Germania, 1939. Liesel (Sophie Nélisse) è una ragazzina che perde il fratellino e trova un libro sotto la neve che non può leggere perché incapace di farlo. Abbandonata dalla madre, costretta a lasciare la Germania per le sue idee politiche, viene adottata da Rosa (Emily Watson) e Hans Hubermann (Geoffrey Rush) . Qui Liesel apprende molto presto a leggere e ad amare la sua nuova famiglia, inoltre fa amicizia con un ragazzino di nome Rudy.
Gli Hubermann decidono di nascondere in casa Max Vandenburg, un giovane ebreo sfuggito ai rastrellamenti tedeschi che completerà l'istruzione di Liesel. Colto e sensibile, Max le insegnerà il valore e il potere delle parole: leggere e scrivere diventeranno il suo modo di esprimersi mentre fuori incombe la guerra.
"Storia di una ladra di libri" è l'adattamento di "La bambina che salvava libri", romanzo di Markus Zusak. Il film è sceneggiato da Michael Petroni (Le Cronache di Narnia - Il viaggio del veliero) e diretto da Brian Percival (Downton Abbey). L’opera racconta una vicenda ambientata durante il Nazismo ma non improntata sulla violenza della guerra, bensì sull'importanza dei libri e della letteratura per esprimersi e combattere l'ignoranza. Liesel salva dai roghi nazisti i libri che dovevano essere bruciati perché non idonei all'ideologia nazista e allo spirito tedesco, poi li sottrae dalla biblioteca della moglie del sindaco e continua a salvare libri anche quando i tempi si fanno più duri e Hitler sale al potere. Il film è recitato in maniera superba da Geoffrey Rush, Emily Watson, che interpreta una donna severa che nasconde un cuore d'oro, e la graziosa e bravissima Sophie Nélisse.
Noi spettatori vediamo il mondo proprio attraverso gli occhi innocenti di Liesel, anche se a raccontarci la storia di questa piccola ladra di libri é la Morte in persona, stanca del suo interminabile lavoro di far morire gli umani, soprattutto in tempo di guerra, ma affascinata nell’osservare ogni tanto la vita di qualcuno. Infatti la Morte non resta indifferente alla storia di Liesel e proprio per questo vuole raccontarla. Questa resterà accanto alla ragazzina per una lunga parte della sua esistenza. Nonostante la Morte sia sempre presente, nel film non vengono mostrati gli orrori della guerra, non c'è sangue, violenza, terrore. "Storia di una ladra di libri" è un film per tutta la famiglia, imperdibile per chi ama leggere e ricco di insegnamenti profondi: i libri hanno un valore formativo molto importante, fanno viaggiare con la fantasia ma anche riflettere senza rinunciare a emozionarci.
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Dopo aver fatto il pieno di Golden Globes con ben sette premi vinti su altrettante candidature e aver conquistato 14 nominations ai prossimi Oscar, è arrivato Giovedì 26 nelle nostre sale l’elogio ‘’ai folli e ai sognatori’’ del talentuoso regista Damien Chazelle: La La Land.
Musiche: Justin Hurwitz
Scenografia: David Wasco Cast: Ryan Gosling(Sebastian Wilder), Emma Stone(Mia Dolan), J.K. Simmons(Bill), John Legend(Keith), Rosemarie Dewitt(Laura Wilder), Finn Wittrock(Greg Earnest) Dopo aver conquistato il Festival di Venezia a fine agosto, dopo aver fatto incetta di premi all’ultima edizione dei Golden Globe e dopo esser stato nominato dalla Academy con ben 14 candidature, arriva finalmente il tanto atteso La La Land, diretto dal regista canadese Damien Chazelle. Primo musical ambientato a Los Angeles, una sfida che non spaventa affatto il giovane e innovativo Chazelle che trova in L.A. il perfetto palcoscenico per la sua toccante storia. Mia (Emma Stone) è un’aspirante attrice che, tra un provino e l’altro, serve cappuccini alle star del cinema. Sebastian (Ryan Gosling) è un musicista jazz, che sogna di aprire un locale tutto suo e per sbarcare il lunario si esibisce in tristi piano bar. Dopo alcuni incontri casuali, dove non mancano non poche frizioni, fra i due giovani artisti esplode una travolgente passione. Mia e Sebastian inizieranno a intrecciare i loro sogni, s’incoraggeranno l’uno con l’altro per riuscire a realizzare tutto quello che hanno sempre ardentemente desiderato fin da bambini. Ma quando inizieranno ad ottenere i primi successi, i giovani amanti dovranno confrontarsi con delle scelte che metteranno in discussione il loro rapporto. Spesso i sogni non hanno sempre un lieto fine e durante il cammino per realizzarli, dovrete essere disposti a dire addio a qualcosa di molto importante. Damien Chazelle con La La Land ci conferma di essere non solo un attento e innovativo cineasta ma un grande appassionato di musica. Dopo i tre Oscar ottenuti con Whiplash, in fondo c’era da aspettarselo: questo ragazzo canadese di 32 anni ha il fuoco del cinema che gli scorre dentro, è riuscito a rivitalizzare il mondo dei musical americani prendendo le giuste misure e riuscendo a reinterpretarlo in chiave contemporanea. La vera protagonista di questo film è la vecchia città di L.A. “che venera ogni cosa e non dà valore a nulla”, Chazelle la mette al centro del progetto e gira gran parte della pellicola in luoghi reali, come accadeva nella vecchia Hollywood degli anni ’50, quando nel nostro cinema a farla da padrone erano proprio loro: i sogni. Quelle emozioni sincere, quelle improvvise lacrime, che sapeva suscitare quel genere di pellicole, come Casablanca di