Psicologo Leandro Gentili Il periodo di incertezza che stiamo attraversando porta molte persone a sperimentare vissuti di ansia e frustrazione per la perdita del controllo sulla vita quotidiana. Difficoltà a concentrarsi, senso di solitudine e depressione sono tra i sintomi psicologici più frequentementi. Proprio nei momenti di incertezza si cerca conforto in ciò che è familiare, nelle abitudini e nei rituali che infondono sicurezza perché restituiscono la percezione di controllo sugli eventi. Per molti studenti è stata proprio la didattica a distanza a riportare quella sensazione di normalità e abitudine di cui erano stati privati. Lo ha fatto in primavera, durante i mesi di chiusura, ed è tornata a farlo ora che si prospetta un nuovo lockdown. Perché studiare online è faticoso? Nell’insegnamento da remoto i fattori di stress sono molteplici e in gran parte legati all’uso intrinseco degli strumenti tecnologici, ma non solo: la qualità della comunicazione e lo stress da pandemia sono altri due elementi cruciali per comprendere la fatica percepita da docenti e studenti nella didattica online. Quali sono i fattori decisivi nella didattica online? 1 La Sindrome da schermo elettronico Alcuni ricercatori di Harvard hanno illustrato come l’esposizione alla luce blu degli schermi di pc, tablet e smartphone sia in grado di alterare il ritmo circadiano sonno-veglia. Dopo appena due ore di lezione online ci si sentirebbe infatti stanchi, affaticati e distratti. Altri sintomi fisici frequenti sono: fastidio agli occhi, problemi nella visione, insonnia, senso di spossatezza, tensione muscolare. 2 La qualità della comunicazione In una normale conversazione i segnali paraverbali e non verbali - come la mimica del volto, lo sguardo e l’uso della voce - forniscono feedback importanti per comprendere il senso del messaggio verbale. Questi segnali vengono registrati automaticamente dal cervello e ci forniscono feedback importanti sull’impressione che stiamo suscitando e quanto l’interlocutore sia coinvolto dal nostro parlato. Nella didattica da remoto si è però privati della maggior parte di questi indizi comunicativi, la conseguenza è uno sforzo maggiore di decodifica - gli indizi comunicativi devono essere ricostruiti dalla nostra mente - e una più alta probabilità di incorrere in attribuzioni erronee; basterebbe infatti un semplice ritardo nella connessione per indurci a considerare il nostro interlocutore virtuale meno amichevole di quanto non lo sia in realtà (Schoenenberg, Raake e Koeppe, 2014). 3 Il carico emotivo Si è parlato recentemente di stanchezza da pandemia, altro non sarebbe che una sindrome da adattamento, come la definirebbe Selye - pioniere delle ricerche sullo stress - , che si realizza quando l’organismo non riesce più a rispondere con efficacia alle pressioni prolungate dell’ambiente esterno. Il disagio si manifesta sul piano psicologico con demotivazione, irritabilità, umore depresso, apatia, scarsa motivazione in comportamenti protettivi, alienazione e disperazione. Non c’è da sorprendersi dunque se il peso di queste emozioni possa influire sul rendimento e sulla concentrazione non solo degli studenti, ma anche degli insegnanti. In questo delicata fase storica, la Scuola dovrebbe porsi come priorità quella di preservare il legame educativo tra studenti e docenti, offrendo uno spazio accogliente e aperto all’ascolto. Tanto più la didattica a distanza riuscirà ad essere una metafora della didattica in presenza, tanto più sarà possibile normalizzare e contenere le ansie e le tensioni generate dall’isolamento. Per approfondire Schoenenberger, K., Raake, A., Koeppe, J. (2014). Why are you so slow? – Misattribution of transmission delay to attributes of the conversation partner at the far-end. International Journal of Human-Computer Studies, 72 (5), 477-487. Stress, ansia, solitudine, depressione. I "guai" della didattica a distanza La comunicazione al tempo del Covid-19: fin dove arriva la tecnologia? Docenti e tecnostress: cos'è, sintomi e cosa fare. "Blue light has a dark side", Harvard Health Letter Articolo dell'OMS sulla pandemic fatigue. Immagini tratte da: rawpixel.com - www.freepik.com vectorjuice torwaiphoto
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di Leandro Gentili, psicologo Su Facebook si trovano i nonni e genitori, su Instagram i fratelli maggiori, quale spazio rimane ai giovanissimi? La risposta è TikTok: l’app che sta spopolando da tre anni a questa parte. Questo nuovo social, nato in Cina, consente di creare brevi video musicali grazie a numerosi effetti preimpostati e ad un ampio repertorio musicale. Perché sta avendo tanto successo?
2. Brevità dei video Dai 15 ai 60 secondi, la durata ridottissima dei video-post permette di mantenere vivo l’interesse andando incontro al trend discendente dell’attenzione. Il segreto di TikTok è l’invito all’azione L’invito all’azione non è altro che una specifica funzione - come per esempio il tasto di condivisione - presente nella maggior parte dei siti e che suggerisce l’azione successiva da compiere. Lo scopo è quello di tenere agganciato il più possibile l’utente al contenuto della pagina. Su Tik Tok l’invito all’azione avviene tramite la competizione Grazie a funzioni come “duet” e “react” è possibile cimentarsi in duetti virtuali, sfidare un altro utente o aggiungere la propria reazione a tempo di musica. Non è raro che la ricerca di fama e apprezzamento spinga i giovanissimi a cimentarsi in presunte competizioni che, ignorando regole e pericoli, impongono di emulare gesti sempre più estremi. Visibilità e approvazione
Nel giro di pochi minuti è dunque possibile raggiungere un’ampia popolarità e il piacere momentaneo ricevuto dall’approvazione per il proprio video genera un circolo di gratificazione. I più giovani sono particolarmente sensibili a questo tipo di incentivo, l’approvazione soddisfa infatti uno dei bisogni dell’uomo, ossia quello di accettazione e appartenenza (Maslow, 1954) e trova le sue basi biologiche nel sistema cerebrale della ricompensa. Non solo musica, ma anche tanta vita privata. TikTok impone di filmare il sé stessi e la propria vita quotidiana, e per evitare che risulti banale si aggiungono gli effetti video-audio che rendono il tutto più attraente. In un mondo contraddistinto da relazioni digitali, i concetti di intimità e spazio privato sembrano quindi annullarsi. Per un adolescente alla ricerca della propria individualità, l’attrattiva costituita dal social sta proprio nella possibilità di promuovere, con grande versatilità, la propria immagine senza dover necessariamente elaborare un contenuto di valore, ma limitandosi al “do it”: al fare. Ci si domanda dunque come verrà gestita l’enorme mole di dati sensibili - spesso relativi a minorenni - che vengono raccolti attraverso questa piattaforma, ma più di ogni altra cosa, ci si interroga sull’impatto di queste tecnologie sullo sviluppo della personalità nelle nuove generazioni. Per approfondire: Effetti tiktok: quali sono i più cool Motivazione e piramide di Maslow Perché gli adolescenti si mettono in vetrina sui social network Social mode: cosa sono e perché vengono seguite Sistema cerebrale della ricompensa Immagini tratte da: Immagine 1 da halayalex Immagine 2 da Pixabay 11/5/2020 In occasione della Giornata dell'Infermiere, Nursind ricorda con un video i 40 colleghi scomparsi per il Covid-19Read NowCOMUNICATO STAMPA In occasione della Giornata dell'Infermiere (12 maggio), Nursind Toscana, sindacato autonomo degli infermieri ha voluto realizzare un breve video in ricordo dei 40 colleghi scomparsi nella battaglia contro il Coronavirus. Fondamentale la collaborazione di Andrea Bruno Savelli, autore, regista e direttore artistico del Teatrodante Carlo Monni di Campi Bisenzio, che ha scritto per l'occasione il testo e ha prestato la voce al video, un racconto per immagini degli ultimi due mesi, segnati dall'emergenza sanitaria. "Nella Giornata Internazionale dell'Infermiere - dichiara il segretario regionale Nursind Giampaolo Giannoni - abbiamo ritenuto doveroso ricordare il grande sacrificio fatto dai nostri colleghi, ricordando chi ci ha lasciato. Come Nursind siamo vicini alle famiglie di coloro che sono caduti nella battaglia al Coronavirus e continueremo a combattere al fianco dei lavoratori, anche perché sia riconosciuto il valore di chi si è trovato suo malgrado a diventare un eroe". di Giulia Cartei Negli ultimi tempi si sente molto parlare della crisi economica dovuta al Corona virus, degli impatti che avrà sull’economia reale e delle politiche più idonee per fronteggiarla, avanzando spesso parallelismi con la crisi finanziaria nata negli USA nel 2006-2007 e culminata con il default della banca di investimento Lehman Brothers avvenuta nel 2008. Ma ci sono veramente tutte queste similitudini con la situazione odierna? In realtà si tratta di due crisi causate da shock di natura completamente diversa, le quali richiedono dunque soluzioni diverse. Cerchiamo di analizzarle entrambe evidenziandone i tratti principali senza eccedere con i tecnicismi… La crisi del 2008 nota come crisi “sub-prime” è stata causata da uno shock di tipo finanziario, legato alle operazioni di cartolarizzazione, con cui le banche immettevano sul mercato strumenti finanziari, detti derivati, che traevano il loro valore da strumenti sottostanti, rappresentati in questo caso dai mutui concessi agli americani per l’acquisto delle case. In altre parole, la cartolarizzazione (fig.1) è un’operazione, che consente alla banca di creare, mediante delle società veicolo (SPV), degli strumenti finanziari per vendere mutui sul mercato. Ciò consente di smobilizzare le voci dell’attivo patrimoniale ottenendo subito liquidità, mediante la vendita sul mercato del contratto derivato, che incorpora il mutuo, anticipando così il rientro del capitale prestato. Fig.1 : operazione di cartolarizzazione Dunque, se la cartolarizzazione è un’operazione lecita con cui le banche possono recuperare liquidità e finanziare il sistema economico o effettuare investimenti e ricapitalizzazioni, cosa non ha funzionato in questo meccanismo? Il problema è legato in primis alla natura dei soggetti finanziati. Infatti, già a partire dal 2003 era aumentato significativamente il mercato dei mutui subprime, ossia la concessione di prestiti ad alto rischio erogati a soggetti con uno scarso merito creditizio. Allo sviluppo del mercato sub-prime ed alla cartolarizzazione di tali mutui in titoli di debito da vendere sul mercato, si aggiunse una dinamica crescente dei tassi di interesse, dovuta alla politica monetaria della FED (Banca Centrale americana), che a partire dal 2004, in risposta alla ripresa economica statunitense, iniziò ad alzare i tassi di interesse, facendo aumentare gli importi delle rate da rimborsare. Ciò rese sempre più difficile per i debitori “sub-prime” restituire il debito e si verificarono numerosi casi di insolvenza. In tale contesto, la domanda di immobili si ridusse notevolmente facendo scoppiare la bolla immobiliare, la quale causò un crollo dei prezzi degli immobili e la conseguente contrazione del valore delle ipoteche a garanzia dei mutui cartolarizzati, che erano stati venduti sul mercato sotto forma di titoli derivati. Le istituzioni finanziarie più coinvolte nell'erogazione dei mutui subprime registrarono pesanti perdite. A partire da luglio 2007 e per tutto il 2008, inoltre, si susseguirono vari declassamenti del merito di credito (downgrading) dei titoli cartolarizzati da parte delle agenzie di rating. Tali titoli, ormai ampiamente diffusi sul mercato, persero ogni valore e diventarono illiquidabili, costringendo le società veicolo a chiedere fondi alle banche che li avevano emessi e ne avevano garantito linee di liquidità. In tale situazione, molte banche subirono perdite pesanti, le quali portarono alcuni tra i maggiori istituti di credito statunitensi sull’orlo fallimento, evitato grazie all'intervento del Tesoro americano. Tuttavia, la banca di investimento Lehman Brothers, non ricevette sostegni e fu fatta fallire. La decisione delle Autorità americane di lasciare fallire una grande istituzione finanziaria come Lehman, con un'ampia e rilevante operatività anche fuori dagli Usa e ritenuta “too Big too Fail,” innescò una fase di forte instabilità e sfiducia degli operatori, e alimentò un clima di fortissima tensione e incertezza su tutti i mercati mondiali. Tale situazione generò una nuova drastica riduzione della liquidità e un aumento dei tassi a breve termine, che costrinse le Banche Centrali dei vari Stati ad adottare politiche monetarie espansive di immissione di liquidità e taglio dei tassi di interesse, che la teoria economica ci insegna essere le più efficaci per curare gli shock di natura finanziaria. Dunque come abbiamo appena visto le cause della crisi del 2008 sono di natura finanziaria, quindi ben diverse dalle cause della crisi attuale, dovuta ad uno shock sanitario, dovuto alla pandemia e seguito da un altro shock di tipo reale e simmetrico, che per effetto del lockdown ha colpito sia il lato della domanda sia dell’offerta (calo dei consumi e blocco di gran parte della produzione). Tali shock hanno avuto anche delle ripercussioni a livello finanziario, scatenando reazioni di panic selling sui mercati, preoccupati per la stabilità e solvibilità del sistema e per la possibile contrazione della liquidità. Come se non bastasse, la diffusione della pandemia è avvenuta in un contesto macro-economico, che già a inizio 2020 mostrava i primi segni di debolezza e rallentamento della crescita economica, accompagnata dai segnali dell’imminente shock petrolifero, dovuto alle