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28/11/2016

L’Italia di domani

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Un vademecum sul referendum costituzionale del 4 dicembre


di Andrea Petrocca e Alessandro Ferri




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Questa domenica si decide il futuro dell’Italia. Una vittoria al referendum dei “Sì” o dei “No”, non avrà solamente effetto sulla nostra Costituzione, ma anche sugli equilibri politici nazionali. Una maggioranza di “Sì” garantirebbe a Matteo Renzi un aumento verticale del consenso (dentro il partito e dentro il governo), mentre una vittoria del “No” potrebbe danneggiarlo fortemente, benché sembrerebbero da escludere sue dimissioni immediate. I toni furiosi della campagna elettorale, tutta fondata sull’idea che si debba dire “Sì” o “No” a Renzi e alla sua politica, hanno fatto dimenticare che questo è un referendum costituzionale: andiamo a votare le regole del gioco. Se ci sta bene la proposta di modifica, voteremo “Sì”; se preferiamo la Costituzione così com’è oggi, voteremo “No”. Noi del Termopolio vogliamo proporvi un ripasso sintetico delle ragioni dell’uno e dell’altro schieramento, così da aiutarvi nella scelta.
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Maria Elena Boschi, 35 anni, è Ministro per le Riforme dal 22 febbraio 2014
La scheda che verrà consegnata a tutti gli aventi diritto che si presenteranno al seggio, muniti di documento d’identità e tessera elettorale, è rosa e contiene il seguente quesito:

« Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016? »
 
Il referendum è stato indetto sulla base dell’articolo 138 della Costituzione, che stabilisce che una revisione costituzionale debba essere approvata dalla popolazione qualora ne facciano richiesta almeno 500.000 cittadini, un quinto dei membri di Camera o Senato o almeno 5 consigli regionali. Trattandosi di un referendum costituzionale, non è previsto quorum: a prescindere dal numero dei votanti, passerà l’opzione che ha ottenuto un voto in più. Nel 2001 e nel 2006 si sono tenuti altri due referendum di questo tipo: nel primo caso, a fronte di un’affluenza del 34%, furono confermate le modifiche costituzionali (riguardanti la riforma del Titolo V); cinque anni più tardi, con il 52,5% di affluenza prevalsero i “No”, abrogando la riforma promossa dal governo Berlusconi.
La riforma costituzionale pubblicata in Gazzetta Ufficiale ad aprile è nota come “Riforma Boschi”, dal nome del ministro Maria Elena Boschi. Il referendum non riguarda la legge elettorale, che – ricordiamo – è una legge ordinaria e non compare in Costituzione. Attualmente, il premier Renzi si è detto favorevole a modificare la legge elettorale, constatando la contrarietà all’Italicum di una parte consistente del suo stesso partito.
Ma torniamo alla riforma, di cui cercheremo di riepilogare gli aspetti principali.
Anzitutto, la riforma intende superare il bicameralismo perfetto, ossia il fatto che in Italia le leggi debbano essere approvate nella stessa identica forma sia dalla Camera, sia dal Senato, e la fiducia ai governi deve essere conquistata in entrambi i rami del Parlamento. Con la riforma, la Camera – che diventerebbe l’unico organo eletto direttamente dai cittadini – sarebbe l’unica assemblea a dare la fiducia e a votare le leggi ordinarie. Il Senato, chiamato “Senato delle Regioni”, sarebbe costituito da 100 senatori (invece che 315), 95 dei quali scelti tra i sindaci (1 per regione, più le province di Bolzano e Trento) e i consiglieri regionali (74). Il mandato dei senatori sarebbe uguale all’incarico già in corso nei comuni o nelle regioni, per cui le maggioranze in Senato potrebbero cambiare considerevolmente in occasione delle elezioni amministrative; non ci sarebbe un’indennità aggiuntiva, ma si percepirebbe solo lo stipendio dell’ente locale. I 5 senatori rimanenti sarebbero scelti dal Presidente della Repubblica per meriti particolari e avrebbero un mandato di 7 anni (non esisterebbero dunque più i senatori a vita). Il Senato delle Regioni potrebbe proporre modifiche alle leggi approvate dalla Camera, che non sarebbe comunque tenuta a dargli ascolto. I senatori parteciperebbero tuttavia all’elezione del Presidente della Repubblica, del CSM e della Corte Costituzionale.
Sarebbe abolito il CNEL (Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro), che attualmente è composto da 64 consiglieri e ha svolto il ruolo conferitogli dalla costituzione, cioè di proporre leggi in materia economica, appena 14 volte in sessant’anni.
Sarebbe riformato il Titolo V della Costituzione, cioè quello che si occupa delle competenze di stato e regioni. Tornerebbero di pertinenza statale materie come ambiente, gestione di porti e aeroporti, trasporti e navigazione, produzione e distribuzione dell’energia, politiche per l’occupazione, sicurezza sul lavoro, ordinamento delle professioni.
La riforma abolisce il quorum del 50% +1 nei referendum abrogativi: se la consultazione è richiesta da almeno 800.000 cittadini, sarà sufficiente che si rechino alle urne la metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche. Si potranno proporre leggi di iniziativa popolare raccogliendo 150.000 firme (anziché le attuali 50.000), ma la Camera avrà l’obbligo di discuterle. Inoltre saranno introdotti in Costituzione i referendum propositivi e di indirizzo.
Con una maggioranza di “Sì”, le modifiche che abbiamo raccontato entreranno in vigore; in caso di vittoria del “No” la Costituzione rimarrebbe così com’è adesso. Vediamo le posizioni dei Comitati per il “Sì” e per il “No”.

