di Matelda Giachi ![]()
Genere: Drammatico, Sentimentale
Anno: 2018 Durata: 117 min Regia: Barry Jenkins Cast: Kiki Layne, Stephan James, Regina King, Teyonah Parris, Colman Domingo, Ethan Barret, Milanni Mines, Ebony Obsidian, Dominique Thorne, Michael Beach, Aunjanue Ellis, Diego Luna, Pedro Pascal Sceneggiatura: Barry Jenkins Fotografia: James Laxton Colonna Sonora: Nicholas Britell Produzione: Annapurna Pictures, Plan B Entertainment, Pastel Distribuzione: Lucky Red Paese: Stati Uniti
Quartiere di Harlem, Manhattan, sono gli anni ’70. Tish e Fonny sono cresciuti insieme e, ora che sono grandi, si scoprono innamorati. Un bambino in arrivo, il progetto di un futuro insieme viene infranto quando il ragazzo è ingiustamente accusato di un crimine. Il sogno di Tish si tramuta in una lotta contro l’asprezza della vita, nella quale sarà supportata da una sconosciuta forza d’animo e dalla famiglia.
“Beale Street è una strada di New Orleans, dove sono nati mio padre, Louis Amstrong e il Jazz. Ogni afroamericano nato negli Stati Uniti è nato in Beale Street, è nato nel quartiere nero di qualche città americana, sia esso a Jackson, in Missisipi, o Harlem, a New York. Beale Street è la nostra eredità. Questo romanzo parla dell’impossibilità e della possibilità, della necessità assoluta, per dare espressione a questo lascito.”
Il premio Oscar per Moonlight Barry Jenkins traspone per il grande schermo il romanzo omonimo di James Baldwin e torna a parlare della discriminazione del popolo afroamericano. Mentre però, di solito, si sceglie di portare in scena la violenza, forse perché considerata più di impatto (mi viene in mente 12 Anni Schiavo, tra gli ultimi film premiati), Jenkins decide invece di parlare d’amore. Se la Strada Potesse Parlare è infatti, prima di tutto, una storia d’amore. Un amore giovane, impacciato, dolce ma pieno di fiducia e di voglia di futuro e più forte della paura. I due giovani vengono privati non solo dell’illusione del sogno americano ma anche della semplice possibilità di vivere la propria vita. Il racconto procede sempre con delicatezza estrema; una regia morbida, incentrata principalmente sui primi piani, su di un linguaggio più profondo di quello della parola. Tutto scandito da un sottofondo jazz.
Il primo film di Barry Jenkins dopo l’Oscar evidenzia una grandissima crescita del regista sotto il profilo sia dello stile che della narrazione ma conserva, tuttavia, il suo più grande difetto: la volontà di commuovere a tutti i costi.
Inizialmente vi è una grande poeticità nello sviluppare la storia d’amore al centro della pellicola, che trova il suo culmine nella prima volta tra i due, dipinta con estremo candore. Ma non appena il regista la rende strumento di denuncia la precedente dolcezza diventa retorica; il film, a tratti, uggiosamente melenso, quasi un compiangersi. Nel bene e nel male, Jenkins rimane fedele a se stesso con una regia fortemente sentimentale che, con la dovuta maturazione, potrebbe essere promessa di un radioso futuro per il cinema. I protagonisti Stephan James (Jesse Owens in Race) e l’esordiente Kiki Layne intensi e bravissimi di fronte a una macchina da presa che indaga da vicino i loro volti e cerca di penetrare nel profondo dei loro occhi. La forza d’animo di un popolo nell’interpretazione carismatica di Regina King. VOTO 7,5
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Yorgos Lanthimos ritrova la forma smarrita con un film non totalmente "suo" e tre magnifiche protagoniste: Olivia Colman, RachelWeisz ed Emma Stone. Sono dieci nomination agli Oscar per La Favorita.
