La Francia in blocco contro il suo job act, a pochi giorni dagli Europei Tra poco meno di 10 giorni, lo stadio Saint-Denis di Parigi ospiterà Francia-Romania, partita inaugurale del quindicesimo Campionato europeo di calcio. In molti si chiedono se l’attuale situazione politica transalpina – definirla incandescente è poco – condizionerà l’evento, facendo il paio con il Brasile destabilizzato dall’impeachment a Dilma Rousseff a pochi mesi dalle Olimpiadi di Rio. Negli ultimi giorni è successo di tutto: le manifestazioni contro la riforma del lavoro hanno raccolto centinaia di migliaia di persone nelle piazze, con tanto di 77 arresti il solo 26 maggio, e almeno una pompa di benzina su cinque fuori servizio a cause del blocco delle raffinerie. Domani ci sarà lo sciopero delle ferrovie, giovedì quello della RATP (praticamente tutti i mezzi pubblici della capitale) e nel fine settimana quello del traffico aereo. Il primo ministro Manuel Valls, socialista, ha visto scendere la propria popolarità al 22%, superando solo il Presidente, François Hollande (apprezzato da appena il 15% dei francesi). Perché la situazione ha preso questa piega?
Questi, gli aspetti essenziali del provvedimento.
![]() I singoli punti della loi travail (i francesi sono orgogliosi della propria lingua e hanno evitato l’anglismo job act) sono stati fortemente discussi: di fatto la maggior parte delle scelte sono rimesse ai lavoratori, che secondo gli oppositori della legge (addirittura i tre quarti dei francesi, secondo un sondaggio) saranno costretti a scegliere tra il licenziamento o peggiori condizioni lavorative. Non è un caso che al momento dell’annuncio del disegno di legge, il 17 febbraio 2016, la promotrice si esprimesse così: Avec le Premier ministre, nous voulons convaincre les parlementaires de l'ambition de ce projet de loi. Mais nous prendrons nos responsabilités. Le débat va être très nourri, car il y a un changement de philosophie important. Je le redis: nous voulons faire avancer le pays par le dialogue social, garantir davantage des droits réels et rendre les entreprises plus compétitives. C'est cela, le modèle social que je défends. Nous ne considérons pas les mini jobs allemands ou les contrats zéro heure anglais comme des modèles, bien au contraire. Nous ne vivons pas dans un monde clos et nous devons nous aussi évoluer. «Assieme al Primo Ministro, vogliamo convincere i parlamentari dell’ambizione di questo disegno di legge. Ma ci prendiamo le nostre responsabilità. Il dibattito sarà molto più ampio, perché c’è un importante cambiamento di filosofia. Ripeto: vogliamo far progredire il paese attraverso il dialogo sociale, garantire più diritti reali e rendere le imprese più competitive. È questo il modello sociale che io difendo. Non ritengo i mini job tedeschi o i contratti a zero ore inglesi come dei modelli, tutt’altro. Non viviamo in un mondo chiuso e anche noi dobbiamo evolvere».
Dal 1958, anno d’inizio della Quinta Repubblica, il 49-3 è stato usato ottantasei volte: quando il governo in carica si sentiva alle strette.
Questa noiosa premessa ci permette di capire cos’è successo il 10 maggio scorso, quando Manuel Valls ha firmato la richiesta di utilizzo del 49-3. La mozione di censura immediatamente richiesta dalle opposizioni è stata bocciata due giorni dopo, non avendo raggiunto i 288 voti necessari. In attesa del voto del Senato, il 14 giugno prossimo, appare chiaro che gli elettori francesi non hanno preso bene l’uso di questo procedimento – per quanto legale – per superare l’ostacolo di un durissimo dibattito parlamentare. Da qui alla piazza, il percorso è stato brevissimo. Fonti e approfondimenti
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La lezione di Marco Pannella, 1930-2016
Giovedì 19 maggio, Giacinto Pannella detto Marco è deceduto presso una clinica privata di Roma dove era ricoverato dalla sera precedente. La morte di Pannella riveste, pur nella sua prevedibilità (aveva ottantasei anni ed era malato da tempo), un contenuto di grande attualità, per la costanza nell’impegno che ne aveva contraddistinta la carriera politica, aspetto oggi più che mai difficile da individuare nella classe dirigente del nostro paese.