Chi dice “Sì”

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Voteranno “Sì” i partiti dell’area di governo o centristi (Centro Democratico, Italia dei Valori, MAIE, Nuovo Centrodestra, Partito Democratico, Partito Socialista Italiano, Scelta Civica) e alcune organizzazioni (CISL, Coldiretti, Confindustria). Il Comitato “Basta un Sì” ritiene che siano queste le ragioni per approvare la Riforma Boschi.
La Riforma supererà il bicameralismo paritario, caso unico in Europa: la Camera dei Deputati darà e toglierà la fiducia al governo, il Senato rappresenterà le istanze e i bisogni di comuni e regioni. Tranne che per alcune limitate materie, la Camera approverà le leggi e il Senato avrà 40 giorni per discutere e proporre modifiche, su cui poi la Camera esprimerà la decisione finale.
Verrà ridotto il numero dei parlamentari, perché i senatori elettivi passeranno da 315 a 95 e non percepiranno indennità; il CNEL verrà abolito; i consiglieri regionali non potranno percepire un’indennità più alta di quella del sindaco del capoluogo di regione e i gruppi regionali non avranno più il finanziamento pubblico; le province saranno eliminate dalla Costituzione.
Il Parlamento avrà l’obbligo di discutere e deliberare sui disegni di legge di iniziativa popolare proposti da 150mila elettori; saranno introdotti i referendum propositivi e d’indirizzo; si abbassa il quorum per la validità dei referendum abrogativi (se richiesti da ottocentomila elettori, non sarà più necessario il voto del 50 per cento degli aventi diritto, ma sarà sufficiente la metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche).
La riforma del Titolo V farà sì che materie come le grandi reti di trasporto e di navigazione, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia o la formazione professionale saranno di esclusiva competenza dello Stato. Alle Regioni saranno lasciate l’organizzazione sanitaria, il turismo e lo sviluppo economico locale.
 
