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27/6/2016

Il rischio (non) calcolato

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David Cameron, il premier che puntò carriera e unità nazionale sul risultato di un referendum
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​di Alessandro Ferri
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FotoDavid Cameron, nato a Londra il 9 ottobre 1966
Un premier relativamente giovane (49 anni) che basa il proprio mandato sul risultato di un referendum e si vede costretto a rassegnare le dimissioni dopo averlo perso. No, non stiamo facendo previsioni su quanto accadrà in Italia dopo la consultazione sulle riforme di ottobre, ma stiamo parlando del secondo mandato di David William Donald Cameron, primo ministro del Regno Unito dall’11 maggio 2010. Venerdì scorso, a seguito dell’annuncio dei risultati del voto sulla Brexit, Cameron ha riconosciuto la sconfitta della propria posizione (rimanere nell’Unione Europea), spiegando che a guidare il governo britannico fuori dall’Europa sarà il nuovo leader del partito conservatore, da eleggere nel congresso dei Tories di ottobre.
Già una volta Cameron aveva legato la propria carriera ai risultati di un referendum: il 18 settembre 2014, i cittadini scozzesi ebbero la possibilità di decidere sulla permanenza del proprio paese nel Regno Unito, che confermarono con il 55,3% dei suffragi. All’epoca, il giovane politico conservatore rischiò grosso, ma si vide premiato dai risultati del voto, al punto da ottenere, l’anno successivo, un significativo successo elettorale (330 deputati alla Camera dei Comuni, quattro seggi in più della soglia per la maggioranza assoluta). Se il suo primo mandato era stato un governo di coalizione con i Liberal-Democratici (partito di grande successo nel 2010, poi rapidamente declinato), nel 2015 non ebbe bisogno di apporti esterni, guidando un gabinetto esclusivamente conservatore. Ma la vittoria alle politiche dell’anno scorso ha avuto i suoi costi.

FotoIl logo dell’UKIP di Nigel Farage
Benché la Gran Bretagna faccia parte dell’Europa dagli anni Settanta, le elezioni europee non hanno mai suscitato grande interesse oltre la Manica – molto meno che da noi. Alle ultime Europee (2014), solo il 35,6% dei cittadini del regno si sono recate alle urne, determinando un risultato inaspettato: la lista più votata è stata l’UKIP, “Partito per l’indipendenza del Regno Unito”, guidato da Nigel Farage. L’UKIP è un movimento euroscettico e sciovinista, nato da una scissione a destra dei Conservatori, che ha impostato il proprio consenso sull’idea che ogni problema del Regno Unito sia dovuto all’immigrazione, e che questa sia conseguenza della presenza nell’Unione Europea. 24 dei 73 seggi britannici al Parlamento Europeo sono occupati da deputati UKIP, che tra l’altro hanno costituito un gruppo unitario con i deputati del Movimento 5 Stelle (“Europa della Libertà e della Democrazia Diretta”).
Alle Politiche del 2015, Cameron si è visto costretto a tappare questa falla alla propria destra, in quanto Ed Miliband, suo sfidante laburista, si è orientato decisamente a sinistra e non ha proposto politiche appetibili ai moderati (anzi, in Scozia è stato superato da un partito ancora più a sinistra, lo Scottish National Party di Nicola Sturgeon). L’unico modo per recuperare il voto degli euroscettici era promettere un referendum sulla permanenza o meno del Regno nell’Unione Europea, sancita da un voto popolare nel lontano 1975. Se c’era riuscito con gli indipendentisti scozzesi, perché non avrebbe potuto accontentare lo sparuto drappello di Conservatori nazionalisti e di elettori dell’UKIP? Il referendum avrebbe visto vincere il REMAIN, lo confermavano i sondaggi, e avrebbe cementato il prestigio di Cameron.

FotoI favorevoli alla permanenza divisi per classe d’età. Appare evidente che i giovani erano i più interessati alla permanenza
I risultati del 23 giugno hanno smentito le speranze del giovane premier. Il barbaro assassinio di Jo Cox, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, non ha aumentato i consensi a favore della permanenza, nonostante le previsioni della stampa. A ben vedere, si è trattata di una vittoria combattuta – 52% contro 48%, con un’affluenza del 72,21% – e che ha visto una netta divisione anagrafica e geografica: i giovani in larghissima percentuale a favore dell’Europa, i più anziani per l’uscita; scozzesi e abitanti dell’Ulster per il REMAIN, inglesi e gallesi per il LEAVE. Il problema non è solo economico, ma anche politico. È plausibile – anzi ci sono state già dichiarazioni illustri in questo senso – che presto l’Irlanda del Nord e la Scozia faranno richiesta di un referendum per la propria indipendenza, in modo da poter rientrare nell’Unione Europea. È vero che in Scozia si è votato sullo stesso tema solo due anni fa, ma il cambiamento è così epocale da rendere ammissibile questo esito. Che il 23 giugno 2016 sia l’inizio della fine del Regno Unito? Fra pochi anni, non parleremo più di Gran Bretagna? Ad essere onesti, le strade aperte da questo risultato sono tante. Da un lato, gli euroscettici di tutta Europa, lepenisti francesi in testa (ma anche i nostri leghisti), sono pronti a proporre referendum simili nei propri paesi. Dall’altro, se lo scenario di una dissoluzione del Regno Unito si concretizzasse, conquisterebbero margini di manovra i movimenti indipendentisti in Belgio e Spagna.
Eh già, perché ieri si è votato per il nuovo governo spagnolo. Vi ricordate come erano andate a finire le elezioni di dicembre? Vinsero tutti e non vinse nessuno. Podemos, Ciudadanos, Socialisti, Popolari... nessuno in grado di formare un governo, per via dei veti incrociati, e Filippo VI costretto a sciogliere le Cortes. La prossima settimana vedremo nel dettaglio i risultati del voto.

