In attesa di scoprire i vincitori, ecco 12 curiosità sulla premiazione più attesa dell'anno.
1) A proposito di Oscar, la leggenda narra che il nome Oscar è nato casualmente quando Margaret Herrick, la direttrice degli Academy dal 1945 al 1971, sottolineò la somiglianza tra la statuetta e suo zio Oscar. 2) La statuetta è placcata in oro 24 carati, è alta 35 centimetri e, se venduta, vale 295 dollari. 3) L'attrice che ha vinto più Oscar è Katharine Hepburn, 4 Oscar su 12 nomination: Migliore attrice protagonista per La gloria del mattino del 1933, Indovina chi viene a cena? del 1967, Il leone d'inverno del 1968 e Sul lago dorato del 1981, ma non ha mai ritirato le sue 4 statuette. L'uomo che ha vinto più Oscar è Jack Nicholson: 3 statuette su 12 nomination: Miglior Attore per Qualcuno volò sul nido del cuculo del 1975 e Qualcosa è cambiato del 1997 e come Miglior Attore non protagonista per Voglia di tenerezza del 1983. 4) Meryl Streep ha avuto 16 nomination e ha vinto 2 Oscar: Migliore attrice non protagonista per Kramer contro Kramer del 1979 e come Migliore attrice protagonista per La scelta di Sophie del 1982. 5) Hattie McDaniel, è stata la prima persona afro-americana a vincere un Oscar per Via col vento (1939), ma ha dovuto sedersi in una parte separata della sala durante la cerimonia. 6) La Bella e La Bestia è il primo film di animazione a essere stato nominato agli Oscar come miglior film.
7) The Hurt Locker ha vinto il Premio Oscar 2010 come miglior film, stabilendo il record del film che ha incassato di meno a vincere l'Oscar. Inoltre Kathryn Bigelow è l'unica donna ad aver vinto la statuetta come miglior regista per questo film.
8) Sandra Bullock è la prima attrice che ha vinto il Premio Oscar (miglior attrice) e il Razzie Award (peggior attrice) nello stesso anno ma per due film diversi: per The blind side e A proposito di Steve. 9) I film che hanno ricevuto più Oscar sono: Ben-Hur del 1959 con 11 Oscar, West Side Story del 1961 con 10 Oscar, Titanic del 1997 con 11 Oscar e Il Signore degli Anelli: Il ritorno del Re del 2003 con 11 Oscar. 10) Hanno ricevuto il premio Oscar postumo Peter Finch, Oscar nel 1977 come miglior attore protagonista in Quinto potere e Heath Ledger per il suo Joker (attore non protagonista) ne Il cavaliere oscuro del 2008). 11) La più giovane attrice a vincere l’Oscar è Tatum O'Neal. Aveva 10 anni ed è stata premiata come miglior attrice non protagonista nel 1974 per Paper Moon-Luna di carta.
12) L'attrice più anziana che ha vinto l'Oscar è Jessica Tandy. Aveva 81 anni quando fu premiata come miglior attrice agli Oscar 1990 per A spasso con Daisy. L'attore più anziano è invece Christopher Plummer. Aveva 82 anni quando fu premiato agli Oscar 2012 come miglior attore non protagonista per Beginners.
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Giovanissimi e con una grande passione per il cinema e per tutto ciò che ruota intorno al mondo della settima arte: Matteo e Andrea Cossi, classe 1986, ce lo spiegano bene all’interno del loro sito Cossi Bros. Due ragazzi con tanto talento e voglia di fare, producers, filmmakers and music composers, che in questi anni, tra Italia e USA, hanno accumulato le più svariate esperienze in ambito artistico. Vincitori del contest Nivea Protect and Care, non sono nuovi a ricevere riconoscimenti: sempre lo scorso anno, sono stati insigniti della Honorable Mention Bolgheri Academy per Wonderland e nel 2014 della Honorable Mention MISFF per lo short movie The pitch, oltre ad aver realizzato il bel doc City of Miracles- The leaning Towers of Pisa e aver contribuito alla realizzazione di varie interviste, tra cui a Zucchero e al calciatore Rossi. Il 2017 è l’anno di I’m here, di cui i Cossi sono stati produttori e registi, oltre che averne curato suono e video.
