Storia di un dramma sfiorato, ma che pone grandi interrogativi. Certe volte gli eventi prendono una piega inaspettata, quasi che qualcuno li avesse programmati apposta. Il giorno in cui milioni di italiani si recavano alle urne per decidere del futuro energetico del nostro paese (ma una parte più consistente preferiva starsene lontana dai seggi), la città di Genova ha subito un incidente petrolifero che ha rischiato di tradursi in un disastro ambientale. Tutto ha inizio alle otto di sera del 17 aprile scorso. Sabato 16 ha piovuto tanto e i corsi d’acqua genovesi sono rigonfi. Un tubo dell’oleodotto collegato alla raffineria Iplom, situato nel quartiere Borzoli, si rompe e disperde 700 metri cubi di petrolio nel rio Fegino, tra gli affluenti del Polcevera, il primo torrente genovese per estensione. È buio, per cui le operazioni d’emergenza messe in atto dai Vigili del Fuoco - chiamati dai cittadini che hanno udito un grande scoppio - sono complicate. Alla formazione della falla nella tubatura si accompagna una frana, che peggiora la situazione. Viene gettata schiuma nel torrente per evitare che il petrolio prenda fuoco, è costruita una diga di contenimento all’altezza del quartiere di Bolzaneto e sono collocate delle panne assorbenti per raccogliere quanto della macchia nera sia giunto al mare (circa 50 tonnellate di greggio). Nei giorni successivi, l’emergenza è contenuta, ma il proseguire delle precipitazioni desta preoccupazione. Nella notte del 22 aprile, il momento più rischioso: le piogge aumentano considerevolmente la portata del Polcevera, portando alle 9 di mattina del 23 al cedimento della diga costruita ad hoc nei giorni precedenti. Di lì a poco, l’Assessore genovese alla Protezione civile Gianni Crivello dichiara sconsolato che «la situazione è complicata: non sappiamo quanto greggio potrà finire in mare. La Capitaneria di porto è riunita per l’emergenza ed ha dichiarato lo stato di emergenza locale». Alle 12 è il sindaco Marco Doria a rassicurare: le strutture di contenimento a valle della diga hanno retto, evitando il peggio. Entro le 17 dello stesso giorno, la barriera viene ripristinata. Alle otto di sera, lo sfogo del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, che ostenta tranquillità: «a Genova il peggio è passato, l’emergenza sta finendo e le coste liguri sono al sicuro dal rischio petrolio. Basta amministratori frignoni, basta allarmismi inutili, un po’ di serietà e un po’ più di lavoro». Il 26 aprile, l’ARPAL (Azienda Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure) ha pubblicato uno studio in collaborazione con l’ASL 3 Liguria in cui si afferma che non ci sarebbero pericoli concreti per la salute: Dalla serata di domenica 17 e fino a lunedì 25 aprile, in collaborazione con la Città Metropolitana competente per la qualità dell’aria e con la Asl in relazione alle valutazioni sanitarie, i sei tecnici di Arpal, divisi in tre squadre, hanno effettuato le misure lungo tutto il tratto interessato dallo sversamento, dal Rio Pianego fino alla foce del torrente Polcevera (circa 4,5 km) [...]. È stato utilizzato uno strumento (il Draeger X-am 7000 dotato di 5 sensori per la misura di diversi inquinanti) che rileva simultaneamente e in continuo le sostanze organiche volatili (Sov) e l’idrogeno solforato. In altri 9 punti sul territorio, invece, grazie al posizionamento di campionatori passivi della Città Metropolitana, i tecnici hanno potuto effettuare riscontri in materia di qualità dell’aria e, in particolare, in relazione alle concentrazioni di benzene, toluene e altre sostanze organiche. All'interno della finestra di monitoraggio, durata alcune ore al giorno, sono stati rilevati - in alcuni minuti - valori nell'ordine di poche parti per milione. [...] A conclusione delle operazioni è emersa l’assenza di rischi per la salute pubblica, certificata dalla Asl3, nonostante la presenza di alcune sostanze in una concentrazione tale da poter creare fastidi alle persone con maggiore sensibilità [documento integrale nelle fonti]. ![]() Se il rischio ambientale - larga parte delle macchie di greggio finite in mare sono state aspirate e recuperate - pare ormai limitato, c’è poco da festeggiare. Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha dichiarato: «non ci dobbiamo fermare qui: oggi incomincia il lavoro più difficile, che è quello della bonifica. Allora, bisognerà prendere atto dei danni che si sono verificati, su questo costruire un progetto di bonifica, approvarlo e realizzarlo. Sappiamo bene cosa dobbiamo fare, e adesso proviamo anche a farlo. Chi inquina, paga, non c'è dubbio su questo». Appare evidente che la bonifica e la condanna di chi ha sbagliato non sono sufficienti. Come è accaduto in passato - pensiamo ai fatti di Chernobyl, che portarono di fatto l’Italia fuori dal nucleare trent’anni fa - un incidente come questo deve rappresentare l’occasione per compiere una riflessione sui rischi che impianti come quello di Genova comportano. La Iplom è una società per azioni fondata a Moncalieri nel 1931 con il nome di Industria Piemontese Lavorazioni Oli Minerali. L’impianto di Busalla, comune del genovese a circa 20 km dal luogo dell’incidente, è attivo dagli anni Quaranta, e ad oggi costituisce una delle 17 raffinerie esistenti nel nostro paese. La sua capacità di raffinazione è di quasi due milioni di tonnellate di greggio, il che la rende uno degli impianti italiani più piccoli. Ciò non ha impedito a molti di ritenere la raffineria di Busalla un pericolo per la salute della popolazione circostante, sottoposta ad agenti chimici potenzialmente cancerogeni. L’incidente di due settimane fa ha dimostrato che i rischi non si fermano qui: la verifica delle tubature, compiuta dal perito Sandro Osvaldella per conto della Procura della Repubblica di Genova, avrebbe rilevato che nel punto dello squarcio la tubatura aveva uno spessore di soli tre millimetri, contro gli otto originari. Fonti ed approfondimenti:
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Novembre 2020
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