In fuga verso la felicità
<<Felice non si dice perché è una parola che immalinconisce>> dice la giovane ma già saggia Betta (Alba Rohrwacher) al fratello Edo (Flavio Parenti). E di felicità in effetti nel film non si parla, anche se essa, o qualcosa di simile ad essa, sfiora in punta di piedi le vite di alcuni degli esponenti della famiglia Recchi, tanto che gli stessi devono stare all’erta, correre dei rischi perché non si defili. Ma non tutti ne sono capaci.
Sotto il cielo di una Milano plumbea e innevata, all’interno della lussuosa residenza della facoltosa famiglia di industriali Recchi, si compie un passaggio di testimone: l’anziano Recchi lascia le redini dell’azienda ai più giovani Tancredi (Pippo Delbono) ed Edoardo ( F.Parenti), rispettivamente il figlio ed il nipote. Cambiamento questo che determina squilibri all’interno della famiglia. Tancredi è fuori per molto tempo per occuparsi degli affari aziendali e la moglie, l’algida Emma (T. Swinton), finisce per incontrare Antonio (E. Gabriellini), un giovane cuoco, amico del figlio Edo. Di qui, il tradimento e l’inizio di una relazione clandestina.
Io sono l’amore (2010), film drammatico per la regia di L. Guadagnino, ritrarrebbe una storia trita e ritrita se ci fermassimo a questo punto. L ‘elemento insolito che lega la fascinosa Emma al giovane cuoco toscano è la cucina. I piatti, ( tutti realizzati dallo chef C. Cracco) che vengono gustati con voluttà dalla raffinata signora, ne esaltano i sensi anestetizzati dal grigiore del tran tran quotidiano, conducendola verso una dimensione quasi epifanica. Il regista è bravissimo a mostrarcelo, illuminando la donna con un fascio di luce che la isola dalle altre due commensali, durante una cena. Emma riconosce di avere una sintonia perfetta che la lega al cuoco: entrambi amano la cucina e con essa, la vita. Lei, russa che <<aveva dovuto imparare a essere italiana>>, aveva trovato nei piatti della tradizione della propria terra la consolazione alla nostalgia. Il cibo può -a chi glielo permette ed ha la giusta sensibilità- toccare le corde più nascoste dell’anima perché legato a ricordi, luoghi, persone. E così accade ad Emma che lentamente si riappropria del suo se più vero.
Agli ambienti ingrigiti, snob e alle affettate cene di famiglia della Milano alto-borghese si sostituiscono, alla metà del film, i luoghi della campagna sanremese che fanno da sfondo bucolico alla passione che divampa tra Emma e Antonio. Molto suggestivi i primi piani alla vegetazione, ai fiori e agli insetti, mentre si compie un intenso amplesso tra i due.
Il ritmo del film generalmente lento, riceve qualche scossone in occasione dell’avvistamento dell’intrigante Antonio per le vie di Sanremo da parte di Emma e a tratti la musica si fa martellante durante una sorta di inseguimento che la donna, irresistibilmente attratta, pur se con qualche attimo di esitazione, conduce all’insaputa dell’uomo.
Se la parte centrale del film privilegia i colori chiari e le atmosfere agresti, verso la fine abbiamo un brusco nonché ciclico ritorno alle atmosfere cupe dell’inizio: un grave lutto colpisce la famiglia e mette alla prova la capacità di rischiare di Emma, che della morte è in buona parte responsabile morale. I dialoghi sono misurati, Guadagnino ha privilegiano la capacità espressiva dei personaggi, soprattutto della protagonista T. Swinton (che ha peraltro ricevuto il Nastro d’Argento 2010) e di Flavio Parenti.
Io sono l’amore è un film che parla di fuga, evasione, risveglio e comprensione umanissima tra figure fuori dagli schemi (Emma e i figli Edo e Betta) che osano infrangere quella patina perfetta ma ingrigita che li intrappola, rendendoli infelici.
Quanto la ricca moglie di un industriale possa essere felice conducendo una vita necessariamente ridimensionata accanto ad un cuoco, questo non lo sappiamo ma nemmeno ci importa. Si tratta sempre di un film sentimentale e come tale vi è un’esemplificazione di alcuni risvolti reali e più materiali. Quello che colpisce la nostra attenzione è invece il tocco raffinato di Guadagnino che fa emergere la forza irriverente del coraggio di una donna che infrange le regole, lasciandosi alle spalle il torpore di una ingessata borghesia tutta apparenze. La fuga finale restituisce per un attimo tensione, ritmo e vitalità anche nella fredda e immobile dimora dei Recchi.
Immagini tratte da:
- thedailycollision.blogspot.com - silenzio-in-sala.com - denverlibrary.org - artearti.net - vallysdiary.blogspot.com - wwd.com
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Marzo 2023
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