tensioni tra Russia, Arabia Saudita e USA, che hanno portato al fallimento dell’OPEC (cartello per la regolazione della produzione di petrolio) e conseguente crollo del prezzo del petrolio, il quale ha toccato nuovi minimi storici (persino valori negativi nei contratti future). Si tratta dunque di una situazione complessa, in cui si è verificata la convergenza di shock di natura reale: diffusione del corona virus, lo shock petrolifero e il lockdown, i quali hanno causato una paralisi economica paragonabile ai periodi post-bellici. Quindi se alla base della crisi dei sub-prime e della crisi-Covid vi sono cause di natura completamente diversa, è corretto fare dei parallelismi in termini di tempi di ripresa e di misure da adottare? Direi di no, non solo per la natura degli shock ma anche per le differenze della situazione macro-economica ed elementi strutturali del mercato finanziario e dell’economia reale. Quindi quali politiche adottare in caso di shock di natura reale? In questo caso la teoria economica insegna che la misura più efficacie è la politica fiscale, la quale consente di accumulare debito pubblico al fine di finanziare investimenti strutturali (infrastrutture, sanità, istruzione...) per far ripartire l’economia, far crescere il PIL e l’occupazione. Si tratta di misure note in letteratura come politiche “Keynesiane” dovute all’economista John Maynard Keynes e adottate, ad esempio, dal presidente degli USA Roosvelt nell’ambito del “New Deal” per la ripresa post crisi del 1929. Infatti, in situazioni di shock reale, la politica monetaria espansiva (taglio dei tassi, immissioni di liquidità e ogni altra misura adottabile dalla BCE) è necessaria per garantire liquidità al sistema e avere effetti “sedativi” dei mercati nell’immediato, ma stand-alone non è sufficiente per uscire da crisi di natura reale. Se ne deduce che la “cura” da adottare per la crisi Covid è un mix di due farmaci: la politica monetaria espansiva, messa in atto da tutte le banche centrali dei diversi Paesi, per garantire liquidità al sistema, la quale deve essere affiancata dlla politica fiscale, che per l’intensità della crisi che stiamo vivendo, dovrebbe essere adottata in modo uniforme a livello comunitario. Infatti, gli effetti della pandemia sono così profondi sui sistemi economici che le politiche fiscali dei singoli Stati risultano insufficienti per contrastare degli squilibri paragonabili persino ad un evento bellico. In altre parole, per contrastare un evento straordinario servono misure altrettanto straordinarie, e l’unica via percorribile è il raggiungimento di un accordo celere da parte del Consiglio Europeo, che dovrebbe metter da parte il rigore e i vincoli di bilancio per consentire la ripartenza economica. Ad oggi purtroppo tra i Paesi europei vi è uno scontro totale sulle misure da adottare in particolare su Corona-Bond e MES (fondo salva Stati soggetto a condizionalità). Il Consiglio è diviso in due blocchi: da un lato Italia, Francia, Paesi del Sud-Europa, ma anche Belgio, Irlanda e Lussemburgo favorevoli ai Covid-Bond, dall’altro Germania, Austria, Olanda e Finlandia (fig.2), che si rifiutano di approvare uno strumento di condivisione del debito come i Covid-Bond e propongono di ricorrere al MES. Le posizioni dei due blocchi sembrano essere inconciliabili e sta spuntando un’ulteriore ipotesi, i cosiddetti recovery bond, che al momento sembrano la soluzione più probabile. Si tratta di emissioni di titoli comuni, garantiti direttamente dal bilancio dell’Unione Europea, mediante un fondo specifico, denominato Recovery fund. Tali strumenti avrebbero lo scopo di finanziare la ripartenza dell’economia dei vari Paesi, tramite la condivisione a livello europeo dei soli costi futuri legati all’emergenza Covid-19, ma non dei debiti pregressi come previsto dai Corona-Bond. La decisione che il Consiglio è chiamato a prendere è vitale non solo per la ripresa dalla crisi economica ma anche per mantenere gli equilibri geopolitici. Inoltre, rappresenta l’opportunità per l’Europa di dimostrarsi una vera e propria Unione e non, come direbbe Metternich, una semplice espressione geografica. La dimostrazione di unitarietà è un’occasione che l’Europa non può perdere, la disgregazione è un rischio che non possiamo correre, se non vogliamo perdere ulteriore competitività verso USA e Cina. In fondo, per metter da parte le divergenze, basterebbe ricordarci che l’Europa è convenuta a tutti, regalandoci un’era di pace dopo un ‘900 segnato da due conflitti mondiali. 13/3/2020 Black week in borsa: cigno nero e il panic selling… ma è tutta colpa del Covid-19?Read Nowdi Giulia Cartei In questi giorni si sente molto parlare dell’impatto che avrà il Corona virus sull’economia reale, dalle previsioni sulla riduzione del PIL, alle previsioni sui singoli settori. Naturalmente tra le stime non possono mancare le valutazioni dell’impatto sui corsi azionari, accompagnati dai consueti titoli di stampa e tg “bruciati in una sola seduta tutti i guadagni accumulati da inizio anno..” Ma è davvero così? Prima di cercare di spiegare i motivi dei ribassi di questi giorni facciamo un po’ di chiarezza, partendo dai principi fondamentali della finanza senza scendere in tecnicismi… I mercati finanziari sono dei mercati a somma zero. Ciò significa che se un operatore perde c’è una controparte che guadagna, e tutto dipende dalla posizione che si è assunto sul mercato, in base alle proprie aspettative rialziste o ribassiste sull’evoluzione dei prezzi, quindi in realtà, non si brucia neanche 1€!! Ciò che fanno i mercati è una redistribuzione della ricchezza tra i soggetti che vi partecipano assumendo posizioni rialziste dette long o ribassiste dette short. Per fare un esempio se un investitore si aspetta un aumento dei prezzi (aspettative rialziste), assumerà una posizione da compratore (long), poiché crede di poter rivendere in futuro il titolo ad un prezzo più alto. Al contrario, gli investitori con aspettative ribassiste vendono il titolo al prezzo corrente, poiché prevedono un ribasso dei prezzi. Una maggiore pressione dei compratori (detti tori) fa aumentare il prezzo dei titoli e salire il valore dell’indice di borsa (un paniere contenente i titoli azionari quotati sulla borsa italiana), al contrario una maggiore pressione dei venditori (detti orsi) fa diminuire i prezzi dei corsi azionari e l’indice di borsa scende. Chiarito il meccanismo di base, cerchiamo di capire quali sono le motivazioni che in questi giorni hanno causato i pesanti ribassi registrati a Piazza Affari (Borsa Italiana), seguita dalle principali piazze europee, americane e asiatiche, determinando una redistribuzione della ricchezza dalle tasche dei tori a quelle degli orsi. Uno dei principali motivi è sicuramente la diffusione, in così larga misura, del Covid-19 in Cina e in Italia, il quale ha portato a rivedere al ribasso le stime di crescita del PIL e un rallentamento dell’economia, che per effetto della globalizzazione non è limitato ai due Paesi più colpiti ma si estende a livello globale. La diffusione a macchia d’olio del virus è stato definito un “cigno nero” metafora con cui in finanza si indica un evento raro, imprevedibile e di grande impatto. In effetti chi nel 2020 poteva aspettarsi una pandemia? La reazione dei mercati è stata più che lecita e motivata. Basti pensare ad esempio all’impatto sulle aziende del luxury, molto esposte verso il mercato cinese, all’impatto generale sull’export e sul turismo. A ciò va aggiunto anche l’impatto sul settore bancario, i cui margini erano già erosi da politiche di taglio dei tassi e che per le misure annunciate dal governo, come la sospensione dei mutui, subiranno un’ulteriore contrazione di marginalità, con un rischio di minore erogazione di liquidità e sostegno all’economia reale. Ma è tutto qui? È tutta colpa del Covid-19? Direi di no. Infatti, come son non bastasse al cingo nero della pandemia si è aggiunta la guerra dei prezzi tra Russia e Arabia Saudita sul prezzo del petrolio, che ha accelerato il calo del prezzo del greggio, già in discesa per effetto del calo della domanda, dovuto ad una riduzione della produzionecausa Covid-19. Le tensioni tra russi e arabi hanno portato a una riduzione del prezzo del greggio che nella giornata di lunedì 9 marzo ha registrato un calo del 30%, causando a sua volta una flessione delle quotazioni delle società di utilities correlate al prezzo del petrolio. Banche, società di energia legate al greggio e società del settore luxury sono quotate sul nostro listino, il Ftse40, e sono anche tra quelle con il maggior peso, ecco dunque spiegato il motivo del Black Monday. È finita qui?? No! Vediamo perché… I mercati sono particolarmente sensibili alle notizie macroeconomiche (PIL, occupazione ecc..) e alle politiche monetarie delle Banche Centrali, soprattutto in momenti delicati in cui si verifica un cigno nero, un crollo del petrolio e aleggia il fantasma della recessione economica. Nel bel mezzo di questo triangolo delle Bermuda, giovedì 12 marzo era in programma la conferenza della Banca Centrale Europea (BCE), in cui Christine Lagarde (presidente della BCE) annunciava le misure di politica monetaria tanto attese dal mercato. In una situazione così critica gli operatori si aspettavano misure espansive, quasi un “Piano Marshall”, che poteva includere diverse misure (taglio dei tassi di interesse, un corposo “Quantitative Easing”, un elicopter money e/o l’acquisto diretto della BCE dei titoli societari) volte a iniettare liquidità nel sistema e dare un impulso all’economia reale. In realtà, Madame Christine ha sorpreso tutti, lasciando invariati i tassi ma soprattutto varando un Quantitative Easing giudicato inconsistente dal mercato, scatenando così il panico e alimentando le aspettative ribassiste, le quali hanno dato luogo alla peggior chiusura della storia mai registrata da Piazza Affari: un -16,92% il peggior ribasso di sempre. Malissimo anche gli altri mercati europei intrappolati anch’essi nel Triangolo delle Bermuda tra diffusione del coronavirus, guerra dei prezzi del petrolio e la sorpresa della BCE. Certamente anche una politica monetaria più espansiva da sola non sarebbe sufficiente per risolvere la situazione se non affiancata da politiche fiscali (aumento del debito pubblico per sostenere gli investimenti) da parte dei singoli Stati per il sostegno di investimenti strutturali. Nonostante questa premessa, la mossa di Madame Lagarde e l’invito ai singoli Stati a provvedere con misure di politica fiscale sono apparsi piuttosto azzardati e non graditi dai mercati. Insomma, la manovra così risicata suona un po’ come “se non avete il pane mangiate le brioche” giusto per citare un’altra francese di antica memoria. Troppo poco per una Banca Centrale. Nella giornata di venerdì 13 marzo il rimbalzo (risalita delle quotazioni) dopo il profondo rosso è piuttosto plausibile e fisiologico ma occhio a pensare che gli orsi (ribassisti) siano pronti a lasciare il campo ai tori per una ripartenza rialzista stabile dei corsi azionari. di Sara Portone ![]() Dal 22 al 24 novembre, al Lingotto Fiere di Torino, arriva il “Gourmet Food Festival”, evento dedicato al mondo del food. Il programma prevede competizioni, degustazioni e cooking show, un’area per i più piccoli, fattorie didattiche, enoteca e beer corner oltre a tantissimi prodotti della gastronomia italiana. Per il programma completo: www.gourmetfoodfestival.it ![]() Presso Palazzo Albergati di Bologna è in corso la mostra “Chagall. Sogno e Magia”, dedicata a Marc Chagall. Attraverso l’esposizione di 150 opere tra dipinti, disegni, acquerelli e incisioni, la mostra racconta la vita di Chagall. Un nucleo di opere rare e straordinarie, provenienti da collezioni private e quindi di difficile accesso per il grande pubblico. Per maggiori info: www.palazzoalbergati.com ![]() 𝐊𝐨𝐛𝐚𝐧𝐞 𝐜𝐚𝐥𝐥𝐢𝐧𝐠, Il celebre fumetto di Zerocalcare, con oltre centomila copie vendute, arriva sul palcoscenico, dando vita a un atipico documentario teatrale. “𝐊𝐨𝐛𝐚𝐧𝐞 𝐜𝐚𝐥𝐥𝐢𝐧𝐠 𝐨𝐧 𝐬𝐭𝐚𝐠𝐞” andrà in scena al Teatro Puccini di Firenze il 22 e il 23 novembre. Per maggiori info: www.teatropuccini.it ![]() Il 23 e 24 novembre, al The Space Cinema di Milano, si terrà la seconda edizione del festival di Vanity Fair, “Vanity Fair Stories”. Due giornate di talk, incontri, performance, proiezioni in anteprima e live music. Al centro di tutto ci saranno le storie raccontate dalle voci dei protagonisti: attori, attrici, cantanti, registi e scrittori italiani e internazionali. Per maggiori info: www.vanityfair.it ![]() Dopo il successo del suo ultimo singolo “Andrà tutto bene”, Levante porterà il suo show sul prestigioso palco del Mediolanum Forum di Milano. Il concerto si terrà sabato 23 novembre. Per maggiori info: www.levanteofficial.com ![]() La Basilica della Pietrasanta - Lapis Museum di Napoli ospita la mostra “Andy Wharol” un’esposizione interamente dedicata al famoso artista. Oltre 200 opere scelte che regalano al pubblico una visione completa della produzione artistica del genio americano che ha rivoluzionato il concetto di opera d’arte a partire dal secondo dopoguerra. Un’intera sezione sarà dedicata all’Italia con un focus sulla città di Napoli. Per maggiori info: www.polopietrasanta.com Immagini tratte da:
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Biglietti Settore 1 intero: 18 euro - ridotto (soci Unicoop Firenze, under 25 e over 65) 15 euro Settore 2 intero: 15 euro - ridotto (soci Unicoop Firenze, under 25 e over 65) 12 euro La Vigilia di N. intero: 15 euro – ridotto (soci Unicoop Firenze, under 25 e over 65) 12 euro Abbonamento Intero 100 euro - ridotto 90 euro Intero + Gospel 112 euro - ridotto 102 euro La biglietteria è aperta dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 17.00, il sabato e i festivi dalle 16.00 – 21.00. Per info: Novo Teatro Pacini Piazza G. Montanelli snc, Fucecchio (Fi) 0571-261151/540870 Teatro Pacini 0571-462825 Ass. Teatrino dei Fondi info@teatrinodeifondi.it info@nuovoteatropacini.it di Noemi Paradisi La Moda, apprezzata, denigrata, derisa, ma anche amata, è un organismo autonomo che coinvolge milioni di persone, il cui cuore batte ad un solo ritmo: glamour, style, cool …
Ma la moda non è solo questo, è anche storia e tradizioni, una fusione di popoli e culture. Prima dell’800 l’abbigliamento alla moda era proprietà delle sole classi abbienti, soprattutto per il costo dei tessuti e dei coloranti usati; l’abito era considerato talmente prezioso che veniva elencato tra i bene testamentari. La moda, nata dalla necessità umana correlata alla sopravvivenza di coprirsi, in realtà assunse, negli anni successivi, precise funzioni sociali atte a distinguere le varie classi. Gli stilisti hanno sempre imposto nuovi stili, trasformando nel corso della storia gli abiti della gente: si pensi ad esempio alla trasformazione della gonna negli ultimi anni, usata per mettere in evidenza nuovi aspetti femminili, come le gambe, una volta erano oggetto di scandalo se mostrate e adesso simbolo di tempi nuovi. Ecco allora che si riversa nella moda il desiderio di differenziarsi dalle generazioni precedenti, di apparire, anche all’esterno, diversi. Più legato alla psicologia è l’aspetto del mascheramento: gli abiti possono servire a mascherare lati della personalità o a mostrarli. Proprio per questi motivi si può affermare che, purtroppo, l’abito fa il monaco. La Moda è un organismo più forte di noi, ci travolge e ci scaraventa dentro al suo mondo, nel bene o nel male, ci fa sentire vivi. Immagini tratte da: pixabay 11/3/2019 Monte Pisano, firmato il protocollo che in un anno porterà alla 'Comunità del bosco'Read NowFirmato a Calci dalla Regione Toscana – rappresentata dal presidente Enrico Rossi –, dai sindaci dei Comuni di Calci, Vicopisano, Buti, Vecchiano e San Giuliano Terme e dall'Unione montana dell'Alta Val di Cecina il protocollo che entro un anno porterà alla nascita della 'Comunità del bosco del Monte Pisano'. Il protocollo promuove il lavoro integrato tra soggetti che operano sulla stessa area per presidiare il territorio, garantire l'uso sostenibile della foresta e la salvaguardia idrogeologica, accrescere la biodiversità e la produttività, diminuire il rischio di incendi, con evidenti benefici ecologici, economici e sociali. Per la Regione era presente anche l'assessore all'agricoltura Marco Remaschi. Nell'occasione, sono stati presentati alla stampa ed alla comunità alcuni dati che riepilogano il lavoro svolto fino ad oggi per la messa in sicurezza del Monte Pisano a seguito dell'incendio del 24 settembre ed un breve documentario che racconta quanto avvenuto: le fiamme, lo spegnimento, la realizzazione delle opere di salvaguardia, la rinascita. Le Comunità del bosco - previste dalla normativa regionale in ambito forestale (lr 39/2000) - nascono proprio con l'obiettivo di avviare un processo partecipativo tra enti pubblici e soggetti privati al fine di fare crescere sul territorio la presa di coscienza e coinvolgere la collettività nella gestione attiva del patrimonio boschivo, per avviare processi di recupero e miglioramento ecologico, oltre che per prevenire il dissesto idrogeologico e gli incendi boschivi. "Siamo di fronte ad un intervento straordinario - ha commentato dopo la firma il presidente della Regione Enrico Rossi - fatto prima di tutto dai lavoratori, che hanno risistemato qualcosa come 200 chilometri di griglie di contenimento e regimazione delle acque, portato via tutto il legname bruciato. Ci sono, insomma, tutte le condizioni perchè il bosco si riprenda. Ora dobbiamo fare ancora interventi di selezione della crescita, per impedire quello che i tecnici chiamano "effetto insalata", overo una crescita disordinata per fare in modo che il bosco si caratterizzi com'era in precedenza, con l'ordine che devono avere i boschi coltivati e ben strutturati. Noi abbiamo speso volentieri per questa iniziativa. Da un'esperienza drammatica, abbiamo capito come dove e quando intervenire. Ripeteremo questa iniziativa a Vico Piano e in Lungiana. Certo, dovremo impegnare per questo risorse, ma penso che i cittadini capiscano che sono ben impegnate. Qui a Calci, per la prima volta, sperimentiamo la legge regionale che istituisce le Comunità di bosco. Il bosco, un bosco curato e presidiato, per tanto tempo è stato una fonte di reddito preziosa. Dobbiamo creare le condizioni perchè questo importante patrimonio continui ad essere risorsa e fonte di reddito anche con la presenza dell'uomo. La comunità di bosco mette insieme enti pubblici e privati, per dettare regole comuni per curare e tenere il bosco nel modo migliore possibile, aiutando così a prevenire incendi e regimare acque, salvaguardando la valle, cosa particolarmente importante in una fase delicata di cambiamenti climatici". "Abbiamo firmato un accordo di azioni concrete – ha detto l'assessore Marco Remaschi – e lo facciamo con l'Unione dei Comuni dei Monti Pisani con i quali abbiamo gestito questo intervento. Dobbiamo mettere insieme tutti gli attori del territorio, i Comuni, le associazioni, il mondo del volontariato e fare di questo territorio un modello, un progetto pilota per la Toscana. Parte la prima comunità del bosco che è frutto di una modifica della legge 39 con il regolamento specifico e parte perché riteniamo che qua ci siano le opportunità per ristabilire un equilibrio sia di carattere ambientale sia di fruibilità turistica e di valorizzazione di un intero comprensorio. Questo è lo spirito con il quale la comunità del bosco deve funzionare: rendere fruibile e gestibile un territorio come questo, compl esso sotto l'aspetto della forestazione, ma di una straordinaria bellezza e di una valenza ambientale per noi assai rilevanti. Ci puntiamo molto e sono convito che faremo bene". "Grazie all'intervento della Regione siamo scesi in campo subito perla mesa in sicurezza, già pochi giorni dopo l'incendio c'erano 50 operai forestali a lavorare sul monte", ha sottolineato il sindaco di Calci Massimiliano Ghimenti. "Il meteo è stato benevolo, i lavori sono proceduti bene e anche la messa in sicurezza, in maniera costante e con risultati importanti. Abbiamo un'altra fetta di monte che è completamene intatta e vogliamo che tale resti, per questo bisogna cominciare a lavorare programmando per il futuro. Lo facciamo anche noi. Con i fondi del Fai abbiamo intenzione di acquistare mezzi per effettuare manutenzione diretta e fare ancora più interventi di mitigazione del rischio, ma occorre coinvolgere i privati che hanno responsabilità importanti che devono conoscere. E' un onore ospitar e la prima comunità del bosco della Toscana, anche se a seguito di una disgrazia, con l'obiettivo di mettere insieme tutti gli interessi possibili sul monte, da quelli dei proprietari a quelli delle aziende che lavorano sul monte, fino a quelli delle realtà associative che amano vivere il monte per tenere il monte vivo e vissuto". Sulla base di questo accordo i firmatari:
Il bosco del Monto Pisano - Calci, Vicopisano, Buti, San Giuliano Terme e Vecchiano sono Comuni con un elevato coefficiente di boscosità, caratterizzati da boschi a prevalenza di pino marittimo misti con latifoglie (castagno in quota, leccio nelle zone più basse), ontani e salici. Sui Monti Pisani è presente anche uno dei 53 complessi del Patrimonio agricolo forestale regionale (Pafr). Una superficie di 660,98 ettari di elevato valore ambientale e paesaggistico che insistono sui territori dei Comuni di Calci, Buti e Vicopisano. di Maria Serena Bongiovanni e Paola Desiderato Certamente 2019, l’evento annuale dedicato al neuromarketing e alle scienze comportamentali, organizzato dall’agenzia Ottosunove e BrainSigns - spin-off dell'Università di Roma "La Sapienza", è giunto alla quarta edizione! L’appuntamento di quest’anno è stato ospitato il 14 febbraio all’interno della Tower Hall di UniCredit a Milano e si è svolto in una formula nuova: un’unica giornata ricca di interventi di esperti di business, economia reale e comportamentale. La mattinata era dedicata a una sessione plenaria, invece, la sessione pomeridiana era suddivisa in tre aree tematiche più mirate, dedicate rispettivamente a Brand, Product e Retail, seguite dal dibattito conclusivo. La community di partecipanti all’evento si è confrontata con i contributi di esperti nazionali e internazionali che hanno offerto punti di vista diversi ma interessanti per definire una strategia di mercato che possa risultare efficace e innovativa per sfruttare al meglio i principi delle neuroscienze e applicarli al dominio del marketing. L’elemento protagonista dei contributi degli esperti è l’emozione del consumatore. Ma cosa significa questo con esattezza e come si applica al marketing? Procediamo con ordine seguendo gli interventi degli esperti. La giornata è iniziata con l’intervento di Fabio Babiloni, professore di Fisiologia presso l’Università La Sapienza di Roma e direttore scientifico di Brainsigns. Tramite un salto temporale sino ai tempi dell’Iliade e un graduale ritorno ai giorni nostri, Babiloni ha condotto una riflessione sul modo di agire dell’uomo in oltre 3000 anni di storia dimostrando che, allora come oggi, non abbiamo pieno controllo razionale dei processi cognitivi ed emotivi cui siamo soggetti. Le nostre decisioni sono frutto di un insieme di attitudini di strutture sottocorticali e prettamente corticali, un “grande concerto” non sempre giustificabile a parole. Alla base della scienza del neuromarketing c’è proprio l’emozione provata a livello limbico e le sue tracce possono essere utili per prevedere possibili comportamenti futuri. Questo significa che l’emozione è misurabile? Proprio così ed è da qui che bisogna partire per implementare le possibilità di acquisto personalizzato. I diversi interventi sono risultati utili per entrare nell’ottica di funzionamento delle aziende presentate e capire l’utilità di piccoli cambiamenti nelle strategie di marketing e piccoli gesti come gli omaggi e i gadget che possano fare la differenza. Infatti, nell’ottica del consumatore, questi sono spesso le chiavi di volta per smuoverlo da abitudini di acquisto consolidate. Seguiva a tutto ciò, il pranzo “sensoriale”, presentato come un momento di rigenerazione cerebrale e fisica, poiché venivano servite portate a base di materie prime che avrebbero avuto effetti positivi sui partecipanti con le loro proprietà benefiche. Il sesamo, per esempio, qui utilizzato, influisce sul rilascio della serotonina nel cervello, migliorando l’umore. Durante gli interventi successivi ci si focalizza ancora sul piano emozionale con i contributi di Elissa Moses - CEO Neuro and Behavioural Science Centre - Ipsos USA, Jessica Southard - Senior Manager Consumer and market Insights - Mars Inc., Colin Strong - Global Head of Behavioural Science - Ipsos UK organizzati in una tavola rotonda moderata da Barbara Monteleone di Ottosunove. Dopo questo break rigenerante, noi del Termopolio abbiamo scelto di partecipare alla sessione di approfondimento dedicata al Brand con un intervento sulla percezione sensoriale e il Brand Linkage della comunicazione. Poiché dopo pranzo è sempre buona abitudine sorseggiare un buon caffè, il brand protagonista è stato Segafredo. L’azienda ha avviato delle ricerche per posizionarsi sul mercato polacco che ha mostrato interesse per le miscele di caffè italiane. L’obiettivo dell’intervento a cura di Luca Fiorentino - CEO & Founder di OTTOSUNOVE e, Francesco Cantini, Managing Director Northern Europe- Massimo Zanetti Beverage è stato individuare il percorso migliore da compiere per valorizzare i valori aziendali (nel caso di Segafredo, l’italianità del prodotto) e portarli dallo schermo direttamente al consumatore. Come fare? Modificando piccoli ma significativi dettagli, come l’inquadratura o il primo piano su un prodotto e lavorando su quella parte più istintiva e ancestrale del nostro cervello al quale si è fatto riferimento in apertura. In questo caso, l’approccio neuromarketing consente di ottimizzare l’efficacia della comunicazione senza necessariamente stravolgerla. A seguire il caso National Trust che si occupa della conservazione dei beni storici: Cristina de Balanzo - Walnut Unlimited e Christina Finlay - National Trust, hanno offerto esempi su come siano riusciti ad avvicinare e coinvolgere le persone nella mission della charity aumentando il numero di sostenitori e di fondi disponibili per i progetti lavorando sull’impatto emozionale dei luoghi sotto la loro tutela. L’ultima sessione è stata dedicata a un confronto sulle differenze, i punti di vista e i diversi business delle aziende, in un dialogo aperto tra Daniele Manca, Vicedirettore del Corriere della Sera e Matteo Mortellini, Filosofo, economista e Professore all’Università San Raffaele di Milano. In chiusura di questa giornata di lavoro, si intuisce quanto la semplificazione aiuti nella comunicazione. Un metodo efficace è creare storie semplici con pochi personaggi e quindi muoversi sempre nella sfera della semplicità poiché la nostra mente è una macchina che lavora per associazioni. La creazione di messaggi semplici, a prescindere dal canale di diffusione del messaggio finale, stimola risposte positive e il consiglio è dunque sperimentare diverse soluzioni possibili a ogni domanda e richiesta quotidiana delle persone.