di Salvatore Amoroso
Titolo: The Favourite
Paese di produzione: Irlanda, UK, Usa Anno: 2018 Durata: 120 min. Genere: storico, drama Regia: Yorgos Lanthimos Sceneggiatura: Deborah Davis, Tony McNamara Distribuzione: 20th Century Fox Fotografia: Robbie Ryan Montaggio: Yorgos Mavropsaridis Produttore: Ceci Dempsey, Ed Guiney, Lee Magiday, Yorgos Lanthimos Scenografia: Fiona Crombie Costumi: Sandy Powell Cast: Olivia Colman(Regina Anna); Emma Stone(Abigail Masham); Rachel Weisz(Sarah Churchill): Nicholas Hoult(Robert Harley); Joe Alwyn(Samuel Masham); Mark Gatiss(John Churchill). Ci voleva l’Inghilterra del XVIII secolo per ritrovare Yorgos Lanthimos. Al terzo tentativo con un film in lingua anglosassone, il regista greco fa finalmente centro. Purtroppo, i precedenti The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro, pur indubbiamente accattivanti e suggestivi, venivano fagocitati dallo smodato narcisistico talento del suo autore.Stavolta, invece, Lanthimos riesce a farsi in qualche modo da parte (mai del tutto, per carità, e quell’abuso di grandangoli e ralenti è lì a dimostrarlo), lasciando che la storia e le sue tre incredibili protagoniste prendano il sopravvento su ogni cosa. Siamo nel primi anni del ‘700. L’Inghilterra è in guerra contro la Francia. Ciò nonostante, le corse delle anatre e il consumo di ananas vanno per la maggiore. Una fragile regina Anna (Olivia Colman) siede sul trono, mentre l’amica intima Lady Sarah Churchill (Rachel Weisz) governa il paese in sua vece e, al tempo stesso, si prende cura della cattiva salute e del temperamento volubile della sovrana. Quando l’affascinante Abigail Masham (Emma Stone) arriva a corte, si fa benvolere da Sarah, che la prende sotto la sua ala protettiva. Per Abigail è l’occasione di tornare alle radici aristocratiche da cui discende. Mentre gli impegni politici legati alla guerra richiedono a Sarah un maggiore dispendio di tempo, Abigail si insinua nella breccia lasciata aperta, diventando la confidente della sovrana. Grazie all’amicizia sempre più stretta con Anna, Abigail ha la possibilità di realizzare tutte le sue ambizioni e non permetterà a niente e a nessuno di intralciarle la strada.
Sostenuto da una sceneggiatura al limite della perfezione firmata da Deborah Davis e Tony McNamara, il film, il primo che Lanthimos dirige senza averne firmato lo script,è un irresistibile affresco degli intrighi di corte da un punto di vista tutto femminile. Abituati ad entrare – cinematograficamente – in questi ambienti sempre in punta di piedi, ci ritroviamo al cospetto di una sovrana volubile e seminferma per causa della gotta, affettuosa con i suoi diciassette coniglietti (tanti quanti i figli nati morti o persi prima del parto) e disperatamente in cerca di affetto.Olivia Colman,che i più attenti già avranno avuto modo di conoscere nella serie Broadchurch, veste i panni di una regina in attesa di rivederla anche nella terza stagione dell’acclamto The Crown. Ma tra Elisabetta e Anna, le quali caratterizzazioni non lasciano spazio a eventuali dubbi, c’è un evidente abisso che la Colman riesce ad attraversare senza problema alcuno, concedendosi ad una prova capace di suscitare ilarità e disgusto, tenerezza e rabbia.Che poi, a ben vedere, sono gli stessi elementi attraverso cui le due manipolatrici Sarah e Abigail, le straordinarie Rachel Weisz e Emma Stone, si danno battaglia dall’inizio alla fine del film.
The Favourite è dunque l’apoteosi del gioco di ruolo (che Lanthimos aveva già saputo raccontare, ovviamente in altri termini, in quel mezzo capolavoro che era Alps), la pugnalata alle spalle dopo il sorriso cordiale, la caduta in una pozza di fango letamato quale trampolino per ritrovarsi poi tra le lenzuola della figura più potente dell’intera Gran Bretagna.Tutto sommato, ci dicono Lanthimos e il suo film, stiamo osservando una storia ambientata oltre trecento anni fa. Nonostante ciò, a parte i costumi e l’assenza di qualche ritrovato dettato dal progresso (l’elettricità, l’acqua corrente, lo smartphone), quello che accade tra le donne e gli uomini, di potere e non, è rimasto immutato. É un film in costume, ma lo sguardo è quello di Yorgos Lanthimos. I protagonisti avrebbero anche potuto indossare dei tutù, ma quello che conta davvero sono le persone, il loro essere umani ed il loro rapporto conflittuale. È solamente una messa in scena continua per accaparrarsi il gradino più alto di una scala che tiene separati dal guado. A meno che non faccia la sua comparsa qualcosa di simile al sentimento, ma anche in questo caso si sarebbe trovato il modo di sopprimerne la portata catastrofica
Il film ècandidato a ben10 premi Oscar: miglior film, regia, attrice protagonista (Colman), attrice non protagonista (Weisz e Stone), sceneggiatura, montaggio, fotografia, costumi, scenografia.