Curtiz (una delle tante pellicole omaggiate all’interno del film), oggi devono lasciar spazio al cinismo moderno. I sogni odierni di L.A. hanno un prezzo. L’industria moderna non vuole aspettare, ha troppa fretta di monetizzare, si preoccupa solo di stupire lo spettatore con funambolismi cinematografici fini a sé stessi. Chazelle lancia una chiara critica al cinema contemporaneo, colpevole di non emozionare, in piena crisi mistica come la nostra generazione del resto. La maggior parte dei ragazzi di oggi per emergere deve fare i conti con una società arida, priva di valori forti e sentimenti onesti. I due protagonisti del film sono alla costante ricerca del successo ma non vogliono arrendersi a un mondo così instabile e superficiale. Inizialmente hanno paura ad abbandonarsi l’una all’altro ma l’amore riesce poi a catturarli e tutto quello che li circondava e contemporaneamente li opprimeva passa in secondo piano. Mia e Sebastian c’insegnano che è ancora possibile perseguire i propri sogni senza rinunciare alla propria umanità. I protagonisti della pellicola li possiamo ritrovare in ognuno di noi. Le loro paure, le loro fragilità, i loro sguardi innamorati, le loro ambizioni, i loro tormenti artistici li possiamo trovare dentro le nostre anime. Chazelle dedica la pellicola proprio ai sognatori e ai folli, gli unici che possono opporsi al lento degrado intellettuale di questi nostri tempi bui e fin dal primo minuto mette in chiaro che La La Land trae la sua forza e la sua spensierata bellezza dalla passione e dal rispetto che nutre per la decima musa, alta cinefilia allo stato puro che la dice lunga sull’idea e sul modo di girare dell’autore. Oltre alla robusta sceneggiatura, la coloratissima fotografia e degli scenari da mozzare il fiato il tutto viene impreziosito dalla straordinaria prova dei due attori: Ryan Gosling e Emma Stone. La coppia di star, una delle più affiatate dei nostri tempi, recita insieme per la terza volta (Crazy, Stupid, Love e Gangster Squad) e non delude affatto le alte aspettative, confermandosi come due protagonisti di altissimo livello e sfoggiando un’invidiata complicità artistica: Gosling è l’interprete giusto per questo ruolo perché oltre ad essere un attore completo è anche un musicista e la sua performance parla da sola. Il compositore del film Justin Hurwitz svela che Gosling si sia esercitato duramente e che era talmente preparato da girare in autonomia le sequenze del pianoforte, senza la necessità di dover ricorrere a controfigure o all’uso della CGI. Che dire della straordinaria Emma Stone? La vincitrice della Coppa Volpi all’ultima mostra di Venezia ci regala una prova d’attrice d’altri tempi. La scena dell’audizione verso il finale del film è da brividi, il suo monologo apre alle struggenti note del brano ‘’Audition (Fools Who Dream)’’ dove potrete percepire l’unicità e la potente sensibilità di La La Land, vero e puro elogio alla musica. Damien non ci fa mancare nulla e da grande estimatore omaggia con notevole raffinatezza il mondo del jazz. Gli omaggi a Charlie Parker e Thelonious Monk si sprecano, nei dialoghi di Gosling possiamo percepire tutto il rispetto, la venerazione e l’amore che il regista nutre per il jazze. Possiamo affermare senza dubbio che Damien Chazelle ci ha regalato il film di questo nuovo anno, la sua fame di cinema lo ha portato a dare vita a un titolo che rimarrà impresso nella storia della cinematografia e attediamo con ansia di vivere l’evolversi della sua carriera. Non indugiate ad andare in sala per godere, vivere e assaporare questa magnifica opera, raramente capita di vivere delle emozioni così belle e sincere. La La Land lo paragonerete a un ballo, una carezza, a un cucchiaio di tiramisù o, meglio ancora, a un dolce bacio ed è inutile ricordarvelo: non ne potrete più fare a meno. Immagini tratte da: Locandina: movieplayer.com Immagine1: Coda-craven.org Immagine2: popkaiture.com Immagine3: slashfilm.com Immagine4: Cinemablend Immagine5: cinematografo.it
Uscito giovedì 19 nelle sale italiane il dramma sci-fi dell’ormai certezza Denis Villeneuve, che ci presenta una pellicola intima e innovativa che stravolge indubbiamente il concetto di fantascienza.
Possiamo dirlo senza troppi timori: Denis Villeneuve è un’assoluta certezza dell’industria cinematografica. Il regista canadese, dopo il noir Sicario e il dark thriller Prisoners, non solo convince ma stupisce, ridefinendo il genere fantascientifico con la sua ultima opera: Arrival. Dodici navi aliene, dalla forma ovoidale, atterrano su dodici diversi punti del nostro pianeta. Le maggiori potenze mondiali cercano subito di stabilire un contatto con gli strani visitatori che sembrano semplicemente attendere qualcosa: non escono dalle loro navicelle, non lanciano nessun ultimatum ma soprattutto sembrano non avere intenzioni bellicose. Il colonello Weber (Forest Whitaker) chiede alla rinomata linguista Louise Banks (Amy Adams) di stabilire un canale di comunicazione immediato, insieme al fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner). I due entreranno in contatto con i curiosi Eptapodi e cercheranno di definire un alfabeto per conoscersi, mentre l’umanità in preda al caos è sul piede di guerra. Riusciranno a capire il motivo dell’arrivo degli alieni? Cosa vogliono queste creature dalla razza umana?