In chiusura di giornata, è naturale porsi alcune domande: è lecito utilizzare il neuromarketing? Se è vero che oggi siamo consapevoli del modo di agire del nostro cervello e possiamo creare i messaggi perfetti a misura di consumatore, il problema è scegliere su quali valori puntare come azienda, e su questo, ciascuna può fare la differenza. Foto tratte da: Foto delle autrici. di Mariacristina Lattarulo Non basta esistere e riconoscere a se stessi un ruolo. Il vincolo matrimoniale ha sempre rappresentato il garante per eccellenza di diritti che senza tale unione “divina” non sarebbero mai stati tali.
Diritti che però sfumano e mettono ulteriormente in discussione l’intelletto umano di fronte all’omosessualità. Abbiamo dovuto attendere la Legge n. 219 del 10 dicembre 2012 affinché fosse superata giuridicamente qualsivoglia ineguaglianza normativa tra figli legittimi e figli naturali in virtù del principio dell’unicità dello status di figlio, privilegio naturalmente concesso alle sole coppie eterosessuali non sposate e spesso impiegato nel caso in cui il padre sia lontano al momento del parto per svariate ragioni. Per i meno fortunati “figli” di Lesbo, figli anche di questo secolo, che piaccia o no, qualche meccanismo obsoleto e insensato ha deciso di in criccarsi a favore dell’umanità e dell’uguaglianza. È stato il caso del parto plurigemellare a rischio di una coppia omosessuale formata da due donne a risvegliare le coscienze, lo scorso dicembre. La decisone del Comune di Milano ha permesso il primo riconoscimento “in pancia” per il figlio di una coppia omosessuale in seguito a seri problemi riscontrati durante il parto e che hanno messo a repentaglio il riconoscimento dei figli gemelli da parte della madre non biologica. Ma non solo, hanno innescato un processo di rivalutazione della procedura ordinaria che prevedeva il riconoscimento del nascituro solo nel caso in cui la madre naturale avesse dato il suo consenso e che in questo caso sarebbe venuto meno dato l’evidente stato di totale incoscienza della donna durante le complicanze del parto. La consapevolezza della paradossale ma purtroppo reale possibilità di nascere per amore di qualcuno ma crescere figli di nessuno, in forma precauzionale, ha portato la Rete Lenford-Avvocatura per i diritti Lgbti ad insistere affinché anticipare il riconoscimento a prima del parto, presentando un certificato di gravidanza e facendo firmare una dichiarazione ad entrambi i genitori, fosse realtà anche per le coppie omosessuali. Questo scenario auspicato, che più di un happy ending profuma di lento inizio, è capace di riconoscere sì, il raggiungimento, a piccolissime dosi, di una doverosa parità e tutela nei confronti della vita, ma anche di gettare vagonate di luce, a mò di luminarie di un paese in festa, sull’infinità di limiti umani che persistono in un eterno auto sabotaggio di civiltà. Immagini tratte da: TVsvizzera.it di Mariacristina Lattarulo Sono cervelli emigranti a bordo di un aereo. Destinazione: lì dove un’occupazione c’è. Un’Italia limite per menti dal multiforme ingegno? A quanto pare il “Bel Paese” sembra star stretto ad un numero sempre maggiore di giovani studenti. È il popolo invasore per eccellenza quello dei cervelli zelanti in fuga, alla spasmodica ma doverosa ricerca di un lavoro che non c’è, di un futuro da ritenersi fortunato se ricevi la pensione in età (oggi considerata) prematura.
Si parla di una disoccupazione giovanile pari al 32,5 %, di una meritocrazia quasi inesistente e di una invisibile gerontocrazia. Pare siano loro i “genitori” di quello che chiamiamo “brain drain”, fenomeno insistente, ormai all’ordine del giorno. Dati statistici affermano che il numero delle matricole universitarie è aumentato del 2,4% rispetto alla precedente stagione. Tuttavia, un esercizio, quello universitario, che resta pura teoria. Un’ Italia intelligente che non si applica. È l’esodo delle menti dai grandi talenti, è la perdita costante di un patrimonio giovanile in fuga, lo spaccato di una società anziana, dove i giovani sono soltanto giovani. Una generazione sottovaluta perché ritenuta ingenua, o probabile egocentrismo delle figure al potere nel cedere un futuro meritevole ad una generazione altrettanto tale? Un cervello oratore in fuga direbbe così: “Io sono un pittore e dipingo soltanto l’amore che vedo e alla società non chiedo che la mia libertà” (The Bachelors). E il pittore che lo dipingeva, in un Paese ideale, sognatore, ma fondamentalmente giovane, pare che oggi giorno sia suo malgrado destinato a dipingere una società di cervelli sempre meno “choosy”. Siamo cittadini di un sistema marcio al quale ci tocca doverosamente appartenere, dove non è concesso compiacersi di un futuro colmo di passioni e dove l’indifferenza asseconda, genera muri. La politica dell’invito alla resa, al farsi bastare “quello che passa il convento” limita gli orizzonti a cui sempre sono seguiti tramonti che per perfezione cosmica e cicli di bellezza non hanno mai smesso di rinnovarsi e regalarsi una sfumatura in più. Abbracciando questa metafora ed abbandonando qualsivoglia traccia di rassegnazione sociale, la verità è che essere “choosy” oggi giorno, è l’ossimorico diritto/lusso, uno dei pochi ancora in circolo. Non sarà che volete tagliarci anche questo?! Immagini tratte da: pixabay 1/10/2018 Tpl, da ottobre in vigore le tariffe Pegaso corrette. In arrivo un rimborso per gli abbonati annualiRead NowFIRENZE - A partire dal mese di ottobre nuove tariffe per gli abbonamenti intermodali Pegaso, pensati per chi utilizza quotidianamente più mezzi pubblici in maniera combinata (bus urbano ed extraurbano, treno e autobus, traghetto e treno, traghetto, treno e autobus, ecc). Con gli adeguamenti tariffari di luglio si erano verificate alcune anomalie nei prezzi degli abbonamenti Pegaso, a seguito di numerose segnalazioni da parte degli utenti queste criticità sono state evidenziate e discusse e adesso, a partire dal mese di ottobre 2018, entreranno in vigore tariffe corrette. Per gli utenti che hanno acquistato l'abbonamento annuale nei mesi di luglio, agosto e settembre 2018 è prevista l'emissione di un buono sconto dal valore pari alla differenza tra il costo del vecchio abbonamento e quello del nuovo. Il buono sarà utilizzabile per l'acquisto dell'abbonamento successivo. Le modalità di erogazione del buona saranno definite dai gestori del servizio. Si ricorda che per acquistare gli abbonamenti integrati Pegaso è necessario avere la Pegasocard, rilasciata dagli uffici centrali delle aziende di trasporto, dalle biglietterie ferroviarie e dalle tabaccherie che espongono il logo 'Pegaso'. La Pegasocard ha un costo di 6 euro e vale 3 anni. Le tariffe Pegaso risulteranno vantaggiose rispetto alla somma degli abbonamenti dei singoli mezzi di trasporto, mentre non lo saranno per l'utilizzo di un solo mezzo pubblico. Per informazioni, suggerimenti, segnalazioni e reclami sul trasporto pubblico regionale contattare il numero verde del Call center della Regione Toscana per il tpl: 800570530, oppure scrivere a numeroverdetpl@regione.toscana.it Per approfondimenti sull'abbonamento Pegaso e per visionare le nuove tariffe, consultare la sezione dedicata al Pegaso del portale regionale della mobilità Muoversintoscana. Clicca qui per vedere le nuove tariffe Pegaso per gli abbonamenti intermodali annuali e per quelli che comporendono anche l'utilizzo del traghetto. Cicca qui per le tariffe mensili e giornaliere. NB. nelle tabelle per urbano 1°livello si intende Firenze; per urbano 2° livello si intendono tutti i capoluoghi di provincia (Pisa, Siena, Prato, Grosseto, Massa, Carrara, Pistoia, Livorno, Arezzo, Lucca); per urbano 3° livello si intendono gli abbonamenti per i centri urbani minori (es. Empoli, Volterra, ecc). Immagini tratte da www.regionetoscana.it Geologi e geometri entrano nelle commissioni sismiche comunali Napoli. È stato approvato in questi giorni l’emendamento che prevede l’inserimento, all’interno delle commissioni sismiche comunali, delle figure professionali di geologi e geometri. La proposta, che è partita dall’Ordine dei Geologi della Campania e dai Collegi dei Geometri e Geometri laureati della Campania, è stata accolta con entusiasmo dall’amministrazione regionale. In particolare, il Presidente Vincenzo De Luca e l’onorevole Stefano Graziano, hanno fortemente voluto l’approvazione di questa modifica, resa effettiva dalla L.R. n. 28 del 8 agosto 2018 art. 1 comma 50. L’emendamento al testo del comma 2 art. 4bis della L.R. n° 9/1983 prevede l’aumento dei componenti delle commissioni sismiche comunali da 3 a 5: “L’esame e le istruttorie dei progetti sono espletati da una o più commissioni competenti in materia, formate da cinque professionisti tecnici, tra cui ingegneri, architetti, geologi e geometri, iscritti nel relativo albo professionale, tre dei quali in possesso del diploma di laurea in ingegneria o architettura, vecchio ordinamento universitario, con comprovata esperienza in collaudi sismici o di diploma di laurea specialistica in ingegneria civile e comprovata esperienza in collaudi sismici. I restanti due componenti possono esprimersi solo per quanto attiene alle competenze previste nei rispettivi regolamenti professionali. La funzione di presidente di commissione è svolta dal professionista in possesso dei requisiti di collaudatore in corso d’opera ai sensi della presente legge”. L’inserimento dei geologi nelle commissioni per l’autorizzazione sismica consentirà di esaminare, con maggiore attenzione e maggiore competenza, tutti i progetti presentati, dando la giusta importanza alla compatibilità geologica ed alla caratterizzazione geotecnica. L’approvazione dell’emendamento conferma che i professionisti del settore tecnico, quando fanno squadra, riescono a dare il giusto risalto alle proprie competenze professionali ed alle inevitabili ricadute sulla sicurezza dei cittadini.
Nell’era della globalizzazione il web è lo strumento principale per fare politica e orientare l’opinione pubblica, ma quando di mezzo ci sono Stati esteri come la Russia, forze politiche nazionali e fake news tutto assume un significato diverso.
L’elezione di Trump ha costretto l’opinione pubblica internazionale a rimanere sempre col fiato sospeso, perché l’imprevedibilità del magnate nel far uscire sempre un coniglio nuovo dal cilindro è spiazzante, ed è stato proprio durante la sua campagna elettorale nel 2016 che il mondo è venuto a contatto diretto con le fake news; entrate a pieno titolo nelle cancellerie e nel dibatto dei maggiori paesi occidentali, Italia inclusa. Ed è proprio durante le campagne elettorali che le fake news assumono uno straordinario potere manipolativo.
Non vi è dubbio che le politiche 2018 in Italia saranno all’insegna delle novità. Prima di tutto, pur venuto meno il finanziamento pubblico ai partiti di certo non mancheranno le cene, i comizi, i teatri elettorali, ma al contempo, per sopperire ai deficit di bilancio contestati dai partiti, il mondo di internet, dell’informazione immediata e twitter saranno i maggiori canali di diffusione e propaganda. Non sarà tutto, ma sicuramente il web si rivelerà uno strumento fondamentale per costruire il consenso e cercare fondi, tramite followers, commenti, polemiche e amicizie, la campagna virtual e social lancerà anche in Italia la politica del 3.0, non solo digitale, ma fake-digitale, spalancando le porte a quella fake-politica che discredita e scandalizza gli avversari. E non è tutto! Secondo il New York Times l’Italia sarebbe il prossimo obiettivo della campagna di destabilizzazione avviata tramite le fake news, citando un particolare triangolo che coinvolgerebbe il Movimento Cinque Stelle, Lega Nord e Putin.