L’accorato annuncio della morte di Pannella su Radio Radicale, letto dal direttore Alessio Falconio
Ricordarlo significa rievocare una persona che ha avuto i suoi limiti, e spesso un atteggiamento del tutto opportunistico, ma che non è mai venuta meno alla propria missione liberale e libertaria. A ben vedere, al di fuori dei Radicali, sono stati pochi i liberali dell’Italia repubblicana: praticamente nessuno, nella Seconda Repubblica.
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Se il tema dei diritti civili - cosa c’è di più attuale, a pochi giorni dall’approvazione della legge che scardina definitivamente l’idea di famiglia fondata sul matrimonio, quarantadue anni dopo il referendum del ‘74 - è stato così presente nel dibattito politico, è merito dei Radicali e del loro storico leader. La politica per come era intesa da Pannella può essere riassunta nello slogan di Radio Radicale, l’emittente che dal 1976 supplisce al servizio pubblico nel raccontare le sedute parlamentari e i convegni più rilevanti sotto il profilo politico: “conoscere per deliberare”. Senza conoscere i meccanismi della politica, il funzionamento delle istituzioni, i più intricati anfratti dei labirinti legislativi, non sarebbe possibile creare il cambiamento, e la fase declinante della Prima Repubblica è stata proprio la reificazione di questo concetto. Pannella e i suoi tanti figli - ormai dispersi ovunque nello scacchiere politico, un esempio su tutti Roberto Giachetti, candidato sindaco del PD a Roma - hanno dimostrato come solo lo studio matto e disperatissimo delle regole del gioco possa dare l’opportunità del cambiamento, seguendo una lezione che rimanda a Gramsci. Poi c’è l’aspetto folcloristico, lo sfruttamento dei mezzi di comunicazione in un’epoca in cui la TV concedeva alla politica solo lo spazio per delle austere tribune politiche cronometrate. Pannella ha anticipato di decenni Berlusconi, Renzi, Twitter e Facebook, con le sue campagne di stampa pirotecniche.
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Ha portato in Parlamento Leonardo Sciascia e Enzo Tortora, ma anche Ilona Staller, mischiando com’era suo solito sacro e profano, serio e faceto in un reboante comizio permanente. In parte grillo parlante, in parte scomodo rompiscatole, in parte profeta, in parte profittatore: questo e molto di più, Marco Pannella ha rappresentato un punto di riferimento per quanti credevano (o credono tutt’ora) alla politica come mezzo e non come fine. Da Gandhi, con la mediazione di Danilo Dolci e Aldo Capitini, ha ripreso i mezzi di lotta nonviolenta, che se oggi ci paiono tutto sommato comprensibili, erano inimmaginabili nell’Italia degli anni Settanta, grondante il sangue di una lotta politica che si traduceva in guerra civile.
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C’è chi ha visto nelle sue alleanze con Forza Italia (1994) e con il PD (2008) dei peccati d’anzianità. Tutt’altro: si trattava di scelte perfettamente compatibili con la sua volontà di incidere, di sporcarsi le mani pur di raggiungere l’obiettivo. In Pannella si incrociavano e saldavano la scaltrezza dell’agitatore e il pragmatismo del riformista, il radicalismo del rivoluzionario e la piccineria della primadonna. Se qualche volta si è fermato ai lati della strada, era solo per vedere meglio. In fin dei conti, ha sempre seguito le parole che Pier Paolo Pasolini avrebbe dovuto pronunciare al Congresso Radicale di Firenze del 4 novembre 1975 (fu assassinato due giorni prima): dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare. Un programma politico non da poco.
