Nobile Santuario o Monte del Tempio? Una mozione UNESCO mette in conflitto diplomazia e toponomastica
Il patrimonio di Gerusalemme è indivisibile, e ogni comunità ha diritto al riconoscimento esplicito della propria storia e del proprio rapporto con la città. Negare, nascondere o cancellare una qualsiasi tradizione ebraica, cristiana o musulmana, mina all’integrità del sito e va contro le ragioni che hanno permesso la sua iscrizione alla lista dei siti Patrimonio dell’Umanità.
Irina Bokova (nella foto di copertina), 14 ottobre 2016 È una vicenda allucinante, ho chiesto al ministro Esteri di vederci subito al mio ritorno a Roma. Ho chiesto espressamente ieri ai nostri di smetterla con queste posizioni […]. Non si può continuare con queste mozioni finalizzate ad attaccare Israele. […] Sostenere che Gerusalemme e l’ebraismo non hanno una relazione è sostenere che il sole fa buio: una cosa incomprensibile, insostenibile e sbagliata. Ho espressamente chiesto ai diplomatici che si occupano di queste cose che non si può andare avanti così: non si può negare la realtà. Matteo Renzi, intervista a RTL 102.5, 21 ottobre 2016 Le dichiarazioni che avete appena letto appartengono, rispettivamente, alla Direttrice Generale dell’UNESCO – l’agenzia ONU per la tutela del patrimonio culturale – e al nostro Presidente del Consiglio. Cos’è che li ha spinti a parlare, nell’arco di pochi giorni, della situazione di Gerusalemme? La colpa è di una mozione, approvata il 12 ottobre scorso dal Consiglio Esecutivo dell’UNESCO, l’organizzazione ONU che si occupa della tutela del patrimonio culturale. Il testo, proposto da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan, condanna le politiche di sicurezza di Israele, in particolare per quanto riguarda l’accesso alla Moschea di Al-Aqṣa. Questo famosissimo luogo di culto rappresenta nella tradizione islamica il luogo da cui il profeta Muḥammad è asceso al cielo, al punto che la zona è nota come Al-Ḥaram Al Sharif (الحرم الشريف), cioè “Nobile Santuario”. Benché il documento approvato usi solamente questi termini, il luogo di cui parliamo possiede altri nomi, in quanto oggetto di venerazione anche del popolo ebraico. Prima della distruzione ad opera di Tito nel 70 d.C., infatti, la spianata accoglieva il grande Tempio di Erode, di cui oggi rimane solamente una parte delle mura di cinta, nota come Muro del pianto. Per gli ebrei dunque questo è il Monte del Tempio (הַר הַבַּיִת). Questa complicata toponomastica è rivelatrice della situazione non esattamente pacifica in cui vive questo luogo, parte di Israele da cinquant’anni (Guerra dei Sei Giorni, 1967), ma comunque tra i luoghi di massimo interesse per i fedeli islamici, che per raggiungerlo sono costretti ad attraversare numerosi posti di blocco, subendo controlli che durano ore.
Scrivere una mozione che rinuncia in modo abbastanza esplicito alla doppia denominazione, proponendo solo quella islamica (come a dire che il Monte del Tempio non è patrimonio condiviso da ebrei e musulmani) è una provocazione bella e buona. Non è casuale che la mozione sia stata avanzata da paesi dichiaratamente anti-israeliani. Il punto è che si sia arrivati all’approvazione, grazie ad una particolare composizione dell’Esecutivo e ad un complesso schema diplomatico. L’Esecutivo UNESCO, infatti, è costituito da 58 stati scelti a rotazione sui 195 affiliati all’organizzazione. Vediamo come si sono comportati i membri attuali in occasione del voto:
Gli stati del G7 si sono divisi tra contrari (USA, Regno Unito, Germania) e astenuti (Giappone, Italia, Francia). I politici e i mezzi d’informazione israeliani hanno immediatamente rilasciato dichiarazioni molto dure sul comportamento degli astenuti, ritenuti conniventi con chi desidera la scomparsa dello stato ebraico. L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), per bocca della presidente Noemi Di Segni, ha parlato di “voto della vergogna”: “votando in forma definitiva una risoluzione che nega l’identità ebraica di alcuni siti della capitale e unica e indivisibile dello Stato di Israele, Gerusalemme, fra cui il Muro occidentale che costituisce – come è universalmente noto – il luogo più sacro per il mondo ebraico, l’UNESCO si pone fuori dalla storia e scrive, con pesanti responsabilità dell’Italia e degli altri Paesi astenuti e favorevoli, una delle pagine più gravi e al tempo stesso grottesche della storia delle Nazioni Unite”.
Si arriva così alle dichiarazioni con cui ho aperto questo articolo: un tentativo di gettare acqua sul fuoco. A livello internazionale, pare che Brasile e Messico si siano spinti a ritrattare il proprio voto, dichiarandosi (ex-post!) “insoddisfatti”. Per quello che riguarda l’Italia, governo israeliano ed UCEI hanno apprezzato gli sforzi di Renzi, che ha ricondotto la nostra politica estera sulle posizioni filo-israeliane degli ultimi vent’anni. Ma questa breve storia ci dice molto dell’attuale situazione in Medioriente. In sintesi: un documento provocatorio, votato da una maggioranza ristretta e poco rappresentativa (come in tutte le assemblee ONU, ogni stato ha diritto ad un voto, dunque le isole Mauritius contano quanto l’Italia o la Francia), con nessuna conseguenza reale se non un tourbillon diplomatico. Nel 2016, invece di affrontare alla radice la questione israelo-palestinese, siamo ancora fermi alle caselle di partenza.
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Novembre 2020
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