Ad oggi, le democrazie occidentali restano degli obiettivi privilegiati per sperimentare la fake-politica, talmente in bilico che basta un giro di notizie per creare scompiglio con estrema disinvoltura. La rete ormai è il canale più appetitoso tramite cui lanciare attacchi virtuali, acquisire informazioni non poi così inviolabili, superare confini virtuali e divulgare notizie fuorvianti. Una guerra ibrida che si sviluppa su più livelli: fisico, diplomatico e cibernetico. E nell’instabilità collettiva che la fa da padrone, è ancora più facile credere al web, soprattutto quando l’informazione non è più qualcosa che richiede una sedia e un po’ di tempo, ma è un’informazione distratta, a portata di pollice sul metrò, in fila per entrare chissà dove, nella rapida pausa tra un’attività e l’altra. E così anche l’Italia diventa un obiettivo sensibile. Joe Biden ex vicepresidente Usa, ha dichiarato, in un articolo pubblicato il 5 dicembre scorso sulla rivista “Foreign Policy” dal titolo “How to stand up to Kremlin”, che il Cremlino abbia influenzato varie campagne politiche, Italia inclusa. Sembrerebbe che proprio Mosca abbia diffuso varie fake news per influenzare lo scorso referendum costituzionale e soprattutto la minaccia non appare finita: anzi, le prossime elezioni 2018 sarebbero giusto nel mirino. Accuse pesantissime che ricadrebbero su Movimento 5 Stelle e Lega Nord, attori italiani che secondo fonti internazionali intratterrebbero particolari contatti con Putin, anche in termini economici e di finanziamento. L’interesse di Putin in questo senso è notevole, le sue politiche di repressione dell’opposizione e il particolare obiettivo di mantenere la leadership e il controllo interno attraverso un’imponente propaganda, potrebbero essere ancora più risolute e stabili se anche l’Occidente iniziasse a traballare, un Occidente così destabilizzato e perciò meno attento ad ostacolarlo. Ed ecco che oltre all’Italia anche in Francia, negli Stati Uniti, in Olanda, in Catalogna ci sarebbe stata la longa manus di Putin. E nonostante il M5S abbia smentito qualsiasi aiuto che fosse italiano o che giungesse dall’Est un dubbio rimane: quanto può una democrazia come la nostra, intaccata da servilismi e corruzione, devastata da continue frammentazioni, insultata e bistrattata quotidianamente, esser pronta a contrastare attacchi cibernetici, ma soprattutto non cadere in tentazione mordendo la mela rossa che viene dell’esterno? Anche perché quando si gioca col potere alla fine tutto è lecito, e allora non spetterebbe forse a noi cittadini educarci e diventare un occhio attento per comprendere il confine tra ciò che è vero e ciò che è falso? O forse vale anche in questo la celebre frase di Oscar Wilde “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”? E di certo le Fake News di rumore ne fanno!
Fonti
Il fatto Quotidiano: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/12/08/biden-russia-ha-agito-per-influenzare-il-referendum-in-italia-e-si-muove-per-sostenere-lega-e-m5s/4026943/ Foreign Affairs: https://www.foreignaffairs.com/articles/2017-12-05/how-stand-kremlin Immagini tratte da: Immagine 1 Fake News: http://www.ilprimatonazionale.it/wp-content/uploads/2017/11/fake-news.jpg Immagine 2 Putin: http://i.huffpost.com/gen/3682868/images/n-VLADIMIR-PUTIN-WINK-628x314.jpg
Il 22 novembre il Tribunale penale internazionale per l’Ex-Jugoslavia ha condannato Ratko Mladic per genocidio e crimini contro l’umanità. Un passo avanti è stato fatto
La mattina del 12 luglio 1995 il generale serbo Ratko Mladic rassicurava la gente di Srebrenica, con parole che non lasciavano presagire quello che invece sarebbe accaduto poco dopo: tutte le persone di sesso maschile dai 12 ai 77 anni separate dalle donne, dai bambini, dagli anziani. Dicevano che li avrebbero giusto interrogati; invece vennero tutti uccisi, per poi essere abbandonati nell’oblio delle fosse comuni. Tutto difronte all’immobilità e alla confusione dei caschi blu olandesi e della comunità internazionale.
Sino a quel momento di vite umane nella guerra serbo-bosniaca ne erano state spezzate già tantissime, ma Srebrenica era una città strategica. I territori a maggioranza serba erano costellati da comunità musulmane e l’obiettivo finale era una capillare pulizia etnica di queste minoranze. Ultimo ostacolo alla realizzazione del sanguinoso progetto erano Srebrenica e i paesi della Valle della Drina. Così pulizia fu fatta.
Sono ancora tante le domande senza risposta ripetute per più di venticinque anni, numerose le incongruenze. È impossibile però negare che il massacro di Srebrenica sia stato il più cruento della storia d’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Finalmente, il 22 novembre scorso, il Tribunale penale internazionale per i crimini nella Ex-Jugoslavia in Olanda ha posto una pietra miliare lungo il cammino dei Balcani e dell’integrazione europea nel suo complesso: Ratko Mladic è stato condannato all’ergastolo per genocidio e per aver perpetrato crimini contro l’umanità. Il percorso è stato lungo, la sentenza del 22 novembre probabilmente è stata l’ultima per il Tribunale con sede all’Aja che dovrebbe cessare definitivamente di operare; e, ancora oggi, all’esultanza per la condanna da parte dell’associazione delle madri di Srebrenica fanno seguito le reazioni contrastanti in Bosnia – Erzegovina di chi appartiene ad etnie differenti. Tanto che alcuni manifestanti, marciando per le strade di Sarajevo, sostenevano ancora il proprio “eroe” Mladic. Quello che resta è che la condanna pronunciata non solo risponde a un’esigenza di giustizia nel territorio dei Balcani, ma mette un punto certo in Europa. È una riaffermazione di valori condivisi che vanno dal rispetto della dignità umana allo stato di diritto, dalla lotta a qualsiasi forma di discriminazione e violenza ai principi democratici, valori a fondamento del modello europeo. Modello che di certo non ha mancato di vacillare negli ultimi tempi. La condanna di Mladic non è solo una svolta nella storia dei Balcani ma, riecheggiando al di fuori delle mura della Tribunale, dei confini di quei paesi colpiti negli anni Novanta, e di cui ancora adesso sono visibili le ferite, è una dichiarazione di giustizia che in anni pieni di fragilità, smarrimento e perdita di fiducia nei confronti del mondo internazionale, delle Istituzioni, viene proprio da un Tribunale internazionale. Una sentenza che dovrebbe ricordare che il passato non è poi così passato, che ancora brucia e segna il presente di un’Europa preoccupata dai nazionalismi, e dalle divisioni. Una decisione che, pur non potendo lavare colpe e coscienze per fatti avvenuti a due passi dai nostri confini, dovrebbe servire per ricordare all’opinione internazionale che, piuttosto che agire solo di forza, bisognerebbe agire anche di giustizia.
Fonti:
http://www.lastampa.it/2017/11/23/cultura/opinioni/editoriali/i-valori-delleuropa-nella-forza-del-diritto-38haA31tsMrDcgot26SfYJ/pagina.html http://www.huffingtonpost.it/marco-perduca/mladic-non-e-lultimo-criminale-la-giustizia-internazionale-resta-un-grosso-problema-politico_a_23286515/?utm_hp_ref=it-homepage http://www.ilpost.it/2015/07/11/massacro-srebrenica/ Immagini: https://plaggastory.files.wordpress.com/2015/11/mappa.gif http://www.lastampa.it/rf/image_lowres/Pub/p4/2017/09/08/Esteri/Foto/RitagliWeb/AP_691027165984-kr0G-U1101612311604-1024x576%40LaStampa.it.jpg
Perché è fondamentale l’engagement dei Millennials nel processo democratico
I Millennials o generazione Y sono quella fascia di popolazione, nata tra il 1980 ed il 2000, che rappresenta il 30% della popolazione mondiale e che potrebbe conquistare una porzione considerevole di potere decisionale. Una generazione in stretta connessione con il mondo tecnologico, ed è proprio la continua interazione che la distingue dalle altre.
È la generazione più indefinita che esista: i più giovani sono nati nell’epoca dei social media, gli altri li hanno scoperti col tempo, ma entrambi non riescono a farne più a meno e questo approccio ne influenza le scelte e gli interessi non solo in termini di gusti, consumi, ma incidendo anche sugli orientamenti, le scelte individuali, le idee. È una generazione che ha un infinito potenziale. Ecco perché recenti studi, soprattutto quelli anglo – americani sono sempre più interessati all’engagement of Millennials. Ogni singolo voto conta nel processo democratico e lo è ancora di più se consideriamo l’importante gap generazionale del mondo politico, dove la media si assesta sui 58 anni. Gap che influenza negativamente i giovani qualificandosi come “altro” rispetto al mondo di cui dovrebbero, invece, sentirsi i principali attori. Si pensi al referendum sulla Brexit quando i Millennials, soprattutto londinesi, piangevano dopo il risultato, perché la volontà europea, comunitaria, bisognosa d’integrazione, si era vista completamente calpestata da quella conservatrice, tradizionalista e vincitrice. Vecchia. Una generazione che si percepisce come invisibile, quando un tempo era proprio quella che accendeva la miccia della rivoluzione culturale e politica. L’allarme è evidente e in Italia si concretizza nel bisogno, se non vera necessità, di emigrare all’estero, nel disimpegno politico, nell’astensione elettorale; ma il trend può e deve essere invertito, perché è una generazione che può cambiare lo status quo. Se è vero quanto detto in questi giorni da Mario Draghi, Presidente della BCE, secondo cui la crescita economica è presente non solo in Europa, ma anche in Italia allora questa crescita deve riguardare anche e soprattutto la generazione Y. È fondamentale che i policymakers coinvolgano i Millennials, all’interno delle istituzioni democratiche e del processo democratico, perché impedire una partecipazione coesa dei giovani, ostacolando l’accesso al mondo della politica e democrazia mortificandone le speranze, significherebbe negare qualsiasi forma di progresso. Un modello interessante di engagement, esposto durante il World Forum for Democracy 2017, tenutosi a Strasburgo, è quello americano: rendere partecipi i giovani attraverso attività sociali, a cui loro sono molto vicini e interessati, eventi che si focalizzino sulle relazioni, sul mondo social, al cui interno si parli anche di politica. Sviluppare attività di crowdfunding accessibili alle tasche di questa generazione, la più instabile in termini economici e di futuro. Inoltre, iniziative nell’ambito della cooperazione possono aumentare l’impegno civico e, se perseguite con costanza, avrebbero il potenziale di migliorare il livello appartenenza civica che nel lungo termine potrebbe trasformarsi in partecipazione politica. È necessario, però, che gli sforzi siano comuni: i policymakers devono tenere presente la diversità delle voci dei Millennials, voci che cercano innumerevoli risposte; ma soprattutto, i policymakers devono essere davvero convinti di voler rispondere, esplicitandone concretamente la volontà. Quella dei Millennials non è solo la generazione che vive tra un Whatsapp e un selfie su Facebook, ma è quella che spera di poter trovare un giorno una collocazione spazio – temporale nel mondo. Un engagement dei Millennials è fondamentale affinché si possa ritornare a credere in una stabilità, nel valore della comunità e nella possibilità di costruire qualcosa di duraturo. È necessario che la democrazia, da governo del popolo, riscopra l’essenza di essere governo per il popolo. E di questo i Millennials, tra uno stage non retribuito, un caffè di fretta, start – up e idee controcorrente, ne sanno qualcosa.
Fonti:
http://www.covi.org.uk/general-election-tell-us-engage-millennials-future-politics/ file:///C:/Users/Utente/Downloads/The_Civic_and_Political_Participation_of_Millennials%20(1).pdf Immagini tratte da: Immagine http://bound4life.com/wp-content/uploads/2015/01/MillennialGeneration640.jpg Immagine 2: https://horizonresourcesinc.files.wordpress.com/2015/07/millennials-info-graphic-big.png Immagine 3: http://nst.sky.it/content/dam/static/contentimages/original/sezioni/tg24/politica/2012/12/31/discorso_napolitano_fine_2012_tag_cloud_150_parole.jpg
L’instabilità in Europa non sembra volersi fermare e i protagonismi nazionali son sempre in agguato. Dalla crisi economica che ha visto Tsipras infuocare gli animi del popolo greco contro le regole stringenti della Troika, con esiti alla fine a dir poco devastanti. Tempi in cui Angela Markel dominava incontrastata dal suo seggio mitteleuropeo. Posizione mantenuta nelle ultime elezioni ma con una spada di Damocle sulla testa e con le pressioni francesi sulla sinistra.