Fonti e approfondimenti
●Il sito con le dirette e le registrazioni dell’immenso patrimonio di Radio Radicale, https://www.radioradicale.it/; ●Gli appunti per il discorso di Pasolini al XV Congresso Radicale (Firenze, 4 novembre 1975): http://www.francocenerelli.com/antologia/scandalorad.htm; ●La fotogallery di Repubblica.it sulla vita di Pannella, http://www.repubblica.it/politica/2016/05/18/foto/marco_pannella_una_vita_da_radicale_-_la_fotostoria-135212257/1/; Immagini tratte da: ●Marco Pannella ai tempi della campagna sul divorzio, autore sconosciuto - L'Espresso, Pubblico Dominio, voce "Marco Pannella" ●Marco Pannella anziano, foto di Jollyroger, CC BY-SA 3.0, voce: Marco Pannella ●Pannella con Enzo Tortora, da wikipedia, CC BY 2.5, voce: Marco Pannella ●Pannella ed Emma Bonino con Giovanni Paolo II,da wikipedia CC BY 2.0, voce: Marco Pannella Dark Souls significa anzitutto sopravvivenza. Lo stesso titolo della saga, Prepare To Die Edition, è un monito al giocare che intraprende la lunga strada per giungere al castello di Lotrich. È un mondo costellato da morti brutali, lacrime di frustrazione, sonore imprecazioni e gioia dopo aver sconfitto un boss. Un cammino accidentato, in cui la morte diventa un atto abitudinario e normale per il giocatore. Proprio per l'aggressività dei nemici e per l'insidia riscontrabile in ogni area di gioco, Dark Souls III non dà mai un attimo di respiro, tenendo l'utente sempre concentrato e costretto a guardarsi attorno. La musica contribuisce alla creazione di un'atmosfera di eterna suspense: il cigolio, lo scricchiolio, il muovere dei passi potrebbe significare la presenza di un nemico e morte certa. La parole chiave per affrontare questo momento intriso da atmosfere gotiche e surreali è giocare con il cuore: in Dark Souls la morte è preventivata, si comincia prendendo delle mazzate che ti fanno pensare “no, vabbé, non ci riuscirò mai”. In questi gioco la pazienza è salvifica, bisogna riprovare una, due, tre, venti volte, fino a quando il successo pare sempre più vicino e nel giocatore si accende un barlume di speranza. Si entra in un meccanismo perverso in cui la sfida è così grande che vincere crea un'emozione unica. In Italia è stato lo yotubers Yotobi, che incarna il giocatore medio di Dark Souls, ad avvicinare migliaia e migliaia di utenti a questo mondo. La celebre frase “io scappo tantissimo”, il senso di frustrazione mostrato durante lo scontro con il Demone del Toro che lo portarono quasi ad abbandonare il gioco riflettono pienamente l'esperienza di ogni giocatore. Da questo lavoro né esce un titolo conservativo: se nelle prime l'ambientazione è abbastanza spuntata e troppo simile alla Yarman di Bloodborne, nella seconda parte subentra la genialità di Miyazaki che rinunciando all'originalità crea un titolo sontuoso per grafica e giocabilità. Da un'iniziale perplessità si passa dopo 3-4 ore di gioco a scontri epici e un mondo intriso di ostacoli in cui solo la pazienza, l'esperienza e l'interiorizzazione della posizione e dello stile dei combattimenti degli avversari consentono al giocatore di andare avanti. Dark Souls pertanto è un percorso spirituale, un mondo di continua interiorizzazione, una trilogia che ci porta nel mondo dell'antica fiamma pregna di un'immensa potenza e in grado di elevare a Dio i loro possessori, in un mondo di guerre e tradimenti, primo tra tutti quello di Seth e della Strega di Izalith, alla ricerca del signore dei tizzoni nella terra di Lothtic Immagini tratte da:
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La vittoria di Khan alle comunali di Londra: l’ultima speranza per il Labour?
