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24/2/2019

Il sì di Milano al riconoscimento "in pancia" per i figli di coppie lesbiche

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di Mariacristina Lattarulo

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Non basta esistere e riconoscere a se stessi un ruolo. Il vincolo matrimoniale ha sempre rappresentato il garante per eccellenza di diritti che senza tale unione “divina” non sarebbero mai stati tali.
Diritti che però sfumano e mettono ulteriormente in discussione l’intelletto umano di fronte all’omosessualità.
Abbiamo dovuto attendere la Legge n. 219 del 10 dicembre 2012 affinché fosse superata giuridicamente qualsivoglia ineguaglianza normativa tra figli legittimi e figli naturali in virtù del principio dell’unicità dello status di figlio, privilegio naturalmente concesso alle sole coppie eterosessuali non sposate e spesso impiegato nel caso in cui il padre sia lontano al momento del parto per svariate ragioni.
Per i meno fortunati “figli” di Lesbo, figli anche di questo secolo, che piaccia o no, qualche meccanismo obsoleto e insensato ha deciso di in criccarsi  a favore dell’umanità e dell’uguaglianza.
È stato il caso del parto plurigemellare a rischio di una coppia omosessuale formata da due donne a risvegliare le coscienze, lo scorso dicembre.
La decisone del Comune di Milano ha permesso il primo riconoscimento “in pancia” per il figlio di una coppia omosessuale in seguito a seri problemi riscontrati durante il parto e che hanno messo a repentaglio il riconoscimento dei figli gemelli da parte della madre non biologica.
Ma non solo, hanno innescato un processo di rivalutazione della procedura ordinaria che prevedeva il riconoscimento del nascituro solo nel caso in cui la madre naturale avesse dato il suo consenso e che in questo caso sarebbe venuto meno dato l’evidente stato di totale incoscienza della donna durante le complicanze del parto.
La consapevolezza della paradossale ma purtroppo reale possibilità di nascere per amore di qualcuno ma crescere figli di nessuno, in forma precauzionale, ha portato la Rete Lenford-Avvocatura per i diritti Lgbti ad insistere affinché anticipare il riconoscimento a prima del parto, presentando un certificato di gravidanza e facendo firmare una dichiarazione ad entrambi i genitori, fosse realtà anche per le coppie omosessuali.
Questo scenario auspicato, che più di un happy ending profuma di lento inizio, è capace di riconoscere sì, il raggiungimento, a piccolissime dosi, di una doverosa parità e tutela nei confronti della vita, ma anche di gettare vagonate di luce, a mò di luminarie di un paese in festa, sull’infinità di limiti umani che persistono in un eterno auto sabotaggio di civiltà.

Immagini tratte da:

TVsvizzera.it

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