Una versione breve di 1.20 minuti e una leggermente più lunga di 5.45 minuti, per un corto che vuole sensibilizzare sulla problematica degli incidenti stradali. Sospesa, tra il cielo e la terra, una giovane ragazza con indosso un abito leggero percorre, incerta, un paesaggio ultraterreno, tra voci e rumori lontani e incomprensibili. Girato quasi interamente nel suggestivo Parco naturale di Migliarino S. Rossore Massaciuccoli, I’m here si fa apprezzare particolarmente a livello tecnico. Primi e primissimi piani che rendono l’idea dello spaesamento e un’attenzione particolare ai colori e alle atmosfere evanescenti, in una dimensione fluttuante a metà tra sogno e realtà.
Abbiamo pensato di rivolgere delle domande ai due giovani Cossi. Ecco l’intervista!
1. Siete giovanissimi e molto talentuosi, lo abbiamo detto. Com’è nata in voi la passione per quello che fate?
Siamo nati in Italia, cresciuti tra le meraviglie artistiche di una realtà che ha dato i natali a Leonardo da Vinci, Dante Alighieri, Monteverdi e artisti della settima arte come Federico Fellini, Dante Ferretti e Anna Magnani. Vivere in un luogo così magico ci ha sicuramente aiutato e ispirato. Sin da bambini amavamo creare suoni e storie. Essere gemelli, se da un lato ci ha aiutato a non sentirci mai soli, dall’altro ci ha sempre obbligato a interfacciarci con qualcun altro per spiegare i nostri giochi, le nostre idee e i nostri mondi fantastici. Con il passare del tempo ci siamo così specializzati a “creare insieme”. Da creare per gioco a creare per davvero è stato un salto relativamente breve, componendo musiche, scrivendo romanzi o girando film. 2. Che studi avete seguito? Durante i nostri studi universitari, che erano soprattutto teorici, abbiamo frequentato il corso di regia della Scuola Nazionale di Cinema Indipendente a Firenze e conseguito un diploma riconosciuto a livello europeo. Nel 2012, dopo la laurea in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione, abbiamo ottenuto una borsa di studio alla prestigiosa New York Film Academy e ci siamo trasferiti a New York, diplomandoci in Filmmaking e apprendendo la tecnica americana. In questa materia, come in quasi tutte le cose, si è sempre in una fase di costante apprendimento e specializzazione, pertanto ci teniamo sempre aggiornati seguendo corsi di alta formazione e viaggiando all’estero. 3. Cosa potreste consigliare a un giovane che volesse intraprendere un lavoro creativo? Sicuramente di munirsi di tanta pazienza e forza di volontà. Non è un settore facile, e la passione è l’unica cosa che aiuta a superare gli immancabili momenti di difficoltà. Pensiamo che sia importante essere sempre aperti a nuove esperienze, essere un po’ esploratori, poiché crediamo che non si possa trovare niente di nuovo se non si è disposti a lasciare la propria spiaggia. 4. I’m here intende sensibilizzare sul tema delle morti sulla strada. Credete che l’arte possa essere un canale preferenziale per veicolare messaggi importanti, soprattutto tra i giovani? Sì. Proprio per le sue svariate forme crediamo che l’arte possa veicolare meglio di qualsiasi altro mezzo messaggi importanti. L’arte parla direttamente al subconscio di ognuno di noi, suscitando emozioni che possono smuovere l’animo di chi guarda. Nel cinema, la fotografia, la letteratura e la musica si fondono per trasmettere un messaggio raccontando una storia. Quando in sala le luci si spengono e lo schermo si illumina, millenni di spettacolo si condensano insieme e il sogno di alcune persone va in scena diventando il sogno di molti. 5. Cosa pensate del cinema italiano? Per noi esiste un solo cinema, ed é fatto di luce. É anche vero che i film portano la firma di produzioni italiane o americane e che i budget delle produzioni italiane sono inferiori a quelli delle produzioni americane. Quando si parla di cinema italiano non possiamo non pensare al nostro cinema degli anni d'oro, quello de "La dolce vita" di Fellini e di "Divorzio all'italiana" di Pietro Germi, quello di "Mamma Roma" di Pasolini o ancora "Roma città aperta" di Rossellini. Insomma, pensiamo a un fare cinema che sapeva attirare le grandi produzioni americane nel nostro meraviglioso territorio, con un ricchissimo patrimonio artistico e una meravigliosa cultura. Guardando al cinema italiano di adesso non possiamo che gioire di fronte al riconoscimento dato dall'Academy a registi e artisti italiani. Speriamo che tanti altri artisti riescano a trovare la loro strada verso il riconoscimento che meritano. 