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6/11/2016

La vigilia delle Presidenziali

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Domani i cittadini USA decideranno del proprio (e nostro) futuro. Alcune riflessioni.
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di Alessandro Ferri

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Finalmente ci siamo: domani il popolo americano sarà chiamato alle urne per scegliere il suo quarantacinquesimo presidente, successore di Barack Obama. A otto anni di distanza dall’elezione del primo presidente di colore, potrebbe essere il turno della prima presidentessa, Hillary Clinton, candidata democratica. Oppure no: potrebbe raggiungere lo Studio Ovale un altro outsider, a suo modo, Donald Trump, miliardario odiatissimo dai Democratici ma anche da una parte dei Repubblicani, partito per il quale è candidato. Le sue dichiarazioni estreme, connotate da forti tratti di razzismo e sessismo, hanno fatto sì che sia stato nel tempo scaricato dai principali esponenti del Grand Old Party, dovendo fare la campagna elettorale praticamente da solo, esattamente come da solo aveva condotto la fortunata campagna per le Primarie.
Senza voler scendere nel qualunquismo – perché esistono differenze di programma e ideologia tra i due candidati, eccome – possiamo osservare che la Clinton e Trump appartengono alla stessa classe sociale, sono entrambi bianchi e sono entrambi anziani (69 anni lei, 70 lui, praticamente gli stessi di Reagan quando fu eletto nel 1980). Che otto anni di presidenza Obama abbiano comportato un “assestamento” nella composizione della classe dirigente? Si tratta del “colpo di coda” degli anziani bianchi contro gli arrembanti giovani esponenti delle minoranze?

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Negli USA, tutto può essere messo in vendita
In effetti, alle Primarie repubblicane erano emersi due candidati relativamente giovani e di origine ispanica, Ted Cruz e Marco Rubio. L’avanzata impetuosa di Trump – per altro pochissimo apprezzato tra i latinos, a causa delle sue posizioni durissime sull’immigrazione – ne ha interrotto l’ascesa, ma non è detto che spariscano dalla scena. Anzi, se Trump dovesse perdere, al prossimo turno saranno probabilmente nella rosa dei candidati repubblicani.
Diversa, la situazione in casa democratica, con Hillary che ha dovuto fronteggiare – ben più del necessario – l’anziano bianco Bernie Sanders, portatore di istanze piuttosto radicali (si definisce “socialista”) e amatissimo dai giovani. In questo turno elettorale non sono presenti candidati di colore, ma è certo che il voto afroamericano andrà compattamente alla Clinton, sia per l’impegno della famiglia Obama (e di Michelle in particolare), sia per il tradizionale rapporto tra elettorato black e i Clinton (la scrittrice Toni Morrison definì Bill “il primo presidente nero degli Stati Uniti”).
Un aspetto nuovo che caratterizza questa competizione elettorale, è l’evidente intervento della Russia nelle questioni americane. Una cosa che ci avrebbe fatto sudare freddo una trentina di anni fa, oggi non trova tanti approfondimenti, ma è il caso di farci attenzione. Non sono certo tra quelli che paventano una guerra nucleare tra i due blocchi, ma il fatto stesso che il governo russo sia accusato di impiegare hacker per manipolare l’esito delle elezioni di uno stato sovrano, è un dato nuovo e gravissimo. Il rapporto con Vladimir Putin dipenderà in larga misura dall’esito delle elezioni: con Hillary le relazioni saranno particolarmente tese; Trump si è invece definito un ammiratore del presidente russo, ma resta da capire come si comporterà in caso di elezione.