Arrival proietta sul grande schermo un racconto intelligente, drammatico e di un’attualità sconcertante, che genera nello spettatore più attento un intricato gioco di emozioni. Villneuve si avventura in un genere tutto nuovo ma lo fa con grande sicurezza e maestria. Il film è tratto dal romanzo di Ted Chiang, Stories of Your life. Il regista riesce nell’arduo compito di tradurre in immagini un sofisticato libro, senza strafare né copiare il collega Nolan, che qualche anno fa ci aveva proposto Interstellar, altro sci-fi con ambizioni molto alte, ma che non ha convinto fino in fondo. Con Arrival veniamo catapultati in una realtà che conosciamo fin troppo bene. Il regista gioca con le paure più profonde e le diverse barriere erette dagli stessi esseri umani. Oggi le difficoltà di comunicazione generano forti incomprensioni che molto spesso, purtroppo, sfociano in conflitti bellici o atroci genocidi. Il regista con classe e spiccata intelligenza affronta numerosi temi, che ci fanno riflettere non poco. Mette a confronto lo spettatore con le sue paure primordiali per poi portalo verso un percorso molto, ma molto elevato.
Arrival non è affatto un’opera che va presa alla leggera, non vi aspettate quindi la classica fantascienza tutt’azione ed effetti speciali confezionata maldestramente in uno scontato Blockbuster! Il film di Villeneuve ambisce a toccare le nostre anime, riesce a risvegliare in noi sentimenti e sensazioni che oggi sembrano assopite. La sceneggiatura di Eric Heisserer non regge il confronto con l’ottima prova del regista che si esalta nel perfetto connubio con la fotografia di Bradford Young. Il film è un’alchimia di emozioni e immagini che incanta e turba contemporaneamente. Si riesce a percepire con forza quel senso d’incertezza in alcune parti, infatti nella prima ora in Arrival può accadere di tutto: la catastrofe o il miracolo.
Tutto questo non è solo merito dell’occhio esperto del regista ma della straordinaria e toccante interpretazione di Amy Adams. Il suo personaggio è al centro di questa storia ed è capace di comunicare i suoi pensieri solo con il suo penetrante sguardo. In mezzo a un mondo isterico, già predisposto al caos, Louise combatte le sue insicurezze e riesce a trovare uno sconfinato coraggio. La Adams ci prende per mano e ci guida verso la bellezza dell’ignoto. La conoscenza della linguista non può che inchinarsi al cospetto dell’amore, la sua caparbietà le permetterà di sfidare la triste linearità della vita.
Villeneuve si serve di quest’imperfetto essere umano per stravolgere i concetti di spazio e tempo e il risultato è assolutamente avvincente, entusiasmante ma soprattutto innovativo ed è questo principalmente, quello di cui ha bisogno il nostro cinema. Un’opera filosofica che affascinerà i sognatori e gli spettatori più esigenti, ma che non convincerà affatto chi si rifiuta di vedere il mondo con occhi diversi. L’arrivo di un qualcosa di impensabile potrebbe sconvolgere le nostre affannose e piatte vite e costringerci a ridefinire il nostro modo di vivere su questo mondo. Denis Villeneuve con Arrival lancia una vera e propria sfida e rimescola le carte in tavola offrendoci uno spettacolo a tratti geniale, che nel bene o nel male farà tanto parlare di sè.
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Vita, amore e morte sono intrecciati come in una sinfonia in un film dove tutto accade in poche ore. Un’atmosfera cupa, rasserenata da pochi sprazzi di luce, lì dove i ricordi illuminano il buio del presente. E il ticchettio di un orologio a pendolo che, battito dopo battito, scandisce l’irreversibile scorrere del tempo.
Louis (G. Ulliel), omosessuale e scrittore affermato, sta morendo ed è tornato, dopo ben dodici anni di assenza, per dire addio ai suoi cari. Una carrellata di personaggi, emblemi di un’umanità fragile e variegata, circondano e stordiscono un Louis quasi sempre in silenzio.
Un quadro familiare disastrato in cui a mancare è la capacità di ascoltarsi. Catapultati nella casa della madre Martine (N.Baye), donna frivola e apparentemente superficiale, una terna di personaggi animano la scena. C’è chi, come Antoine (V. Cassel) è arrabbiatissimo con la vita e incapace di perdonare la lontananza fraterna vissuta come un abbondono; chi, come Suzanne (L. Seydoux), è disorientata nei confronti del fratello e della vita perché entrambi le sono ancora sconosciuti; e chi è timida e insicura, come Catherine, la cognata (M. Cotillard), ma conserva – a dispetto degli altri – una forma di sensibilità empatica che le permette di comunicare davvero, anche senza le parole.