Chi dice “No”
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Si sono espressi a favore del “No” partiti di ogni schieramento (Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega Nord, Movimento 5 Stelle, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana - Sinistra Ecologia Libertà, Unione di Centro, Conservatori e Riformisti) e varie organizzazioni (ANPI, ARCI, CGIL, Cobas, CUB, FIOM, Italianieuropei, Libertà e Giustizia, Magistratura democratica, UGL, USB). Hanno aderito ai Comitati per il “No” anche alcuni esponenti del Partito Democratico, in particolare larga parte della minoranza interna (a partire da Massimo D’Alema).
Il “Comitato Nazionale per il No” è stato costituito il 29 ottobre di un anno fa, sotto la guida dei costituzionalisti Alessandro Pace e Gustavo Zagrebelsky, e riassume così le sue perplessità sulla Riforma Boschi.
La Riforma non supera veramente il bicameralismo, ma crea una situazione confusa con conflitti di competenza tra Stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato. Inoltre non si otterrà la semplificazione che ci si aspetta, in quanto saranno moltiplicati fino a dieci i procedimenti legislativi e sarà incrementata la confusione. Il problema dei costi della politica è appena scalfito, perché i costi del Senato sono ridotti solo di un quinto. Se il problema sono i costi, perché non dimezzare i deputati della Camera?
La Riforma conserva e rafforza il potere centrale a danno delle autonomie, private di mezzi finanziari. La stessa partecipazione diretta dei cittadini ne risulterà limitata, in quanto sono triplicate le firme necessarie ai disegni di legge di iniziativa popolare (da 50.000 a 150.0000).
La Riforma non è scritta in modo chiaro e non è legittima, perché è stata prodotta da un parlamento eletto con una legge elettorale (Porcellum) dichiarata incostituzionale; inoltre è stata scritta sotto dettatura del governo, e non autonomamente dal parlamento.
La Riforma non garantisce la sovranità popolare, perché insieme alla nuova legge elettorale (Italicum), già approvata, espropria la sovranità al popolo e la consegna a una minoranza parlamentare che solo grazie al premio di maggioranza si impossessa di tutti i poteri. Di conseguenza non è garantito l’equilibrio tra i poteri costituzionali, poiché gli organi di garanzia (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale) sono messi in mano alla maggioranza prodotta dal premio.
 
Cosa succederà
Se avessimo scritto questo articolo qualche mese fa, lo avremmo chiuso con un bel sondaggio per indicare l’umore dell’elettorato. Ma le ultime tornate elettorali ci hanno sconsigliato dal farlo, in quanto è emerso con chiarezza che ai sondaggisti non si dice più la verità. Le analisi pubblicate sui giornali fino al 19 novembre (giorno a partire dal quale la legge impone il silenzio sulle rilevazioni), suggerivano un fronte del “No” in vantaggio e un grande numero di indecisi. E se tutti questi andassero a votare, cosa voterebbero? Siamo poi sicuri che chi vota “Sì” lo dichiara prima? E se non volesse rivelare le proprie intenzioni, per timore di essere visto come un sostenitore del governo, sul quale magari ha delle perplessità? Quest’ultimo, a ben vedere, è il caso di molti elettori di centrodestra, che sostengono le modifiche costituzionali – Renzi stesso ha insistito sui punti di contatto tra la sua Riforma e quella approvata dal Centrodestra nel 2005 – ma non hanno in simpatia l’attuale governo. Ci vorrebbe una palla di cristallo, per capire l’andamento di questa domenica referendaria. Ne riparleremo a urne chiuse.
 
Fonti
  • La dettagliata pagina wiki sul referendum, https://it.wikipedia.org/wiki/referendum_costituzionale_del_2016_in_Italia;
  • La Riforma Boschi, http://www.camera.it/leg17/465?tema=riforme_costituzionali_ed_elettorali;
  • Il sito del Comitato “Basta un Sì”, http://www.bastaunsi.it/;
  • Le dichiarazioni di voto (per il "Sì") del costituzionalista Stefano Ceccanti http://www.huffingtonpost.it/stefano-ceccanti/spagna-ballottaggio-italicum-_b_12617476.html, del filosofo Gianluca Briguglia http://www.ilpost.it/gianlucabriguglia/2016/11/24/referendum-costituzionale-voto-si/, di Antonio Pennacchi http://www.repubblica.it/politica/2016/11/26/news/antonio_pennacchi_mi_turo_il_naso_e_voto_si_perche_voglio_evitare_che_vinca_solo_renzi_-152850341/, di Emma Bonino http://www.ilpost.it/2016/11/02/emma-bonino-referendum/;
  • Il sito del “Comitato Nazionale per il No”, http://www.referendumcostituzionale.online/;
  • Le ragioni del “No” secondo Alessandro Pace, http://media.wix.com/ugd/14a30c_3cc446f9dc184317ae2cb9dbab154dee.pdf e in un vademecum più agile, http://media.wix.com/ugd/14a30c_40e29a7edc7a4bea8394cd59c42f6371.pdf.
 
