A venticinque anni dalla fine della Guerra Fredda, la guerra atomica è un pericolo tutt’altro che scampato
La storia di cui parliamo questo lunedì è una storia che sa di dischi in vinile, di tivù monocromatiche e di motorette rombanti. Parliamo di bombe atomiche, ma non siamo negli anni Cinquanta. Armi nucleari che sono sì, un pesante lascito della stagione della Guerra Fredda, ma anche un ingombrante intralcio nelle relazioni diplomatiche odierne e soprattutto una “patata bollente” per gli stati europei che le ospitano.
Calcoli approssimativi individuano in 180 le bombe atomiche allocate nelle basi americane in Europa. Finché c’era il timore di una guerra “calda”, si pensava che l’Europa sarebbe stata al centro degli scontri, come in tutti i grandi conflitti precedenti. La Cortina di Ferro non era solo la barriera tra due ideologie, ma anche il possibile punto di partenza per un attacco, da est a ovest o viceversa. L’Italia, con la nuca appoggiata alla Jugoslavia e un Partito Comunista di proporzioni inaudite (34,37% alle Politiche del 1976), pareva a tutti il prossimo campo di battaglia. La regione Friuli era presidiata da centinaia di migliaia di soldati di leva, nell’ipotesi dell’arrivo del pericolo rosso. Anche se i ragazzi in naja non videro mai l’arrivo del nemico, si rivelarono utilissimi nel soccorrere la popolazione vittima del disastroso terremoto del 6 maggio ‘76 (perché la storia del nostro paese è sempre stata una storia di terremoti, ahinoi). Ma torniamo alle testate nucleari: in Italia se ne contano ancora oggi 70, collocate tra le basi di Aviano (Friuli) e Ghedi (Lombardia). Immaginerete la pericolosità dello stoccaggio di queste armi, per altro non particolarmente concordi con la legislazione di un paese che ripudia la guerra già in Costituzione e ha escluso il nucleare anche per gli scopi civili. Entrambe le basi, infatti, sono di competenza della nostra Aeronautica, ma sottostanno a specifici accordi con la NATO e l’USAF (aeronautica statunitense). In caso di guerra, dovrebbe essere i nostri piloti a sganciare le bombe, su richiesta NATO; è per questo motivo che lo stato italiano si fa carico – ma le spese non sono chiare – del mantenimento e della sicurezza delle basi. ![]()
I 20 ordigni di Ghedi e i 50 di Aviano sono di tipo B61-4 e hanno una potenza tra i 45 e i 107 chilotoni. Per darvi un’idea, la bomba sganciata il 6 agosto 1945 su Hiroshima, che causò circa 70.000 vittime, aveva una potenza di circa 16 chilotoni.
Nonostante una tale potenza di fuoco, queste bombe stanno per essere sostituite da ordigni più aggiornati, i B61-12, pesanti al punto tale da richiedere significativi ammodernamenti ai cacciabombardieri. Secondo alcuni esperti, si tratterebbe di una fatica inutile, in quanto le difese che cinesi e russi stanno preparando intercetterebbero gli attuali aerei in ogni caso, nonostante le migliorie. Meglio smaltire le bombe atomiche in Europa e concentrarsi su missili intercontinentali e cacciabombardieri al passo con i tempi, afferma lo Stimson Center, un centro studi indipendente citato di recente da Repubblica. Il risparmio ammonterebbe a 3,7 miliardi di dollari, da indirizzare ai nuovi armamenti. Lo Stimson non fa riferimento solo alle questioni economiche, ma anche alla sicurezza: il terrorismo e gli eventi turchi delle ultime settimane rendono la presenza di ordigni in Europa un problema. Nella base turca di Incirlik, a pochi chilometri dal confine siriano, sono ospitate altre 50 bombe. Nelle ore concitate del tentato golpe, il comandante della base fu arrestato e le linee elettriche tagliate. Si è sfiorato un disastro. A Ghedi, per tornare a parlare delle “nostre” bombe, nell’estate 2015 è stato sventato un attentato terroristico alla base aerea. Possiamo dirci tranquilli? Non sono più gli anni Cinquanta, ma la guerra atomica fa ancora paura.
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Novembre 2020
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