Primissimi piani e inquadrature da dietro colgono le emozioni nei gesti e sui volti degli attori. Il febbrile parlare di personaggi che in fondo non si dicono nulla si placa e, abbassatosi il volume, Louis si estranea da tutti, riappropriandosi dei ricordi legati alla casa e alla sua giovinezza. Sono gli oggetti a risvegliare la memoria. Un vecchio materasso lo riporta lontano nel tempo, quando aveva amato Pierre. Immagini ipnotiche sulle note della psichedelica Une Miss s’immisce, restituiscono per un attimo sollievo al giovane, conducendolo in una dimensione magica, quasi onirica, in cui il tempo, fluido, scorreva felice. Così come, con in sottofondo la movimentata Dragostei din Tei e sullo sfondo di un cielo azzurrissimo, il flashback in cui Louis gioca felice con Antoine sul verde brillante di un prato. Ma il passato non c’è più.
Adesso l’incomunicabilità permea il presente e paralizza Louis, assente e in silenzio, in attesa solo di poter andare via. Non c’è speranza che i suoi cambino e che lo riescano a capire. Per loro sarà sempre l’incomprensibile artista verso cui provano sentimenti ambivalenti. Ed ecco allora che le occasioni per raccontarsi naufragano in egoistici monologhi da parte della madre e del fratello.
Un susseguirsi di episodi il cui climax è l’ultima cena in cui Antoine esplode in un mix di rabbia, nostalgia e gelosia, movimentando un’atmosfera che anche nei colori sembra infuocata. Louis non è desiderato e deve andare via, cacciato bruscamente mentre cena, tra le urla di Martine e Suzanne che tuttavia sembrano adeguarsi a un finale già scritto.
Triste epilogo in un film in cui la morte non è appena quella fisica, che peraltro Louis non riesce nemmeno ad annunciare benché in qualche modo aleggi nella cupezza della casa. È il vedersi vivere, già morendo, nell’assenza di comprensione, di empatia e nella generale incomunicabilità della sgangherata famiglia, eccezion fatta per la sintonia di sguardi che Louis scambia con la cognata Catherine, estranea eppure così vicina, più di quanto non lo siano i consanguinei.
Due soli giorni per impattare con la crudezza di una realtà familiare immutabile per un personaggio che porta su di sé il peso saputo di una fine imminente. Ispirato all’omonima pièce teatrale di Jean-Luc Lagarge, Xavier Dolan, a due anni dal toccante Mommy, ci regala un altro capolavoro che ha peraltro vinto il Gran Prix Speciale della Giuria a Cannes 2016. Una sensibilità registica che indaga, con acutezza e lucidità, il dramma personale di un uomo senza mai cadere nel patetico. Un film che scuote lo spettatore, tenendolo incollato a ogni silenzio, a ogni sguardo e cambio di inquadratura. Impeccabile dal punto di vista stilistico-formale con un’estetica curatissima che in certi punti strizza l’occhio al videoclip e agli stilemi tipici della pubblicità. Cast particolarmente ispirato e splendida la colonna sonora: da Miss You dei Blink 182 e Dragostea Din Tei degli O-Zone, passando per Natural Blues di Moby, fino alla sincopata Home is where it hurts di Camille, che nel ritmo come nel titolo sintetizza perfettamente lo stato d’animo di martellante e drammatica attesa che pervade la commovente sesta pellicola di Xavier Dolan.
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sopralerighe.it nanopress.it filmtv.it ricercalo.it wired.it filmtv.it leganerd.com Silenzio-in-Sala.com Paterson è una cittadina americana nel New Jersey, la terza più popolata dello stato con i suoi 146.000 abitanti, e, per densità, inferiore soltanto a New York City. Chiamata "Silk City" perchè rappresentava un centro cardine del commercio della seta nel 1800, Paterson raccoglie le splendide cascate del fiume Passaic ed è conosciuta per aver dato i natali al celebre poeta William Carlos Williams, Premio Pulitzer postumo nel 1963, che onorò la città con la raccolta di cinque poesie intitolata per l'appunto "Paterson". Nei suoi 300 anni scarsi di storia, Paterson fu anche il luogo da cui partì l'anarchico Gaetano Bresci alla volta dell'Italia prima di attentare alla vita del re Umberto I. E a Paterson, nella notte del 17 luglio 1966, il pugile di colore Rubin "Hurricane" Carter veniva arrestato perchè ritenuto responsabile di un triplice omicidio a causa del quale egli subì uno dei processi più dibattuti della storia americana ("In Paterson that's just the way things go If you're black you might as well not show up on the street" cantava Bob Dylan nella sua "Hurricane"). Jim Jarmusch semina questi frammenti di cronaca e cultura da dietro la sua cinepresa affidandosi a mezzi diversi; viste mozzafiate o disinteressate, articoli di giornale incollati sul muro di un pub, inquadrature alle gambe o ai piedi di persone comuni mentre i loro dialoghi si muovono in sottofondo. Figure sfuggenti e senza nome che ruotano a turno, ma non in modo disordinato, che popolano le giornate, e una settimana in particolare, vissute da un autista di bus qualificato come Paterson (intepretato dall'espressivo Adam Driver, l'ultimo cattivo di Star Wars). Di lui non sappiamo il nome proprio, nè come sia arrivato a fare il suo mestiere, e come abbia sviluppato la sua passione fervente per la poesia. Ma a partire dai primi minuti della pellicola, l'atmosfera placida e "umile" in cui è calata la trama riesce a catturare nella sua graduale progressione lo spettatore, senza aver bisogno di rivolgersi al passato. "Paterson" è un film che dopo