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I risultati per circoscrizione: i favorevoli alla permanenza nell’UE in verde e i “separatisti” in blu
Ma torniamo a Cameron: a succedergli quale nuovo premier conservatore sarà probabilmente il più illustre esponente del fronte del LEAVE, quello che diceva di avere più possibilità di “reincarnarsi in un olivo, piuttosto che diventare premier”: Boris Johnson. Anche tra i laburisti c’è aria di cambiamento, e in molti si stanno operando per far dimettere Jeremy Corbin (odiato dalla corrente moderata del partito).
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Le prime pagine del tabloid Sun, a favore della Brexit, e del molto più scettico Guardian
Sarebbe lungo spiegare come avverrà la procedura di separazione “non consensuale” (per usare le parole del Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker) tra Europa e Gran Bretagna, che troverete ben spiegata nelle fonti. Quel che è certo è che non tutti cantano vittoria: l’immediato crollo della sterlina, così come la decisione di molte multinazionali di spostare la propria sede a Dublino o in altra capitale UE, hanno condizionato non di poco l’economia inglese e mondiale. Al momento in cui vi scrivo, la petizione popolare a favore di un referendum bis sul sito del governo britannico ha raggiunto la cifra record di 2.955.231 firme (per essere presentata all’attenzione del parlamento, ne bastavano 100.000), e si moltiplicano le lettere aperte a favore dell’integrazione. Sadiq Kahn, sindaco di Londra, una delle roccaforti del REMAIN, ha scritto che:

we all have a responsibility to now seek to heal the divisions that have emerged throughout this campaign - and to focus on what unites us, rather than that which divides us.
Abbiamo tutti la responsabilità di cercare adesso di sanare le divisioni che sono emerse durante la campagna, e di fare il punto su quello che ci unisce, piuttosto che su quello che ci divide.

“Quello che ci unisce, piuttosto che quello che ci divide”: le parole più note di Jo Cox. La Gran Bretagna, per decenni faro di integrazione e multiculturalismo, ha pensato che fosse meglio alzare delle barriere, per proteggersi dal minaccioso vento del cambiamento. La Storia insegna che anche il muro più potente, prima o poi, è destinato a cadere. I nostri occhi, da questo lato del muro, saranno rivolti alla Manica.
Fonti:

  • [inglese] Prima di tutto, i risultati precisi del referendum (https://en.wikipedia.org/wiki/United_Kingdom_European_Union_membership_referendum,_2016) e, per i feticisti, quelli del 1975 (https://en.wikipedia.org/wiki/United_Kingdom_European_Communities_membership_referendum,_1975);
  • Il dettagliato speciale del Corriere della Sera sulla campagna referendaria, http://www.corriere.it/esteri/brexit/;
  • Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon sulla possibilità di un secondo referendum, http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/La-premier-Sturgeon-il-futuro-della-Scozia-in-Unione-europea-4db1c5e6-5578-45dc-bfd6-2fbdaa34f7f2.html;
  • Un’interessante analisi dell’economista Marco Simoni pubblicata sul Post, http://www.ilpost.it/marcosimoni/2016/06/24/brexit-commento/;
  • Cosa succede adesso, http://www.ilpost.it/2016/06/24/brexit-cosa-succede-adesso/, e le conseguenze per gli italiani, http://www.ilpost.it/2016/06/24/cosa-cambia-brexit-italiani/;
  • Un assaggio della fronda laburista, http://www.repubblica.it/esteri/2016/06/26/news/brexit_scontro_nel_labour_corbyn_silura_il_ministro_degli_esteri_ombra_-142831387/ e http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-06-26/dopo-brexit-labour-caos-sollevazione-contro-jeremy-corbyn-105404.shtml?uuid=ADeNpVj;
  • Le conseguenze economiche, http://www.repubblica.it/economia/2016/06/24/news/domanda_e_risposta_che_succede_a_economia_e_borse-142721350/;
  • [inglese] La petizione al governo britannico su un secondo referendum, https://petition.parliament.uk/petitions/131215;
  • [inglese] Il post su Facebook di Sadiq Khan, https://www.facebook.com/sadiqforlondon/posts/1176236902429095;
  • La bella lettera di Mario Calabresi di Repubblica ai giovani europei, http://www.repubblica.it/esteri/2016/06/25/news/calabresi_brexit_giovani-142765998/?ref=HRER2-1;
  • Le polemiche in Italia: chi dice che è una vittoria del popolo vero, contro i figli di papà senza preoccupazioni (http://www.huffingtonpost.it/daniele-scalea/brexit-rassegnatevi-il-voto-dei-poveri-e-degli-ignoranti-conta-quanto-il-vostro_b_10664694.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001), e chi dice che non sempre il popolo ha ragione (Roberto Saviano, https://www.facebook.com/RobertoSavianoFanpage/posts/10153733625011864).
Immagini tratte da:
  • Un seggio per il voto di giovedì, foto di LavaBaron – Lavoro personale, CC BY-SA 4.0
  • David Cameron, di Willwal – Lavoro personale, GFDL
  • Il voto per età, grafico di Yougov tratto da http://www.mirror.co.uk/news/uk-news/young-voters-wanted-brexit-least-8271517;
  • Il voto per circoscrizione, tratto da Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0

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