Immagini tratte da:
  • L’immagine di copertina è di Matteo Grisorio - Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=53382500;
  • Maria Elena Boschi, foto di Niccolò Caranti - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=49302381;
  • Logo di “Basta un Sì” tratto da http://www.bastaunsi.it/wp-content/uploads/2016/07/logoBastaUnSi.png;
  • Il logo del Comitato del “No”, tratto da http://www.referendumcostituzionale.online/.

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20/11/2016

Non possiamo permettercelo

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In Italia, un bambino su tre è a rischio povertà, e rischia di non ricevere un’istruzione adeguata
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di Alessandro Ferri

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FotoIl rischio povertà aumenta con l’aumenta con la fascia d’età, raggiungendo un picco del 36,1% con i 16-19enni
Dopo la parentesi americana, torniamo a parlare del nostro paese, cogliendo l’occasione della presentazione del VII Atlante dell’Infanzia a rischio di Save The Children. Intitolato «Bambini, Supereroi», questo volume consiste un dossier di 280 pagine curato da Giulio Cederna, in cui viene fotografata la situazione della povertà infantile in Italia. In libreria non è ancora disponibile – uscirà ai primi di dicembre – ma possiamo già ricavare alcune osservazioni dai dati e dalle mappe che sono state diffuse in anticipo.


I bambini ed adolescenti (tra 0 e 17 anni) a rischio di povertà ed esclusione sociale in Italia sono il 32,1%, contro una media UE del 27,7%. Cosa significa “a rischio di povertà ed esclusione sociale”? Il criterio statistico è stato elaborato dall’Eurostat, e definisce i bambini che vivono “in condizioni di povertà relativa, deprivazione materiale e in famiglie a ridotta intensità lavorativa, con i genitori disoccupati o occupati poche ore al mese”. Abbiamo già parlato di “povertà relativa”, ma ricordiamo che è un valore che cambia di anno in anno e in base al numero di componenti del nucleo familiare. La soglia Istat di povertà relativa è attualmente di 1050 euro per nuclei familiari di due persone. Se una famiglia di due persone spende meno di questa cifra, è statisticamente povera.
Scendendo nel concreto delle privazioni che subiscono i bambini, emergono altri dati significativi.
Anzitutto, la cosiddetta fuel poverty, ossia l’impossibilità di riscaldare adeguatamente le proprie abitazioni durante la stagione fredda. Questa situazione riguarda il 24,7% delle famiglie UE in condizioni di povertà relativa. Ebbene, in Italia si sale al 39%, benché il dato sia in discesa rispetto al 43,4% del 2012. Se si guarda alle famiglie al di sopra della soglia di povertà, si ha un dato comunque alto: l’11,1%, +4,3% rispetto alla media europea.



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Fuel poverty. Serie storica 2007-2014
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La povertà incide anche sulle possibilità di crescita dei ragazzi, ossia sui loro consumi culturali e sulla loro possibilità di condurre una vita sana (attraverso lo sport ed altre attività extrascolastiche). L’Istat ha calcolato che nel 2015 l’investimento medio delle famiglie per cultura e spettacoli era di 177 euro, ma la forbice andava dai 620 euro delle famiglie benestanti agli appena 33 euro mensili delle famiglie povere (che al Sud diventano 18). Queste difficoltà non investono solo le attività fuori dalla scuola, ma il percorso scolastico stesso, con enormi problemi nel sostenere le spese della formazione (libri di testo, materiali, trasporti, mense, gite), tali da tradursi in alti livelli di dispersione scolastica. Attualmente, il fenomeno – ossia l’abbandono degli studi prima dell’esame di Maturità – riguarda il 14,7% dei giovani in età scolare, una cifra che, pur essendo in calo (rispetto al 22,1% di dieci anni fa), è frutto di situazioni molto diverse: in Umbria e in Veneto il tasso di abbandono è dell’8,1%, mentre in Sicilia è del 24,3%.
 


