La politica torna a parlare di povertà, e almeno in Italia qualcosa si muove
Su queste pagine di attualità, abbiamo visto che negli ultimi mesi sempre più movimenti politici dell’Occidente stanno concentrando le proprie iniziative sul tema delle diseguaglianze e dell’emarginazione sociale. Bernie Sanders, principale ostacolo di Hillary Clinton nella conquista della nomination democratica, ha persino rispolverato la parola “socialismo”, che nel lessico politico USA non si sentiva da decenni. Non solo le sue posizioni non sono state respinte, ma anzi ha costruito un consenso tale da incidere fortemente sul programma della Clinton, adesso fortemente inclinato a sinistra (nei limiti di quanto possa essere “di sinistra” il programma di un partito di governo statunitense, ovviamente). In Grecia, nel clima rocambolesco della rinegoziazione del debito, è arrivato al governo un partito fortemente connotato a sinistra come Syriza, il cui leader Alexis Tsipras si è esplicitamente dichiarato «il rivale dell’Europa dei mercati e delle diseguaglianze sociali». Ma potremmo citare anche la popolarità di Pablo Iglesias o Jeremy Corbin, rispettivamente leader di Podemos (Spagna) e del Labour (Regno Unito).
Cos’è che accomuna tutti questi esponenti politici? Un programma fondato sul rifiuto dell’attuale assetto economico-politico, dominato dal capitale e insensibile di fronte al disagio delle popolazioni e della natura. In pratica, si vorrebbero portare avanti gli ideali del movimento Occupy, nato il 17 settembre 2011 con l’occupazione di un parco nei pressi di Wall Street, a New York. Lo slogan di Occupy era we are the 99%: “siamo il 99%”, in contrapposizione all’1% della popolazione mondiale che detiene la maggior parte della ricchezza. La grande crisi iniziata nel 2008, con i suoi effetti nefasti sull’economia mondiale (che ancora oggi paghiamo), aveva le sue origini in pratiche finanziarie pericolose, operate da pochi ma subite da tutti. La povertà, dopo decenni, è tornata al centro del dibattito politico, anche in quei paesi opulenti oggetto di migrazioni da parte di chi fugge dal Sud del mondo. La povertà riguarda percentuali significative delle popolazioni nazionali, non solo gli stranieri migranti, e l’affermarsi di movimenti apertamente xenofobi come il Front National in Francia, l’UKIP in Inghilterra o la Lega Nord in Italia ne è una dimostrazione. A chi si vede sottratti gli standard di benessere di un tempo, l’arrivo del migrante appare come un insopportabile affronto, contro cui lottare attraverso l’appoggio a formazioni politiche razziste.
Per capire come si presenta la situazione della povertà nel nostro paese, abbiamo a disposizione un documento recente ed affidabile. Il 14 luglio scorso, l’ISTAT ha pubblicato il rapporto sulla povertà in Italia riferito all’anno 2015. Secondo le convenzioni statistiche, si sono distinte una povertà relativa e una povertà assoluta.
La povertà relativa viene individuata sulla base della spesa media mensile per persona del Paese, che in Italia è stata nel 2015 pari a 1.050,95 euro. Le famiglie di due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a questo valore – chiamato “linea di povertà” – sono classificate come povere. Per le famiglie con 3 o più componenti, si moltiplica la linea di povertà per un particolare coefficiente che tiene conto delle economie di scala realizzabili in famiglia.
Nell’anno 2015, risultavano relativamente povere 2.678.000 famiglie, pari al 10,4% di quelle residenti. Questa cifra corrisponde a 8.307.000 persone, di cui oltre due milioni di minorenni.
La povertà assoluta, invece, è calcolata in base ad un paniere di prodotti di prima necessità, in mancanza dei quali si ritiene che la vita non raggiungerebbe standard “minimamente accettabili”. La soglia di povertà assoluta varia in rapporto al luogo di residenza e alla composizione del nucleo familiare, andando dai 490,14 € dell’anziano che vive solo in un paese di provincia del Sud ai 1.909,83 € della famiglia con tre figli che vive nel centro di una grande città del Nord.