6. Il Termopolio ha avuto il piacere di vedere in anteprima il vostro corto. Dove potremo rivederlo? Il cortometraggio, realizzato in collaborazione con l’associazione “Corte Tripoli Cinematografica”, ha per sua natura la caratteristica di essere una storia breve. Pertanto è molto difficile pensare a proiezioni al cinema se non in occasione di qualche festival o nel caso in cui venga proiettato prima di un lungometraggio. Internet e i social networks vivono nell’immediatezza, caratteristiche che ben si sposano con i cortometraggi. Presto “I’m here - Io sono qui” potrà essere visto su internet e prima dell’inizio dei film nella sala cinematografica al Cinema Lanteri di Pisa. La fase di distribuzione e di presentazione ai festival è appena iniziata. Invitiamo anche a seguire la nostra pagina Facebook di Cossi Bros. per aggiornamenti. 7. Cosa dobbiamo aspettarci dai Cossi Bros.? Progetti futuri? Abbiamo molti progetti in cantiere, in diverse fasi di sviluppo. E non parliamo solo di cortometraggi, ma soprattutto di webserie, format per tv, soggetti di serie televisive di cui uno in fase di pre-produzione, tre lungometraggi, spot e tanto altro ancora.
Per saperne di più:
Website: www.cossibros.com Facebook: www.facebook.com/cossibros Facebook I’m here: https://www.facebook.com/Im-here-Io-sono-qui-906170472738989/
Dopo essere scomparsa da Storybrooke, Emma si ritrova a Camelot e lì cerca l’aiuto di Merlino per combattere l'oscurità dentro di sé, nonostante la sua mente sia martellata da Tremotino che la esorta ad arrendersi alla sua nuova condizione. Anche Uncino e gli altri raggiungono Camelot e s'imbattono in re Artù, un uomo ossessionato dal potere che vuole riunire Excalibur alla parte mancante, cioè il pugnale dell'Oscuro. Riuscirà il gruppo a sconfiggere l'oscurità in Emma e Re Artù?
Anche la quinta stagione di Once Upon A Time, la serie Tv incentrata sui personaggi delle fiabe, è divisa in due parti. Nella prima, dopo i drammatici eventi del finale della quarta stagione quando Emma salva Regina e si fa catturare dall'oscurità, troviamo la protagonista in lotta con se stessa per rimanere umana e non cedere alla tentazione di passare al male e diventare Signora Oscura. Emma infatti è ancora in bilico tra Bene e Male, luce e oscurità, ma l'amore per Uncino la aiuterà a resistere. In questa quinta stagione vengono introdotti nuovi personaggi: Merida del lungometraggio Disney Pixar, Ribelle - The Brave, Re Artù Ginevra, Merlino e Lancillotto. Nel primo episodio della stagione, gli autori riutilizzano la perdita della memoria a causa di una maledizione e quindi tutti i protagonisti tornano a Storybrooke smemorati; viene usata una doppia narrazione divisa tra presente e passato. La seconda parte della quinta stagione è incentrata sul viaggio degli eroi nel mondo dei morti per salvare Uncino. Lungo il loro cammino incontreranno diversi personaggi deceduti nelle stagioni precedenti con cui dovranno confrontarsi. Infatti, l’Oltretomba è il luogo dove le anime smarrite devono trovare la forza di andare oltre, in paradiso o all'inferno: i nostri eroi dovranno aiutarli in questo percorso e sconfiggere Ade, il dio delle Tenebre. In questa ultima parte di stagione incontriamo anche Hercules e Megara, Cappuccetto Rosso, Dorothy del mago di Oz e Mulan. In questi episodi viene rappresentato l'eterno conflitto tra il bene il male e la lotta per ottenere un lieto fine. Si può dire che la protagonista centrale di questa quinta stagione è Emma (una bravissima Jennifer Morrison), anzi, il meraviglioso parallelismo tra Emma e Odette, protagonista de “Il lago dei cigni".
