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12/2/2017

All'Arsenale rivive il surrealismo di Buñuel e Dalì

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di Enrico Esposito e Stefano Pipi

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Salvador Dalì e Luis Buñuel

In occasione della mostra dedicata a Salvador Dalì presso il Palazzo Blu di Pisa (aperta al pubblico fino a domenica 19 febbraio), il Cinema Arsenale ha voluto omaggiare il grandissimo pittore spagnolo organizzando la proiezione del corto "Un chien andalou" e del lungometraggio "L'age d'or" diretti dal regista Luis Buñuel. Eccezionalmente per l'occasione, le due pellicole sono state accompagnate dalla performance musicale live ad opera di Giada Turini (computer e ambienti di programmazione sonora) per il primo film, e di Nicola Corsini (drum machine e sintetizzatori) e Andrea Caracciolo (chitarra) per il secondo.
Bu
ñuel, premio Oscar e palma d'oro a Cannes, aveva conosciuto Dalì (e altri importanti protagonisti della cultura dell'epoca, tra cui Federico Garcia Lorca) nella fervida Parigi degli anni '30 , con il risultato di innescare una simbiosi straordinaria tra due menti creative e rivoluzionarie all'ennesima potenza. I due artisti avevano gettato le basi del Surrealismo, dando vita a diversi manifesti di questa nuova corrente di pensiero come il corto "Un chien andalou" ("Un cane andaluso"), in cui Dalì partecipava attivamente nelle vesti di scenografo, sceneggiatore e anche attore.

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Nonostante la sua durata si attesti intorno ai 21 minuti scarsi, sintetizzare in poche righe il contenuto di "Un chien andalou" si dimostra un'impresa non soltanto impossibile, ma ancor di più terribilmente irrispettosa per la densità di contenuti visivi e simbolici messi in mostra dalla pellicola. Per tale ragione, e per non rovinarvi troppo il gusto di vedere un'opera così originale (per l'epoca, e ancora adesso) e interessante, ci limitiamo ad alcune osservazioni generali sull'opera, che, uscita nel 1929, introdusse per la prima volta il cinema surrealista nelle sale.

"Un chien andalou" è un film di fronte al quale lo spettatore non può permettersi pause, sia per non perdere i passaggi della trama già per di sé frammentaria e anarchica, sia in virtù del susseguirsi incessante di scene che spesso non sembrano avere nulla a che vedere l'una con l'altra. Bu
ñuel e Dalì infatti non mirano a presentare una narrazione fluida e realistica secondo i canoni, tendono anzi a sconvolgerla, sviluppando a intermittenza immagini oniriche e ai limiti della follia che talvolta rappresentano uno strumento di critica alla società (in particolare alla Chiesa), o altrove mettono in scena idee e sogni direttamente partoriti dalle loro menti. Nella ricerca di un minimo plot alla base del corto, "Un chien andalou" racconta l'attrazione tra un uomo e una donna vissuta in preda a sensazioni disparate. Dal rovente appetito sessuale di lui ai timori di lei, dalla dolcezza di lei alle insicurezze di lui che arriva a confrontarsi quasi con un'altra parte di sé.

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Sono questi i temi che ritornano anche ne "L'age d'or", nuova opera di Buñuel e Dalì uscita per la prima volta nel 1930. Il tema dell'attrazione fisica fra un uomo e una donna diventa il fulcro per raccontare una storia vera e propria: non più la rapsodica rincorsa di immagini surrealiste del lavoro precedente, ma la vicenda (condita di elementi assurdi e di trovate stilistiche affascinanti e originali) di due amanti che cercano di appagare il proprio desiderio, senza però mai riuscirvi. Le regole sociali e il decoro borghese si intromettono continuamente per frustrare i tentativi dei protagonisti. Anche questo film di Buñuel e Dalì è un'aspra critica alla società dell'epoca. La religione (emblematica la scena in cui compaiono degli scheletri vestiti da papi), il finto e cinico perbenismo dell'alta società (assurdamente ripiegata su se stessa, e completamente cieca di fronte alla realtà) sono i bersagli della critica de "L'age d'or". Il messaggio è questa volta molto più diretto rispetto a "Un chien andalou": lo sviluppo, anche se non lineare, della vicenda veicola perfettamente la visione che sta alla base del film. La nuova opera di Buñuel deve molto alla psicoanalisi. I protagonisti esprimono, attraverso atteggiamenti a volte assurdi, le proprie pulsioni inconsce, i propri desideri repressi e inconfessati. Non stupisce che la pellicola venne all'epoca vietata per oltre vent'anni, fino al 1950.

"Un chien andalou" e "L’age d'or" sono ormai due capolavori del cinema. Due opere di una modernità spaventosa, disarmante, che spiazzano lo spettatore, ma proprio per questo lasciano intravedere (nell'apparente insensatezza di alcune scene e nelle scelte di sceneggiatura, coraggiosissime per l'epoca) un significato e una potenza espressiva dirompenti.


Immagini tratte da:

Immagine 1 da www.venividivici.us
Immagine 2 da www.mahaart.it
Immagine 3 da www.viewspaper.net

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