Un po’ di chiarezza sul Referendum di domenica prossima Dopo il “viaggio” a Cuba della scorsa settimana, ho deciso di rimanere in Italia per questa nuova finestra sull’attualità. L’argomento è davvero attuale, perché tra le 7 e le 23 di domenica 17 aprile 46.887.562 cittadini italiani, nonché 3.898.778 residenti all’estero, sono chiamati a votare al referendum “sulle trivelle”. Cerchiamo di capire cos’è, e quali sono le possibilità che ha un elettore. Anzitutto, è un referendum abrogativo, vale a dire uno strumento previsto dall’articolo 75 della Costituzione per permettere ai cittadini di esprimersi direttamente su una legge. Il cittadino può votare Sì o No. Votando sì, intende abrogare, ossia annullare una legge o parte di essa, votando no intende lasciare la situazione così com’è. I referendum abrogativi, per essere validi, richiedono la partecipazione al voto di almeno la metà più uno degli aventi diritto (il famoso quorum), ossia oltre 25 milioni e mezzo di elettori. Non è una cosa così scontata: va ricordato che, negli ultimi vent’anni, su 28 quesiti posti agli italiani, solo 4 (i referendum su nucleare e acqua pubblica del giugno 2011) hanno raggiunto il risultato. Gli altri 24 sono stati dichiarati nulli. Quest’anno saremo chiamati a votare anche un’altra volta, prima di Natale, per approvare o meno le riforme costituzionali del governo. Si tratterà di un referendum costituzionale (articolo 138), “parente stretto” dell’abrogativo ma in cui non è necessario il quorum. Se andrete a votare (perché c’è anche l’opzione dell’astensione, ne parliamo tra un attimo), il solerte scrutatore vi consegnerà assieme alla matita, una scheda gialla con scritto: Volete voi che sia abrogato l'art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, "Norme in materia ambientale", come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)", limitatamente alle seguenti parole: "per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale"? Messa così, non è esattamente una cosa facile da spiegare. Andiamo allora a leggere questo comma 17 del decreto legislativo 152 (in grassetto la parte che verrebbe eliminata): Ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, [...] sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare [...]. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette [...]. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. In parole povere, dal 2006 non è più possibile cercare o estrarre idrocarburi liquidi e gassosi (petrolio e gas) entro le 12 miglia marine delle acque del nostro paese (circa 22 chilometri). Tuttavia, chi aveva già ottenuto concessioni (i “titoli abilitativi già rilasciati”) può ancora farlo. Il punto è: “per quanto?”. Il decreto del 2006 dice “per la durata di vita utile del giacimento”, cioè finché ci sarà gas o petrolio da estrarre; i promotori del referendum vorrebbero cancellare quella riga, in modo che l’estrazione si concluda quando finiscono le singole concessioni. Ad oggi, ci sono in Italia 130 impianti di estrazione di idrocarburi. Di questi, 48 si situano entro le 12 miglia marine dalla costa, molti dei quali in Emilia Romagna. Ne ricaviamo il 17,6% del gas italiano e il 9,1% del petrolio italiano (nel senso di “estratto in Italia”: i nostri consumi sono ovviamente molto più alti). Cosa succede se vince il Sì Tenendo conto delle concessioni esistenti, una vittoria del Sì provocherebbe la chiusura di tutti i 48 impianti entro il 2030. Non succederebbe niente agli altri 82 impianti oltre le 12 miglia, che non sono interessati dal quesito. Cosa succede se vince il No In pratica, i 48 impianti verranno dismessi quando non saranno più produttivi. Se ciò accadrà nel breve o nel lungo periodo, è tutto da vedere. ![]() Le ragioni del Sì La nota organizzazione ambientalista Greenpeace ha proposto le seguenti motivazioni a favore del sì:
Tra i partiti più grandi, si sono espressi a favore del sì il Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Sinistra Italiana, Lega Nord, Fratelli d’Italia - Alleanza Nazionale e i Verdi. Le ragioni di chi vota No È più difficile conoscerle, anche perché la maggior parte di coloro che non sono favorevoli al Referendum invitano più o meno esplicitamente direttamente all’astensione (vedi). Principale esponente del fronte del No è l’ex Presidente del Consiglio e Presidente della Commissione Europea Romano Prodi, che ha affermato: «Se dovessi votare al referendum, voterei no, e lo farei per mantenere gli investimenti fatti. Su questo non ho alcun dubbio, anche perché è un suicidio nazionale quello che stiamo facendo. È un tema importantissimo. Ci ho riflettuto bene e devo dire che mi sono sempre schierato sull'assoluta necessità di avere, ovviamente nella massima sicurezza, una produzione nazionale di idrocarburi, come hanno tutti i Paesi. Se non lo facciamo noi, nello stesso mare lo fanno altri». Successivamente, il politico ed economista bolognese ha confermato la propria intenzione di recarsi alle urne, affermando che «se uno è chiamato a votare, va a votare. Io sono un vecchio democratico». ![]() Le ragioni di chi non vota Come in ogni consultazione democratica, il cittadino può rifiutare di recarsi alle urne, contribuendo al mancato raggiungimento del quorum. A questo obiettivo punta il Comitato “Ottimisti & Razionali - NON VOTO” presieduto da Gianfranco Borghini, già deputato per il PCI e il PDS. Secondo O&R, «il catastrofismo non aiuta a crescere e a costruire il futuro. Il progresso avanza solo con lo sviluppo». L’obiettivo del comitato è dunque «contrastare paure, allarmi ingiustificati, luoghi comuni. E difendere davvero l’ambiente con il lavoro, e grazie alla ricerca, alla scienza e alla tecnica». Le ragioni del non voto sono state riassunte nei seguenti punti:
Ma il clima di incertezza non riguarda solo i Democratici. Alle tre posizioni che abbiamo presentato, infatti, si aggiunge l’inedito pilatismo della Conferenza Episcopale Italiana, espresso nelle ermetiche frasi di Monsignor Nunzio Galantino: «Non c'è un sì o un no da parte dei vescovi al referendum; il tema è interessante e che occorre porvi molta attenzione. Gli slogan non funzionano; bisogna piuttosto coinvolgere la gente a interessarsi alla questione. Il punto, quindi non è dichiararsi pro o contro alle trivelle, ma l'invito a creare spazi di incontro, di confronto». E voi, lettori del Termopolio, cosa farete domenica? Mi auguro che questa lunga incursione negli accidentati terreni della politica nazionale abbia risposto ai vostri dubbi. Fonti e approfondimenti
Immagini tratte da:
- Manifesto Comitato “NO TRIV” da: http://www.notriv.com/materiali/; - Logo Comitato “O&R - NON VOTO”, da: https://www.facebook.com/nonsprecareenergia/photos/pb.987465701337346.-2207520000.1460296224./99868328688225/?type=3theater; - Mappa delle concessioni da: https://catchy.cartodb.com/viz/13633cac-f72b-11e5-80db-0ecd1babdde5/public_map
2 Commenti
14/4/2016 19:40:44
ottimo riassunto delle posizioni.
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Alessandro Ferri
15/4/2016 23:09:33
Grazie, Luca! Ottima scelta, quella di seguire il Termopolio!
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