Come dimenticare il referendum della Gran Bretagna che forte della sua sterlina oggi invece sembra preoccuparsi dei 20 mesi rimasti prima del “Bye Bye European Union”, e le cui negoziazioni rafforzano l’unità europea. E ci sono poi le pressioni dei paesi Visegràd, che tra fili spinati e politiche populiste pretendono di lasciare il Mediterraneo al suo destino: su questo palcoscenico multiforme in cui appare adesso l’Europa le spinte autonomiste ed indipendentiste non potevano mancare. Da qui il risveglio dal sonno della Catalogna contro l’oppressore spagnolo. Sembra quasi una favola risorgimentale, se non vivessimo in un mondo fortemente interconnesso e all'interno del quale ai moti rivoluzionari abbiamo sostituito la cooperazione. Alle pretese catalane l’Europa fin da subito ha alzato le mani, demandando tutto alla Spagna con “è’ una questione interna”. E da qui un continuo susseguirsi di reazioni uguali e contrarie da parte della Spagna di Rayoj e della Catalogna di Puigdemont (presidente eletto dal Parlamento catalano nel 2015, ora destituito). Da quando il primo ottobre il popolo della Catalogna ha votato per il suo referendum “incostituzionale” per l’indipendenza (dal governo spagnolo definito illegale) e la Spagna ha risposto con la forza delle armi lasciando sul campo quasi 800 feriti, la situazione è andata sempre più degenerando. Certo è che la Spagna è una democrazia stabile, ma la veemenza del referendum ha spinto ad un giro di vite il governo di Rajoy, che con l’intervento militare ha compiuto il suo peggior passo falso legittimando agli occhi del mondo qualcosa che per tutti era palesemente una forzatura secessionista. Ed ecco che di giorno in giorno la saga spagnola va avanti sino a quando la minaccia da parte del governo spagnolo circa l’attivazione della clausola contenuta nel famigerato art. 155 diventa realtà: l’autonomia Catalana viene sospesa, e la regione di fatto commissariata. I suoi leader politici destituiti. La risposta catalana non si è fatta attendere e così nel pomeriggio di sabato 28 ottobre in un messaggio televisivo Puigdemont ha invitato il popolo catalano a resistere “democraticamente alle misure del governo spagnolo, di agire con dignità”. Tuttavia in tutto questo marasma politico due quesiti restano ancora irrisolti. Uno guarda al passato e uno al futuro: “ma perché la Catalogna vuole l’indipendenza?” e soprattutto “cosa succederà adesso?”. Nel primo caso le ragioni sono varie e originano secoli addietro, inizialmente l’indipendentismo catalano era soprattutto identitario – linguistico e culturale -. La spaccatura è divenuta quindi politica durante la guerra civile del 1936 quando Barcellona era un baluardo repubblicano contro i ribelli nazionalisti. E poi da ultimo, dopo la crisi del 2008 la ferita si è riaperta con i secessionisti che rivendicano allo stato centrale un minor gettito fiscale. La Catalogna è ricca e lo sarebbe anche di più se tale ricchezza rimanesse nel territorio della regione. Così dicono i secessionisti. Per rispondere invece al secondo quesito, bisogna guardare oltre la Spagna: all’Europa, al mondo. Qualora l’indipendenza diventasse davvero qualcosa di concreto, la questione spagnola erigerebbe a problema fondamentale per l’Europa, che in un mondo di fatto di colossi (Stati Uniti e la Cina per citarne qualcuno) non potrebbe permettersi una disgregazione interna. Così la Spagna potrebbe ispirarsi al modello di federazione tedesco per mantenere l’unità territoriale e politica. Il dialogo e la cooperazione di tutti gli attori è fondamentale. Anche perché in un mondo in cui la Catalogna fosse davvero così abile da ottenere l’indipendenza che cosa potrebbe accadere in realtà? Sarebbe uno stato non riconosciuto dall’Unione Europea, niente più libera circolazione di merci, capitali, lavoro, persone. Dovrebbe attendere anche il riconoscimento da parte della comunità internazionale ed è ben noto come il processo sia lungo e farraginoso. La Catalogna è ricca ma di certo non è la Gran Bretagna. Da qui discende un terzo ed ultimo quesito: ne sarebbe valsa davvero la pena? FONTI: Il Sole 24 ore http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2017-10-19/la-secessione-e-contrario-dell-europa-225158.shtml?uuid=AEwwgyrC ; Il Post http://www.ilpost.it/2017/10/28/catalogna-situazione-indipendenza/ ; Il Corriere della Sera http://www.corriere.it/esteri/cards/perche-catalogna-vuole-indipendenza-ora-che-cosa-succede/perche-catalogna-vuole-essere-indipendente_principale.shtml?refresh_ce-cp ; IMMAGINI: Immagine 1: Indipendenza https://www.nuovaresistenza.org/wp-content/uploads/2017/09/Referendum-Catalogna.jpg Immagine 2: Rayoj http://www.reporternuovo.it/files/2013/12/rajoy-5ene12.jpg 18/9/2017 Panico al centro commerciale I Gigli: bimbo fa scattare allarme generando il caos.Read Now
Al centro commerciale di Campi Bisenzio (Firenze) si è generato il panico a causa di un allarme fatto scattare accidentalmente da un bambino. Una donna contusa a causa della calca generale.
Ieri pomeriggio, verso le 16:40, presso il centro commerciale I Gigli di Campi Bisenzio, un bambino ha rotto la teca dell’allarme antincendio del negozio Zara, facendo partire da subito la sirena. Nel contempo gli altoparlanti hanno cominciato a invitare i clienti ad abbandonare la struttura del centro commerciale anche se è stato chiaro, sin dai primi momenti, che si trattava di un falso allarme.
Immediato il “fuggi fuggi” generale verso le uscite. Panico tra le centinaia di clienti presenti, tutte affollatesi nel parcheggio. Una commessa di Panorama è andata a sbattere contro un palo, accusando mal di testa e vomito. Immediati i soccorsi da parte dei medici del 118, recatisi da subito presso il centro. In meno di mezz’ora l’allarme è rientrato in quanto causato da un gesto accidentale. A riportare la calma ci hanno pensato gli uomini della sicurezza e i carabinieri della Compagnia di Signa, tempestati dalle tante telefonate da parte dei clienti e dei commessi terrorizzati. Solo dopo un’ora, o poco più, tutto si è ristabilito e i clienti sono rientrati gradualmente dentro la galleria commerciale. Un ritorno alla normalità così repentino che ha quasi spiazzato i commessi, che sotto schock, si sono ritrovati a dover riprendere il loro lavoro sotto le pressanti lamentele dei clienti: “è più di un’ora che sto aspettando di essere servito”. Nel mentre, i genitori del bambino sono stati identificati dagli uomini dell’Arma. Trattandosi di un minorenne verrà fatta solo una segnalazione al tribunale per i minori, senza ulteriori conseguenze. Dopo questo evento, il sindacato di base Usb ha chiesto e ottenuto per oggi stesso un incontro urgente con la direzione Panorama. “Abbiamo racconti che ci descrivono come la gestione dell'emergenza sia stata lasciata allo spontaneismo dei commessi, che ha gestito l'evacuazione, senza che sia stato azionato efficacemente un Piano di emergenza”, dice Francesco Iacovone della direzione nazionale dell'Unione sindacale di base. E in effetti è grave (e forse non si tratta di un caso unico, si dovrebbe approfondire l'argomento per ogni centro commerciale) che un centro come I Gigli, noto per la grande affluenza di persone, soprattutto nel fine settimana, non sia preparato ad affrontare una simile circostanza. Questa situazione fa riflettere anche dal momento in cui il centro da giugno ospita uno dei punti vendita Primark, il terzo in Italia. Soprattutto, nel momento in cui viene aperto un negozio del genere, così esteso e con così tanti dipendenti, oltre che clienti, sarebbe opportuno adeguare le norme di sicurezza e affidarsi a un personale preparato, capace di gestire la situazione nella maniera ottimale per evitare tragedie di più grande portata. Quindi, non possiamo non chiederci, perché non si procede in questa direzione?
Sicuramente i tempi di psicosi e paura in cui stiamo vivendo hanno portato a reazioni sproporzionate per la portata dell’evento ma del tutto comprensibili.
Non sono mancate anche le false notizie che da subito hanno invaso i social network e vari gruppi su Facebook: c’era chi parlava di spari, di forti boati, addirittura di un uomo che aveva accusato di “farsi saltare in aria”. Chi era presente ha da subito pensato a un attentato, come testimoniano le varie dichiarazioni raccolte: “Ho visto le persone disperarsi e qualche anziano chiedere aiuto”, “C'è stato un panico generale incredibile”, “A raccontarlo non ci si può credere! Uno spavento indescrivibile”. Un evento come questo non può far altro che farci riflettere su quale sia l’elevato grado di alienazione in cui viviamo in questi tempi. Ogni allarme, boato o grido più forte del normale ci fa perdere la lucidità, talvolta causando conseguenze drammatiche come quelle di questo giugno a Piazza San Carlo a Torino. Siamo continuamente ossessionati dalla paura che possa succedere qualcosa, in qualsiasi momento e gli eventi non ci aiutano: tre giorni fa un ordigno rudimentale è scoppiato in un vagone della metropolitana di Londra, il mese scorso un camion ha travolto la folla sulla ramblas a Barcellona. Nonostante ci ostiniamo a dire che “non abbiamo paura”, che “non fermeranno la nostra voglia di vivere”, sappiamo tutti che nulla è più come prima, che non ci sentiamo più sicuri e liberi come un tempo.
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Si è tenuta ieri, domenica 17 settembre, la trentunesima edizione del Raduno di Pontida, che dal 1990 riunisce annualmente militanti ed esponenti della Lega Nord. L’edizione di quest’anno ha segnato un deciso taglio col passato: per la prima volta non ha preso la parola il fondatore e storico segretario Umberto Bossi. A deciderlo l’attuale segretario e candidato premier in pectore Matteo Salvini che, a detta dello stesso Bossi, gli ha risparmiato una sonora bordata di fischi. È notizia delle ultime ore, infatti, che la Procura di Genova abbia ordinato il sequestro conservativo dei conti correnti del partito padano, in virtù di un processo per ricorso abusivo al finanziamento pubblico, perpetrata dalla gestione Bossi – condannato per truffa a due anni e tre mesi di reclusione e sottoposto tuttora a svariati processi per gli anzidetti rimborsi elettorali.
La Lega Nord ha chiuso con il passato, o almeno così sembrerebbe. Stupisce la rapidità con cui sia diventato un partito nazionale: era solo il 2013 quando l’edizione del Raduno di Pontida aveva come slogan “Prima il Nord”, ma sembra passata davvero un’era. Stupisce anche che fino al 2012 Bossi fosse il segretario della Lega mentre oggi non viene nemmeno fatto parlare. Colpisce, però, la motivazione di Salvini: una mossa elettorale, ovvio, ma fallace sul piano logico. Salvini, in merito all’inchiesta genovese, ha infatti parlato di “attentato alla democrazia”, di strategia politica dei suoi avversari (verosimilmente del Partito Democratico) che “utilizza la magistratura per mettere fuori gioco la Lega”. Se si sposa la pur legittima tesi della magistratura deviata, tuttavia, che scopo ha l’esclusione di Bossi, che dovrebbe essere la vittima e non il colpevole nella ricostruzione salviniana?
Al netto di questa evidente contraddizione dalla manifestazione leghista ci giungono alcuni spunti. Tra i tanti citiamo la proposta del leader di eleggere i magistrati, già espressa dalla Lega nel 2008: una proposta senza dubbio bizzarra e inapplicabile nel nostro sistema costituzionale. La supremazia della legge, criterio chiave per il giudice, è incompatibile con la rappresentatività della carica. Giocoforza occorrerebbe cambiare una parte considerevole della Carta Costituzionale per applicare questa proposta, ma allo stato attuale non sembra esserci alcuna maggioranza intenzionata ad andare in questa direzione, neanche se la Lega vincesse le elezioni. Veniamo poi all’autonomia, vecchio cavallo di battaglia della Lega Nord, nata come partito secessionista e approdato poi verso posizioni decisamente più moderate quali il federalismo. Salvini ha promesso referendum consultivi in materia di autonomia locale: di per sé non un male, certo, ma ha aggiunto “senza lasciarsi gestire dai vincoli europei e romani”. Il tema dei referendum per l’autonomia riveste un’importanza centrale, poiché è a essi intitolata questa edizione del Raduno. Senonché è impossibile prendere qualsivoglia decisione in barba ai vincoli finanziari europei, a meno di non avere un board comunitario completamente diverso nell’arco di pochi mesi che metta mano ai Trattati oppure di uscire dall’Unione. Se la prima opzione appare impossibile la seconda è tutt’altro che campata in aria ma anzi si affaccia sempre più verosimile in molti Paesi. D’altronde la Brexit ha aperto la strada alla dissoluzione dell’Unione e i partiti euroscettici sembrano in ascesa un po’ ovunque. A tal proposito, alla domanda di alcuni giornalisti sulle possibili alleanze Salvini ha chiaramente chiuso la porta ai partiti più centristi del centrodestra, identificati col solito Alfano, e ai 5s (in un passaggio apostrofa cripticamente Di Maio come ‘funghetto’). Permane invece l’incertezza sui rapporti con Berlusconi e Forza Italia: pur avendo dato spazio a Giovanni Toti, presidente della Liguria in quota Forza Italia, Salvini ha dichiarato di non aver sentito il Cavaliere, e quindi non ha sciolto la riserva sull’alleanza tra i due partiti. Tuttavia l’episodio di Toti è sintomatico: mai un politico che non figurasse tra le fila della Lega Nord aveva avuto parola a Pontida. Sembra essere un chiarissimo segnale pre-elettorale di un’alleanza in divenire. La vera questione, semmai, tacendo dell’incertezza sulla legge elettorale, è chi sarà il candidato premier della coalizione della destra: ma anche qui la risposta l’ha fornita, tra le righe, Salvini. “Nei momenti difficili” ha detto “parla uno solo”. E non fatichiamo a capire chi sia.
Immagini tratte da: LaStampa
Alle ore 8:20 di venerdì 15 settembre un’esplosione ha colpito la stazione della metropolitana di Parson Green. Ventinove i feriti, nessuno in pericolo di vita. Identificato un sospetto.
Londra rivive la paura di un attentato terroristico, il quinto da inizio anno. Venerdì 15 settembre, alle ore 8:20 locali, un’esplosione ha colpito la stazione della metropolitana di Parson Green, vicino a Fulham, zona ovest della città.
Secondo gli accertamenti da parte dell’antiterrorismo britannico, si tratta di un ordigno artigianale, costruito in casa e attivato a distanza attraverso un timer e risulta, inoltre, che sia esploso solo in parte, evitando così la tragedia. Ventinove è il numero dei feriti, nessuno in pericolo di vita. Alcuni di questi sarebbero rimasti lesi a causa delle furia della folla terrorizzata che ha cominciato a “correre per la loro vita”, come viene citato in uno dei tweet simbolo della giornata di ieri. Bisogna tener conto anche del fatto che la deflagrazione è avvenuta nell’ora di punta, quando il treno (con una capienza di più di 800 persone) era affollato da pendolari e bambini che si stavano recando a scuola.
È stato chiaro sin dal primo momento che si trattasse di un attentato terroristico, viste le dinamiche con cui è avvenuta l’esplosione. Ciò nonostante Scotland Yard, alle 8:51 (ora locale), ha voluto precisare attraverso un tweet: “Siamo a conoscenza di quanto si scrive sui social media a proposito di Parson Grenn. Diffonderemo una nota appena possibile. Le nostre informazioni devono essere precise”. La conferma è poi arrivata nella serata, quando Isis ha rivendicato il gesto attraverso un comunicato diffuso su Amaq, l’agenzia di propaganda dello Stato islamico.
