SCENEGGIATURA: Raoul Ruiz
FOTOGRAFIA: Ricardo Aronovich MONTAGGIO: Valeria Sarmiento, Tony Lawson MUSICHE: Jorge Arriagada PRODUZIONE: EPO-FILM-PRODUKTIONSGES.M.B.H., FILM-LINE PRODUKTION, FILMSTIFTUNG NORDRHEIN-WESTFALEN, LUNAR FILMS, GÉMINI FILMS PAESE: Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna DURATA: 129 Min <<Detesto lo smorto cipresso, non cerco refrigerio nella sua silvestre primavera, ma mi addentro verso il mormorante fiume Mnemosine dove mi abbevero fino a dissetarmi e là, immergendo i palmi tra grovigli e cerchi d’acqua del suo intricato percorso, rivedo, come in quei sogni in cui sembra di affogare, le più strane immagini che abbia mai visto e misteriose visioni che nessun uomo ha visto mai>>. È il 6 febbraio 1918. Gustav Klimt è appena morto sul letto di una clinica dove ha passato agonizzante gli ultimi giorni di vita, malato di sifilide. Quelle virgolettate sono le parole con cui si accomiata per sempre da noi spettatori e dal mondo in una ipotetica quanto suggestiva ricostruzione del regista cileno Ruiz, che lo mostra bere serenamente mentre foglie, petali e neve, cadono lievi, come pioggia su di lui. Klimt (2006) è un film biografico: le vicende che il pittore vive sono una ricostruzione di eventi in ordine non cronologico in cui la realtà si mescola incessantemente alla finzione. Un salto attraverso lo specchio della stanza dove Klimt giace ed eccoci catapultati nella Vienna di inizio Novecento. Seduttore e uomo appassionato dallo spirito libertino nella vita come nell’arte, Klimt- di cui nel film abbracciamo il punto di vista- infrange audacemente le regole accademiche, inaugurando la stagione dell’Art Noveau e dando piena cittadinanza artistica ai disinibiti nudi di donna.
Ad eccezione di qualche breve e marginale dibattito sull’estetica del tempo, sull’idea di bello, di brutto, di funzionale o sulla mancanza di liceità del nudo (da cui traspare la chiusura degli ambienti accademici rispetto all’innovativa e sensuale pittura klimtiana), non ci sono riferimenti alla famosa Secessione viennese inaugurata in ambito pittorico dall’artista. Mancano, per così dire, le coordinate storico-artistiche, trascurate da una lettura più dell’uomo che dell’artista. Per questo la pellicola di Ruiz risulta essere biografica, seppure non in senso stretto. Se appaiono dimesse o in secondo piano le questioni strettamente artistiche, il catalizzatore delle energie e del genio sembra essere il corpo nudo di modelle ed amanti.
Tante sono le donne che ruotano attorno al pittore, una tra tutte Lea de Castro (Saffron Burrows), della quale non si riesce a comprendere la vera natura: è viva? È morta? Ha una sosia? E’una musa che ha ispirato il pittore? Quel che è certo è che è un mistero irresistibile, percorsa da una conturbante sensualità che confonde, in un gioco di doppi e ombre, lo stesso Klimt.
In un fantasmagorico andirivieni di delirio e visioni, particolarmente criptico è il destrutturarsi dell’ identità klimtiana, scissa in tre entità distinte: egli fa a botte col suo doppio mentre lui stesso da bambino osserva da lontano la scena.
Una cura particolare è stata prestata alla ricostruzione del mobilio, delle tele e dei materiali per dipingere, tra cui le lamine d’oro, un must del periodo aureo dell’artista.
Rilettura più romanzata che storica di un personaggio audace e anticonvenzionale, ben supportata dalla bravura del fascinoso J. Malkovich, somigliante in modo impressionante al pittore e dal “contorno” intrigante di donne, tele, atmosfere a tratti ammalianti e a tratti volutamente confuse. Episodi vissuti, ossessioni, desideri, rielaborazioni visionarie ed oniriche si mescolano in un turbinio incessante, tanto che il film risulta essere a primo acchito di difficile comprensione, artificioso, una sorta di miscellanea di eventi confusi. Ma è forse per questo che affascina.
Immagini tratte da: - Immagine 1 da mymovies.it - Immagine 2 da en.unifrance.org - Immagine 3 da ferdyonfilms.com - Immagine 4 da cinentransit.com - Immagine 5 da equilibriarte.net
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Marzo 2023
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