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Immagini tratte da: Locandina:MyMovies Immagine1:Twitter.com Immagine2:The Independent Immagine3:Cinemadonzucchini.it Immagine4:Variety.com Titolo: "Nuovo Cinema Paradiso" Anno: 1988 Genere: drammatico, commedia Sceneggiatura: Giuseppe Tornatore Regia: Giuseppe Tornatore Cast: Jacques Perrin (Salvatore adulto); Salvatore Cascio (Salvatore bambino); Marco Leonardi (Salvatore adolescente); Philippe Noiret (Alfredo); Leo Gullotta (Ignazio); Agnese Nano (Elena adolescente); Leopoldo Trieste (Padre Adelfio) Sabato 12 gennaio 2019 presso il Cinema Ariston di Mantova si è tenuto un evento speciale con ospite il Maestro Giuseppe Tornatore. La famiglia Protti, che gestisce il Cinema di Mantova, ha presentato il romanzo “Un orizzonte chiamato cinema” a cui è seguita, in esclusiva, la proiezione del film in versione restaurata “Nuovo Cinema Paradiso” del regista Giuseppe Tornatore, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 1989, nonché dell'Oscar per miglior film straniero. Il film racconta la storia di Salvatore (Jacques Perrin), un regista affermato residente a Roma, che riceve una telefonata che lo avvisa della morte dell’amico Alfredo. Questa notizia fa affiorare in Salvatore, che non torna nel paese natale Giancaldo, in Sicilia, da vent'anni, il ricordo dell'infanzia e dell'adolescenza. Attraverso un lungo flash-back vediamo Totò (interpretato da Salvatore Cascio, poi da Marco Leonardi) che comincia ad appassionarsi ai film, soprattutto grazie all'amicizia con Alfredo (Philippe Noiret), il proiezionista del cinema parrocchiale, che gli permette di assistere alle proiezioni cinematografiche ed in seguito gli insegna ad usare il proiettore. A causa di un incendio nella cabina di proiezione, il cinema viene completamente distrutto, e Alfredo, salvato da Totò, rimane cieco per le ustioni al volto. La sala cinematografica viene in seguito ricostruita col nome Nuovo Cinema Paradiso e Salvatore, ormai adolescente, prende il posto di Alfredo e nello stesso tempo comincia a fare delle riprese. S'innamora di Elena (Agnese Nano), ma la loro relazione è osteggiata dai genitori di lei. Dopo la chiamata nell’esercito a Roma, Totò lascia la Sicilia. Al suo ritorno dal servizio militare incontra Alfredo che lo incita ad abbandonare per sempre la sua terra natale per inseguire la passione della regia. Con quest'ultimo ricordo si conclude il flash-back, e la mente di Salvatore torna al presente, ora che in Sicilia si dovrà confrontare con il suo passato e la sua infanzia. “Nuovo Cinema Paradiso” è una vera e propria dichiarazione d'amore verso il cinema, un'arte che ci fa emozionare, sognare ad occhi aperti, volare con la fantasia in periodi storici e in avventure che non potremmo mai vivere nella realtà. Nel film, Tornatore presenta la “settima arte” come unica forma di divertimento, in un periodo, dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, dove la vita non era semplice e il cinema era una delle poche distrazioni che la gente poteva permettersi. Attualmente “Nuovo Cinema Paradiso” è considerato un capolavoro, ma all’epoca, nel 1988, non venne capito e non ottenne un ottimo risultato ai botteghini, nonostante i tanti pregi del film: la colonna sonora scritta dal grande maestro Ennio Morricone, l'alternanza di momenti divertenti e commoventi, la narrazione dinamica, la riscoperta dei film del passato e i temi ancora attuali come l’inseguire i propri sogni, la libertà d'espressione (con il montaggio finale dei baci censurati in passato dal prete del paese, che formano una pellicola di grandi sentimenti), e le occasioni mancate, come quella con Elena. Il successo del film arrivò solo dopo che venne distribuito in Francia al Festival di Cannes, dove vinse il Gran Premio della Giuria, e oggi è un classico senza tempo, da vedere e rivedere, capace di emozionare anche a distanza di trent'anni. Foto tratte da: FOTO 1 https://pad.mymovies.it/ FOTO 2 È STATA SCATTATA DALL'AUTORE FOTO 3 http://www.lavocedinewyork.com/ FOTO 4 http://www.repstatic.it di Federica Gasparri
Gli appassionati del genere coming-of-age sono pronti per un nuovo appassionante prodotto Netflix. Il servizio di streaming statunitense, infatti, lo scorso 11 gennaio ha rilasciato una nuova serie TV destinata a segnare questa stagione televisiva. Senza alcuna agguerrita campagna promozionale, Sex Education è approdata con i suoi 8 irriverenti episodi nel catalogo multimediale. L’effetto sorpresa ha davvero colpito tutti e, in breve tempo, lo show è diventato uno dei più seguiti sulla piattaforma secondo quanto riferito dallo stesso Netflix. In cosa va ricercato il motivo di questo grandissimo quanto inaspettato successo? La verità è che, dietro ad un aspetto innocuo ed incredibilmente ironico, si nasconde una serie intelligente, conscia dei tempi e pronta a migliorarsi episodio dopo episodio. Otis (Asa Butterfield) è un ragazzo imbranato ed estremamente timido che vive insieme alla madre in una piccola abitazione nella pittoresca campagna inglese. Potrebbe essere un ragazzo come tanti altri alle prese con il passaggio dall’adolescenza all’età adulta ma il ruolo della madre Jean (Gillian Anderson) in realtà