Tutti ricordiamo del recentissimo dibattito pubblico sulla possibile scarcerazione di Riina: levate di scudi da più parti hanno certificato la ferrea volontà del popolo italiano di tenere in cella un pericoloso mafioso, reo di numerosi e indicibili delitti, pur in condizioni di salute ormai disastrose. Sembrava un rigurgito di passione civile, invece si è trattato dell’ennesima baruffa da social network, che non ha lasciato alcuna traccia tangibile nelle coscienze collettive. Perché?
Perché, a una settimana dalla polemica sul boss corleonese, la Direzione Nazionale Antimafia ha diffuso un rapporto sullo stato di salute delle organizzazioni criminali in Italia, delineando un quadro sconcertante: nessuna levata di scudi questa volta; calma piatta, spallucce, indifferenza patologica. La politica sull’argomento latita, e questo verbo risulta incredibilmente appropriato. La relazione della DNA descrive con cura il grado di radicamento delle mafie, arrivando a dire che la ‘ndrangheta, ad esempio, è collegata sostanzialmente a tutti i centri nevralgici del potere politico, dirigenziale e imprenditoriale, al punto da riuscire con relativa semplicità a orientare voti, nomine, appalti, candidature locali e nazionali, in quasi tutte le regioni d’Italia. Sono osservazioni che farebbero sussultare un’intera classe dirigente, che dovrebbe almeno discutere dell’argomento, mettere in agenda misure legislative penetranti e mezzi, risorse e uomini per contrastare il fenomeno. Eppure la risposta più gettonata è stata il silenzio. La DNA arriva a dire che la sistematicità del metodo corruttivo-mafioso “fa acquisire alle organizzazioni il ruolo di autorità pubblica” – roba da saltare sulla sedia. Bisogna concludere quindi che Montesquieu si sbagliava: nella ripartizione dei poteri dello Stato l’incauto pensatore francese ometteva di citare la Mafia, accoccolata al potere legislativo, talvolta con un occhio di riguardo per quello esecutivo, concorrente solo con quello giudiziario. Quello giudiziario per l’appunto, scorporato da disgustosi (ma per fortuna rari) casi di collusione ambientale, è argine inascoltato da quasi 30 anni: è stato necessario il sacrificio di vite innocenti affinché la politica si destasse dal suo sonno e avviasse una lotta seria alla criminalità organizzata, ad esempio specializzando e concentrando le autorità di contrasto settoriale come le Direzioni Distrettuali. Dal 1992 esse stilano rapporti e delineano statistiche sulle attività mafiose, dalle quali si apprende che negli ultimi 24 anni sono stati sequestrati e confiscati beni per un valore di 25 miliardi di euro. Dunque bisogna constatare che il giro d’affari è molto superiore, giacché secondo l’Unodc (agenzia ONU sul monitoraggio di droga e criminalità) le organizzazioni criminali in Italia muovono annualmente 116 miliardi di euro – al netto dell’evasione fiscale, ovviamente. Una quantità di denaro impressionante, che vale il 7% del PIL del Paese, meriterebbe attenzioni diverse dalle autorità. In epoche di tagli alla spesa corrente sarebbe sensato andare a prendere i soldi là dove proliferano: occorrono però leggi più severe e chiare sulla confisca, da anni terreno scivoloso e complesso, teatro di delicati dibattiti giurisprudenziali. Le misure coercitive personali, come l’attenuazione di alcune garanzie per gli indagati/imputati per mafia o isolamento e carcere duro esistono già, e hanno dimostrato la loro efficacia. Ciò che manca, tuttavia, è un contrasto massiccio sul terreno economico poiché il potere mafioso, prima che racchiudersi in alcune figure di spicco, è intrinsecamente legato alla moneta circolante, ai beni materiali, agli averi. Interrompere la possibilità di comunicare non spezza la catena del potere, che trapassa di mano in mano perché il denaro risulta sfuggente a celle e polizia, a differenza degli uomini. Quanto sono commoventi le fiction sul giudice Falcone, bontà loro. Quanto cordoglio scenico, quanta sensibilità a orologeria. Diamo una strana immagine: sembriamo quelli che nel bel mezzo di un incendio guardano piangendo la foto del pesce rosso, maledicendosi per la sua scomparsa, dimenticandosi di quanto quella famosa ‘montagna di merda’ abbia sommerso definitivamente le istituzioni di un Paese allegro e disperato.
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Novembre 2020
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