La polizia londinese avrebbe identificato un sospetto, grazie all’ausilio delle numerose telecamere a circuito chiuso presenti nella stazione. Anche se al momento non è stato annunciato nessun arresto né tanto meno nessun nominativo, il sindaco di Londra Sadiq Khan ha annunciato che è già in corso la “caccia all’uomo”, senza specificare, per ragioni di sicurezza, se si tratti di una o più persone. Il governo di Londra ha da subito elevato il livello di allerta da grave a critico, a indicare la possibilità che vi sia “un attacco imminente”. Numerose le forze di sicurezza scese in campo sin dalla mattina di ieri.
È arrivata da tutto il mondo la vicinanza ai feriti dell’attentato terroristico e a tutti i londinesi in generale, costretti a vivere in uno stato di costante paura.
La premier britannica Theresa May, oltre a esprimere solidarietà ai feriti, ha lodato la bravura e la velocità di reazione delle forze di sicurezza e ha convocato, per le ore 11 della stessa mattina, una riunione d'emergenza del Cobra, il comitato di crisi del governo. Oltre alle varie forme di sostegno non sono mancate anche le tante critiche e polemiche che si vengono solitamente a creare in queste occasioni. Prima tra tutte è stata la voce del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che su Twitter ha accusato l'intelligence britannica: "Un altro attacco, a Londra, di un terrorista sbandato. Queste sono persone malate e dementi già nel mirino di Scotland Yard. Bisogna stare sull'attenti". Pronta la risposta della premier May: “Fare speculazioni non aiuta nessuno”. Anche in questo caso i londinesi hanno tenuto un comportamento esemplare dimostrando che nemmeno attacchi di questo tipo li spingeranno a rinunciare alle loro vite. Certo, la paura è tanta, molti hanno rivissuto lo stesso terrore del 7 luglio del 2005, quando l’intero sistema di trasporti pubblici londinesi fu duramente colpito, causando 52 vittime. E sono proprio le parole del sindaco Sadiq Kahn che mostrano nella loro completezza lo spirito combattivo dei londinesi: “Come Londra ha dimostrato più volte, non saremo mai intimiditi o sconfitti dal terrorismo”.
Il tragico risveglio di Livorno: 6 morti e 2 dispersi. Il Sindaco Nogarin chiede lo stato di calamità.
Nella notte del 10 settembre il forte maltempo ha colpito la città di Livorno, creando numerosi danni e portando al decesso di sei persone. Il Sindaco Nogarin ha chiesto lo Stato di Calamità, mentre il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e l’assessore Funaro nel pomeriggio si sono recati nella città.
Alle ore 23:00 di sabato 9 settembre sono iniziate le piogge che hanno proseguito sino alle 4:00 di notte con grande intensità, sino al culmine che ha portato alla caduta di 20 centimetri di pioggia tra le 1:45 e le 2:00 di notte. Questo è quanto spiega la Protezione Civile che già ieri aveva emanato allerta arancione per maltempo per tutta la giornata di domenica. Nessuno però si aspettava una portata come quella che si è verificata.
La zona più colpita è quella a sud della città, a causa dell’esondazione dei rii Ardenza, Felciaio e Maggiore. Nei quartieri di Collinaia, Ardenza e Montenero il fango ha invaso le case, mentre nel quartiere di Salviano numerose sono le persone sfollate. È crollato anche il ponte alla foce del fiume Chioma, nella zona di Quercianella, che collega il paese a un residence. Le persone che si trovavano all’interno di questo residence- una cinquantina- sono state tratte in salvo grazie all’ausilio dei vigili del fuoco e dei volontari della pubblica assistenza, che hanno usato il ponte ferroviario soprastante. Già dalla notte è stata aperta la Sala Operativa Regionale delle Misericordie con il compito di coordinare l’azione dei vari nuclei di soccorso. Intanto, a Montenero, è accorso anche il presidente regionale delle Misericordie, Alberto Corsinovi, mentre i volontari sono in azione già dall’alba per spalare il fango e rendere più agibili i soccorsi. Per supportare i comandi provinciali interessati dagli eventi meteo, è stata attivata la sala operativa provinciale dove è intervenuta anche la Protezione Civile della Regione Toscana. Sempre nella stessa sede si è costituito un Cento Coordinamento della Prefettura alla presenza del sindaco. I vigili del fuoco hanno dichiarato che "la zona maggiormente colpita è quella del tratto del Rio Ardenza che va da via di Popogna alla zona della chiesa dell'Apparizione. Inoltre sono stati interessati gli appartamenti che si trovano sotto il piano stradale di via N. Sauro e viale Italia". Ed è proprio in queste zone che sono state trovate le sei vittime del nubifragio. Tra questi vi è una famiglia di quattro persone che abitava in un appartamento sotto il livello della strada in via Nazario Sauro. L’unica superstite è una bambina di tre anni tratta in salvo dal nonno che, dopo essere rientrato in casa nel tentativo di salvare il secondo nipotino, ha perso la vita. Un'altra persona è deceduta in via della Fontanella, nella zona tra Monterotondo- Montenero: si tratta di un uomo di 70 anni. La moglie e la figlia, invece, si sono salvate salendo sul tetto. La sesta vittima è stata ritrovata a Montenero, in via Sant'Alò: un uomo di 44 anni di Carrara. Vi sono ancora due dispersi e si teme che il numero delle vittime sia destinato a salire. Questa mattina, già alle ore 11:00, le richieste di soccorso erano superiori alle 170. La protezione civile della regione Toscana ha attivato la colonna mobile per le emergenze, composta da 300 volontari, di cui 100 appartenenti alla Protezione civile e 200 ai vigili del fuoco.
Nel primo pomeriggio, presso il centro della Protezione civile in via Terreni, sono giunti il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, accompagnato dall’assessore regionale all’ambiente e alla protezione civile Federica Fratoni.
Lo stesso assessore Fratoni, in un’intervista telefonica per Controradio Firenze, ha dichiarato che si tratta di “un evento di una drammaticità unica e di una violenza climatologica abbastanza imprevedibile. […] Soprattutto è un fenomeno che si è abbattuto sul tessuto urbano della città, quindi non ha colpito né il mare da un lato né le zone di campagna, dove poteva filtrare questa acqua che, invece, è stata tutta in deflusso e quindi ha provocato quello che abbiamo visto”. La provincia di Livorno aveva già cominciato il monitoraggio alcune ore prima della mezzanotte, vista l’allerta arancione già dichiarata, ma, proprio come ha confermato l’assessore: “è chiaro che eventi di questa natura e di questa concentrazione, nella potenza e nella circoscrizione territoriale, sono anche di difficile previsione nella loro totalità. […] Si tratta ora di analizzare bene cosa è successo e capire se e dove ci sono state delle carenze”. Sempre ai microfoni di Controradio Firenze, il sindaco di Livorno Filippo Nogarin ha dichiarato: “È una situazione incredibile. Ci sono questi eventi che accadono e purtroppo dalla gestione di semplici allagamenti ci si trova a dover gestire un’onda mortale che ha colpito la città”. Ha poi aggiunto: “Noi siamo qui che stiamo gestendo ma credetemi, la città è letteralmente in ginocchio. […] Livorno ha bisogno di volontari e della forza di rimettersi in piedi al più presto per ripristinare la quotidianità, che non sarà assolutamente così scontata”. Sempre il sindaco Nogarin si è raccomandato con la popolazione di non recarsi nelle zone della città maggiormente interessate dai fenomeni, onde consentire il più agevole e possibile svolgimento degli interventi di soccorso. Nel mentre, è stato chiesto lo stato di calamità, che verrà avanzato domani dalla regione Toscana al governo. Intanto, il Consiglio regionale della Toscana ha messo a disposizione 300mila euro, derivati dal taglio dei vitalizi, per aiutare le persone che hanno riportato danni per il maltempo a Livorno. Questo è quanto espresso dal Presidente del Consiglio regionale della Toscana Eugenio Giani, che ha espresso vicinanza ai livornesi. La proposta verrà formulata ufficialmente all’assemblea regionale di martedì prossimo, "quando ricorderemo le vittime di questa tragedia. Il dramma di Livorno è il dramma di tutta la Toscana". Giani oggi sarà a Livorno.
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Immagine 1- Metoweb http://www.meteoweb.eu/wp-content/uploads/2012/10/livorno.jpg Immagine 2- Controradio Firenze http://www.controradio.it/wp-content/uploads/2017/09/casa-alla.jpg Immagine 3- Il Fatto Quotidiano https://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2017/09/Livorno8-990x647.png
I problemi a Washington e l’arrembante politica estera di Parigi
Nella settimana appena conclusa, l’amministrazione Trump è stata così tanto al centro delle cronache, che non è semplice riassumere il tutto in poche righe. Anzitutto, è stato bocciato – forse definitivamente – il tentativo di abolire l’Obamacare, la riforma sanitaria promossa dal precedente inquilino della Casa Bianca, grazie anche ai voti di alcuni senatori repubblicani. Tra questi, l’eroe di guerra John McCain, nel 2008 candidato alla Presidenza, che nonostante le condizioni di salute (ha recentemente annunciato di avere un tumore al cervello) si è recato a Capitol Hill e ha votato contro; come lui si sono comportate anche Susan Collins e Lisa Murkowski. Dei 100 membri del Senato degli Stati Uniti, 52 sono affiliati al Partito Repubblicano, lo stesso che ha espresso il presidente attuale. Eppure, convincerli tutti è stato impossibile, sia sulle nuove riforme proposte per sostituire quella attuale, sia sull’abolizione drastica della stessa. Il voto di giovedì, infatti, riguardava solo l’eliminazione di Obamacare, in quanto le riforme proposte in precedenza erano state tutte bocciate. Certamente milioni di persone sarebbero rimaste temporaneamente senza copertura assicurativa (sedici, secondo le stime), ma – prometteva Trump – solo in questo modo il Parlamento avrebbe avuto la spinta necessaria a votare rapidamente una nuova riforma. Evidentemente, McCain, Collins e Murkowski non erano dello stesso avviso, facendo saltare per l’ennesima volta un provvedimento fondante del programma elettorale repubblicano.
A sei mesi dall’insediamento, insomma, Trump non si trova in una situazione positiva. Mentre i suoi consensi a livello nazionale continuano a scendere, il suo staff rimane dilaniato dalle divisioni interne. Il nuovo responsabile della comunicazione, il finanziere Anthony Scaramucci, è stato nominato in quanto “difendeva bene Trump in TV” e ha già fatto parlare di sé per una delirante telefonata ad un giornalista del New Yorker (la trovate qui). Vedremo meglio nei prossimi mesi se Mouche (il suo soprannome) si intende davvero di comunicazione, o la sua nomina è l’ennesimo colpo di testa del presidente americano; fatto sta che il suo arrivo ha già fatto saltare due teste: il capo ufficio stampa Sean Spicer, che si è dimesso sentendosi scavalcato, e il capo dello staff presidenziale Rince Priebus, che aveva problemi con lui e soprattutto con Trump, ed è stato sostituito dall’ex generale John Kelly. C’è poi la questione dei rapporti con la Russia, in quanto l’inchiesta sul possibile inquinamento del voto presidenziale del 2016 procede speditamente, e il Parlamento USA ha approvato a larghissima maggioranza (2 contrari al Senato e 3 alla Camera) le sanzioni contro il governo di Vladimir Putin. Per Trump, che ha sempre sostenuto una politica di distensione, firmare la richiesta di sanzioni è un colpo durissimo, ma usare il diritto di veto potrebbe essere controproducente: da un lato delegittimerebbe le Camere, dall’altro darebbe il fianco alle accuse di eccessivo “filoputinismo”. *** Saltiamo dall’altro lato dell’Atlantico per parlare in breve di Emmanuel Macron, che appena eletto si è fatto riconoscere per una politica estera particolarmente aggressiva ed irruente. Tra gli annunci degli ultimi giorni, la creazione di hotspot in Libia (e forse Niger) da parte dello stato francese, anche senza l’aiuto dell’Unione Europea. Gli hotspot sono i centri di identificazione dei migranti, attualmente in territorio europeo (Italia, soprattutto, ma anche Grecia e Libia). Collocarli al di fuori dei confini dell’Unione potrebbe evitare le tragedie del mare, suggerisce il presidente francese, dimenticandosi che un annuncio del genere non ha comunque alcuno studio di fattibilità alle spalle, e soprattutto è irrispettoso delle prerogative dell’UE e dell’Italia, il paese che più ha a che fare con i rifugiati nordafricani. La sera stessa di giovedì, Macron ha chiamato il nostro Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni per chiarire che la sua era una proposta da discutere ed integrare. Nella telefonata tra Parigi e Roma, non si è parlato solo di migranti, ma anche della questione di Stx France, società che controlla i cantieri navali di Saint Nazaire. Sabato scorso doveva avvenire la cessione del 66,67% dell’azienda all’italiana Fincantieri, ma il governo francese ha esercitato il diritto di prelazione e impedito la cessione delle quote, giustificandosi con la volontà di mantenere il controllo di un settore economico strategico. Ve lo sareste aspettato da un europeista e liberale come Macron? Immagini tratte da: - L'immagine di copertina è un'elaborazione grafica sulla base di https://thedailybanter.com/.image/c_limit%2Ccs_srgb%2Cq_80%2Cw_960/MTQ2NjUzNTA4Mzc5MDkyODU1/trump-ap.jpg e http://doblellave.com/wp-content/uploads/2017/05/Doblellave-Emmanuel-Macron-sera%CC%81-el-pro%CC%81ximo-presidente-de-Francia-1200x520.jpg. 22/7/2017 Dopo il G8 di Genova, il reato di tortura: un passo avanti nella nostra democrazia?Read Now
Sedici anni fa, l’Italia si svegliava scossa dai fatti avvenuti nella notte del 21 luglio all’interno delle scuole Diaz, Pertini e Pascoli, ospitanti le sedi del Genoa Social Forum. Dalle ore 22 a mezzanotte, reparti mobili della Polizia di Stato fecero irruzione dando vita a quella che, da molti, venne definita una vera e propria “macelleria messicana”. 93 attivisti fermati, 82 feriti. Tra gli arrestati 63 furono portati in ospedale, di cui 3 in prognosi riservata e uno in coma.
