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5/6/2016

Le Confessioni – la recensione

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A distanza di tre anni dopo Viva la libertà, ritorna Roberto Andò con il suo nuovo film Le Confessioni. Un segreto inconfessabile, il potere, un morto, un monaco: questi gli elementi di un giallo dai toni sfuggenti e “metafisici”, in bilico fra silenzi rivelatori e parole che, al contrario, nascondono.
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di Carlo Cantisani


Regia: Roberto Andò
Sceneggiatura: Roberto Andò, Angelo Pasquini
Fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Clelio Benevento
Musiche: Nicola Piovani, aa. vv.
Interpreti: Toni Servillo, Daniel Auteuil, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino, Marie-Josée Croze, Moritz Bleibtreu, Lambert Wilson
Produzione: Bibi Film e Barbarys Film
Italia/Francia, 2016
Colore, 100 min.

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Nola foras ite, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas: “non uscire da te stesso, rientra in te: nell’intimo dell’uomo risiede la verità”. Così scriveva Sant’Agostino nell’opera La vera religione, incitando l’uomo a ricercare non tanto nel mondo ma piuttosto dentro di sé quella verità che si manifesta appieno nel rapporto intimo fra la persona e Dio. Un rapporto che assume i contorni di un segreto da custodire nel profondo, lontano dal mondo e da occhi indiscreti, come fanno i potenti ministri dell’economia nel nuovo film di Roberto Andò, Le Confessioni, nel tentativo di mantenere segreta una nuova pesante manovra economica che potrebbe cambiare per sempre gli assetti di alcuni paesi, varata a causa dell’ingerente influenza del Fondo Monetario Internazionale, il dio di questa epoca e da Andò messo sotto accusa nel corso della pellicola. Ma l’emendamento segreto rischia di essere compromesso proprio a causa della confessione che uno di questi uomini di potere fa ad un monaco, ospite del summit e da quel momento continuamente tampinato dai ministri stessi per estorcergli l’inconfessabile segreto. Un tragico evento, la morte di uno degli invitati, getterà ombre e dubbi sull’intera vicenda.
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Chissà se il cineasta palermitano, nella scelta del nome del film, ha cercato volontariamente un rimando ad un altro testo del V secolo d. C. di Sant’Agostino, Confessioni (in latino Confessiones); in ogni caso il titolo non sembra essere l’unico elemento condiviso dalle due opere, distanti nel tempo ma accumunate dalla voglia
 di sondare la psiche umana quando si trova a contatto con il peso della sua coscienza. È infatti la tematica del segreto quella che preme mettere in scena ad Andò, attraverso un plot narrativo che, seppur concepito ben prima dei recenti eventi drammatici della Grecia, inevitabilmente si riaggancia ad essi, costituendo così la base di partenza per il film. Com’è successo anche per Viva la libertà, Roberto Andò reinventa anche qui la realtà del nostro presente, superandola però in immaginazione e ponendola quindi sotto una luce capace di illuminarne zone oscure ed inedite: un processo che coinvolge un certo tipo di cinema dall’impronta civile ma che assume nella messa in scena toni surreali o iperreali, come Todo Modo di Elio Petri ha insegnato e al quale Le Confessioni si avvicina vagamente per ambientazione e personaggi. La differenza però risiede nel fatto che la pellicola di Andò cerca di barcamenarsi fra più generi e, soprattutto, differenti toni che come un mosaico costituiscono un’immagine più ampia: nella prima parte del film l’impianto è quello del giallo alla Agatha Christie e la suspance ricercata, e solo in parte ottenuta, quella alla Hitchcock (citando esplicitamente guarda caso Io Confesso in un dialogo) mentre nella seconda parte l’intento di denuncia e la volontà di scavare nei segreti e nei silenzi dei personaggi prende di gran lunga il sopravvento. In questa doppia caratterizzazione risiede certamente la particolarità della pellicola, alla quale va riconosciuto il coraggio nell’affrontare un tema attuale senza scadere in facili cliché che avrebbero banalizzato un argomento, come quello del rapporto fra politica ed economia, così complesso. Finché Le Confessioni scorre sui registri del giallo e di certo cinema dello stesso tipo riesce a compiere un ottimo lavoro: mantiene alta la tensione, semina dubbi e domande lungo la sua strada, allude senza mai chiarire completamente. Ogni elemento è al suo posto e reso ad arte: la regia molto personale, che si concentra sui particolari degli ambienti e dei corpi come occhi, mani e spalle creando il giusto grado di spaesamento; l’ambientazione chiusa, fredda e minimale accentuata dalla fotografia, un lussuoso hotel in Germania dove si è realmente svolto un G8 nel 2007 che sembra uscito da un’opera di De Chirico; gli attori, a cominciare dal monaco interpretato da Toni Servillo, che nonostante non convinca del tutto rispetto ad altre sue prove, è l’unico a mantenere in piedi il film; le musiche di Nicola Piovani (oltre a brani di Schubert e Walking on the wild side di Lou Reed) accentuano la tensione e riempiono i vuoti lasciati dai silenzi dei personaggi.
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Nonostante tutto ciò, man mano che il film si svela, la buona impalcatura di Andò inizia a perdere terreno, sino a sfaldarsi quasi completamente all’approssimarsi del finale. I toni da giallo e la carica di mistero che il segreto e la presenza del morto portano con sé vengono accantonati a favore di dialoghi sempre più carichi, e a volte autoreferenziali, sui destini del mondo, sulla carità e l’umanità, dando l’impressione che il film voglia dimostrare a tutti i costi la sua profondità di pensiero. Anche le trovate surreali e le scene potenzialmente spiazzanti vengono sacrificate all’altare di una certa moralità (forzata): esempio ne è la scena del cane nella stanza ovale, che vorrebbe essere forte ma manca del tutto il suo obiettivo. Questa sequenza può essere presa a simbolo degli aspetti deboli del film: una pellicola che è perennemente intenta a prepararsi a mordere, caricando di aspettative lo spettatore, ma che al momento dell’atto, fallisce. E tutta questa grande metafora si rivela, alla fine, vuota, o meglio, non perfettamente trasmessa e comunicata come solo il cinema saprebbe fare. Le Confessioni vuole avere entrambi i piedi in più scarpe e se all’inizio sembra avanzare, nel corso della vicenda si fa prendere la mano dalla sicurezza dei suoi mezzi e alla fine inciampa, e con il film lo spettatore. Non se ne uscirà sanguinanti e con le ossa rotte, per fortuna: ma doloranti si, e di certo la voglia di riprovare l’esperienza sarà scomparsa.
Immagini tratte da:

  • michael-kegel.de
  • cameralook.it/
  • circuitocinemagenova.com

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