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E’ ormai notte a Budapest quando arrivano i risultati definitivi del referendum sugli immigrati voluto dal presidente Viktor Orban e dal suo partito di destra Fiedesz. La formazione politica in questione, che per definizione possiamo valutare come populista, nel senso peggiore del termine. In quale senso? Nel significato che dice al popolo quello che il popolo vuole sentirsi dire, come vuole sentirselo dire. E’ così che negli ultimi dieci anni, l’ex membro del Partito Comunista Ungherese prima della caduta del muro di Berlino, sfruttando una debolezza intrinseca della popolazione e una sua immaturità democratica, è salito al potere e lo ha mantenuto senza problemi.
Con riforme apertamente autoritarie e una continua sfida interna ad istituzioni indipendenti come la magistratura, ed esterna nei confronti in particolare dell’Unione Europea, alla quale vengono addossate tutte le cause dei problemi in cui versa il paese, si è ritrovato a godere di una maggioranza molto ampia, ma anche di una vasta popolarità. E’ così che nei mesi scorsi, certo di poter aumentare ulteriormente il proprio controllo sulle istituzioni democratiche, l’ultima proposta del presidente è stata quella di indire un referendum contro le politiche delle quote di redistribuzione dei migranti imposte dall’Europa.
La consultazione referendaria, di per sé, non aveva molto da dire, dato che numerosi sondaggi davano il fronte anti-immigrati in netta preponderanza. Quello che contava per rendere il risultato elettorale valido era arrivare all’agognato quorum del 50% dei votanti. Obiettivo non raggiunto.
I votanti si sono fermati al 43% degli aventi diritto, e poco importa a questo punto se il 95% circa di coloro che si sono recati ai seggi hanno votato a favore dell’ennesima scommessa di un regime simil-fascista mascherato da democrazia, e antieuropeista. Staremo a vedere quello che sul fronte immigrazionista succederà nelle prossime settimane, con Orban che proverà in tutti i modi a forzare comunque la mano sull’Europa. Il vero spunto di riflessione deve essere dato dal livello di democrazia in un paese pienamente parte dell’UE ormai da dodici anni. Si parla di uno stato di circa dieci milioni di abitanti che presenta un parlamento controllato a maggioranza assoluta da un partito di destra come Fidesz, ormai indisturbato al potere da dieci anni. Le forze di opposizione, stando alle ultime elezioni, si fermano infatti al 25% dei socialdemocratici, e sotto di questi i neonazisti di Jobbik con il 20%. Non una bella pubblicità per Budapest. La domanda è: ha senso tenere un paese come questo in una comunità che dovrebbe avere al proprio centro la condivisione di valori ed obiettivi comuni? Ha senso che un paese apertamente autoritario e democraticamente immaturo rimanga all’interno di questa Unione?
A mio avviso la risposta è “No”. Se la Brexit è stato un clamoroso errore che i britannici pagheranno nei prossimi decenni, c’è da sottolineare l’avventatezza con cui nel 2004 si decise di accettare all’interno dell’Unione, stati che non erano evidentemente pronti ad affrontare i processi democratici che l’Unione stessa richiede. Mi riferisco non solo all’Ungheria, ma anche ai paesi baltici, alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia.
La necessità di allargare i confini dell’Occidente sempre più verso Est, in aperta sfida alla Russia, e la volontà di associare all’aggregazione militare della NATO, quella politica della UE ed economica guidata dalla Germania, ebbero la meglio. Dodici anni dopo ci ritroviamo con una serie di paesi controllati da regimi di estrema destra, tendenzialmente xenofobi e apertamente antieuropeisti. La sfida alla Russia si sta trasformando in una bomba pronta a minare le fondamenta dell'Europa stessa. Tornando alla situazione ungherese non si hanno difficoltà a dimostrare i problemi per le istituzioni democratiche di radicarsi nel paese, tra la gente. Forte è la sfiducia nel sistema politico corrotto, e ancora più forte è la volontà della popolazione di affidare il proprio futuro alla tipica figura dell'uomo forte, individuato in Orban, retaggio di un passato comunista filosovietico e prima ancora fascista durante gli anni '30. L'Ungheria non è un paese abituato alla democrazia, e non è tantomeno pronto e maturo per essa... Analizzando le percentuali dell'affluenza ai seggi dalla caduta del muro di Berlino ad ogfi, possiamo notare come queste difficilmente superino il 50%, e anche il referendum che nel 2004 decise l’adesione e il futuro ungherese in Europa, arrivò a malapena al 48%. Un disastro democratico insomma, figlio di un popolo che non ha ancora del tutto compreso l’importanza dei processi di voto alla base della società occidentale.
L’Ungheria inoltre, è un paese in forte crisi economica che pretende di ricevere aiuti dall’Europa, senza voler partecipare alle attività della comunità che richiedono l’impegno dei paesi membri stessi, il tutto con l’approvazione o l’indifferenza di un popolo disinteressato e fondamentalmente nazionalista. Per farla breve è una zavorra per l’Europa, di cui l’Europa stessa non può liberarsi, visto che l’attivazione del famoso art.50 si ha solo su richiesta degli stati membri.
Insomma, la lezione ungherese è che bisogna in futuro pensarci bene e con molta calma ad allargare ulteriormente questa nostra comunità così traballante, mentre nel frattempo dobbiamo lavorare molto sul consolidamento interno dei confini comunitari. Inutile in questo momento aggiungere altri paesi membri. Non mi stavo riferendo alla Turchia, ma se qualcuno di voi l’ha pensato, beh…
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Novembre 2020
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