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26/12/2016

Una pessima fine, e speriamo nel principio

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Una veloce retrospettiva dei fatti del 2016 e di cosa aspettarci nel 2017

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di Alessandro Ferri

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Il 19 dicembre scorso, il camion di una ditta di trasporti polacca si è abbattuto con violenza sulle persone che stavano visitando i mercatini natalizi di Berlino, causando la morte di 12 persone e il ferimento di altre 56. Tra le vittime, una ragazza italiana, Fabrizia Di Lorenzo. Ben prima che le indagini lo chiarissero, è sembrato evidente che il fatto non avesse i caratteri dell’incidente, ma fosse una deliberata azione di terrorismo. La capitale tedesca entra così nel lugubre elenco che, solo per quest’anno, comprende anche Bruxelles (32 vittime a marzo) e Nizza (86 vittime a luglio). È notizia di venerdì l’uccisione di Anis Amri, il principale sospettato, in uno scontro a fuoco presso Sesto San Giovanni.
Le azioni dell’ISIS (o dei «cani sciolti» che vi si affiliano idealmente) sono solo una parte degli eventi che hanno contraddistinto l’anno che si sta per concludere. Il 2016 è stato anche l’anno dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e della conferma di Mariano Rajoy alla Moncloa, l’anno della morte di Fidel Castro, Shimon Peres, Marco Pannella e Carlo Azeglio Ciampi, l’anno della Brexit e delle dimissioni di Dilma Rousseff, nonché del definitivo tramonto della carriera politica di François Hollande. Qui in Italia, è stato l’anno del Referendum sulle trivelle e del Referendum Costituzionale, con conseguenti dimissioni del governo Renzi, ma anche quello della vittoria del Movimento 5 Stelle al Comune di Roma.
Cosa aspettarci per il 2017? Sul piano internazionale, la grande attesa riguarda le politiche del nuovo presidente USA, fin qui imprevedibile (benché gli incarichi affidati non lascino presagire nulla di buono). Un aspetto fondamentale sarà il rapporto con la Russia, che i commentatori si aspettano di intesa, tenendo conto dell’ammirazione di Trump per Putin, ma che potrebbe rivelarsi ben diverso. Sul piano europeo, sarà l’anno del nuovo presidente francese (molto probabilmente un esponente della destra, o Fillon o Marine Le Pen), ma anche delle elezioni federali in Germania, con una Angela Merkel all’ennesima candidatura. Nel Regno Unito, si vedranno gli effetti a lungo termine della Brexit, e restano da capire le scelte delle comunità nazionali (in particolar modo della Scozia). Da noi, sarà un anno di consultazioni elettorali, con il Referendum sul jobs act o, più probabilmente, con le elezioni politiche. Non abbiamo la palla di cristallo per conoscere in anticipo quale sarà la legge elettorale, se un Consultellum bifronte (versione Senato e versione Camera), il ritorno in grande spolvero del Mattarellum (che farebbe comodo soprattutto a Lega e PD, i due partiti che infatti lo stanno promuovendo di più), o un qualcosa di assolutamente inedito (ma improbabile). Matteo Renzi è tornato a Rignano sull’Arno, ma anche i commentatori meno smaliziati hanno capito che si tratta di uno stop&go, in attesa della prima occasione utile per poter tornare in sella. In fin dei conti, è ancora il segretario del Partito Democratico, e ha annunciato che un eventuale congresso sarà tenuto nel tempo richiesto dallo statuto (dunque a fine 2017, quasi certamente dopo le elezioni). Da parte loro, gli attivisti del Movimento 5 Stelle cercheranno di limitare i danni conseguenti ai problemi nella giunta capitolina, in modo da capitalizzare il consenso dei sondaggi. Ad oggi, le rilevazioni dicono che, a prescindere dalla legge elettorale, i pentastellati sono forza di governo. Vedremo se questa previsione si tradurrà in realtà, o se il grande consenso verrà meno dopo una campagna elettorale che si preannuncia senza esclusione di colpi.
Noi del Termopolio continueremo a seguire i grandi fatti e darvene una lettura personale. Uno sguardo il meno parziale possibile, non urlato e non preconcetto, così come annunciammo a marzo nel testo di presentazione della pagina di attualità: vedrete scorrere davanti a voi storie, temi e passioni di oggi: non abbiamo la pretesa di fare cronaca, ma l’intenzione e l’auspicio di suscitare interesse sulle pieghe della contemporaneità. Ci auguriamo che abbiate apprezzato questo sforzo, e che ci rinnoverete la vostra fiducia nell’anno che si appresta ad iniziare.