sembra complicare il normale corso degli avvenimenti. La dottoressa Millburn, infatti, è una sessuologa sfrontata e decisa che non si crea problemi nel parlare liberamente di sesso. I più radicati tabù stanno per essere affrontati senza alcun filtro. Il sesso in ogni sua forma e declinazione multimediale è da sempre un tema discusso per gli appassionati di serie tv e cinema. La sua rappresentazione o “utilizzo”, sia su piccolo che grande schermo, negli ultimi anni ha alimentato accese polemiche. E’ il caso dei grandi show HBO come Game of Thrones e Westworld. In alcuni casi si è trattato di semplici puntigli, in altri, invece, queste discussioni hanno saputo dare vita a riflessioni tutt’altro che superficiali sulla rappresentazione del sesso e sulla sua interpretazione a livello mediatico. L’ultimo gioiellino britannico della scuderia Netflix sconvolge le carte in tavola e sceglie di ribaltare ogni concezione, bruciare ogni limite e proporre nuove modalità di discussione. Personaggi divertenti, situazioni imbarazzanti e svolte inaspettate: sono questi gli ingredienti principali di questa scoppietante serie TV che non si limita ad essere una tra le tante dramedy del piccolo schermo segnate da un marcato humour inglese. Difficile trovare dei dettagli fuori posto. La carta vincente, però, va ricercata nei toni scelti in relazione ai personaggi. Ogni figura, infatti, rappresenta una problematica differente in relazione all’adolescenza. Asa Butterfield è perfetto nei panni del protagonista che, pur essendo vergine, si improvvisa terapista sessuale per i suoi compagni di scuola. Il suo personaggio, nonostante le stranezze legate al contesto, risulta plausibile e sin dalle prime sequenze entra nel cuore degli spettatori che riconoscono in lui il comune ma adorabile amico imbranato. Al fianco del protagonista ci sono validi personaggi secondari che ampliano lo scenario e permettono di riflettere su ulteriori aspetti dell’adolescenza non solo legati alla concezione del sesso ma anche a quella del proprio corpo, della propria vita e addirittura della propria identità. Sex Education attinge all’esperienza coming-of-age per poi tracciare un percorso originale e inedito, in cui il sesso viene affrontato a viso aperto in relazione ai tipici problemi dell’adolescenza, senza dimenticare una colonna sonora decisamente raffinata. Immagini tratte da: www.imdb.com www.time.com www.netflix.com
di Matelda Giachi
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Paese: USA
Anno: 2018 Formato: Serie Tv Genere: Drammatico, Thriller psicologico Puntate: 10 Ideatori: Greg Berlanti, Sera Gamble Stagioni: 1 (ancora in lavorazione) Produzione: Warner Bros Television Cast: Penn Badgley, Elizabeth Lail, Shay Mitchell, Zach Cherry, Luca Padovan
Partiamo da una premessa importante: non a tutte le serie si richiede di essere capolavori. Ci sono quelle serie tv di cui hai bisogno per distrarti, per staccare un po’. E non importa se ne citerai urlando le battute nel mezzo di una sbronza tra amici ancora dopo 15 anni. Importa che la visione sia piacevole.
Questo chiedevamo e ci aspettavamo da “You”: un po’ di compagnia nell’affrontare la montagna di panni da stirare accumulatasi da ottobre. Il soggetto c’è tutto: una storia romantica che vira bruscamente al thriller. Una storia di stalking. Nuovo, attuale. Peccato per la sceneggiatura. Va bene che si tratta di finzione, va bene Hollywood; tante cose vanno bene, perfino il fatto che il 90% di quelli che transitano sulla scena siano belli, cosa che, quando mai… Ma un minimo di credibilità è ancora necessaria.
Joe (Penn Badgley, il Dan di Gossip Girl), è un giovane e affascinante libraio. Un giorno entra nel suo negozio la bionda e sorridente Gwenevir Beck (Elisabeth Lail, Anna di C’era Una Volta) e lui si prende una sbandata che neanche Dawson quando vede scendere Jen dal taxi (per i troppo giovani, recuperate Dawson’s Creek, prego).
In breve ci rendiamo conto che al ragazzo manca qualche venerdì; per avere infatti conferma dell’illuminazione avuta in libreria, e cioè che Beck sia la donna della sua vita, con la quale parlare di letteratura, fare tanti bambini e avere due cani, tre gatti e qualche pesce rosso, Joe mette in pratica il manuale del perfetto stalker. La segue, passa al setaccio tutti i suoi social, entra in casa sua, colleziona feticci… il pacchetto completo. E qui cominciano i problemi. Ovunque lei sia, lui c’è. Ma lei non se ne accorge MAI. Merito dell’infallibile travestimento: un cappellino con visiera. Un po’ tipo gli occhiali di Clark Kent, grazie ai quali nessuno si accorge che lui è Superman. Qualunque cosa lei dica, anche nel mezzo di un concerto Haevy Metal, lui lo sente. Un udito che neanche un cane quando apri il sacchetto dei biscotti in modalità ninja per non farti scoprire. Ed è solo l’inizio. Andando avanti di episodio in episodio, lui ne combina di cotte e di crude, semina DNA, persone spariscono lungo il suo cammino… Libero come l’aria. “Ma no agente, non sto fabbricando una bomba, coltivo pomodorini per la mia insalata, senta che buoni.” “Oh che caro ragazzo, grazie, ci scusi il disturbo”. Superman, per rimanere su esempi già citati, finisce per essere più verosimile.