mezzora dal suo inizio stufa chi non ha la pazienza di adattarsi alla sua lentezza. E alla sua intrinseca riflessione. Tutto procede con calma olimpica, snervante, intorno al protagonista omonimo. La sveglia delle mattine alle 6-15 (le 6-30 quando è in ritardo), la colazione, la passeggiata al deposito degli autobus, la corsa dell'autobus, il pranzo a base di sandwich e di scrittura di nuovi versi sul suo taccuino. E poi, terminato il turno di lavoro, la camminata di ritorno a casa, la buca per la posta da rimettere al posto perchè spostata da non si sa bene chi, gli sguardi comici con il cane Marvin, gli incontri con la moglie Laura (l'attrice e cantante iraniana Golshifteh Farahani) e la cena, il giro notturno dopocena con Marvin, la birra al pub di fiducia. Paterson compie, e non ha affatto intenzione di modificare, la routine della sua tranquilla vita di provincia, all'interno della quale egli non possiede un cellulare nè un computer, perchè per sentirsi felice gli bastano l'effervescenza di Laura, le chiacchiere delle persone sul suo autobus, le poesie buttate giù sul taccuino tra le mura umide del seminterrato. Gli affanni sono qualcuno di sconosciuto per lui, uomo silenzioso ma sornione, i cui pensieri viaggiano in un flusso costante anche quando il suo sguardo e i suoi muscoli rimangono completamente fermi. Come una calamita, intorno a Paterson le altre persone sono trascinate dalla sua immobilità, restano a bocca aperta in una situazione di stasi che però non sembra mostrare nulla di drammatico. Nella sua consuetudine, la regia di Jim Jarmusch coglie attimi ovattati, che in "Daunbailò" fotografavano la confusione di un poveruomo messo in galera, e in "Coffee & Cigarettes" si cristallizzavano davanti al fumo di una sigaretta. Pur tuttavia, anche l'incantato mondo dell'uomo Paterson (e di riflesso della cittadina stessa) si scontra ad un certo punto con una serie di "incidenti" dalla differente matrice che irrompono senza preavviso, provocando delle perdite persino dolorose. Nel giro di due giornate disgraziate, l'equilibrio di Paterson subisce dei tiri mancini da parte del caso che puntano a mettere in discussione le scelte e il suo modo di rapportarsi alla realtà. Un brusco problema elettrico all'autobus lo costringe ad esempio a rendersi conto dell'importanza di possedere un cellulare, mentre un episodio molto più grave si verifica all'improvviso secondo le dinamiche del più classico picco di tensione ("Spannung") riconosciuto dal teorico russo Propp nella descrizione dello svolgimento delle fiabe. Paterson è a tutti gli effetti una fiaba moderna, all'interno della quale l'antagonista dell' autista-eroe diventa la moglie Laura, donna dalla personalità forte e creativa quasi all'estremo. Laura rappresenta un turbine crescente che avvolge la serenità olimpica di Paterson, una presenza determinante che attraverso le sue ambizioni (diventare una cantante country e avviare un business di cup-cake) e la sua pragmaticità regala al marito molta ispirazione preziosa nella scrittura delle poesie. E' proprio lei che insiste affinché Paterson pubblichi le sue liriche, le estenda agli altri sebbene l'uomo concepisca tali composizioni soltanto per se stesso. Nonostante la contrapposizione di carattere, Paterson non manca mai di trattare la compagna con garbato rispetto, e soprattutto la accontenta in qualsiasi desiderio, come la pubblicazione dei versi che però non si rivela cosa facile. Ancora una volta grazie al polso e alla capacità di lasciarsi scivolare i problemi addosso, il non-aspirante poeta verrà premiato dal destino per non aver mai messo in dubbio la coerenza dei suoi valori. Paterson è una storia che sfiora l'animo più che il cuore perchè le profonde poesie scritte dal protagonista (firmate dallo scrittore statunitense Ron Padgett) esplorano pensieri disparati ma semplici, dall'amore e la descrizione della sincera adorazione di Laura, alla scoperta da parte di ogni essere umano della dimensione del tempo. Una scatola di fiammiferi, una panoramica sulle cascate metropolitane dell'Assaic, un dialogo con una piccola poetessa in erba, ispirano a Paterson riflessioni che dalla natura si elevano alla fantasia e alla metafora. La Silk City e la sua storia, le celebrità che l'hanno toccata anche solo per breve tempo ricevono da Paterson e in senso lato dal regista Jim Jarmusch un omaggio non altisonante, ma comunque fortissimo nella sua pacatezza. La lezione più alta proviene dall'esperienza di Williams Carlos Williams, il grande autore che non si era dimenticato della terra natia, ma anzi la considerava una fonte fulgida per le sue composizioni. Proprio come Paterson. Immagini tratte da: - Immagine 1 da http://togethernorthjersey.com/?p=20100 - Immagine 2 da empire-website.empire-cinemas.info - Immagine 3 da vulture.com - Immagine 4 da dazzedigital.com
L'8 gennaio ha avuto luogo la 74ª edizione della cerimonia di premiazione dei Golden Globe al Beverly Hilton Hotel di Beverly Hills, California. La premiazione è stata condotta dal comico Jimmy Fallon. Vincitore assoluto della serata è stato il film musicale "La La Land" che ha vinto praticamente tutto, aggiudicandosi sette nomination: migliore film brillante, miglior attrice protagonista Emma Stone, miglior attore protagonista Ryan Gosling, migliore sceneggiatore e miglior regista Damien Chazelle, migliore colonna sonora e migliore canzone, City of Stars.