 

Immagini e fonti
L’immagine di copertina è tratta da http://media.npr.org/assets/img/2016/02/26/ap_52054249278-1-_wide-1a662ebc142265b7392639f39bc832774fc2a186-s900-c85.jpg.

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19/12/2016

Un Presidente italiano, ma non si sa chi

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La sorprendente candidatura di Gianni Pittella alla presidenza dell’Europarlamento.
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​di Alessandro Ferri
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Gli eventi delle ultime settimane ci hanno costretto a parlare dell’attualità italiana, ignorando per un po’ quanto accadeva all’estero (e di cose da raccontare ce ne sarebbero state, a partire dal movimentato scenario pre-elettorale francese e dall’assegnazione degli incarichi di governo da parte di Donald Trump). In questa ultima corrispondenza prima di Natale, non parleremo di politica italiana, ma di politici italiani, perché a gennaio il Parlamento Europeo dovrà eleggere un nuovo presidente, e sarà sicuramente un nostro connazionale.
Di fatto non ci sono mai stati presidenti dell’Europarlamento italiani da quando l’assemblea è eletta dai cittadini (1979). Prima di allora, quando cioè gli europarlamentari erano scelti direttamente dai parlamenti nazionali, avevano ricoperto questa carica Alcide De Gasperi (1954), Giuseppe Pella (1954-1956), Gaetano Martino (1962-1964), Mario Scelba (1969-1971) ed Emilio Colombo (1977-1979). Dopo di loro, nessuna bandierina tricolore nell’albo dei presidenti, con l’eccezione del periodo – dal 18 giugno al primo luglio 2014 – tra il primo e il secondo mandato dell’attuale presidente Martin Schulz (tedesco della SPD), quando la funzione fu retta pro tempore dall’eurodeputato PD Gianni Pittella.

FotoCinquantottenne, Pittella è eurodeputato dal 1999
Pittella è uno dei protagonisti della nostra storia: lucano come Emilio Colombo, è da due anni il capogruppo dei Socialisti & Democratici (il raggruppamento del PSE a Bruxelles) ed uno dei deputati europei più conosciuti. Il 30 novembre scorso, con un gesto sorprendente, si è candidato a prendere il posto di Schulz, violando la legge non scritta che vede le nomine più importanti delle istituzioni europee decise in accordo tra socialisti e popolari. Nelle ultime due legislature del Parlamento Europeo, infatti, i due partiti maggiori sono stati costretti a governare assieme, non avendo i voti sufficienti per costruire maggioranze in autonomia. Tale scelta ha comportato la spartizione delle cariche più importanti: presidente del Consiglio d’Europa, della Commissione Europea e del Parlamento. Al momento, le prime due cariche appartengono al PPE e la terza al PSE, ma la situazione cambierà presto, perché devono essere rinnovati sia la presidenza del Consiglio che del Parlamento. La maggior parte dei commentatori e dei cronisti riteneva che al Consiglio sarebbe stato votato un socialista, mentre la presidenza del Parlamento sarebbe andata ad un popolare. L’annuncio di Pittella, tanto spiazzante quanto imprevisto, ha fatto capire che gli accordi tra PSE e PPE – se mai ci sono stati – sono ormai un ricordo.