Infatti, Emma in questa stagione ha fatto un lungo viaggio combattendo l'oscurità e il potere, si è sacrificata con coraggio, ha perduto la speranza ma poi l'ha ritrovata, ha perduto Uncino ma poi l'ha salvato da un terribile destino. Ha addirittura affrontato la morte proprio come il cigno nero ed é risorta tornando un puro e speranzoso cigno bianco.
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Arriva nelle sale italiane il toccante racconto scritto e diretto dallo statunitense Kenneth Lonergan e interpretato da un perfetto Casey Affleck.
Candidata a sei premi Oscar tra cui miglior attore, miglior regia e miglior film, arriva nelle sale italiane l’opera del “redivivo” Kenneth Lonergan: Manchester by the Sea. La pellicola racconta la storia dei fratelli Chandler, due nativi di questa piccola cittadina che fa parte della contea dell’Essex negli Stati Uniti. Lee, il fratello minore, ha lasciato la sua Manchester e si è trasferito a Boston, dove lavora come factotum. Non torna quasi mai a casa, ha pochi amici e non ha nessuna intenzione di farsene di nuovi. Un uomo freddo che conduce una vita normale, uno dei tanti invisibili del mondo che va avanti deciso per la sua strada. Un lutto in famiglia però lo costringe a tornare a casa, dove dovrà non solo occuparsi di tutta la burocrazia del caso, ma anche affrontare i fantasmi del suo passato e tutto il dolore della perdita.
A volte basta un Oscar per farti riapparire sui radar, potremmo sintetizzare in questo modo la storia di Kenneth Lonergan che ha diretto e scritto questa toccante pellicola e che era finito ai margini dell’industria cinematografica. Il cinema di Lonergan ce lo riassume Martin Scorsese, suo grande estimatore, che gli affidò persino la sceneggiatura di Gangs of New York , con queste parole: “Kenneth è capace di forgiare il cuore dei personaggi e il cuore delle situazioni”. Ed è proprio questo quello che fa il regista in Manchester by the Sea. Non ha nessuna intenzione di raccontarci una storia ma ci descrive la situazione emotiva di un uomo che ormai non ha la forza di chiedere più nulla alla vita. “Nessuno può capire in fondo quello che stai passando”, sono queste le parole che uno dei poliziotti rivolge a Lee durante una scena del film e dal suo sguardo vuoto lo spettatore inizia a capire perché il protagonista vive in maniera così fredda e distaccata. Lee è un uomo scontroso e senza filtri, se ne frega di piacere agli altri, vive in maniera meccanica ma non è sempre stato così. È un uomo costantemente in fuga, che scappa dal suo crudele passato e il ritorno a casa lo metterà a dura prova.
Dovrà rivivere quegli orribili ricordi e scontrarsi con tutto quello che ha deciso di abbandonare. Attraverso i ricordi e le emozioni del protagonista, lo spettatore riuscirà a capire quello che lo tormenta fino al punto di compatirlo. Il processo che ci porta a conoscere Lee è lungo ed estenuante. Il regista infatti decide di non seguire i consueti “tempi cinematografici” e si dedica allo studio totale del personaggio. Un’attitudine per l’analisi e la costruzione dei personaggi che deriva dalla sua infanzia: Lonergan è figlio di due psicanalisti e da qui possiamo capire la sua sconfinata bravura nel creare un legame quasi viscerale con le sue creature cinematografiche. Nonostante la scelta di soffermarsi molto sul lato emotivo del personaggio, bisogna dire che si finisce per amare il protagonista. Tra Lee e lo spettatore si instaura un forte legame, un’alchimia che fa dimenticare i tempi molto dilatati della narrazione, spesso colpevole di essere troppo attenta e poco concisa.
Il merito di questa perfetta empatia tra noi e Lee è di uno straordinario Casey Affleck: un attore in stato di grazia, maturo e concentrato, che ripaga il suo regista per la fiducia affidatagli con una performance stupenda. Affleck si cala perfettamente nei panni del suo personaggio e dimostra di essere il favorito per la corsa all’Oscar come migliore attore protagonista. Non lo avevamo mai visto in un ruolo così intenso e questo non può che essere la definitiva consacrazione per la sua carriera e per il suo talento, spesso troppo sottovalutato. Da segnalare anche un’ottima interpretazione di Michelle Williams nei panni di Randi Chandler, moglie di Lee, e di C.J. Wilson, che veste i panni dell’amico più caro dei fratelli, lo spassoso George. Una persona umile e sincera che incarna perfettamente lo spirito veritiero del film.