Giovedì scorso si sono svolte nel Regno Unito le elezioni amministrative: un appuntamento molto atteso, in grado di rivelare l’andamento del governo Cameron e l’appeal del rinnovato partito laburista di Jeremy Corbyn. Nonostante i risultati non abbiano affatto premiato la linea neo-marxista di Corbyn (con un impensabile terzo posto in Scozia, un tempo “rossa” da cima a fondo), i laburisti sono riusciti a riprendersi la poltrona di sindaco di Londra: Sadiq Khan, candidato di origini pachistane, ha infatti conquistato il 44% delle prime preferenze e il 57% delle seconde, superando nettamente lo sfidante conservatore Zac Goldsmith.
[Un piccolo chiarimento: nel sistema elettorale di Londra non esiste il concetto di “ballottaggio”. Si vota una volta sola, ma dando due preferenze: la prima al candidato preferito, la seconda al “secondo preferito”. In questo modo, se al momento dello scrutinio il candidato più votato non supera la maggioranza del 50% - com’è accaduto venerdì - si eliminano tutte le schede per gli altri candidati e si sommano prime e seconde preferenze dei due rimasti in corsa.]
Il nuovo sindaco ha 45 anni e fa l’avvocato. Figlio di un autista di autobus e di una sarta, fa parte della Camera dei Comuni (carica non incompatibile con quella di sindaco, nel Regno Unito) dal 2005 ed è stato Ministro delle Comunità Locali e Ministro dei Trasporti nei governi laburisti di Gordon Brown (2007-2010). È musulmano praticante: aspetto significativo e che è stato più volte usato contro di lui durante la campagna elettorale, visto che il 7 luglio 2005 la città di Londra fu vittima di attentati suicidi di matrice islamica che provocarono 56 morti.
Quanto alle sue posizioni politiche, sono decisamente progressiste per quanto riguarda l’edilizia popolare, i trasporti e i diritti civili. Ecco quattro dei dieci punti del suo programma, che traduco dal suo sito ufficiale:
Il suo principale sfidante (ma in tutto i candidati erano 12, compreso quello del Partito della Cannabis) Goldsmith ha ottenuto il 35% delle prime preferenze e il 43% delle seconde. Di famiglia aristocratica, Goldsmith ha quarantun anni e un patrimonio personale tra i 300 e i 400 milioni di euro. Ha importanti trascorsi in organizzazioni ambientaliste e idee liberali non sempre coincidenti con quelle del suo partito (per esempio è contrario all’ampliamento dell’aeroporto di Heatrow), un po’ come il sindaco uscente, il conservatore Boris Johnson.
Alla guida della capitale britannica negli ultimi otto anni, Johnson è una figura molto singolare del Partito Conservatore (i Tories). Laureato in storia e giornalista di professione, è noto per la sua vastissima cultura quasi quanto per la sua bizzarra acconciatura (un Trump ante litteram, oserei dire). Nel 2008 riuscì a prendere il posto di Ken Livingstone, laburista e sindaco della città da due mandati (cioè da quando esiste la figura del Mayor of London).
Benché nessuno dei due fosse candidato a queste elezioni, entrambi hanno fatto parlare di sé negli ultimi tempi. Livingstone, noto anche come “Ken il rosso” (il che vi lascia intendere come si posiziona all’interno del Labour), si è fatto notare per alcune dichiarazioni infelici su Israele e Adolf Hitler (!), al punto da essere stato sospeso dal partito per evitare ulteriori disastri. Johnson, al contrario, si muove ormai verso traguardi nazionali, avendo conquistato il 7 maggio 2015 il seggio parlamentare di Uxbridge and South Ruislip, collegio elettorale londinese che vota conservatore da una vita. Ora che è anche alla Camera dei Comuni, Johnson si propone come uno dei più significativi esponenti dei Tories, guidando per esempio il fronte anti-europeo per il prossimo referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea (ne parleremo a breve su queste pagine). Ma i suoi otto anni da sindaco verranno difficilmente dimenticati: nelle fonti troverete alcuni efficaci compendi delle sue bizzarre dichiarazioni, tra cui:
«My chances of being PM are about as good as the chances of finding Elvis on Mars, or my being reincarnated as an olive» «Le mie possibilità di diventare Primo Ministro sono buone quanto trovare Elvis su Marte o reincarnarmi in un olivo»
Il singolare modo di intendere il calcio di Johnson durante una partita benefica del 2006.
