L’instabilità in Europa non sembra volersi fermare e i protagonismi nazionali son sempre in agguato. Dalla crisi economica che ha visto Tsipras infuocare gli animi del popolo greco contro le regole stringenti della Troika, con esiti alla fine a dir poco devastanti. Tempi in cui Angela Markel dominava incontrastata dal suo seggio mitteleuropeo. Posizione mantenuta nelle ultime elezioni ma con una spada di Damocle sulla testa e con le pressioni francesi sulla sinistra.
Come dimenticare il referendum della Gran Bretagna che forte della sua sterlina oggi invece sembra preoccuparsi dei 20 mesi rimasti prima del “Bye Bye European Union”, e le cui negoziazioni rafforzano l’unità europea. E ci sono poi le pressioni dei paesi Visegràd, che tra fili spinati e politiche populiste pretendono di lasciare il Mediterraneo al suo destino: su questo palcoscenico multiforme in cui appare adesso l’Europa le spinte autonomiste ed indipendentiste non potevano mancare. Da qui il risveglio dal sonno della Catalogna contro l’oppressore spagnolo. Sembra quasi una favola risorgimentale, se non vivessimo in un mondo fortemente interconnesso e all'interno del quale ai moti rivoluzionari abbiamo sostituito la cooperazione. Alle pretese catalane l’Europa fin da subito ha alzato le mani, demandando tutto alla Spagna con “è’ una questione interna”. E da qui un continuo susseguirsi di reazioni uguali e contrarie da parte della Spagna di Rayoj e della Catalogna di Puigdemont (presidente eletto dal Parlamento catalano nel 2015, ora destituito). Da quando il primo ottobre il popolo della Catalogna ha votato per il suo referendum “incostituzionale” per l’indipendenza (dal governo spagnolo definito illegale) e la Spagna ha risposto con la forza delle armi lasciando sul campo quasi 800 feriti, la situazione è andata sempre più degenerando. Certo è che la Spagna è una democrazia stabile, ma la veemenza del referendum ha spinto ad un giro di vite il governo di Rajoy, che con l’intervento militare ha compiuto il suo peggior passo falso legittimando agli occhi del mondo qualcosa che per tutti era palesemente una forzatura secessionista. Ed ecco che di giorno in giorno la saga spagnola va avanti sino a quando la minaccia da parte del governo spagnolo circa l’attivazione della clausola contenuta nel famigerato art. 155 diventa realtà: l’autonomia Catalana viene sospesa, e la regione di fatto commissariata. I suoi leader politici destituiti. La risposta catalana non si è fatta attendere e così nel pomeriggio di sabato 28 ottobre in un messaggio televisivo Puigdemont ha invitato il popolo catalano a resistere “democraticamente alle misure del governo spagnolo, di agire con dignità”. Tuttavia in tutto questo marasma politico due quesiti restano ancora irrisolti. Uno guarda al passato e uno al futuro: “ma perché la Catalogna vuole l’indipendenza?” e soprattutto “cosa succederà adesso?”. Nel primo caso le ragioni sono varie e originano secoli addietro, inizialmente l’indipendentismo catalano era soprattutto identitario – linguistico e culturale -. La spaccatura è divenuta quindi politica durante la guerra civile del 1936 quando Barcellona era un baluardo repubblicano contro i ribelli nazionalisti. E poi da ultimo, dopo la crisi del 2008 la ferita si è riaperta con i secessionisti che rivendicano allo stato centrale un minor gettito fiscale. La Catalogna è ricca e lo sarebbe anche di più se tale ricchezza rimanesse nel territorio della regione. Così dicono i secessionisti. Per rispondere invece al secondo quesito, bisogna guardare oltre la Spagna: all’Europa, al mondo. Qualora l’indipendenza diventasse davvero qualcosa di concreto, la questione spagnola erigerebbe a problema fondamentale per l’Europa, che in un mondo di fatto di colossi (Stati Uniti e la Cina per citarne qualcuno) non potrebbe permettersi una disgregazione interna. Così la Spagna potrebbe ispirarsi al modello di federazione tedesco per mantenere l’unità territoriale e politica. Il dialogo e la cooperazione di tutti gli attori è fondamentale. Anche perché in un mondo in cui la Catalogna fosse davvero così abile da ottenere l’indipendenza che cosa potrebbe accadere in realtà? Sarebbe uno stato non riconosciuto dall’Unione Europea, niente più libera circolazione di merci, capitali, lavoro, persone. Dovrebbe attendere anche il riconoscimento da parte della comunità internazionale ed è ben noto come il processo sia lungo e farraginoso. La Catalogna è ricca ma di certo non è la Gran Bretagna. Da qui discende un terzo ed ultimo quesito: ne sarebbe valsa davvero la pena? FONTI: Il Sole 24 ore http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2017-10-19/la-secessione-e-contrario-dell-europa-225158.shtml?uuid=AEwwgyrC ; Il Post http://www.ilpost.it/2017/10/28/catalogna-situazione-indipendenza/ ; Il Corriere della Sera http://www.corriere.it/esteri/cards/perche-catalogna-vuole-indipendenza-ora-che-cosa-succede/perche-catalogna-vuole-essere-indipendente_principale.shtml?refresh_ce-cp ; IMMAGINI: Immagine 1: Indipendenza https://www.nuovaresistenza.org/wp-content/uploads/2017/09/Referendum-Catalogna.jpg Immagine 2: Rayoj http://www.reporternuovo.it/files/2013/12/rajoy-5ene12.jpg
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Novembre 2020
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