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La dispersione comporta l’impossibilità di accedere a lavori stabili e in grado di far uscire dalla povertà, creando un circolo vizioso che ha effetti devastanti, soprattutto nelle regioni del Sud: chi nasce povero resta (generalmente) povero. E questo non è solo un dramma morale: lo è anche da un punto di vista economico complessivo. Se non si riesce a recuperare questa parte d’Italia rimasta indietro, sarà impossibile far ripartire il paese, uscendo dalla crisi. L’economia italiana ha bisogno di azioni di contrasto alla povertà, e l’investimento nella formazione (per tutte le fasce d’età) rappresenta una delle strade da percorrere, se si pensa che il 42,3% della popolazione tra i 18 e i 64 anni ha solamente la licenza media (in Europa siamo al 27,5%).
Fonti e immagini tratte da:
- La pagina dedicata del sito di Save The Children, https://www.savethechildren.it/atlante-dell-infanzia-rischio. Tutte le immagini impiegate nel testo di questo articolo sono tratte dall’Atlante. L’immagine di copertina è tratta da http://piattaformainfanzia.org/wp-content/uploads/2014/10/1243265289810_001.jpg.

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13/11/2016

L’inaspettato

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Dopo una campagna combattuta contro tutto e tutti, Donald Trump è il Presidente eletto degli Stati Uniti d’America. Analisi di un risultato imprevedibile e dei suoi sviluppi.
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di Alessandro Ferri