Durante il discorso di ringraziamento Emma Stone, in uno splendido abito firmato Valentino, ha incoraggiato coloro che hanno scelto una carriera cinematografica, ma soprattutto artistica, lavori in cui è difficile emergere ma nei quali non bisogna mollare mai e La La Land invita a questo. Inoltre Emma ha ringraziato sua mamma che l'ha aiutata a inseguire il suo sogno. Ryan Gosling invece ha ringraziato la moglie Eva Mendes, ricordando che mentre lui era impegnato sul set, lei era a casa di nuovo incinta, ad occuparsi della loro bambina Esmeralda e stava accanto al fratello malato di cancro.
Nella categoria Miglior attore drammatico ha vinto Casey Affleck, fratello del più famoso Ben, per il film Manchester by the Sea. Miglior attrice drammatica invece è stata la rossa Isabelle Huppert con Elle, di Paul Verhoeven che ha vinto anche nella categoria Miglior film in lingua straniera. Come Miglior film drammatico vince Moonlight, incentrato di un giovane ragazzo afroamericano nei bassifondi di Miami: la pellicola è prodotta da Brad Pitt, apparso sul palco dopo il divorzio da Angelina Jolie. Questa edizione dei Golden Globe si può definire quella più aperta e rivoluzionaria: infatti sono stati premiati diversi attori afroamericani come Viola Davis, in giallo canarino, che ha vinto come migliore attrice non protagonista per Fences, e Tracee Ellis Ross vincitrice per la serie Blackish.
Aaron Taylor-Johnson ha vinto come Miglior attore non protagonista per la sua interpretazione in Animali notturni di Tom Ford. Passiamo alla Migliore serie drammatica cioè The Crown, che ha visto vincere anche Claire Foy per la sua interpretazione della regina Elisabetta II.
American Crime Story, People vs OJ Simpson è stato considerato il Migliore film per la tv e Sarah Paulson la Migliore attrice per la categoria. L'ex dottor House Hugh Laurie si è portato a casa lo stesso premio maschile per The Night Manager insieme al Loki di Thor, cioè Tom Hiddleston. Come Miglior cartone animato ha vinto Zootropolis che ha battuto Oceania.
Infine Meryl Streep ha vinto il premio alla carriera "Cecil B. DeMille" e ha sottolineato l'importanza della diversità nel mondo dell'arte: "Se a Hollywood mandassimo via tutti quelli che non sono nati qui non ci resterebbe nulla da guardare se non il football e le arti marziali, che non sono propriamente arte". Un discorso anti-Trump che è stato molto apprezzato!
Immagini tratte da:
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ANNO: 1987
Durata: 94 minuti Genere: avventura, fantastico, commedia, sentimentale Regia: Rob Reiner Cast: Fred Savage: il nipote - Peter Falk: il nonno Cary Elwes: Westley - Robin Wright: Bottondoro Mandy Patinkin: Inigo Montoya Chris Sarandon: Principe Humperdinck Christopher Guest: Conte Tyrone Rugen André the Giant: Fezzik - Wallace Shawn: Vizzini Mel Smith: l'Albino - Billy Crystal: Max dei Miracol Carol Kane: Valerie, la moglie di Max dei Miracoli Peter Cook: l'Impressionante Sacerdote
Il nonno di un bambino, costretto a letto da un’influenza, narra la storia della principessa Bottondoro e del suo amato Westley, legati dal vero amore che rischia di spezzarsi quando quest’ultimo scompare in mare e Bottondoro viene chiesta in sposa dal losco principe Humperdink e rapita da tre strani individui.
Prendete un trio pittoresco formato da Vizzini (Wallace Shawn),scaltro e malvagio siciliano (doppiato con perfetto accento nella versione italiana), Inigo (Mandy Patinkin), uno spadaccino di origini spagnole che ricerca ossessivamente la vendetta per il padre ucciso vent’anni prima e infine, Fezzik (André the Giant) un gigante buono groenlandese amante delle rime.
Aggiungete una principessa di nome Bottondoro, fanciulla cresciuta in una fattoria, promessa ad un principe, archetipo di tutte le principesse che aspettano solo di essere salvate, anche se sfodera un bel caratterino e il loquace Westley, dalle sembianze di principe azzurro, con occhi chiari e capelli biondi.
