Il tempo è giunto. Tra pochi giorni i britannici saranno chiamati a fare una scelta che potrebbe cambiare le sorti non solo del loro Paese ma dell’Europa intera. Il referendum del 23 giugno sancirà l’uscita o meno della Gran Bretagna dall’Unione Europea e la relativa campagna elettorale che lo caratterizza sta assumendo connotati epocali di shakespeariana memoria. Da oltre un mese ormai non si sente parlare d’altro che della possibilità di un cordiale bye bye dei britannici a quell’Unione Europea della quale era riuscita a far parte dopo vari tentativi e sforzi. E si, è proprio così: forse si è dimenticato di come la Gran Bretagna abbia avuto notevoli difficoltà per entrare a far parte del sistema comunitario composto fino a quel momento solo dai paesi fondatori dell’ UE (ovvero Francia, Italia, Germania Ovest e i paesi del Benelux). Bisognerebbe analizzare storicamente quanto avvenuto per comprendere motivi e ambiguità della scelta di questo referendum. In sintesi, il sistema comunitario nato nel 1951 gradualmente portò i paesi membri alla creazione di un mercato comune, iniziato con la CECA e conclusosi con il trattato di Roma del 1957, col quale si diede il via a quel sistema e a quella famosa sigla che leggiamo quando acquistiamo la stragrande maggioranza dei prodotti, ovvero CEE (Comunità Economica Europea). L’intenzione era quella di creare un mercato comune e un’integrazione tra i paesi membri capace di abbattere dazi e frontiere, compiutasi più tardi con la libera circolazione delle persone dettata da Schengen prima (1985) e Maastricht poi (1992). Senza soffermarsi ulteriormente sul contesto storico, si può constatare come la Gran Bretagna subito dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale non prese e non volle considerare l’ipotesi di mettere in discussione la sovranità della corona in nome di una integrazione, che al dire il vero all’inizio sembrava essere più politica che economica, rivendicata dai paesi membri (Churchill dichiarò che la G.B. era con l’Europa ma non parte dell’Europa). ![]() Quando anni dopo ci si accorse che l’integrazione era per lo più di tipo economico e che conveniva entrarne a far parte, i primi tentativi furono però fallimentari. In seguito, quando ufficialmente la G.B. fece la sua prima richiesta di entrare nella CEE, le risposte furono negative, soprattutto da parte della potenza dominante del gruppo ovvero la Francia del Generale De Gaulle. Dopo vari sforzi mediatici e politici la G.B. riuscì ad entrare nella squadra UE solo nel 1973 accompagnata da Danimarca e Irlanda. Così dopo 43 anni di convivenza con il resto dell’UE i britannici sembrano essere ritornati sulle vecchie teorie churchilliane, Europa si ma non troppo. I motivi che hanno portato i britannici ad indire un referendum che escluda il loro Paese dall’UE sono molteplici; dal fenomeno migrazione alla crisi economica, ma sicuramente pare evidente che la Gran Bretagna voglia assumere un atteggiamento di potere che le consenta di entrare e uscire dai giochi quando le pare. Prima no poi si ora no. Diciamo che le idee dei britannici non sono molto chiare. Ovviamente quando i britannici andranno a votare vaglieranno i pro e i contro della loro scelta, ma il problema è che questi pro e contro riguarderanno direttamente tutta l’UE e non solo. Questa purtroppo è una condizione imprescindibile visto il modo in cui l’UE è venuta a crearsi. La decisione di un singolo Stato si ripercuote su tutti gli altri e non solo. Anche i mercati risentono notevolmente di questo voto; sono giorni che leggiamo dell’andazzo negativo dei mercati a causa della brexit e di come si possa andare incontro a un’altra crisi economica mondiale, a testimonianza di come sia condizionante. Ma nello specifico, cosa implicherebbe un’uscita britannica? Innanzitutto le conseguenze saranno economiche, in quanto si chiuderebbe un mercato sia in entrata che in uscita. Ma non mancano conseguenze sociali. Ad esempio sono milioni i comunitari che oggi lavorano in G.B. (tra questi 1.4 di italiani) e che in caso della brexit saranno costretti a fare le valigie e tornare nel loro paese di nascita. Si andranno ad innalzare nuovamente quelle barriere che i padri fondatori dell’UE erano faticosamente riusciti ad abbattere. Ma ciò che preoccupa è la scia che un eventuale brexit si lascerebbe dietro. Viviamo in un momento storico in cui la paura regna sovrana. Siamo in balia di populismi che ci portano ad aver paura dell’altro e a rinchiuderci nelle frontiere di casa nostra. Questo crea le basi di politiche nazionaliste e conservatrici (le recenti votazioni in Austria e molti movimenti politici dell’Europa dell’est ne sono un esempio) che già più di una volta in passato hanno portato questo vecchio continente sull’orlo del baratro. Intanto in Inghilterra la campagna per il si e quella per il no assume sempre di più dimensioni gigantesche. Ogni giorno ci sono nuovi testimonial sia per una che per un'altra parte (l’ultimo in ordine cronologico è il rocker Bob Gedolf che appoggia la No brexit) che fomentano il dibattito e che cercano di accaparrarsi quanti più voti possibili; dibattito trasformatosi in esasperazione e dramma con l’omicidio dell’attivista no brexit Jo Cox per mano di un fanatico di estrema destra. Comunque andrà a finire, si può essere più o meno concordi nel restare in Europa, e si possono muovere critiche più che giustificate all’UE. Ma analizzando bene il contesto globale della faccenda, non è tollerabile che la decisione di un singolo paese possa avere conseguenze di portata mondiale. Purtroppo oggi è questo il sistema di cui facciamo parte. C’è da chiedersi se avesse avuto la stessa rilevanza un referendum del genere in un Paese dal minor peso economico; non direi. Immagini tratte da:
- http://www.nasdaq.com/article/how-to-trade-british-pound-in-case-of-brexit-cm596320 - http://www.controradio.it/64210/ - http://cfd.finanza.com/2016/05/25/brexit-sondaggio-telefonico-di-ig-vede-laffermazione-del-fronte-del-si/
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Novembre 2020
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