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“Non importa cosa succederà, domani sorgerà il sole”. Barack Obama metteva già le mani avanti, il giorno prima delle elezioni presidenziali 2016. Cos’è accaduto, e se il sole è realmente sorto dopo lo spoglio elettorale, lo sapete già da voi: l’imprevedibile, il cambio di paradigma, l’inaudito si è materializzato tra i ciuffi rossicci del più anziano presidente americano di sempre, Donald John Trump, nato il 14 giugno 1946.
Se un vostro conoscente vi aveva preannunciato questo risultato, fategli i complimenti per le doti divinatorie. Perché un’elezione di Trump alla Casa bianca appariva improbabile a larga parte della stampa e degli esperti. Non solo perché – come ha scritto qualche politologo delle urne aperte – “avevano la puzza sotto il naso” o “erano pagati dal sistema plutomassonico che appoggiava Hillary Clinton”; ma perché la democrazia americana non ha mai funzionato così, finora. Un politico sorpreso ad evadere le tasse, a molestare donne (a parole o di fatto), a insultare disabili e minoranze, avrebbe ottenuto un calo istantaneo dei propri consensi, finora. Martedì scorso è accaduto l’esatto opposto, e decenni di strategie elettorali e di regole non scritte sono stati polverizzati dall’impetuosa cavalcata del magnate newyorkese.
Spendendo meno della metà della sua avversaria (285 contro 609 milioni di dollari), con il proprio partito e larga parte dei media coalizzati contro di lui (nessuno dei 50 principali organi di stampa gli aveva assicurato l’endorsement, cioè l’invito al voto), Trump è riuscito ad intercettare i sommovimenti più nascosti dell’elettorato, facendo deflagrare le contraddizioni della proposta elettorale democratica. Non era Hillary la “meno peggio”: lo era Trump. Non un freddo calcolatore, un cyborg anaffettivo come lei, invischiata in scandali e lobbies finanziarie. Verace, volgare e razzista quanto si voglia, ma “uno di noi”, hanno pensato i milioni che l’hanno votato, guardandosi bene dal confessare ai sondaggisti i propri appetiti elettorali. Un po’ voce della pancia, un po’ mito da raggiungere, Trump riunisce in sé due tipologie politiche che conosciamo bene: il miliardario astuto e il populista che “dice quel che pensa”. Berlusconi e Salvini insieme, insomma. E non vale dire che “comunque Hillary ha vinto il voto popolare”: il sistema elettorale americano non funziona così, punto. In America ci sono i grandi elettori e c’è il maggioritario per assegnarli. Ha scritto Nate Silver, il sondaggista super-esperto che quest’anno ha toppato clamorosamente le previsioni: “se un solo elettore di Trump su 100 avesse votato per la Clinton, i Democratici avrebbero preso la Casa bianca”. Ma il maggioritario è questo: prendere o lasciare. Un voto in più, e il banco vince tutto. Succederà anche da noi, in Italia, se l’Italicum manterrà il ballottaggio – e non è detto che sia un male, dicono alcuni.
Il sole, dicevamo, è sorto ugualmente. E per quanto assurde appaiano le ipotesi di gabinetto Trump (Sarah Palin agli interni, la riesumazione di Newt Gingrich e, chissà, di Chris Christie…), c’è da dire che il suo operato come presidente risentirà parecchio del complesso sistema di pesi e contrappesi che caratterizza la democrazia americana. Lo stesso che ha impedito a Obama di intervenire sul controllo delle armi, per dirne una: non è che un presidente possa fare tutto quello che vuole. Certo, non aspettiamoci passi avanti sull’ambiente o, appunto, sulle armi. Se i matrimoni gay sono ormai parte della mentalità USA – anche perché sono frutto di una sentenza della Corte Suprema, quindi non possono essere toccati dal governo – più in bilico appare la riforma sanitaria Obamacare, che potrebbe subire pesanti interventi. Alla Corte Suprema ci saranno grandi cambiamenti, con un giudice che dovrà essere nominato nel breve periodo e due che andranno in pensione non molto più tardi. Se oggi la sua composizione è sbilanciata a favore dei progressisti, potrebbe non essere così fra quattro anni. In campo economico, è prevedibile un piano di riduzione delle tasse e dell’intervento statale nell’economia. Cosa possibile, oggi che gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi, grazie alla terapia d’urto Bush-Obama degli anni 2008-2010.
Sul piano internazionale, Trump si è dichiarato intenzionato a ridurre l’impegno USA nella NATO e in generale nel mondo, secondo una logica isolazionista e protezionista che mai ci saremmo aspettati da un imprenditore (e che è stata criticata persino da Silvio Berlusconi). Fermo restando che negli ultimi mesi Trump ha dichiarato tutto e il contrario di tutto, a seconda di come si alzava la mattina – e quindi non dobbiamo necessariamente credergli, finché non sarà effettivamente Presidente, a gennaio – si tratta di una scelta in controtendenza con quanto avvenuto sin qui, al punto che Vladimir Putin è stato tra i primi a rallegrarsi pubblicamente dell’avvenuta elezione. Scelta tattica o riconoscimento del ridotto peso internazionale degli USA? Tentativo di pacificazione o bluff? Il 2017 ci schiarirà le idee.


Fonti e approfondimenti
  • [inglese] sulle spese dei candidati alla presidenza, http://www.ibtimes.com/how-much-did-trump-spend-his-campaign-beat-hillary-clinton-total-money-raised-2016-2444150;
  • [inglese] gli endorsement della stampa, https://en.wikipedia.org/wiki/Newspaper_endorsements_in_the_United_States_presidential_election,_2016;
  • Un articolo di Repubblica sul prossimo governo Trump, http://www.repubblica.it/speciali/esteri/presidenziali-usa2016/2016/11/10/news/trump_presidente_elezioni_usa_2016_amministrazione-151719813/;
  • Cosa farà il presidente Trump? http://www.ilpost.it/2016/11/10/cosa-fara-il-presidente-donald-trump/;
  • Il Trump italiano intervistato sul Berlusconi americano, http://www.corriere.it/politica/16_novembre_12/analogie-me-trump-ma-io-non-sono-destra-barack-obama-mondo-instabile-62f2c14e-a855-11e6-b076-c4200a7222c9.shtml?refresh_ce-cp.
Immagini tratte da:
  • La foto di copertina è tratta da https://www.houstonpublicmedia.org/articles/news/2016/08/23/165167/trump-struggles-to-narrow-texas-fundraising-gap-with-clinton/.