Amalgamate il tutto e come risultato otterrete "La storia fantastica" una fiaba non tradizionale tratta dal romanzo "La principessa sposa" di William Goldman del 1973, adattato per il cinema dall'autore stesso. Ci sono duelli (qualche bacio, anche se il bambino costretto a letto non vuole), incantesimi e pirati, battute comiche, qualche tensione e qualche scena drammatica, ma il tutto è riletto in chiave ironica decisamente da parodia, prendendo in giro i cliché del genere fantasy e cavalleresco attraverso il racconto di un nonno (Peter Falk, meglio conosciuto nel ruolo del Tenente Colombo) che viene spesso interrotto dalle proteste o dai dubbi di un nipotino assuefatto dalla tecnologia. Il bambino preferisce di gran lunga giocare con i videogiochi ma alla fine viene catturato dalla storia di Westley e Bottondoro. Sono propri gli strani personaggi, il malvagio Humperdink, il torturatore albino, il vecchietto dei miracoli, il trio che Westley deve affrontare e i due protagonisti a conquistare lo spettatore, interpretati da due attori che nel 1987 erano ancora emergenti, ma oggi molto famosi, come Robin Wright (Bottondoro) che seguiamo in "House of Cards" e Cary Elwes (Westley) attore di film demenziali come "Hot Shots!" e "Robin Hood - Un uomo in calzamaglia". Certo è un film un po' datato in quanto oggi gli effetti speciali sono super tecnologici grazie all'uso della grafica 3D ma anche molto originale. Per gli amanti del cinema, in una scena de "La storia fantastica" vedrete Westley (l'attore Cary Elwes) legato e torturato in una meravigliosa segreta come gli succederà poi nel film "Saw". Quindi, se non conoscete questo film recuperatelo perché é un vero cult degli anni ottanta, é stato candidato ai Premi Oscar 1988 per la miglior canzone con Storybook Love di Willy De Ville e nel 2016 é stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso negli Stati Uniti.
Immagini tratte da: http://pad.mymovies.it/ http://1.bp.blogspot.com/ http://popnerd.ilblogger.it
Un legame, quello tra Taormina e il cinema, inossidabile e lungo più di sessanta anni. È infatti il lontano 1955 quando la cittadina messinese diventa teatro di eventi e rassegne cinematografiche che nel tempo hanno cambiato nome e diciture ma che nella sostanza hanno portato alla nascita del Taormina Film Fest. Inserito nell’ambito di TaoArte, si svolge ogni anno nel mese di giugno nella splendida cornice del Teatro Antico, all’interno del quale vengono assegnati anche i Nastri d’argento del sindacato dei giornalisti cinematografici.
Occasione per ricordare e rivivere le stagioni passate e recenti della settima arte nella Perla dello Ionio, la mostra ha sede all’interno del Palazzo della Pretura, recentemente restaurato, lungo l’incantevole Corso Umberto. “Taormina e il cinema” è il nome dell’esibizione fotografica che ha incontrato l’apprezzamento degli isolani e del pubblico tradizionalmente internazionale che fa della cittadina la meta ideale di soggiorni estivi e invernali.
Una location magica per i tanti ciak dei registi oltre che essere la meta piacevolmente obbligata per ritirare premi e onorificenze, come le tante immagini presenti testimoniano. Giuseppe Tornatore scriveva nell’introduzione a Il cinema sopra Taormina (La Zattera dell’arte, 2012) del segretario generale di Taoarte Ninni Panzera: «Prendiamo la città di Taormina, ad esempio, e immaginiamoci la macchina da presa sospesa nel cielo, immobile, che quotidianamente alla stessa ora scatta un fotogramma sul totale di quell' incantevole città, ne nascerebbe un film».
Una carrellata di volti famosi e scatti che rubano espressioni e momenti di gloria ai divi del cinema nostrano ed internazionale in una cittadina che da tanti registi è stata scelta come set ideale per le proprie pellicole. Solo per citare alcuni nomi: dal Gattopardo di Visconti al Padrino (parte III) di Ford Coppola, passando per Intrigo a Taormina di Bianchi, L’avventura di Antonioni e Il piccolo diavolo di Benigni, fino a Le grand bleu di Bresson e La dea dell’amore di Allen, ma l’elenco potrebbe continuare.
Marcello Mastroianni in Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi;Sylva Koscina e Massimo Serato in Intrigo a Taormina di Giorgio Bianchi;Virna Lisi in Made in Italy (1965) di Nanni Loy; Ava Gardner, ospite dell’hotelSan Domenico;Claudia Cardinale in una foto di Michelangelo Vizzini
Tantissimi gli scatti, tra cui anche le grandi Polaroid in formato 70-100, che provengono dagli archivi di La Zattera dell’arte, Taormina Arte e dalla Photomovie di Claudio Canova. Una mostra che avrebbe dovuto chiudere i battenti con l’Epifania ma che è stata prorogata per il grande successo di pubblico fino al prossimo 31 marzo.
