Dopo una campagna combattuta contro tutto e tutti, Donald Trump è il Presidente eletto degli Stati Uniti d’America. Analisi di un risultato imprevedibile e dei suoi sviluppi.
“Non importa cosa succederà, domani sorgerà il sole”. Barack Obama metteva già le mani avanti, il giorno prima delle elezioni presidenziali 2016. Cos’è accaduto, e se il sole è realmente sorto dopo lo spoglio elettorale, lo sapete già da voi: l’imprevedibile, il cambio di paradigma, l’inaudito si è materializzato tra i ciuffi rossicci del più anziano presidente americano di sempre, Donald John Trump, nato il 14 giugno 1946.
Se un vostro conoscente vi aveva preannunciato questo risultato, fategli i complimenti per le doti divinatorie. Perché un’elezione di Trump alla Casa bianca appariva improbabile a larga parte della stampa e degli esperti. Non solo perché – come ha scritto qualche politologo delle urne aperte – “avevano la puzza sotto il naso” o “erano pagati dal sistema plutomassonico che appoggiava Hillary Clinton”; ma perché la democrazia americana non ha mai funzionato così, finora. Un politico sorpreso ad evadere le tasse, a molestare donne (a parole o di fatto), a insultare disabili e minoranze, avrebbe ottenuto un calo istantaneo dei propri consensi, finora. Martedì scorso è accaduto l’esatto opposto, e decenni di strategie elettorali e di regole non scritte sono stati polverizzati dall’impetuosa cavalcata del magnate newyorkese. Spendendo meno della metà della sua avversaria (285 contro 609 milioni di dollari), con il proprio partito e larga parte dei media coalizzati contro di lui (nessuno dei 50 principali organi di stampa gli aveva assicurato l’endorsement, cioè l’invito al voto), Trump è riuscito ad intercettare i sommovimenti più nascosti dell’elettorato, facendo deflagrare le contraddizioni della proposta elettorale democratica. Non era Hillary la “meno peggio”: lo era Trump. Non un freddo calcolatore, un cyborg anaffettivo come lei, invischiata in scandali e lobbies finanziarie. Verace, volgare e razzista quanto si voglia, ma “uno di noi”, hanno pensato i milioni che l’hanno votato, guardandosi bene dal confessare ai sondaggisti i propri appetiti elettorali. Un po’ voce della pancia, un po’ mito da raggiungere, Trump riunisce in sé due tipologie politiche che conosciamo bene: il miliardario astuto e il populista che “dice quel che pensa”. Berlusconi e Salvini insieme, insomma. E non vale dire che “comunque Hillary ha vinto il voto popolare”: il sistema elettorale americano non funziona così, punto. In America ci sono i grandi elettori e c’è il maggioritario per assegnarli. Ha scritto Nate Silver, il sondaggista super-esperto che quest’anno ha toppato clamorosamente le previsioni: “se un solo elettore di Trump su 100 avesse votato per la Clinton, i Democratici avrebbero preso la Casa bianca”. Ma il maggioritario è questo: prendere o lasciare. Un voto in più, e il banco vince tutto. Succederà anche da noi, in Italia, se l’Italicum manterrà il ballottaggio – e non è detto che sia un male, dicono alcuni. Il sole, dicevamo, è sorto ugualmente. E per quanto assurde appaiano le ipotesi di gabinetto Trump (Sarah Palin agli interni, la riesumazione di Newt Gingrich e, chissà, di Chris Christie…), c’è da dire che il suo operato come presidente risentirà parecchio del complesso sistema di pesi e contrappesi che caratterizza la democrazia americana. Lo stesso che ha impedito a Obama di intervenire sul controllo delle armi, per dirne una: non è che un presidente possa fare tutto quello che vuole. Certo, non aspettiamoci passi avanti sull’ambiente o, appunto, sulle armi. Se i matrimoni gay sono ormai parte della mentalità USA – anche perché sono frutto di una sentenza della Corte Suprema, quindi non possono essere toccati dal governo – più in bilico appare la riforma sanitaria Obamacare, che potrebbe subire pesanti interventi. Alla Corte Suprema ci saranno grandi cambiamenti, con un giudice che dovrà essere nominato nel breve periodo e due che andranno in pensione non molto più tardi. Se oggi la sua composizione è sbilanciata a favore dei progressisti, potrebbe non essere così fra quattro anni. In campo economico, è prevedibile un piano di riduzione delle tasse e dell’intervento statale nell’economia. Cosa possibile, oggi che gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi, grazie alla terapia d’urto Bush-Obama degli anni 2008-2010. Sul piano internazionale, Trump si è dichiarato intenzionato a ridurre l’impegno USA nella NATO e in generale nel mondo, secondo una logica isolazionista e protezionista che mai ci saremmo aspettati da un imprenditore (e che è stata criticata persino da Silvio Berlusconi). Fermo restando che negli ultimi mesi Trump ha dichiarato tutto e il contrario di tutto, a seconda di come si alzava la mattina – e quindi non dobbiamo necessariamente credergli, finché non sarà effettivamente Presidente, a gennaio – si tratta di una scelta in controtendenza con quanto avvenuto sin qui, al punto che Vladimir Putin è stato tra i primi a rallegrarsi pubblicamente dell’avvenuta elezione. Scelta tattica o riconoscimento del ridotto peso internazionale degli USA? Tentativo di pacificazione o bluff? Il 2017 ci schiarirà le idee.
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Novembre 2020
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