Dopo secoli di discriminazione, la quinta casta chiede la sacrosanta parità dei diritti.
Dall’inizio di agosto, il Gujarat e altre regioni dell’India sono percorse da agitazioni ad opera dei dalit o “intoccabili”, la casta più bassa della società indù. Con l’intenzione di ottenere una legge agraria che redistribuisca le terre – sono in larga parte contadini, ma raramente posseggono la terra che coltivano – e rivendicando la propria dignità contro ogni forma di discriminazione, hanno organizzato tra gli altri eventi una “lunga marcia” di 400 chilometri in dieci giorni (metà agosto), che ha attirato centinaia di manifestanti ed è stata oggetto di attacchi da parte di integralisti indù e movimenti di destra. Le agitazioni di questi mesi non sono una novità: già a gennaio, il suicidio di Rohith Vemula, studente universitario 26enne che si sentiva discriminato dal proprio ateneo in quanto dalit, aveva suscitato manifestazioni e picchetti, nonché almeno venti tentativi di imitarne le gesta.
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I dalit o paria costituiscono il 16% della popolazione indiana (circa 200 milioni di persone), e sono oggetto di innumerevoli casi di discriminazione: la Commissione Nazionale per le Caste Registrate del governo indiano ha contato, solo per l’anno 2014, 47.000 casi di “atrocità” ai loro danni. Se pensiamo che spesso gli atti di violenza contro le caste inferiori non vengono nemmeno denunciati alle autorità, per paura o complicità, la situazione appare drammatica. Ostacolati nello studio, nella ricerca di un lavoro e in quella di una casa, i paria appartengono agli strati più bassi della società indiana e raramente riescono ad accedere all’ascensore sociale.
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La suddivisione in caste della società indiana è tradizionalmente fatta risalire alla figura del dio creatore, Brahma. Dalla sua bocca sarebbe derivata la casta dei brahmini (dotti), dalle braccia i kshatriya (guerrieri e governanti), dalla pancia i vaishya (agricoltori e commercianti) e dai piedi gli shudra (i servitori). I dalit, la quinta ed ultima casta, sarebbero invece nati dalla polvere che ne ricopriva i piedi.
Il sistema delle caste è stato, per secoli, un rigido strumento di organizzazione della società: chi nasceva in quella o questa casta (a sua volta suddivisa in molteplici sottolivelli) non poteva svolgere il lavoro che desiderava, ma solo quello concesso ai suoi pari. I paria, in quanto appartenenti al livello più basso, potevano solo occuparsi di mestieri che comportano il contatto con materia organica: macellai, conciatori, crematori, ostetriche, netturbini. A causa di questo, diventavano “intoccabili”: non potevano avvicinarsi e neppure guardare i membri delle classi superiori, al punto da essere costretti a vivere lontano dai villaggi e da non poter usare strade e fontane pubbliche. ![]()
La Costituzione indiana, in vigore dal gennaio 1950, ha formalmente abolito le discriminazioni basate sulla casta e il concetto stesso di “intoccabilità” (articoli 15 e 17), ma le discriminazioni non sono cessate, al punto che è stato adottato un sistema di quote per le scuole e il pubblico impiego basato sulle caste: il 22,5% dei posti dovrebbero essere attribuiti a dalit. In realtà, queste quote sono raramente rispettate, e spesso vanno a rappresentare uno strumento per ghettizzare i dalit e impedire loro di accedere a lavori migliori. L’elezione del dalit K. R. Narayanan a presidente dell’India tra il 1997 e il 2002, non ha cambiato molto le cose (un po’ come l’elezione di Barack Obama negli USA non ha fatto cessare la discriminazione contro gli afroamericani, si potrebbe osservare). Se nei centri urbani il concetto di casta comincia a passare in secondo piano, nell’India rurale queste convinzioni ancestrali paiono ancora lontane dall’essere abbandonate.
Proprio nei giorni in cui si sono svolte le manifestazioni più partecipate, l’ONG Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto in cui ha descritto le misere condizioni di questa fascia di popolazione, spesso impiegata nella pulizia delle strade e costretta a raccogliere gli escrementi con le proprie mani. In genere, dopo questo degradante e rischioso lavoro, sono pagati con avanzi o vestiti vecchi, che nelle zone più arretrate gli vengono gettati contro, pur di evitare il contatto. Le autorità locali non solo non si esprimono contro simili pratiche, ma di frequente hanno agevolato il reclutamento dei dalit per ripulire le cloache. Le agitazioni di questi giorni contribuiranno a migliorare le loro condizioni? La presenza al potere del partito conservatore indù di Narendra Modi non pare la premessa migliore, e anzi è stata interpretata da molti come una delle cause della ribellione. Il primo ministro rifiuta le accuse e anzi ha pronunciato dichiarazioni forti contro le violenze anti-dalit: “sparate a me, non a gente che soffre da secoli”. La situazione è fluida, e i voti dei dalit fanno comodo a tutti.
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Novembre 2020
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