Avete mai pensato di poter perdere la memoria selettivamente e di dimenticare soltanto i ricordi legati al cinema degli ultimi dieci anni? Luca Zambianchi lo ha fatto. E intorno all’oblio temporaneo del giovane Luca (interpretato dal regista stesso), ha realizzato Lo spettatore, elegante cortometraggio che segue, in ordine di tempo, Solitudine On demand.
È bastato (si fa per dire!) cominciare a guardare alcune scene della fantomatica pellicola “Il centopiedi umano” per cancellare ogni traccia di ricordo cinematografico. Uno shock che probabilmente non sarebbe capitato a tutti. Ma Luca è un malinconico e forse quel film non avrebbe dovuto guardarlo, “uno deve sapersi escludere per tempo!”
E allora cosa fare? Riacquistare la memoria? Ma poi perché? Per accorgersi di un panorama culturale in decadenza? Sì, perché in Italia, come lo stesso regista riporta ad inizio corto, le sale cinematografiche chiudono davvero. Se ne contano esattamente 1149 in meno, dal 2000 al 2014, perlopiù monosale.
Tra la calma surreale delle strade di Forlì e motivetti raffinati dal gusto retrò, il percorso riabilitativo (ma mica poi tanto), in cui Luca riscopre pian piano la realtà. I cinema chiudono: è uno stato di cose. Tanti i fattori che lo determinano. E a niente serve osannare certi filmetti scadenti riconvertendoli a grandi capolavori da parte una certa critica o, sul fronte opposto, il trincerarsi nella torre d’avorio di una concezione elitaria dell’arte. Il cinema era ed è intrattenimento .
E Luca, che è lo spettatore, ce lo ricorda bene. Seduto, sulla poltrona di un cinema all’aperto dopo aver assistito alla proiezione di una pellicola restaurata, ammette che forse perdere la memoria non è poi una disgrazia. L’importante nella vita resta l’atteggiamento. Bisogna imparare a riconquistare, più che la memoria, quella “sana inconsapevole leggerezza” di cui troppo spesso ci dimentichiamo.
Una riflessione “malincomica” (neologismo coniato dal regista che fonde insieme malinconia ed ironia) sulla condizione della settima arte ai nostri giorni in grado mostrare gli effetti concreti del “mondo che cambia” attraverso lo spettacolo decadente delle saracinesche abbassate e del progressivo assottigliarsi degli spazi di condivisione artistica. Inquadrature spesso fisse mostrano Luca, tra le strade della sua Forlì in un racconto fluido, ricercato ed elegante pur (e forse soprattutto) nella sua semplicità, esito in parte delle scelte registiche (inclini a lasciare libertà interpretativa allo spettatore) ed in parte scelta obbligata (effetto del low budget). Un accattivante connubio di ironia e malinconia che esalta la freschezza di un narrare giovane ma già nostalgico. Una storia che offre lo spunto a delle riflessioni su più livelli di lettura. Abbiamo quindi pensato di rivolgere alcune domande al giovanissimo Luca Zambianchi. Di seguito, la nostra intervista.
Di solito si parla delle aspettative del pubblico rispetto all’uscita delle pellicole. Invertiamo la prospettiva: chi è per te lo spettatore e cosa ti aspetti da lui?
Per fortuna non esiste un solo tipo di spettatore, altrimenti esisterebbe un solo tipo di film… e molto probabilmente non sarebbe il mio! Lo spettatore è parte del film a tutti gli effetti, perché alla fine è colui o colei che darà un significato personale al film… e in questo senso, quindi, esistono anche molte versioni dello stesso film. Ogni spettatore ha la propria sensibilità e il proprio approccio alla visione di un film. In linea generale, io cerco di fare ciò che mi piacerebbe vedere da spettatore, sperando che qualcuno sia simile a me. “Il centopiedi umano” è il film che nel corto ti causa l’amnesia cinematografica. Tenendo presente la scena cinematografica odierna (italiana e non), a quale genere ti consideri più lontano? Credo che l’horror e i film d’azione siano decisamente i più lontani dai miei gusti e dalle mie aspirazioni. Per fortuna in Italia se ne fanno pochi, ma in compenso abbondiamo di commedie ammiccanti alla mediocrità dell’Italiano medio. In generale, non mi piacciono quei film che sottovalutano la mia intelligenza di spettatore. Parliamo di Luca come spettatore. Quali sono i registi e gli attori che ti ispirano o ti hanno ispirato? Sono uno spettatore molto diligente, vado al cinema almeno una volta a settimana e cerco sempre di scoprire autori che non conoscevo… però, quando ritorno da queste “esplorazioni”, mi rifugio sempre in Nanni Moretti, Sorrentino e il Woody Allen presenile. Ho gusti molto ristretti, ma forti. Ne “Lo Spettatore” c’è un forte contrasto tra la calma surreale delle strade in cui ti muovi e un mondo che si evolve rapidamente, il cui riflesso è la chiusura dei cinema. Il tema del mondo che cambia era presente anche in Solitudine On Demand. Come concili la tua sensibilità artistica di giovane regista con una realtà che non sempre cambia in meglio? Insomma, pensi sia meglio vivere il presente o ricordare il passato? Penso che l’ideale sarebbe fare entrambe le cose. Credo che la malinconia sia un sentimento necessario per avere consapevolezza dello scorrere del tempo. In questo senso, il ricordo del passato, spesso partendo dall’infanzia, ci serve per capire che traiettoria esistenziale abbiamo percorso finora e quindi è utile, secondo me, anche per vivere il presente con più consapevolezza. Dai quei pochi cortometraggi che ho fatto, credo che un tema ricorrente sia la diffidenza verso chi vive costantemente al passo coi tempi e giustifica ogni cosa con la frase “il mondo cambia”. Trovo molto più interessanti quelli che incespicano e si sentono sempre un po’ fuori posto. Qual è, secondo te, la ricetta per cercare di non realizzare film banali o scadenti e allo stesso tempo coinvolgere lo spettatore, evitando di cadere in forme snobistiche di autoreferenzialità? Se avessi questa ricetta, la userei più spesso… Come concili la tua vena nostalgica con una realtà accelerata che, pur considerandoi tanti aspetti negativi, facilita la possibilità di sperimentare e mettersi in gioco anche per noi giovani? Pensi che la tecnologia possa effettivamente giocare un ruolo importante rispetto all’emergere di nuovi talenti? La tecnologia è venuta al mondo senza colpa, poi dipende dall’uso che l’uomo ne fa. Nel caso preciso del fare film, il digitale ha permesso a gente come me di fare film eliminando le spese annesse alla pellicola, ma la spesa non è diminuita. Ora i soldi si spendono in carrellate e dolly e rincorrendo una fotografia ultra-patinata, come per far vedere a tutti che “si sta facendo cinema”. Molti cortometraggi che si vedono oggi ai festival vengono girati con 10-20.000 euro di budget, e il contenuto è quasi sempre un pretesto per fare a gara di muscoli nel reparto fotografia. Che va benissimo per vantarsi al bar con gli amici. Nuovi progetti? Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Adesso inizia la fase che preferisco, quella delle idee da setacciare e da scrivere. Non state in pensiero, mi faccio vivo io quando ho fatto qualcosa…
Immagini tratte da:
We transfer
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Marzo 2023
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