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I popolari hanno risposto proponendo Antonio Tajani, eletto con Forza Italia, il che conferma che il prossimo presidente sarà italiano. Non casualmente, sono italiani anche gli altri due nomi in lizza: Eleonora Forenza (eletta con L’altra Europa con Tsipras) per la Sinistra Europea e il grillino Piernicola Pedicini per l’Europa della Libertà e della Democrazia Diretta (il gruppo composto dall’UKIP e dal Movimento 5 Stelle).
Sarà un duello all’ultimo voto? Improbabile. Anzitutto, né i popolari né i socialisti hanno i voti necessari per eleggere un presidente da soli: i primi hanno 217 seggi, i secondi 190, e la maggioranza assoluta è di 376 voti. Più probabilmente, si tratta di un gesto per acquisire maggiore potere contrattuale. A maggio sarà rieletto il presidente del Consiglio d’Europa, che ora è il popolare polacco Donald Tusk, e tale carica sarebbe sicuramente più appetibile per i socialisti, che potrebbero rinunciare all’Europarlamento. Il problema principale è un altro: tra gennaio e maggio le principali cariche dell’Unione potrebbero finire nelle mani del PPE, con un PSE all’asciutto. Di conseguenza, la proposta Pittella sarebbe più che altro un modo molto eloquente di chiedere ai popolari di scaricare Tusk in anticipo. Ci riusciranno? Staremo a vedere.

Immagini e fonti
  • L’immagine di copertina è Di Diliff - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35972521;
  • Gianni Pittella, foto della Presidenza della Repubblica Italiana, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25343306;
  • Il montaggio degli altri candidati è costituito da foto tratte da http://www.reggioreport.it/wp-content/uploads/2015/05/Tajani.jpg, http://www.eunews.it/wp-content/uploads/2014/07/Forenza-Kefiah.jpg e http://www.eunews.it/wp-content/uploads/2016/01/Piernicola-Pedicini-Movimento-5-Stelle.jpeg;
  • Il racconto del Post http://www.ilpost.it/2016/12/14/parlamento-europeo-pittella-tajani/ e quello del Fatto Quotidiano http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12/14/europarlamento-per-la-presidenza-sfida-tutta-italiana-tajani-contro-pittella-ma-nessuno-dei-due-per-ora-ha-i-voti/3260488/.

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12/12/2016

Sotto a chi tocca

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Il passo indietro di Matteo Renzi ha fatto subito scattare il toto nome per la sua successione. L’incarico è stato affidato a Gentiloni. Intanto il paese sprofonda in una nuova crisi politica.
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di Andrea Petrocca


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Il risultato del referendum ha determinato esattamente quello che ci si aspettava; infatti la vittoria del NO alla riforma costituzionale ha determinato le dimissioni dell’ormai ex premier Renzi e ha gettato il Paese nella confusione.
D’altronde lo stesso Renzi aveva annunciato la sua uscita di scena in caso di sconfitta al referendum e così è stato. Quello che ne consegue è anche la caduta del suo governo, e ora l’Italia è col fiato sospeso in attesa di conoscere il proprio destino. Sono molte le ipotesi che si sono fatte in questi giorni, dallo spauracchio di un governo tecnico (il ricordo del governo lacrime e sangue di Monti non è certo ben augurato dai più), ad uno di larghe intese, fino “addirittura” a nuove elezioni.
Quello che fin dall’inizio è apparsa la soluzione più probabile, è la costituzione di un nuovo governo nel pieno delle sue funzioni che possa portare al termine questa legislatura (che ricordiamo dovrebbe arrivare fino al 2018). Sono stati diversi i nomi proposti per guidare questo compito: da Renzi bis, al ministro Dal Rio fino al presidente del Senato Grasso, senza dimenticare il ministro Padoan (ipotesi questa caldeggiata dai vertici di Bruxelles). Tutte ipotesi in qualche modo che rappresentano continuità col governo dimissionario.  

