Vita, amore e morte sono intrecciati come in una sinfonia in un film dove tutto accade in poche ore. Un’atmosfera cupa, rasserenata da pochi sprazzi di luce, lì dove i ricordi illuminano il buio del presente. E il ticchettio di un orologio a pendolo che, battito dopo battito, scandisce l’irreversibile scorrere del tempo.
Louis (G. Ulliel), omosessuale e scrittore affermato, sta morendo ed è tornato, dopo ben dodici anni di assenza, per dire addio ai suoi cari. Una carrellata di personaggi, emblemi di un’umanità fragile e variegata, circondano e stordiscono un Louis quasi sempre in silenzio.
Un quadro familiare disastrato in cui a mancare è la capacità di ascoltarsi. Catapultati nella casa della madre Martine (N.Baye), donna frivola e apparentemente superficiale, una terna di personaggi animano la scena. C’è chi, come Antoine (V. Cassel) è arrabbiatissimo con la vita e incapace di perdonare la lontananza fraterna vissuta come un abbondono; chi, come Suzanne (L. Seydoux), è disorientata nei confronti del fratello e della vita perché entrambi le sono ancora sconosciuti; e chi è timida e insicura, come Catherine, la cognata (M. Cotillard), ma conserva – a dispetto degli altri – una forma di sensibilità empatica che le permette di comunicare davvero, anche senza le parole.
Primissimi piani e inquadrature da dietro colgono le emozioni nei gesti e sui volti degli attori. Il febbrile parlare di personaggi che in fondo non si dicono nulla si placa e, abbassatosi il volume, Louis si estranea da tutti, riappropriandosi dei ricordi legati alla casa e alla sua giovinezza. Sono gli oggetti a risvegliare la memoria. Un vecchio materasso lo riporta lontano nel tempo, quando aveva amato Pierre. Immagini ipnotiche sulle note della psichedelica Une Miss s’immisce, restituiscono per un attimo sollievo al giovane, conducendolo in una dimensione magica, quasi onirica, in cui il tempo, fluido, scorreva felice. Così come, con in sottofondo la movimentata Dragostei din Tei e sullo sfondo di un cielo azzurrissimo, il flashback in cui Louis gioca felice con Antoine sul verde brillante di un prato. Ma il passato non c’è più.
Adesso l’incomunicabilità permea il presente e paralizza Louis, assente e in silenzio, in attesa solo di poter andare via. Non c’è speranza che i suoi cambino e che lo riescano a capire. Per loro sarà sempre l’incomprensibile artista verso cui provano sentimenti ambivalenti. Ed ecco allora che le occasioni per raccontarsi naufragano in egoistici monologhi da parte della madre e del fratello.
Un susseguirsi di episodi il cui climax è l’ultima cena in cui Antoine esplode in un mix di rabbia, nostalgia e gelosia, movimentando un’atmosfera che anche nei colori sembra infuocata. Louis non è desiderato e deve andare via, cacciato bruscamente mentre cena, tra le urla di Martine e Suzanne che tuttavia sembrano adeguarsi a un finale già scritto.
Triste epilogo in un film in cui la morte non è appena quella fisica, che peraltro Louis non riesce nemmeno ad annunciare benché in qualche modo aleggi nella cupezza della casa. È il vedersi vivere, già morendo, nell’assenza di comprensione, di empatia e nella generale incomunicabilità della sgangherata famiglia, eccezion fatta per la sintonia di sguardi che Louis scambia con la cognata Catherine, estranea eppure così vicina, più di quanto non lo siano i consanguinei.
Due soli giorni per impattare con la crudezza di una realtà familiare immutabile per un personaggio che porta su di sé il peso saputo di una fine imminente. Ispirato all’omonima pièce teatrale di Jean-Luc Lagarge, Xavier Dolan, a due anni dal toccante Mommy, ci regala un altro capolavoro che ha peraltro vinto il Gran Prix Speciale della Giuria a Cannes 2016. Una sensibilità registica che indaga, con acutezza e lucidità, il dramma personale di un uomo senza mai cadere nel patetico. Un film che scuote lo spettatore, tenendolo incollato a ogni silenzio, a ogni sguardo e cambio di inquadratura. Impeccabile dal punto di vista stilistico-formale con un’estetica curatissima che in certi punti strizza l’occhio al videoclip e agli stilemi tipici della pubblicità. Cast particolarmente ispirato e splendida la colonna sonora: da Miss You dei Blink 182 e Dragostea Din Tei degli O-Zone, passando per Natural Blues di Moby, fino alla sincopata Home is where it hurts di Camille, che nel ritmo come nel titolo sintetizza perfettamente lo stato d’animo di martellante e drammatica attesa che pervade la commovente sesta pellicola di Xavier Dolan.
Immagini tratte da:
sopralerighe.it nanopress.it filmtv.it ricercalo.it wired.it filmtv.it leganerd.com Silenzio-in-Sala.com
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Marzo 2023
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