Due giorni fa, l’accordo sul clima di Parigi è stato finalmente ratificato da Cina e Stati Uniti. Ve lo ricordate? Come vi abbiamo già raccontato su queste pagine, l’accordo è noto anche come COP21 ed è stato firmato a fine 2015. Entrerà in vigore nel 2020 a condizione di essere ratificato da almeno 55 paesi, quelli che producono il 55% delle emissioni di gas serra al mondo. A partire da allora, il COP21 imporrebbe che l’aumento della temperatura globale non superi i 2 gradi centigradi in più rispetto alle temperature dell’epoca preindustriale. Per essere precisi, l’accordo riporta la frase “ben al di sotto dei 2 gradi in più”, il che è stato interpretato dalla stampa internazionale come “cercheremo di raggiungere gli 1,5 gradi”. Ogni cinque anni sono previsti dei controlli per assicurarsi che l’obiettivo venga raggiunto, a partire dal 2018 (quindi due anni prima dell’inizio delle riduzioni, per rendere i paesi ratificatori pronti). I paesi firmatari dovrebbero investire una cifra pari a 100 miliardi di dollari all’anno a favore delle energie rinnovabili nei paesi più poveri (che in genere sono quelli che inquinano di più, avendo impianti più vecchi), anche con l’aiuto dei privati.
A pochi giorni di distanza dall’appello di Papa Francesco in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato (“ora i Governi hanno il dovere di rispettare gli impegni che si sono assunti, mentre le imprese devono fare responsabilmente la loro parte, e tocca ai cittadini esigere che questo avvenga, anzi che si miri a obiettivi sempre più ambiziosi”, 1 settembre), i due paesi più inquinanti tra i 55 hanno compiuto un passo avanti. Cinesi e americani hanno annunciato la ratifica a poche ore di distanza gli uni dagli altri: cosa prevedibile, tenendo conto del fatto che nessuno dei due avrebbe dato il via libera senza che lo avesse fatto l’altro paese. Attualmente Barack Obama si trova proprio in Cina, dove ieri è iniziato il G20 di Hangzhou. La sua scelta è stata probabilmente motivata dalla volontà di agire prima delle presidenziali di Novembre, in quanto in caso di vittoria, Donald Trump ha annunciato che non avrebbe ratificato l’accordo.
Con queste ratifiche, l’obiettivo del 55% pare più vicino, visto che sommati i due paesi comportano il 38% delle emissioni. Tuttavia, mancano ancora all’appello Russia, India e gli stati dell’Unione Europea, il che lascia intendere che serviranno ancora mesi.
Il parere di esperti e ambientalisti è ambivalente. Quando gli accordi furono firmati, in molti si lamentarono del COP21, ritenendo aspettare il 2018 fosse troppo per poter raggiungere gli obiettivi promessi. Altri motivi di contrasto erano la mancanza, nell’accordo, di una data per la sostituzione delle energie fossili con energie rinnovabili (come se non fosse questa la causa del surriscaldamento globale), e il fatto che ogni paese possa certificare le proprie emissioni; del resto l’accordo non prevede sanzioni certe, qualora non si rispettino gli impegni.
Nonostante questi dubbi, le associazioni ambientaliste si dicono soddisfatte della ratifica di USA e Cina. Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace, ha dichiarato che questo accordo “segna una nuova era nella lotta ai cambiamenti climatici. Entrambi gli stati ora devono aumentare e velocizzare il proprio sforzo nel programmare un futuro che eviti i peggiori effetti del cambiamento climatico”. Lou Leonard, vicepresidente con deleghe al clima e all’energia di WWF USA, ha dichiarato che “l’attuazione urgente dell’accordo di Parigi sul clima è necessaria al fine di evitare gli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici. Agendo così rapidamente, il presidente Obama e il presidente Xi Jinping hanno fatto presente agli altri paesi che l’accordo di Parigi può entrare in vigore entro il 2016. Appena sei mesi fa, sembrava impossibile”.
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Novembre 2020
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