Da questa settimana, finisce l’era Johnson ed inizia quella di Sadiq Kahn. Resta da chiedersi se il neo-sindaco, espressione di una società in profondo cambiamento, possa riuscire nell’obiettivo di rendere il vastissimo abitato di Londra, con i suoi 8.538.689 di cittadini, la “città più giusta” di cui parla il suo programma. Non solo: Khan ha sulle spalle anche il futuro del proprio partito, ormai in grandissima crisi. Ce la farà? È proprio il caso di dirlo: good luck, mayor.
Fonti e approfondimenti
Immagini tratte da:
Sadiq Kahn, dal suo profilo twitter Zac Goldsmith, da Wikipedia Italia, lavoro derivativo di Annie Mole dalla foto dell’utente Busillis Zac_Goldsmith_KewGardens.jpg: Zac_Goldsmith_KewGardens.jpg, CC BY 2.0, voce "Zac Goldsmith" Boris Johnson, da Wikipedia inglese, immagine del fotografo dell’Ambasciata Americana a Londra - https://www.flickr.com/photos/usembassylondon/19279447599/, Pubblico dominio, voce "Boris Johnson" Ken Livingstone, da Wikipedia inglese, immagine del Forum Economico Mondiale scattata a Davos nel 2008, CC BY-SA 2.0, voce "Ken Livingstone" Johnson che gioca a calcio, animazione gif ricavata dal video https://www.youtube.com/watch?v=iWIUp19bBoA. Storia di un dramma sfiorato, ma che pone grandi interrogativi. Certe volte gli eventi prendono una piega inaspettata, quasi che qualcuno li avesse programmati apposta. Il giorno in cui milioni di italiani si recavano alle urne per decidere del futuro energetico del nostro paese (ma una parte più consistente preferiva starsene lontana dai seggi), la città di Genova ha subito un incidente petrolifero che ha rischiato di tradursi in un disastro ambientale. Tutto ha inizio alle otto di sera del 17 aprile scorso. Sabato 16 ha piovuto tanto e i corsi d’acqua genovesi sono rigonfi. Un tubo dell’oleodotto collegato alla raffineria Iplom, situato nel quartiere Borzoli, si rompe e disperde 700 metri cubi di petrolio nel rio Fegino, tra gli affluenti del Polcevera, il primo torrente genovese per estensione. È buio, per cui le operazioni d’emergenza messe in atto dai Vigili del Fuoco - chiamati dai cittadini che hanno udito un grande scoppio - sono complicate. Alla formazione della falla nella tubatura si accompagna una frana, che peggiora la situazione. Viene gettata schiuma nel torrente per evitare che il petrolio prenda fuoco, è costruita una diga di contenimento all’altezza del quartiere di Bolzaneto e sono collocate delle panne assorbenti per raccogliere quanto della macchia nera sia giunto al mare (circa 50 tonnellate di greggio). Nei giorni successivi, l’emergenza è contenuta, ma il proseguire delle precipitazioni desta preoccupazione. Nella notte del 22 aprile, il momento più rischioso: le piogge aumentano considerevolmente la portata del Polcevera, portando alle 9 di mattina del 23 al cedimento della diga costruita ad hoc nei giorni precedenti. Di lì a poco, l’Assessore genovese alla Protezione civile Gianni Crivello dichiara sconsolato che «la situazione è complicata: non sappiamo quanto greggio potrà finire in mare. La Capitaneria di porto è riunita per l’emergenza ed ha dichiarato lo stato di emergenza locale». Alle 12 è il sindaco Marco Doria a rassicurare: le strutture di contenimento a valle della diga hanno retto, evitando il peggio. Entro le 17 dello stesso giorno, la barriera viene ripristinata. Alle otto di sera, lo sfogo del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, che ostenta tranquillità: «a Genova il peggio è passato, l’emergenza sta finendo e le coste liguri sono al sicuro dal rischio petrolio. Basta amministratori frignoni, basta allarmismi inutili, un po’ di serietà