Manchester by the Sea non è certo un film facile da vedere: molto lungo e macchinoso, tuttavia, non appena lo spettatore entra in sintonia con l’idea del regista, non può fare altro che appassionarsi e lasciarsi trasportare dalle sue emozioni sincere. Lonergan non scende a compromessi, non cambia il suo modo di girare e ci regala un’opera da non perdere, schietta ed efficace che riesce a infonderci un grande coraggio nonostante il finale non sia il classico happy ending.
Link Immagini: Locandina: Trailersland.com Immagine 1: FamilyCinemaTv.com Immagine 2: youtube.com Immagine 3: Abovetheline.it Immagina 4: Deadline.com In occasione della mostra dedicata a Salvador Dalì presso il Palazzo Blu di Pisa (aperta al pubblico fino a domenica 19 febbraio), il Cinema Arsenale ha voluto omaggiare il grandissimo pittore spagnolo organizzando la proiezione del corto "Un chien andalou" e del lungometraggio "L'age d'or" diretti dal regista Luis Buñuel. Eccezionalmente per l'occasione, le due pellicole sono state accompagnate dalla performance musicale live ad opera di Giada Turini (computer e ambienti di programmazione sonora) per il primo film, e di Nicola Corsini (drum machine e sintetizzatori) e Andrea Caracciolo (chitarra) per il secondo. Buñuel, premio Oscar e palma d'oro a Cannes, aveva conosciuto Dalì (e altri importanti protagonisti della cultura dell'epoca, tra cui Federico Garcia Lorca) nella fervida Parigi degli anni '30 , con il risultato di innescare una simbiosi straordinaria tra due menti creative e rivoluzionarie all'ennesima potenza. I due artisti avevano gettato le basi del Surrealismo, dando vita a diversi manifesti di questa nuova corrente di pensiero come il corto "Un chien andalou" ("Un cane andaluso"), in cui Dalì partecipava attivamente nelle vesti di scenografo, sceneggiatore e anche attore. Nonostante la sua durata si attesti intorno ai 21 minuti scarsi, sintetizzare in poche righe il contenuto di "Un chien andalou" si dimostra un'impresa non soltanto impossibile, ma ancor di più terribilmente irrispettosa per la densità di contenuti visivi e simbolici messi in mostra dalla pellicola. Per tale ragione, e per non rovinarvi troppo il gusto di vedere un'opera così originale (per l'epoca, e ancora adesso) e interessante, ci limitiamo ad alcune osservazioni generali sull'opera, che, uscita nel 1929, introdusse per la prima volta il cinema surrealista nelle sale. "Un chien andalou" è un film di fronte al quale lo spettatore non può permettersi pause, sia per non perdere i passaggi della trama già per di sé frammentaria e anarchica, sia in virtù del susseguirsi incessante di scene che spesso non sembrano avere nulla a che vedere l'una con l'altra. Buñuel e Dalì infatti non mirano a presentare una narrazione fluida e realistica secondo i canoni, tendono anzi a sconvolgerla, sviluppando a intermittenza immagini oniriche e ai limiti della follia che talvolta rappresentano uno strumento di critica alla società (in particolare alla Chiesa), o altrove mettono in scena idee e sogni direttamente partoriti dalle loro menti. Nella ricerca di un minimo plot alla base del corto, "Un chien andalou" racconta l'attrazione tra un uomo e una donna vissuta in preda a sensazioni disparate. Dal rovente appetito sessuale di lui ai timori di lei, dalla dolcezza di lei alle insicurezze di lui che arriva a confrontarsi quasi con un'altra parte di sé. Sono questi i temi che ritornano anche ne "L'age d'or", nuova opera di Buñuel e Dalì uscita per la prima volta nel 1930. Il tema dell'attrazione fisica fra un uomo e una donna diventa il fulcro per raccontare una storia vera e propria: non più la rapsodica rincorsa di immagini surrealiste del lavoro precedente, ma la vicenda (condita di elementi assurdi e di trovate stilistiche affascinanti e originali) di due amanti che cercano