Nel 2015, erano assolutamente povere 1.582.000 famiglie (il 6,1% di quelle residenti nel nostro paese), pari a 4.598.000 persone – l’intera Emilia-Romagna, per farci un’idea. Con una percentuale del 7,6% della popolazione italiana, si tratta del dato più alto dal 2005. Il Mezzogiorno è la zona più disagiata, con il 10% delle persone e il 9,1% delle famiglie in questa condizione. In un contesto di questo tipo, lo spettro della fame torna a farsi sentire. Quello che sembrava il fotogramma sbiadito di un film neorealista, è nel 2016 un problema attuale, contro il quale operano istituzioni pubbliche e private. Si spreca tanto cibo – circa 650 grammi a famiglia a settimana, per una cifra annuale nazionale di 8,4 miliardi di euro, secondo Last Minute Market – mentre c’è chi patisce la fame. Tra gli enti anti-spreco, la parte del leone la fa il Banco Alimentare, che organizza ogni fine novembre una giornata nazionale di raccolta del cibo, in cui vengono raccolti fuori dai supermercati prodotti a lunga scadenza da redistribuire alle famiglie in difficoltà. Il 28 novembre scorso, la XIX Colletta Alimentare ha permesso di raccogliere quasi 9000 tonnellate di alimenti, con la collaborazione di 135.000 volontari.
Ad aiutare l’attività dei soggetti come il Banco Alimentare, il 2 agosto scorso è stata approvata in via definitiva dal Senato della Repubblica la cosiddetta “legge antispreco”, che prevede sgravi fiscali per le imprese che regaleranno cibo o medicine in via di scadenza. La legge vuole incentivare l’uso della “family bag”, ovvero la pratica di portarsi a casa gli avanzi del ristorante, così come l’attività delle associazioni che raccolgono dai negozianti i prodotti alimentari a fine giornata.
La lotta agli sprechi alimentari è la risposta al problema della povertà? Certamente no. La risposta al problema della povertà avviene con un contrasto operato a tutti i livelli. Per decenni le forze liberali hanno ritenuto che la soluzione migliore fosse la crescita complessiva dell’economia: per un effetto a cascata, anche i più poveri avrebbero avuto accesso alle briciole dei successi dei più ricchi, affrancandosi dalla miseria. Nonostante l’infatuazione liberale di larga parte delle forze politiche italiane dopo il 1992, ad oggi appare evidente l’esigenza di interventi concreti, che incidano non solo sul lungo periodo, ma sulla situazione immediata. È in questa ottica che il governo italiano ha approvato l’istituzione del Sostegno per l’inclusione attiva (attivo da settembre), un primo passo nella direzione di una legge delega sul tema della povertà. La prossima settimana vedremo il provvedimento in dettaglio.
Fonti e approfondimenti
- Il rapporto dell’ISTAT, http://www.istat.it/it/archivio/189188; - Il sito del Banco Alimentare, http://www.bancoalimentare.it/it; - Sullo spreco di cibo, http://www.ansa.it/lifestyle/notizie/societa/best_practice/2015/10/13/sprechiamo-cibo-il-doppio-di-quello-che-pensiamo.-rapporto-waste-watcher_22c5502b-b86d-417e-b618-720d39aaf1ae.html; - Un’analisi della legge contro gli sprechi alimentari, http://www.vita.it/it/article/2016/08/03/non-sprecare-ora-te-lo-dice-anche-la-legge/140352/; - La legge nell’analisi della Camera, http://www.camera.it/leg17/522?tema=norme_per_la_limitazione_degli_sprechi_e_l_uso_consapevole_delle_risore. Immagini - Vincent Van Gogh, da Wikipedia Spagnola, I mangiatori di patate (1885), Amsterdam – Museo Van Gogh, Pubblico dominio, voce "Museo van Gogh" - Manifesto di Occupy, da Wikipedia Inglese, foto di Seth Cochran – Lavoro proprio, CC0 voce "We are the 99%"; - Gli sprechi alimentari in Europa, infografica tratta da http://www.tuttogreen.it/spreco-alimentare-consigli/.
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Novembre 2020
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