidati della sinistra, visto che al momento non sono tra quelli con i valori più alti. In sintesi, si prevede che Marine Le Pen perda sia contro Fillon che contro Macron; in caso di scontro tra questi ultimi due, prevarrebbe Macron.
Questo panorama è tutt’altro che definitivo, perché Hamon proverà a recuperare terreno e in ogni caso le Presidenziali americane ci hanno insegnato che i sondaggi significano poco, al giorno d’oggi. Ma noi che raccontiamo l’attualità dobbiamo tenerne conto.
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Martin Schulz (61 anni) e Angela Merkel (62)
Lo facciamo anche per la situazione tedesca, dove Angela Merkel si candida al quarto mandato, ma si trova di fronte un candidato in ascesa, Martin Schulz della SPD (Socialdemocratici). Vi ricorderete di Schulz, divenuto famoso quando il nostro premier Berlusconi lo insultò al Parlamento Europeo. Da allora, di acqua ne è passata sotto i ponti: l’eurodeputato è divenuto Presidente dell’Europarlamento (ha preceduto il nostro Antonio Tajani) ed è stato poi richiamato in patria per opporsi alla potentissima Kanzlerin. I sondaggi dicono che una sua vittoria è possibile, con Socialdemocratici e Democristiani alla pari (30%). La strada è ancora lunga – si voterà il 24 settembre – ma è chiaro che una riconferma della Merkel potrebbe orientare l’Unione ancora più decisamente sulla strada del rigore finanziario, mentre la vittoria di Schulz potrebbe modificare le posizioni tedesche.
Approfondimenti:
- Un riepilogo sulle elezioni francesi alla pagina https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_presidenziali_in_Francia_del_2017. Molte altre informazioni, nella dettagliatissima newsletter di Francesco Maselli http://mail01.tinyletterapp.com/FrancescoMaselli/pr-sidentielle-2017-ventesima-settimana-i-comizi-paralleli-di-macron-e-le-pen/7460245-francescomaselli.net/2016/09/23/presidentielle-2017-tutte-le-puntate/?c=df45a4f8-7eae-4c21-b462-c0bbfbd8351c.
- [francese] I sondaggi sulle  Presidenziali https://fr.wikipedia.org/wiki/Liste_de_sondages_sur_l'%C3%A9lection_pr%C3%A9sidentielle_fran%C3%A7aise_de_2017#F.C3.A9vrier_2;
- Un riepilogo sulle elezioni tedesche alla pagina https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_federali_in_Germania_del_2017. Anche in questo caso, abbiamo una ricca newsletter, a cura di Edoardo Toniolatti http://mail01.tinyletterapp.com/Tonjolly/noch-4-jahre-germania-2017-5/7467917-tinyletter.com/tonjolly/archive?c=0de5008b-947a-4bec-9bc4-aa2f71ad46a0.
- [tedesco] Un riepilogo sui sondaggi e non solo https://de.wikipedia.org/wiki/Bundestagswahl_2017.
Immagini tratte da:
- L’immagine di copertina è tratta di Rama — Opera propria, CC BY-SA 2.0 fr, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2067181;
- La foto di Hamon è di Marion Germa — Benoit Hamon Saint-Denis 280816 mains.jpg, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=56090564, quella di Macron è di Claude Truong-Ngoc / Wikimedia Commons - cc-by-sa-3.0, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=39834126, quella di Fillon è di G.Garitan — Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=53624547 e quella della Le Pen di Foto-AG Gymnasium Melle, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45585285.
- La foto di Schulz è di Foto-AG Gymnasium Melle, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31001018, quella della Merkel di https://www.flickr.com/photos/eppofficial/ - https://www.flickr.com/photos/eppofficial/25738722632/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47997163.

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