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Come accade in questi casi la palla è passata a colui che funge da garante della Nazione, ovvero il Presidente della Repubblica Mattarella: quest'ultimo ha subito dichiarato di fondamentale importanza risolvere questa impasse, con la creazione di un esecutivo capace di rispettare importanti scadenze sia nazionali (vedi leggi di stabilità e aiuti alle zone terremotate) che internazionali e soprattutto sia capace di porre fine all’italicum e votare in tempi brevi una nuova legge elettorale.
In tal senso in questi giorni si sono susseguite consultazioni con le delegazioni dei partiti del Parlamento. Chiaramente le posizioni delle parti politiche non sono convergenti; e allora c’è chi fa pressing per andare subito al voto anche con l’attuale legge elettorale (come Movimento 5 stelle, Lega Nord e Fratelli d’Italia). Ma c’è chi al voto vuole andarci ma non con questa legge. È il caso del PD e di Forza Italia i quali si sono dichiarati contrari a un governo di larghe intese ma disponibili a votare la fiducia di un governo di responsabilità capace di riformare la legge elettorale e poi andare subito al voto anche già in estate.

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Queste le posizioni dei principali partiti. Mattarella dopo aver ascoltato le opinioni di tutti ha deciso di affidarsi ad un esponente del governo Renzi (in nome di quella continuità di cui si parlava pocanzi) ovvero Paolo Gentiloni. Attuale ministro degli esteri ed ex ministro delle comunicazione nel governo Prodi, è lui il prescelto dal capo dello stato che ha già suscitato le ire dei Grillini e dei leghisti, i quali vorrebbero approfittare del consenso elettorale di cui godono in questo momento con elezioni immediate.
Siamo dunque al quarto governo non scelto dalla volontà popolare. Eppure i risultati del referendum, soprattutto nel dato dell’affluenza, sembravano aver evidenziato come il popolo italiano sia deciso a tornare come "parte attiva" delle questioni politiche del Paese dopo anni di “immobilismo”.
Invece la scelta è ricaduto nel nominare un nuovo esecutivo guidato da un personaggio politico non proprio conosciutissimo. Scelta probabilmente dettata dal ruolo e dal rapporto con le rappresentanze internazionali avuti in questi anni da Gentiloni, e dalla necessità di garantire la presenza di un governo all’appuntamento europeo di giovedi 15 dicembre e soprattutto al G7 (che ricordiamo l’Italia presenzierà e ospiterà a Taormina a gennaio). 
Gentiloni dunque avrà il compito di formare e guidare un nuovo governo sino a fine legislatura e solo dopo il popolo sarà finalmente chiamato alle urne per decidere da chi vuol essere governato, Italicum e nuove crisi politiche permettendo.   

     
 
   Immagini tratte da:

∙  http://www.ilpost.it/2016/12/06/crisi-di-governo-cose-da-sapere/
∙  http://www.ilsole24ore.com/art/notizie
∙  http://www.quotidiano.net/politica/mattarella-gentiloni-governo