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6/11/2016

La vigilia delle Presidenziali

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Domani i cittadini USA decideranno del proprio (e nostro) futuro. Alcune riflessioni.
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di Alessandro Ferri

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Finalmente ci siamo: domani il popolo americano sarà chiamato alle urne per scegliere il suo quarantacinquesimo presidente, successore di Barack Obama. A otto anni di distanza dall’elezione del primo presidente di colore, potrebbe essere il turno della prima presidentessa, Hillary Clinton, candidata democratica. Oppure no: potrebbe raggiungere lo Studio Ovale un altro outsider, a suo modo, Donald Trump, miliardario odiatissimo dai Democratici ma anche da una parte dei Repubblicani, partito per il quale è candidato. Le sue dichiarazioni estreme, connotate da forti tratti di razzismo e sessismo, hanno fatto sì che sia stato nel tempo scaricato dai principali esponenti del Grand Old Party, dovendo fare la campagna elettorale praticamente da solo, esattamente come da solo aveva condotto la fortunata campagna per le Primarie.
Senza voler scendere nel qualunquismo – perché esistono differenze di programma e ideologia tra i due candidati, eccome – possiamo osservare che la Clinton e Trump appartengono alla stessa classe sociale, sono entrambi bianchi e sono entrambi anziani (69 anni lei, 70 lui, praticamente gli stessi di Reagan quando fu eletto nel 1980). Che otto anni di presidenza Obama abbiano comportato un “assestamento” nella composizione della classe dirigente? Si tratta del “colpo di coda” degli anziani bianchi contro gli arrembanti giovani esponenti delle minoranze?

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Negli USA, tutto può essere messo in vendita
In effetti, alle Primarie repubblicane erano emersi due candidati relativamente giovani e di origine ispanica, Ted Cruz e Marco Rubio. L’avanzata impetuosa di Trump – per altro pochissimo apprezzato tra i latinos, a causa delle sue posizioni durissime sull’immigrazione – ne ha interrotto l’ascesa, ma non è detto che spariscano dalla scena. Anzi, se Trump dovesse perdere, al prossimo turno saranno probabilmente nella rosa dei candidati repubblicani.
Diversa, la situazione in casa democratica, con Hillary che ha dovuto fronteggiare – ben più del necessario – l’anziano bianco Bernie Sanders, portatore di istanze piuttosto radicali (si definisce “socialista”) e amatissimo dai giovani. In questo turno elettorale non sono presenti candidati di colore, ma è certo che il voto afroamericano andrà compattamente alla Clinton, sia per l’impegno della famiglia Obama (e di Michelle in particolare), sia per il tradizionale rapporto tra elettorato black e i Clinton (la scrittrice Toni Morrison definì Bill “il primo presidente nero degli Stati Uniti”).
Un aspetto nuovo che caratterizza questa competizione elettorale, è l’evidente intervento della Russia nelle questioni americane. Una cosa che ci avrebbe fatto sudare freddo una trentina di anni fa, oggi non trova tanti approfondimenti, ma è il caso di farci attenzione. Non sono certo tra quelli che paventano una guerra nucleare tra i due blocchi, ma il fatto stesso che il governo russo sia accusato di impiegare hacker per manipolare l’esito delle elezioni di uno stato sovrano, è un dato nuovo e gravissimo. Il rapporto con Vladimir Putin dipenderà in larga misura dall’esito delle elezioni: con Hillary le relazioni saranno particolarmente tese; Trump si è invece definito un ammiratore del presidente russo, ma resta da capire come si comporterà in caso di elezione.