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La NBC afferma che il governo USA è pronto a reagire contro un eventuale attacco informatico russo: http://www.nbcnews.com/news/us-news/u-s-hackers-ready-hit-back-if-russia-disrupts-election-n677936
FotoJames Comey, 55 anni, direttore dell’FBI dal 2013
A mettere i bastoni tra le ruote alla Clinton, tuttavia, è stato l’FBI, più che gli hacker russi, riesumando la storia delle email compromettenti. Per farla breve, quando Hillary era Segretario di Stato (Ministro degli Esteri) tra il 2008 e il 2012, usò l’account di posta elettronica personale sia per le email di lavoro, sia per quelle private. Quando il Congresso le chiese di consegnare messaggi inviati e ricevuti durante il mandato, pensò bene di consegnare solo quelli di lavoro (per la precisione 30.490), trattenendo quelli privati (31.830). In seguito, l’FBI ha avviato un’inchiesta per stabilire se nei messaggi non consegnati ci fossero informazioni pertinenti alla sicurezza nazionale.
La Clinton si è scusata per il comportamento superficiale, e dall’analisi dei messaggi rinvenuti non sono emersi rischi particolari. A fine estate sembrava che l’inchiesta si fosse ormai impantanata, non avendo prodotto risultati rilevanti. Tuttavia, il 28 ottobre scorso il direttore dell’FBI James Comey ha annunciato che durante un’inchiesta sull’ex marito di una collaboratrice della Clinton, sono state rinvenute alcune mail “pertinenti all’indagine”. Così come è accaduto con le altre, è probabile che anche queste mail non contengano informazioni riservate, ma l’annuncio della prosecuzione delle indagini ha danneggiato fortemente la campagna elettorale della Clinton. In pochi giorni, un divario che sembrava insormontabile è stato recuperato, e a poche ore dal voto Trump parrebbe persino in vantaggio. Sì, Donald Trump, lo stesso che un mese fa sembrava spacciato a causa delle accuse di molestie sessuali e di sessismo.
È inutile che qui vi proponga la situazione dei sondaggi, perché cambia veramente di ora in ora. Vi consiglio di dare un’occhiata al sito di Nate Silver (vedi approfondimenti) o al riepilogo del New York Times, con una grande avvertenza: il sistema elettorale americano si fonda sull’esistenza di collegi statali, che eleggono con il maggioritario un numero di grandi elettori proporzionale alla popolazione. Vale a dire che avere il 51% a livello nazionale non significa niente: occorre avere un voto più degli altri candidati nel maggior numero possibile di stati. Per questo motivo, la campagna elettorale americana si gioca spesso nei cosiddetti swing states, cioè gli stati in bilico, perché se in uno stato sei sicuro di vincere, è inutile perderci tempo in comizi.
Un altro dato da tenere in considerazione, è il voto anticipato, che ha già coinvolto un alto numero di elettori e non sarebbe condizionato dai recenti sviluppi della cronaca (e dal caso Clinton in particolare). Silver, che fin qui ha sempre azzeccato il risultato delle elezioni, ha elaborato un complesso algoritmo per indicare le chance di vittoria dei candidati (c’è anche Gary Johnson, esponente del Partito Libertario). Come potete vedere, Democratici e Repubblicani si stanno avvicinando: i primi sono stabilmente in testa, ma la notte di martedì potrebbe rivelarci sorprese.

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Fonti e approfondimenti
  • Il sito di Francesco Costa, vicedirettore del Post e grande esperto di elezioni americane, http://www.francescocosta.net/;
  • Perché negli USA si vota il martedì dopo il primo lunedì di novembre, http://www.ilpost.it/2016/10/29/giorno-elezioni-usa/;
  • [inglese] il sito di Nate Silver, il “mago dei sondaggi”, http://fivethirtyeight.com/;
  • [inglese] il riepilogo degli ultimi sondaggi, a cura del New York Times, http://www.nytimes.com/interactive/2016/us/elections/polls.html?_r=0.
Immagini tratte da:
  • La foto di copertina è un montaggio di due immagini; CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47276445;
  • Il merchandising dei candidati, foto di Marco Verch - Clinton vs. Trump 2016, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48499859;
  • James Comey, ritratto ufficiale dell’FBI - http://www.fbi.gov/, Pubblico Dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28606868;
  • L’evoluzione nelle possibilità di vittoria, screenshot da http://projects.fivethirtyeight.com/2016-election-forecast/?ex_cid=rrpromo#odds.

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