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6/12/2016

Fine primo tempo

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Matteo Renzi è il David Cameron di Rignano?
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​di Alessandro Ferri
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Per la prima volta da quando è online questa testata, l’approfondimento di attualità esce di martedì. Ci sembrava la scelta più appropriata, tenendo conto che alle 23.00 di domenica è iniziato lo spoglio del referendum costituzionale sulla riforma Boschi. Un referendum nato per confermare i cambiamenti apportati alla Costituzione e all’impianto istituzionale dello stato dal più giovane premier della storia repubblicana, quando – si era in aprile – pareva una soluzione semplice e plebiscitaria per cementarne il consenso. Visto con gli occhi di allora, il risultato di questa notte – per  la precisione la vittoria dei No con il 59,11% delle preferenze, vale a dire 19.419.528 elettori – era ben poco credibile. Ma quest’anno, di risultati incredibili o imprevedibili ne abbiamo visti altri: dall’elezione di Donald Trump alla Brexit. Ed è proprio il confronto con i fatti inglesi che sembrerebbe il più calzante: come in quel caso, un premier giovane ha puntato tutto sull’esito di una consultazione referendaria, ha perso e rassegnato le dimissioni, dichiarando esaurita la propria carriera politica.
Ad uno sguardo più attento, tuttavia, le differenze emergono con forza. David Cameron aveva promosso il referendum remain-leave controvoglia, più che altro per adempiere ad una promessa elettorale lanciata al tempo delle Politiche per conquistare l’elettorato più destrorso ed euroscettico. Da par suo, Matteo Renzi si è buttato anima e corpo sul Sì, personalizzando volontariamente la consultazione: un errore di cui si è reso conto troppo tardi, cercando di raddrizzare una rotta ormai impazzita. Le dimissioni, come nel caso di Cameron, rappresentavano a questo punto l’unica scelta possibile: il governo Renzi era nato per fare le riforme istituzionali. Bocciate quelle, è bocciato l’intero operato del governo. Del resto, il premier l’aveva dichiarato da tempo.
Quello che resta da capire è cosa succederà a questo punto. Per Renzi, più che i titoli di coda, ci permettiamo di immaginare una “fine primo tempo”. È ancora il segretario del Partito Democratico, la lista con il maggior numero di seggi in Parlamento. Ha dunque una grossa voce in capitolo sulla formazione del governo tecnico che verrà, e sull’eventuale legge elettorale che sarà discussa alle Camere. Ora gli conviene defilarsi, e sperare che un governo opaco riscuota scarsi risultati, permettendogli di ripresentarsi, domani o dopodomani, come il salvatore della patria. Seduto sulla riva del fiume, non aspetta altro che vedere gli altri partiti, l’“accozzaglia”, litigare e dimostrarsi incapaci di realizzare riforme condivise. Come faceva notare Franco Bechis ieri in TV, Renzi è uno che “sa perdere bene”, nel senso che quando perse le primarie con Bersani riuscì, nel giro di poco più di un anno, a capovolgere la situazione a proprio favore. L’unica opzione disponibile al momento era la ritirata, la “traversata nel deserto” di berlusconiana memoria, in attesa di tempi migliori.
In questo schema intuibile, le variabili sono rappresentate dal comportamento degli altri partiti e della sinistra PD. Riusciranno Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega Nord ecc. a costruire un cantiere di legge elettorale – oggi più necessaria che mai, visto il tramonto dell’Italicum e il ritorno al Consultellum, cioè la proporzionale secca imposta dalla Corte Costituzionale con la bocciatura del premio di maggioranza nel Porcellum – condiviso? Le due anime del M5S, quella “governativa” di Luigi Di Maio e quella “barricadera” di Alessandro Di Battista, troveranno una posizione univoca? Se la nuova legge elettorale sarà proporzionale, il Movimento accetterà l’ipotesi di una coalizione? E cosa sarà del Partito Democratico? Appare evidente che il progetto messo in cantiere da Walter Veltroni nove anni fa, stenta ancora a decollare. Troppo diverse le anime interne. Un conoscente ci ha proposto l’immagine della casa occupata: D’Alema & co. sarebbero i vecchi padroni che sono riusciti, a spallate e spinte, a liberarsi dell’occupante (Renzi e il “giglio magico”) e a riprendersi la propria vecchia abitazione. Per quanto suggestiva, la metafora non è del tutto affidabile. Anzitutto, l’occupante ha ancora le chiavi di casa. E se la convivenza è stata fin qui difficile, resta da capire chi (e se) vorrà firmare le carte della separazione.
Si prospettano grandi cambiamenti, e non è detto che siano quelli che gli attuali protagonisti si aspettano.
Immagini
  • L’immagine di copertina è di Massimiliano Mariani - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=53775641. 

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