In attesa del Taormina Film Festival 2017, un’occasione imperdibile se amate il cinema e vi trovate a passare dalla magica perla dello Ionio! Per informazioni sulla mostra: http: //www.taormina-arte.com/
Immagini tratte da:
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Non è la prima volta che la figura del peggior soprano del mondo desta l’interesse del cinema, come dell’arte in generale. Nel 2005 Judy Kaye prestava voce e volto alla figura di Florence Foster Jenkins (Wilkes-Barre, 19 luglio 1868 – New York, 26 novembre 1944) nella commedia teatrale Souvenir e dieci anni più tardi Xavier Giannoli dirigeva Marguerite, pellicola liberamente ispirata all’artista sui generis. Si torna di nuovo a parlare di Florence, questa volta attraverso il delizioso e omonimo biopic che Steven Frears ha confezionato intorno la vita della donna. Florence è una ricca ereditiera con un inguaribile entusiasmo e una grande voglia di vivere e di mettersi in gioco. Non più giovanissima, è circondata dall’affetto di due uomini: il marito St. Clair ed il pianista Cosmè Mc Moon (S. Helberg). Il primo è anche il manager. Ad interpretarlo un intrigante Hugh Grant che, dismessi per l’occasione i panni del solito donnaiolo, appare convincente nel ruolo del marito devoto, nonostante qualche (umano) diversivo. Sì, perché fin dalle prime scene i contorni della relazione con la cantante appaiono quanto mai ambigui. A dipanare gli interrogativi, la rivelazione dello stato di salute della donna. Florence convive da cinquanta anni con la sifilide, contratta dal primo marito quando aveva appena 18 anni. Un’unione di anime quella fra Florence e St. Clair, suggellata dall’amore per la musica. Una sorta di medicina alternativa quest’ultima che, abbinata al mercurio e all’arsenico, le ha permesso di vivere ben oltre le aspettative. Un passato che non è stato certo benevolo e che le poche parole di Florence, ormai matura, tratteggiano con forza una donna che ha accettato il proprio destino ed è felice di aver vissuto una vita piena, conservando nella musica la propria vitale vocazione. Florence è impegnata in piccoli concerti alla presenza di un pubblico selezionato che fa quasi interamente parte del Circolo Verdi che lei stessa ha fondato. Sul palco appare fasciata in abiti appariscenti e scenografici, come solitamente amava mostrarsi al pubblico. Rimanere al suo fianco non è cosa da poco e chi già si è imposto nel panorama artistico si fa da parte per conservare la propria reputazione. Cosmè Mc Moon rimane, decidendo di essere fedele all’amica. Gli è accanto, tra note stonate e risate del pubblico, fino all’ultima esibizione al Carnegie Hall nel 1944. Lui, che non fa parte del firmamento dei grandi ma che è oggi ricordato come il pianista di Florence Foster Jerkins. Una personalità vivace e generosa, quella della Florence interpretata con grande espressività da Meryl Streep, di cui S. Frears costruisce un biopic raffinato e commovente, giocando con atmosfere leggere e ironiche e registri lievemente più cupi, senza mai appesantirne la visione. Concludiamo con una frase spesso pronunciata da Florence: «La gente può anche dire che non so cantare, ma nessuno potrà mai dire che non ho cantato». E in effetti la forza del suo canto, stonato ma onesto, è giunta fino a noi! Un’immagine della vera Florence: Immagini tratte da:
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La storia ha inizio con una piccolissima Vaiana che cresce affascinata dal mare e da ciò che può trovare oltre il reef, la zona di sicurezza circoscritta dalla barriera corallina, vietatole sempre dal padre, capo del villaggio. Ma se il padre crea divieti, sua nonna Tala la incoraggia e la spinge a inseguire i suoi sogni.
Vaiana, cresciuta, diventa un punto fondamentale della tribù. Dopo la morte di sua nonna, decide di trovare se stessa e di vivere un'esistenza diversa da quella attuale, imbarcandosi per salvare il suo popolo dall'infertilità della sua terra. Per riuscire nella missione ha bisogno di Maui, semidio tatuato, vanitoso e spaccone che anni prima ha rubato il cuore alla dea della natura, Te Fiti. Vaiana deve rimettere il cuore al suo posto originario: solo così potrà salvare il suo popolo.
Oceania è il 56esimo classico Disney, diretto da John Musker e Ron Clements, creatori de La Sirenetta (1989), Aladdin (1992) ed Hercules (1997). Oceania ci colpisce per l’uso della Computer Grafica, capace di immergerci nei paesaggi della Polinesia e nel mare cristallino dell’oceano Pacifico, oltre a rendere realistici i capelli ricci, morbidi e fluenti di Vaiana e Maui. La storia, ambientata in un meraviglioso scenario esotico, è accompagnata dalla coinvolgente colonna sonora di Mark Mancina, ma anche dal singolo Oltre l’orizzonte, cantata dalla potente voce di Chiara Grispo, concorrente del talent show Amici 2016. Nel film troviamo altre canzoni, tra cui You’re Welcome (interpretata nella versione italiana da Sergio Sylvestre e Rocco Hunt) e Shiny (cantata da Raphael Gualazzi). L’adattamento cinematografico italiano ha apportato alcune modifiche al film, tra le quali il nome della protagonista, nonché il titolo stesso del lungometraggio. Il vero nome di Vaiana è Moana ma, temendo l’accostamento del nome della protagonista alla pornostar Moana Pozzi, la produzione italiana ha preferito cambiarlo. Vaiana è un'eroina moderna, indipendente e ribelle. Ella porta avanti la tradizione, iniziata con Mérida, delle ragazze che preferiscono salvarsi da sole, senza aspettare l’arrivo del principe. È proprio Vaiana ad aiutare Maui, il semidio arrogante dotato di capacità mutaforma. Maui ha il corpo coperto da tatuaggi animati che rappresentano il racconto delle sue eroiche imprese, eccetto mini Maui, che ha una personalità tutta sua e rappresenta la coscienza del semidio. Grazie a Vaiana Maui ritroverà coraggio e fiducia in se stesso pur sentendosi "incompleto" visto che non è né un dio né un umano.
Le vere sorprese di Oceania sono i protagonisti Maui e Vaiana : il primo grazie alle sue battute comiche; la seconda grazie al suo coraggio e intraprendenza che la porteranno a trovare la propria identità e a rompere con la tradizione, riscattando il passato dei suoi antenati. Rimarrete incantati dal nuovo film Disney.
Immagini tratte da: https://mr.comingsoon.it/ http://cc-media-foxit.fichub.com/ http://www.ilpost.it/ |
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Marzo 2023
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