Ad una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, si aggiungono dei personaggi interessanti quanto una pentola a pressione. Chi è questa fantastica Gwenevir Beck, per la quale vale la pena uccidere, e che deve essere salvata a tutti i costi? Una ragazza bella ma priva di personalità che per colmare i vuoti della sua vita, si circonda di persone altrettanto vuote e inutili, bevendosi qualunque cazzata essi le dicano, portandosi a letto, a occhio e croce, mezza popolazione di New York, con la quale compie acrobazie in bella vista grazie alle ampie finestre del suo appartamento al primo piano privo di tende quanto di persiane (ma non faceva un gran freddo, nella grande mela?). Nessun vicino puritano e ipocrita che si scandalizza. Appartamento grande, luminoso, bella zona, tutto pagato dall’università perché lei è povera. Potevate dirlo, mi trasferivo subito.
Per fortuna c’è Penn Badgley; lui è bravo. La sua capacità recitativa è l’unica cosa degna di nota. Anche se arrivare ai livelli di Darren Criss nei panni di Andrew Cunanan in American Crime Story; The Assassination of Gianni Versace è praticamente impossibile, riesce perfettamente a dar vita ai vari lati di Joe, che è un killer senza scrupolo, la cui follia ha, come spesso accade, radici nell’infanzia, ma ha anche un fortissimo lato umano, cosa che lo rende ancora più inquietante e terribile. Peccato. Peccato perché si sfiorano un sacco di temi importantissimi. Il confine tra amore e ossessione, la pericolosità di traumi mai affrontati, la doppia faccia dei social network, l’effetto tossico che alcune persone esercitano sulle altre nonostante l’affetto, il bisogno di riempire vuoti, la ricerca spasmodica di apparenza… Si sfiorano e si passa oltre, perché rimanere nel basso teen drama è più importante.
Voto 5
Foto tratte da: www.vanityfair.it www.hallofseries.com www.empireonline.it www.cinematographe.it Di Federica Gaspari ![]() Data di uscita: 3 gennaio 2019 Genere: biografico, drammatico, storico Anno: 2018 Regia: Adam McKay Attori: Christian Bale, Amy Adams, Steve Carrell, Sam Rockwell, Tyler Perry Sceneggiatura: Adam McKay Fotografia: Greig Fraser Montaggio: Hank Corwin Musiche: Nicholas Britell Produzione: Gary Sanchez Productions, Plan B Distribuzione: Eagle Pictures Paese: USA Durata: 132 min Si entra nel vivo della scintillante stagione dei premi cinematografici più prestigiosi. Golden Globes, BAFTA e poi, finalmente, Oscar! L’attesa è scandita dall’uscita nelle sale cinematografiche, italiane e non, dei titoli più meritevoli prodotti nella scorsa annata, film che hanno appassionato e impressionato critici e fortunati spettatori nei festival di maggiore richiamo. Come ogni gennaio cinematografico, non possono mancare i temuti bio-pic, pellicole che vorrebbero celebrare avvenimenti e personaggi di grande rilievo ma che spesso si limitano ad essere copie sbiadite e innocue di grandi classici del genere. Difficile, quindi, uscire dai binari. Nasce allora la convinzione che i film biografici siano semplici visioni rassicuranti, polverose nel loro essere poco dinamiche. Le migliori pellicole, però, nascono da azzardi, da grandi scommesse, proprio come quelle della carriera del regista e sceneggiatore Adam McKay. Il cineasta premio Oscar di Filadelfia ha reso il suo penultimo film, La grande scommessa, uno stile di vita e, con il suo nuovo lavoro, sceglie di avere una posta in gioco ancora più alta. Con Vice – L’uomo nell’ombra McKay racconta la storia di un personaggio chiave della storia statunitense recente, che ha fatto della propria invisibilità il suo più grande potere. Chi avrebbe mai pensato che un film sull’anonimo Richard ‘Dick’ Cheney sarebbe riuscito ad intrattenerci per più di due ore? Con la sequenza di apertura, lo spettatore viene catapultato nel clima di terrore e angoscia dell’11 settembre. Nessuno è rimasto impassibile davanti alle immagini drammatiche del crollo delle Torri Gemelle. Nessuno tranne Dick Cheney (Christian Bale), che anche in quella cruciale occasione ha mantenuto il suo atteggiamento pacato, silenzioso ma determinato, senza mai perdere lucidità. Sono state sue le decisioni più importanti e discusse del mandato Bush Jr. (Sam Rockwell). La sua influenza sulla politica e sulla società a stelle e strisce aveva iniziato a svilupparsi molto prima grazie al sostegno e al desiderio della fedele moglie Lynne (Amy Adams) con cui, nel corso di tutta la vita, ha compiuto scelte controverse, e difficili da comprendere secondo ideali e valori comuni. Questa è la sua storia o, perlomeno, ciò che si può dedurre di una figura riservata e misteriosa come quella di Cheney. Irriverente, tagliente in ogni sua spigolosa particolarità e tremendamente avvincente: questo bio-pic è il titolo da non perdere al cinema all’alba del 2019. Adam McKay si diverte a giocare con canoni e strutture di un genere portando sul grande schermo qualcosa di completamente diverso, che si destreggia con maestria tra attualità e politica. Vice – L’uomo nell’ombra riesce a coniugare ironia pungente e impegno con una naturalezza disarmante. L’obiettivo non è più mettere a proprio agio lo spettatore, ma porlo in una condizione precaria, in un luogo in cui non riesce ad orientarsi. Per fare luce su tutto, lo spettatore dovrà guardare intorno a sé e riflettere, formulare pensieri e osservazioni. Al centro della scena rimane uno spettacolare Christian Bale con la sua ultima trasformazione fisica ma soprattutto attoriale, un talento indiscutibile, curato anche nei più piccoli dettagli. Ottima anche l’interpretazione di Amy Adams che non si lascia mettere in ombra da un collega a cui è difficile stare al passo.