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La NBC afferma che il governo USA è pronto a reagire contro un eventuale attacco informatico russo: http://www.nbcnews.com/news/us-news/u-s-hackers-ready-hit-back-if-russia-disrupts-election-n677936
FotoJames Comey, 55 anni, direttore dell’FBI dal 2013
A mettere i bastoni tra le ruote alla Clinton, tuttavia, è stato l’FBI, più che gli hacker russi, riesumando la storia delle email compromettenti. Per farla breve, quando Hillary era Segretario di Stato (Ministro degli Esteri) tra il 2008 e il 2012, usò l’account di posta elettronica personale sia per le email di lavoro, sia per quelle private. Quando il Congresso le chiese di consegnare messaggi inviati e ricevuti durante il mandato, pensò bene di consegnare solo quelli di lavoro (per la precisione 30.490), trattenendo quelli privati (31.830). In seguito, l’FBI ha avviato un’inchiesta per stabilire se nei messaggi non consegnati ci fossero informazioni pertinenti alla sicurezza nazionale.
La Clinton si è scusata per il comportamento superficiale, e dall’analisi dei messaggi rinvenuti non sono emersi rischi particolari. A fine estate sembrava che l’inchiesta si fosse ormai impantanata, non avendo prodotto risultati rilevanti. Tuttavia, il 28 ottobre scorso il direttore dell’FBI James Comey ha annunciato che durante un’inchiesta sull’ex marito di una collaboratrice della Clinton, sono state rinvenute alcune mail “pertinenti all’indagine”. Così come è accaduto con le altre, è probabile che anche queste mail non contengano informazioni riservate, ma l’annuncio della prosecuzione delle indagini ha danneggiato fortemente la campagna elettorale della Clinton. In pochi giorni, un divario che sembrava insormontabile è stato recuperato, e a poche ore dal voto Trump parrebbe persino in vantaggio. Sì, Donald Trump, lo stesso che un mese fa sembrava spacciato a causa delle accuse di molestie sessuali e di sessismo.
È inutile che qui vi proponga la situazione dei sondaggi, perché cambia veramente di ora in ora. Vi consiglio di dare un’occhiata al sito di Nate Silver (vedi approfondimenti) o al riepilogo del New York Times, con una grande avvertenza: il sistema elettorale americano si fonda sull’esistenza di collegi statali, che eleggono con il maggioritario un numero di grandi elettori proporzionale alla popolazione. Vale a dire che avere il 51% a livello nazionale non significa niente: occorre avere un voto più degli altri candidati nel maggior numero possibile di stati. Per questo motivo, la campagna elettorale americana si gioca spesso nei cosiddetti swing states, cioè gli stati in bilico, perché se in uno stato sei sicuro di vincere, è inutile perderci tempo in comizi.
Un altro dato da tenere in considerazione, è il voto anticipato, che ha già coinvolto un alto numero di elettori e non sarebbe condizionato dai recenti sviluppi della cronaca (e dal caso Clinton in particolare). Silver, che fin qui ha sempre azzeccato il risultato delle elezioni, ha elaborato un complesso algoritmo per indicare le chance di vittoria dei candidati (c’è anche Gary Johnson, esponente del Partito Libertario). Come potete vedere, Democratici e Repubblicani si stanno avvicinando: i primi sono stabilmente in testa, ma la notte di martedì potrebbe rivelarci sorprese.

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Fonti e approfondimenti
  • Il sito di Francesco Costa, vicedirettore del Post e grande esperto di elezioni americane, http://www.francescocosta.net/;
  • Perché negli USA si vota il martedì dopo il primo lunedì di novembre, http://www.ilpost.it/2016/10/29/giorno-elezioni-usa/;
  • [inglese] il sito di Nate Silver, il “mago dei sondaggi”, http://fivethirtyeight.com/;
  • [inglese] il riepilogo degli ultimi sondaggi, a cura del New York Times, http://www.nytimes.com/interactive/2016/us/elections/polls.html?_r=0.
Immagini tratte da:
  • La foto di copertina è un montaggio di due immagini; CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47276445;
  • Il merchandising dei candidati, foto di Marco Verch - Clinton vs. Trump 2016, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48499859;
  • James Comey, ritratto ufficiale dell’FBI - http://www.fbi.gov/, Pubblico Dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28606868;
  • L’evoluzione nelle possibilità di vittoria, screenshot da http://projects.fivethirtyeight.com/2016-election-forecast/?ex_cid=rrpromo#odds.

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