e un po’ più di lavoro». Il 26 aprile, l’ARPAL (Azienda Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure) ha pubblicato uno studio in collaborazione con l’ASL 3 Liguria in cui si afferma che non ci sarebbero pericoli concreti per la salute: Dalla serata di domenica 17 e fino a lunedì 25 aprile, in collaborazione con la Città Metropolitana competente per la qualità dell’aria e con la Asl in relazione alle valutazioni sanitarie, i sei tecnici di Arpal, divisi in tre squadre, hanno effettuato le misure lungo tutto il tratto interessato dallo sversamento, dal Rio Pianego fino alla foce del torrente Polcevera (circa 4,5 km) [...]. È stato utilizzato uno strumento (il Draeger X-am 7000 dotato di 5 sensori per la misura di diversi inquinanti) che rileva simultaneamente e in continuo le sostanze organiche volatili (Sov) e l’idrogeno solforato. In altri 9 punti sul territorio, invece, grazie al posizionamento di campionatori passivi della Città Metropolitana, i tecnici hanno potuto effettuare riscontri in materia di qualità dell’aria e, in particolare, in relazione alle concentrazioni di benzene, toluene e altre sostanze organiche. All'interno della finestra di monitoraggio, durata alcune ore al giorno, sono stati rilevati - in alcuni minuti - valori nell'ordine di poche parti per milione. [...] A conclusione delle operazioni è emersa l’assenza di rischi per la salute pubblica, certificata dalla Asl3, nonostante la presenza di alcune sostanze in una concentrazione tale da poter creare fastidi alle persone con maggiore sensibilità [documento integrale nelle fonti]. ![]() Se il rischio ambientale - larga parte delle macchie di greggio finite in mare sono state aspirate e recuperate - pare ormai limitato, c’è poco da festeggiare. Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha dichiarato: «non ci dobbiamo fermare qui: oggi incomincia il lavoro più difficile, che è quello della bonifica. Allora, bisognerà prendere atto dei danni che si sono verificati, su questo costruire un progetto di bonifica, approvarlo e realizzarlo. Sappiamo bene cosa dobbiamo fare, e adesso proviamo anche a farlo. Chi inquina, paga, non c'è dubbio su questo». Appare evidente che la bonifica e la condanna di chi ha sbagliato non sono sufficienti. Come è accaduto in passato - pensiamo ai fatti di Chernobyl, che portarono di fatto l’Italia fuori dal nucleare trent’anni fa - un incidente come questo deve rappresentare l’occasione per compiere una riflessione sui rischi che impianti come quello di Genova comportano. La Iplom è una società per azioni fondata a Moncalieri nel 1931 con il nome di Industria Piemontese Lavorazioni Oli Minerali. L’impianto di Busalla, comune del genovese a circa 20 km dal luogo dell’incidente, è attivo dagli anni Quaranta, e ad oggi costituisce una delle 17 raffinerie esistenti nel nostro paese. La sua capacità di raffinazione è di quasi due milioni di tonnellate di greggio, il che la rende uno degli impianti italiani più piccoli. Ciò non ha impedito a molti di ritenere la raffineria di Busalla un pericolo per la salute della popolazione circostante, sottoposta ad agenti chimici potenzialmente cancerogeni. L’incidente di due settimane fa ha dimostrato che i rischi non si fermano qui: la verifica delle tubature, compiuta dal perito Sandro Osvaldella per conto della Procura della Repubblica di Genova, avrebbe rilevato che nel punto dello squarcio la tubatura aveva uno spessore di soli tre millimetri, contro gli otto originari. Fonti ed approfondimenti:
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Novembre 2020
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