Un film che saprà farvi riflettere ed osservare una storia contemporanea da prospettive che, forse, non conoscevate.
di Vanessa Varini
Titolo: "Nelle tue mani" Paese: Francia Anno: 2018 Durata: 105 min Genere: commedia Regia: Ludovic Bernard Direttore di fotografia: Thomas Hardmeier Montaggio: Romain Rioult Musiche: Harry Allouche Costumi: Marylin Fitoussi Interpreti e personaggi: Jules Benchetrit (Mathieu Malinski); Lambert Wilson (Pierre); Kristin Scott Thomas (la Contessa); Louis Vazquez (Mathieu Malinski giovane); Karidja Touré (Anna); Xavier Guelfi (Kevin); André Marcon (André Ressigeac); Vanessa David (Krista Malinski); Michel Jonasz (Monsieur Jacques) Mathieu (Jules Benchetrit) è un ragazzo ribelle che passa le giornate in strada, organizzando piccoli furti insieme ai suoi amici. Un giorno, nell'affollata stazione di Parigi, inizia a suonare un pianoforte a disposizione del pubblico. Ad ascoltarlo c’è anche il direttore del conservatorio Pierre Geithner (Lambert Wilson) che riconosce il grande talento di Mathieu, ma il ragazzo lo ignora. Quando a seguito di una rapina Mathieu rischia la prigione, Pierre gli propone uno scambio: gli eviterà l’arresto in cambio di lavori socialmente utili e di lezioni di pianoforte impartite dall'esigente Contessa (Kristin Scott Thomas). L'obbiettivo è partecipare a un prestigioso concorso, ma il ragazzo non è convinto del suo talento rischiando di mandare all'aria tutto.
Se considerate la musica classica come noiosa, dopo aver guardato "Nelle tue mani" vi ricrederete poiché può essere apprezzata da tutti, anche da chi non la conosce! Anche il protagonista del film (ispirato ad un ragazzo che il regista Ludovic Bernard notò all'interno della stazione mentre suonava divinamente il valzer di Chopin) non conosce i codici della musica classica. Mathieu, però, ha un talento innato per il pianoforte, maturato fin da bambino; peccato che abbia un pessimo carattere: è arrabbiato con tutti e preferisce dedicarsi alle cattive compagnie e coltivare la passione per la musica in solitudine senza applicarsi. Sarà il direttore del conservatorio nazionale di musica di Parigi, dopo aver visto il ragazzo suonare Bach al pianoforte, a far conoscere il suo talento al mondo sulle note del Rachmaninov, rischiando la sua stessa carriera per il carattere indisciplinato del ragazzo.
La storia non è innovativa: diverse volte al cinema hanno proposto il binomio genio e sregolatezza, dal celebre Wolfgang Amadeus Mozart al ribelle e problematico ma geniale in matematica Will Haunting… "Nelle tue mani", però, è un film godibile, con ottime musiche, una colonna sonora composta anche da canzoni moderne, dinamico e divertente - come la scena finale in cui Mathieu arriva all'ultimo minuto al concerto dove deve esibirsi, indossando un outfit casual e sportivo, che farà sì che Pierre gli presti una giacca. Bravissimi anche gli attori: il giovane protagonista Jules Benchetrit, Lambert Wilson che interpreta il direttore del conservatorio dal passato misterioso e Kristin Scott Thomas, celebre per i suoi ruoli da aristocratica (come in "Quattro matrimoni e un funerale"), perfetta nei panni della severa maestra di pianoforte. Nel cast si distingue anche Karidja Touré nei panni di Anna, bravissima violoncellista che spronerà lo svogliato Mathieu a partecipare al concerto e s'innamorerà di lui.
"Nelle tue mani" incita a realizzare i propri sogni, a riscattarsi da una vita difficile inseguendo le proprie passioni, ed esalta il potere salvifico della musica: una fiaba appassionante e moderna, perfetta da guardare in questi ultimi giorni di festa.
