Arriva nelle sale italiane il live-action di Ghost in the Shell, opera partorita dal genio giapponese Masamune Shirow. Riuscirà il regista Rupert Sanders, con l’aiuto di Scarlett Johansson, a rilanciare il franchise cult?
Il regista e scrittore Mamoru Oshii, nelle tante interviste rilasciate negli ultimi mesi, afferma di nutrire una sorta di venerazione per il maestro del manga Masamune Shirow. Quest’ultimo, nella sua opera Ghost in the Shell, affronta il tema della fantascienza animistica in modo sopraffino. Personalmente non sono un grande amante nè di manga né di anime ma Ghost in the Shell è il precursore assoluto della cultura cyberpunk. Un’opera che ha conquistato il cuore di numerose persone nel mondo, ricca di contenuti profondi, in grado di lasciarci mille interrogativi. La grandezza di Shirow, con le sue tavole, e dell’anime di Oshii risiedono nella capacità di non dare banali spiegazioni ma di fornire i giusti mezzi narrativi per porci dei quesiti: “E se le macchine dovessero ribellarsi all’uomo?” -e ancora- “La nostra anima potrà essere conservata in un’armatura fatta di metallo e ingranaggi?”. Ghost è l’anima che risiede nello Shell, ovvero l’involucro che non potrà mai imprigionare la prima.
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Concetti talmente profondi, descritti attraverso un mondo lucido e allo stesso tempo caotico, che attirarono l’attenzione di due fratelli (oggi sorelle) visionari e tremendamente curiosi: i fratelli Wachowski. Lana e Andy (oggi si chiamano così) trassero ispirazione proprio dall’amatissimo manga per riuscire a dare alla luce Matrix e tutta la filosofia presente in quel tetro e misterioso universo. L’influenza del duo Shirow-Oshii è ancora più presente nella serie di corti Animatrix, short-movie di un fascino devastante, che spiegavano come le macchine fossero riuscite a sottomettere la razza umana. Ma fermi un attimo. Ce l’ho solamente io questa terribile sensazione di déjà-vu? Stiamo parlando di concetti già affrontati e ben digeriti nel 1999 e nel 2003. Eravamo riusciti a sopravvivere al Millennium Bug, la tecnologia faceva, giorno dopo giorno, passi in avanti sbalorditivi e il mondo stava cambiando pelle. Ovviamente anche il più longevo dei testimoni della nostra storia, il cinema, ci raccontava vicende che trasudavano originalità e spirito di coinvolgimento, quello che malauguratamente manca oggi.
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Tutto questo lo abbiamo già vissuto; l’inutile operazione commerciale della Paramount Pictures non potrà di certo farci stropicciare gli occhi dallo stupore. Rupert Sanders (ancora una volta alle prese con l’adattamento di un classico animato dopo Biancaneve e il cacciatore), il regista della trasposizione in live-action di GITS, non osa come i Wachowski ma si preoccupa di non pestare i piedi all’anime di Oshii, uscito nel ’95. Gli va dato senz’altro il merito di portarci in un mondo, dal punto di vista visivo, straordinario. Gli aspetti scenografici della sua pellicola sono decisamente curati e davvero stupefacenti, lo spettatore rimarrà affascinato da questo Giappone del futuro, dove la luce dei neon e degli ologrammi sui grattacieli si sostituisce a quella naturale. Le scene d’azione sono ben eseguite con un alto tasso adrenalinico e l’uso del 3D, questa volta, fa veramente la differenza, a tal punto che vi consiglio di guardarlo in 3D IMAX. Purtroppo, per Sanders e il suo team, è intollerabile la mancanza di una scrittura solida e lineare.
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I dialoghi spesso sono fini a sé stessi e i fiumi di filosofia presenti nel manga vengono risucchiati dalla paura di osare del regista. Sanders sembra concentrarsi solo sulla cura maniacale di alcune scene, sembra che voglia a tutti i costi “portare a casa il risultato”, correndo meno rischi possibili. Il profondo conflitto interiore della protagonista, Major, primo cyborg con cervello umano, non riesce ad appassionare lo spettatore. L’agente più forte a capo della Sezione 9, ovvero la squadra antiterrorismo che si occupa di criminali cibernetici, è un essere solitario che sogna i ricordi di una vita passata, un’anima desiderosa di conoscere le sue origini e destinata inevitabilmente a ribellarsi. Nella pellicola tutti i suoi interrogativi vengono frettolosamente spiegati, sembra che non ci sia tempo per conoscersi meglio, non scatta per niente la scintilla con il freddo personaggio interpretato dall’ottima Scarlett Johansson, sempre più a suo agio in questi ruoli del futuro ma lontana anni luce dalla splendida prova regalata con il capolavoro di Spike Jonze, HER.
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Ottimo il cast con la sorpresa della leggenda Takeshi Kitano, presenza che fa sognare i cinefili. Da lodare anche Juliette Binoche e il temibile villain Michael Pitt. Oltre a tutto questo però non c’è nient’altro, un altro prodotto vuoto, di cui onestamente non avevamo bisogno. Non può ridursi tutto ai magnifici effetti speciali, non bastano a far emozionare lo spettatore. Magari qualcuno è entusiasta di questa cinematografia moderna, tutta remake e tecnologia, ma, personalmente, credo sia arrivata l’ora di cambiare. Ghost in the Shell avrebbe dovuto segnare, stando ai pomposi proclami, una vera e propria rivoluzione.
Chi ama e vive di cinema si sarà fatto una grossa e amara risata. Cinematograficamente questa pellicola è ormai un ricordo del passato, un franchise ripreso con il solo scopo di monetizzare. È vero che noi esseri umani abbiamo sempre subìto il fascino del rapporto uomo-macchina, ma le major in questione si saranno certo dimenticate che prima di quest’operazione, al cinema, sono sbarcati capolavori come Blade Runner e Matrix, che di certo non hanno nulla a che vedere con il goffo e futile film in questione. Se siete fan della saga, forse vi accoderete alla marea di haters che ultimamente stanno monopolizzando il web con commenti al vetriolo; se state per approcciarvi a questo mondo per la prima volta accomodatevi pure ma state in guardia: il rischio di fare una trilogia del franchise è dietro l’angolo.
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Maggio 2023
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