I più sfortunati, se così si possono definire, furono portati nella caserma del reparto mobile di Genova Bolzaneto, istituita come luogo di smistamento momentaneo degli arrestati in piazza. Al contrario della destinazione iniziale, questa divenne, per tre lunghi e interminabili giorni, un luogo di tortura e vessazione. Nelle celle tutti vennero picchiati, insultati, minacciati. Obbligati a latrare come cani, ragliare come asini, inneggiare frasi fasciste e cantare canzonette. Uomini e donne vennero violati nella loro intimità, privati di tutto, costretti a rimanere per ore in piedi, nudi, davanti agli occhi e alle battute dei poliziotti. «Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?» è una delle frasi più gettonate, che non fa distinzione di genere. Gambe larghe, in piedi, braccia alte al muro, questa è la posizione che tutti i testimoni di Bolzaneto hanno impressa nella loro mente. Costretti a stare così per ore, senza potersi muovere e sotto le minacce, le umiliazioni verbali e le percosse dei poliziotti. Tutto questo avvenne dinanzi agli occhi di medici che non mossero obiezione. Anzi, i membri del personale sanitario non furono da meno e continuarono a perpetrare le stesse violenze dei loro colleghi poliziotti. Per i pubblici ministeri, «i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno omesso di intervenire pur potendolo fare». Tutti questi fatti sono rimasti impuniti in Italia poiché, all’epoca, mancava il reato di tortura. Quest’ultimo è stato introdotto solo quest’estate, precisamente il 5 luglio, a ben 30 anni di distanza dall’entrata in vigore della Convenzione Onu contro la Tortura. Sicuramente si tratta di una legge necessaria, in quanto l’Italia è ritenuta una Repubblica fondata sulla Democrazia e sul rispetto dei diritti umani. Una legge che si spera possa cambiare tante cose nel nostro modo di concepire la giustizia, la nostra libertà di espressione e il nostro senso di sicurezza. In merito a questo tema abbiamo deciso di intervistare il Presidente di Amnesty International Italia- Antonio Marchesi- per avere qualche delucidazione maggiore su questo nuovo e fondamentale reato. Ci sono voluti quattro anni perché il Parlamento approvasse la legge che introduce il reato di Tortura nel nostro ordinamento. Quattro anni di stop and go, che hanno sentito delle divisioni tra le forze politiche. L’iter del provvedimento, frutto della sintesi di 11 diverse proposte di legge, è stato particolarmente complicato: iniziato al Senato esattamente il 22 luglio del 2013 è stato più volte modificato nei passaggi tra i due rami del Parlamento; durante l’ultimo esame il testo non ha subito ulteriori modifiche. Giunti a questo punto, ci siamo chiesti cosa viene stabilito nel Decreto legge che condanna la Tortura nel nostro paese. Il Presidente Marchesi ci ha risposto dicendo che questa nuova legge “prevede, innanzitutto, un reato specifico sulla tortura, che sino a ora mancava. Questo, probabilmente, costituisce l’aspetto più importante. Poi vi sono una serie di altre norme che riguardano la non utilizzabilità delle informazioni ottenute mediante tortura, l’impossibilità di allontanare qualcuno a forza verso un paese in cui rischia tortura e altri aspetti che vanno al di là della definizione del reato”.
Un testo che, però, nella definizione del reato non è del tutto coerente con le Convenzioni Onu contro la Tortura. Motivo per cui Amnesty ha avanzato e tutt’ora avanza la sua perplessità. “Testo controverso, innanzitutto per l’impostazione generale; è molto lungo, piuttosto confuso. – Dichiara il Presidente Marchesi- Ha una formula che sembra restringere più della convenzione Onu, soprattutto sul tema della tortura mentale, che causa sofferenza psichica alla vittima. Ci sono dei plurali e delle formule che fanno pensare che la tortura sia soltanto quella ripetuta più volte. La cosa positiva, però, è che, dopo quasi 30anni dalla ratifica della convenzione Onu contro l’uso della tortura, l’Italia ha un reato specifico e quindi nelle aule dei tribunali, laddove ve ne siano poi i presupposti, si potrà parlare di tortura e non nasconderla dietro gli abusi, le lesioni, i reati generici che alla fine si traducono nell’impunità o nella quasi impunità dei responsabili”.
Il Presidente Marchesi ci fa anche notare che: “Gli ostacoli alla punizione a volte sono anche di altro tipo, non bisogna pensare che quella del reato di Tortura sia l’unica lacuna normativa”. Infatti, proprio come viene sottolineato dal Presidente, vi sono altri problemi fondamentali, relativi alla ricostruzione dei fatti, all’omertà, ai vari depistaggi e “all’idea che si debbano coprire le persone appartenenti al proprio corpo di polizia a prescindere da quello che hanno fatto o non fatto. Tutti questi sono fattori che impediscono di ottenere verità e giustizia al di là del tipo di incriminazione che si può fare”. Pone poi la sua attenzione su un altro tema fondamentale, e molte volte discusso, quello della mancanza di un identificativo che permetta di riconoscere i responsabili individuali dei fatti. “Persino nel caso di Genova un aspetto che cerco di sottolineare sempre è che molti degli agenti coinvolti nel maltrattamento della Diaz non sono mai stati individuati perché coperti in volto, alcuni avevano la sciarpa e sul casco mancava un identificativo alfanumerico. Quindi tra coloro che sono stati processati mancano molti degli esecutori materiali di quei maltrattamenti”. Al contrario di quanto sostengono i sindacati di polizia, infatti, il reato di tortura è una tutela fondamentale per il corpo stesso in quanto verrà presa in considerazione la responsabilità penale del singolo, mantenendo così l’integrità e la credibilità dell’Istituzione. Su questo aspetto insiste anche il Presidente Marchesi, che sostiene: “Nessuno ce l’ha con le forze di polizia in quanto tali. Se la loro cultura tende ad attribuire a questo reato uno scopo di aggressione all’Arma evidentemente vi è un grosso problema”. Un aiuto fondamentale per il nostro paese, nella definizione di questo reato, è giunto dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Senza le sanzioni giunte da Strasburgo, l’Italia non avrebbe mai preso consapevolezza sulla necessità di introdurre un simile reato nel nostro ordinamento. Secondo il Presidente Marchesi queste disposizioni “hanno spinto il Governo, la maggioranza politica e il Parlamento nel senso dell’introduzione del reato di Tortura. Ovviamente, non ho la possibilità di dirlo in maniera certa però so che indubbiamente hanno pesato”. In conclusione, possiamo quindi definire la nuova legge sul reato di tortura come un passo avanti. Certo, niente di eclatante vista l’importanza della questione e visti gli anni passati dalla firma della Convenzione Onu, ma come ci ha ricordato il Presidente Marchesi: “Le battaglie per i diritti umani sono fatte di piccoli passi avanti”. Ciò nonostante, non nega che: “Avremo voluto un passo più grosso ma questo è quello che abbiamo ottenuto ed è meglio di niente. Se non fosse passato questo testo, l’unica alternativa realistica sarebbe stata quella di ricominciare da capo con un’altra legge”. Alle numerose dichiarazioni che sostengono: “Meglio non avere niente che un qualcosa di così incompleto”, Amnesty International risponde: “È una posizione che, seppur molto diffusa, non è da noi condivisa. Il ‘meglio niente’, tutto sommato, fa comodo a chi è contrario a qualsiasi forma di criminalizzazione della tortura perché poi alla fine il risultato è lo stesso”.
A questo punto non ci resta che sperare nell’efficacia di questa legge e nella possibilità che qualcosa possa migliorare nel futuro. Per troppo tempo il nostro paese si è reso “complice” di casi di impunità. E chissà se, magari, questo reato potrà portare un po’ di pace a quelle famiglie- quali quella Cucchi, Aldrovandi, Uva, Magherini, per citarne alcune- che, per anni, al dolore per la perdita di un caro hanno dovuto affiancare una guerra contro un sistema giuridico incompleto, che non ha mai dato alla tortura la sua vera definizione, ovvero quella di crimine di Stato.
Immagini tratte da: Almasio Cavivvhioni Il Fatto Quotidiano Internazionale
La gaffe sull’immigrazione in cui è incappato il Partito Democratico negli ultimi giorni è solo l’ultimo episodio di una storia che non accenna ad arrestarsi. Il manifesto, prontamente rimosso dai responsabili della comunicazione, ha colpito l’immaginario collettivo non tanto per il suo significato intrinseco quanto per un’espressione ormai celeberrima: “aiutiamoli a casa loro”. Espressione attinta senza mediazioni dal lessico leghista (posto che la Lega Nord rappresenta attualmente la destra, estrema o no, in Italia), espressione che rimanda a un’idea comoda, razionale, finanche giusta, ma concretamente priva di senso. Tale passaggio merita profonda attenzione, al di là del dato politico al quale si può pervenire alla fine di un ragionamento puramente linguistico.
Perché la sinistra ha bisogno di usare le parole della destra? Probabilmente perché le parole della sinistra non hanno presa sull’elettorato in quanto complesse, ragionate, a volte contorte. La spiegazione è squallida ma piuttosto aderente alla realtà. Non è un caso che i partiti socialisti, socialdemocratici, socialqualcosa di mezza Europa siano al loro perielio storico rispetto ai partiti nazionalisti, sovranisti, fascisti o quant’altro: la “sinistra” tutta (sia consentito chiamarla così per semplicità) sta rincorrendo l’elettorato liquido senza proporre alcuna soluzione “di sinistra” ai problemi del terrorismo, dell’immigrazione, della disoccupazione. L’episodio da cui siamo partiti è l’emblema, la prova provata di questa corsa agli armamenti propagandistici. Ma il Partito Democratico, in realtà, ha iniziato la sua corsa molto tempo addietro. L’ultima legislatura in cui, tolti alcuni incidenti di percorso in Senato, il Pd ha ottenuto stabilmente la maggioranza in Parlamento, ha visto un’escalation di destrizzazione del centro-sinistra. Sia chiaro: non è di per sé un male, non è di per sé un bene. É un dato di fatto con cui dobbiamo fare i conti per leggere meglio la realtà che ci si presenta davanti e per scegliere con cognizione di causa i futuri onorevoli che tra pochi mesi saremo chiamati a eleggere. In principio era il Lavoro il motore trainante delle forze comuniste e socialiste: le leggi in ambito giuslavoristico promosse dal Partito Democratico sono un sostegno galoppante alle imprese, con una riduzione corposa degli ambiti di tutela dei dipendenti. Le politiche neoliberiste sono perfettamente integrate dal Jobs Act: i risultati in termini di disoccupazione sono ardui da leggere, oscillanti. A due anni e quattro mesi dal varo del ‘contratto a tutele crescenti’ possiamo concludere che una spinta occupazionale si è avuta in modo estemporaneo, a macchia di leopardo, influenzata enormemente dagli sgravi contributivi per le imprese, ma obiettivamente si è rimasti lontani dai miracoli preannunciati. Senza contare che occorre considerare, in quest’analisi, dei fattori legati all’andamento dei mercati occidentali per i quali hanno scarsa rilevanza le norme interne. Venne poi l’epoca della polemica con l’Europa: anche qui il lessico è stato oggetto di una rapina a volto scoperto dai serbatoi della destra. Su tutte, il famoso “battere i pugni sul tavolo” riguardo i vincoli economici comunitari. Non si sono mai visti questi pugni, forse perché ai tavoli europei non ci siamo quasi mai. Come non ricordare poi, nei tempi recenti, il “daspo urbano” del ministro Minniti: un provvedimento curioso, che surroga un procedimento penale e attribuisce ai Sindaci un potere sanzionatorio normalmente appannaggio dei giudici, consistente nell’allontanamento dal territorio del comune di chi commette atti vandalici o affini. Un pasticcio giuridico dal sapore mediatico: un vandalo a Milano non lo è a Napoli? Chi sfascia un’opera d’arte a Firenze non potrebbe farlo anche a Roma? Ennesimi tentativi di chiudere gli occhi sul problema giudiziario e scaricarne il peso su altre figure. Da ultimo, come accennato sopra, la questione migratoria, con questo sugello “aiutiamoli a casa loro” degno di Matteo, sì, ma di quello padano. Probabilmente, fiutando il pericolo di lasciare temi così caldi alla destra, il Partito Democratico continua nella sua opera di maquillage per stare sempre più al centro e raccogliere tutto e il contrario di tutto. Peccato notare, come sempre, che a parità di proposte un elettore sceglierà sempre l’originale: è una banale legge di marketing che il Pd prova a ignorare. Scontato dire che saranno gli elettori, nel segreto dell’urna, a ignorare i Renziboys che continuano, nel solco della peggior sinistra degli ultimi venti anni, a regalare il paese al peggior offerente. |
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Novembre 2020
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