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La recensione di Suspiria: il film di Luca Guadagnino si distacca dall'originale di Dario Argento e veicola l'orrore attraverso temi e livelli differenti. Non chiamatelo Remake!
di Salvatore Amoroso
Berlino, 1977. Sullo sfondo il terrorismo e la banda Baader Meinhof. La giovane americana Susie Bannion, una sempre più brava Dakota Johnson, arriva nella capitale tedesca per frequentare una famosa scuola di danza per sole ragazze. Il palazzo è cupo, l’atmosfera mortifera, le insegnanti pericolosamente severe, le presenze inquietanti, le compagne inspiegabilmente spaventate. Susie comincia a comprendere di trovarsi in una accademia fuori dal normale quando la maestra Madame Blanc, mirabilmente interpretata dalla musa di Guadagnino Tilda Swinton, le chiede di spingersi oltre i propri limiti piegando corpo e testa a performance sfiancanti.
Braccia che si avvitano, gambe tese oltre l’inverosimile, colli piegati fin quasi a spezzarsi sono l’obiettivo finale di un percorso doloroso per ampliare le possibilità del fisico. Quasi un calvario, per alcune allieve letterale. Seguite con perversa dedizione da insegnanti che portano impresse nei volti i segni dell’accettazione del ruolo di custodi di un universo che si nasconde ben oltre le apparenze.
Guadagnino, per nulla impaurito dal confronto con il film di Argento, si muove liberamente costruendo un film estremamente personale, ennesimo tassello di un quadro di cui è ancora difficile intravedere la forma finale. Perché non c’è dubbio che l’autore stia perseguendo un’idea di cinema inconsueta e unica frutto di un lavoro costante sull’immagine, sulla musica, sui colori, sulle inquadrature che è presto per dire dove lo porterà.
Un discorso in cui la donna è sempre al centro del racconto, che si tratti di una cantante pop o una signora della borghesia o una danzatrice incredibilmente dotata. Un puzzle ambizioso per arrivare a una definizione del femminino sempre ricca, non convenzionale, contemporanea. Guadagnino è un regista profondamente femminista, ammesso che la definizione abbia un senso. Con il coraggio di proclamarsi tale anche in Suspiria tratteggiando un ritratto di donna a tinte forti, apparentemente negativa, totalmente autodeterminata. Inserirlo all’interno di un film horror, genere tradizionalmente poco generoso nei confronti del sesso femminile, è un atto quasi rivoluzionario. A Guadagnino riesce anche questo, di fare di un horror un monumento alle donne.
A differenza dell’efficiente dispositivo di paura che era il film d’Argento, composto come una galleria di personaggi ambigui e repellenti, e di morti misteriose quanto elaborate (la stanza di filo spinato, il falco di pietra che prende vita), questo Suspiria è piuttosto una costruzione ambientale estremamente lavorata, e raffinata, dove la paranoia sociale, il decorso storico e il metodo soprannaturale si mischiano in una matassa ricca di colori, ma anche caotica e difficile da districare. E alla fine l’impressione è che amalgamare così tanti sapori diversi abbia richiesto più tempo di quanto lo spettatore sia disposto a concedere a una vicenda e a un mondo che in linea di massima già conosce.
Il Suspiria di Guadagnino è insomma un film d’autore di serie A che si diverte a rischiare momenti di paura di serie B. Ci sono un paio di segmenti che faranno la felicità degli appassionati horror (la scena del balletto “spaccaossa” che già aveva procurato svenimenti al Cinema non è effettivamente senza precedenti, lunghi quadri d’ambiente, o approfondimenti sul background dei personaggi che solleticheranno il palato di chi cerca sempre un’ambizione ulteriore e soprattutto separata rispetto al puro genere). È molto difficile decidere della riuscita dell’operazione, ma l’oggetto è senza dubbio singolare e affascinante.
Immagini tratte da:
Locandina: C4comic.com Immagine1: Pigrecoemme.it Immagine2: MaSeDomani/Blog.net Immagine3: IloveSplatter.it Immagine4: Indiewire Della Redazione Cinema e Serie TV Dopo aver presentato i dieci film imperdibili usciti nelle sale nel 2018, la Redazione Cinema e Serie TV ha il piacere di parlarvi degli show più riusciti di questa ricchissima annata sul piccolo schermo. Il 2018 è stato un anno di svolta per il mondo delle serie tv, segnato da decine e decine di prodotti di grandissima qualità. E’ stato difficile convergere su solo dieci titoli ma i nostri eroi ci sono riusciti. Ecco, quindi, tutte le serie da recuperare durante queste vacanze invernali, dall’ultima posizione della classifica fino al primo gradino del podio! Hill House Nessuna etichetta può inquadrare e comprendere al meglio questa mini-serie che, allo scorrere dei titoli di coda dell’ultima puntata, si rivela a grande sorpresa come una delle migliori di quest’anno. Non è un horror, o meglio: non è un horror nella concezione classica ricca di jump-scare, sangue e dettagli macabri. Hill House ha un tono avvolgente e contemporaneamente ambiguo che cattura gradualmente esplorando le personalità dei cinque fratelli. Homecoming Sam Esmail centra ancora una volta l’obiettivo dopo il successo di Mr. Robot. Homecoming, ultima brillante produzione targata Amazon Prime Video, è un concentrato di angoscia, paranoia e humour nerissimo. Con l’insolita struttura ad episodi da trenta minuti, lo show cattura e incuriosisce grazie soprattutto alla sua magnetica protagonista – una splendida Julia Roberts inedita sul piccolo schermo – e a una delle migliori giovani rivelazioni di questa stagione, Stephan James. The Handmaid’s Tale – Stagione 2 Un’estrema cura per i dettagli tecnici è la costante in un prodotto studiato sotto ogni aspetto e di altissimo livello nonostante la trama soffra in alcuni punti di cali di tensione. Anche per questa seconda stagione, però, bisogna riconoscere il grande merito di affrontare temi delicati che non vengono trattati con superficialità né con posizioni di rito bensì vengono analizzati gradualmente e minuziosamente concentrandosi sull’aspetto cardine della questione. La soluzione, la speranza, infatti, arriva proprio dalla solidarietà femminile, dalla capacità di unire le forze per sconfiggere un sistema che non può essere affrontato in solitaria. Westworld – Stagione 2 Difficile attualmente individuare nel panorama televisivo internazionale una serie che può vantare una sceneggiatura di qualità pari a quella di Westworld. Alcuni episodi, sotto questo aspetto, hanno molto da insegnare a grandi produzioni cinematografiche. Anche nella seconda stagione si esplorano ulteriori diramazioni del complicato rapporto inventore e invenzione attraverso non pochi riferimenti biblici e si possono ritrovare molte similitudini con Lost tra indecifrabilità della realtà e sovrapponibilità di bene e male. Sharp Objects Dopo lo straordinario successo di Big Little Lies, il canadese Jean-Marc Vallée rinnova il suo sodalizio con HBO. In Sharp Objects, il regista tratteggia, puntata dopo puntata, un ritratto insolito e inquietante di una famiglia della provincia americana segnata da segreti e ipocrisie. Al centro della scena una grandissima Amy Adams – tra i favoriti alla vigilia dei Golden Globes – e una ritrovata e convincente Patricia Clarkson. The Americans – Stagione 6 La saga a stelle e strisce della famiglia Jennings si conclude alla sua sesta stagione con una serie di episodi a dir poco esplosivi in cui ogni ingrediente caratteristico dello show trova la sua giusta dose. Elizabeth e Philip arrivano, allora, alla resa dei conti con la loro esistenza negli Stati Uniti, con il loro passato nell’Unione Sovietica e con il loro futuro incerto ma vicino. Essere spie non è mai stato così affascinante e pericoloso contemporaneamente. Narcos: Mexico La grande forza della serie, oltre a una scrittura eccellente, è quella di non raccontare i fatti in maniera edulcorata né di assumere un punto di vista univoco ma anzi di avere una visione a 360 gradi, per cui si è sempre parlato di guerra della droga e non semplicemente di guerra alla droga. Le parole di Diego Luna, incontrato in occasione dell’anteprima a Lucca Comics & Games 2018, confermano che anche Narcos Messico procede in questa direzione. L’amica geniale L'amica geniale colpisce subito per l'attualità della vicenda nonostante l'ambientazione negli anni ‘50: si parla di emancipazione femminile: in un'epoca in cui il ruolo delle donne era quello di fare la madre e la moglie, Lila e Lenù lottano per il diritto all'istruzione, per raggiungere l'indipendenza (entrambe sono studiose, in particolare Lila è "geniale" in tutte le materie, soprattutto in matematica, e sa leggere e scrivere fin da quando aveva tre anni), viene affrontato il tema del riscatto sociale e soprattutto dell'amicizia. Killing Eve Cosa rende Killing Eve uno dei migliori show degli ultimi tempi? Semplice quanto complesso. Registi e sceneggiatori sono riusciti a togliere il velo appannato che avvolgeva il genere aggiungendo un tono frizzante, alla moda – nella migliore delle sue accezioni - e incalzante anche nei passaggi più statici della narrazione. Un gruppo estremamente competente è riuscito così a preparare il giusto habitat per due splendide creature della recitazione che, contrapposte una all’altra, hanno saputo regalare performances ineccepibili. Maniac Maniac è una serie audace, innovativa, assolutamente e totalmente strana. Facendone la sua serie di punta per questo autunno, Netflix osa, come solo una potenza quale il sito di streaming è ormai diventato, può e deve fare. Osa ma avvalendosi di professionisti eccezionali, compresi i doppiatori italiani (Domitilla D’Amico, Simone Crisari, Chiara Salerno, Massimo Lodolo, Christian Iansante), il cui lavoro è stato ineccepibile. E il risultato vale l’investimento. Consigliato a chi ha una grande apertura mentale, a chi cerca qualcosa di diverso, a chi ama il cinema e la sua capacità esplorativa e intrattenitrice. Immagini tratte da: https://eu.usatoday.com https://variety.com https://www.inverse.com https://www.nme.com https://www.elle.com https://www.polygon.com https://www.tvinsider.com https://www.tvinsider.com |
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Maggio 2023
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