di appagare il proprio desiderio, senza però mai riuscirvi. Le regole sociali e il decoro borghese si intromettono continuamente per frustrare i tentativi dei protagonisti. Anche questo film di Buñuel e Dalì è un'aspra critica alla società dell'epoca. La religione (emblematica la scena in cui compaiono degli scheletri vestiti da papi), il finto e cinico perbenismo dell'alta società (assurdamente ripiegata su se stessa, e completamente cieca di fronte alla realtà) sono i bersagli della critica de "L'age d'or". Il messaggio è questa volta molto più diretto rispetto a "Un chien andalou": lo sviluppo, anche se non lineare, della vicenda veicola perfettamente la visione che sta alla base del film. La nuova opera di Buñuel deve molto alla psicoanalisi. I protagonisti esprimono, attraverso atteggiamenti a volte assurdi, le proprie pulsioni inconsce, i propri desideri repressi e inconfessati. Non stupisce che la pellicola venne all'epoca vietata per oltre vent'anni, fino al 1950. "Un chien andalou" e "L’age d'or" sono ormai due capolavori del cinema. Due opere di una modernità spaventosa, disarmante, che spiazzano lo spettatore, ma proprio per questo lasciano intravedere (nell'apparente insensatezza di alcune scene e nelle scelte di sceneggiatura, coraggiosissime per l'epoca) un significato e una potenza espressiva dirompenti. Immagini tratte da: Immagine 1 da www.venividivici.us Immagine 2 da www.mahaart.it Immagine 3 da www.viewspaper.net
A brevissima distanza da Neruda (2016), P. Larrain, cileno classe 1976, ci riprova. È la volta infatti del nuovo biopic Jackie, che ripercorre i giorni successivi la morte del Presidente J.F. Kennedy attraverso lo sguardo della moglie Jacqueline . Presentato in concorso al Festival di Venezia 2016, si è aggiudicato il premio per la Migliore Sceneggiatura.
Tre i livelli di lettura che si intrecciano nel corso dei 99 minuti: i sette giorni immediatamente successivi l’attentato, un documentario d’epoca (del 1961), in bianco e nero, in cui Jackie mostra al popolo americano gli interni della Casa Bianca e un’intervista in cui la ex First Lady ripercorre i tragici momenti dell’assassinio e l’organizzazione delle esequie nella concitazione delle ore successive.
È il 23 novembre 1963 e la vettura presidenziale sfila per le strade di Dallas. Lo sparo. E il cervello del Presidente schizzato via fuori dalla decappottabile. Al suo fianco, Jackie, nell’elegante abitino rosa Chanel macchiato di sangue. Una tragedia umanissima e una donna forte nella sofferenza. Un alternarsi di visioni, sentimenti, ricordi e stati d’animo contrastanti e la percezione del dolore di una moglie: regali e misurati i gesti di una donna passata alla storia come un’icona di eleganza e stile.
Un attimo. Perdere tutto. Il marito, la residenza presidenziale, il ruolo di moglie del Presidente. Un’occasione, quella luttuosa, per riflettere sulla propria esistenza, come emerge dagli innumerevoli interrogativi, anche di stampo religioso, che Jackie si pone. Ma soprattutto, momenti decisivi per esaltare la memoria del marito lasciandone un’eredità ai posteri e, inconsapevolmente, cominciando a tracciare quell’impronta di sé che ancora oggi permette di dedicare alla sua figura un film.
Un andamento piuttosto lento per una pellicola che indugia su pochi momenti, indagando a fondo la psicologia di Jackie. Primi e primissimi piani sul volto dell’algida Natalie Portman (Nomination Oscar 2017 come Migliore Attrice Protagonista) che nel film sfoggia degli abiti che riproducono fedelmente quelli indossati da Jacqueline . Grandi e lussuosi spazi si alternano a visioni meste di cimiteri pervasi da una fitta nebbia e ancora gli interni, quelli della Casa Bianca, in cui Jackie, altèra, si muove con eleganza, fino alla ben più modesta dimora in cui a un tavolo, rilascia, commossa ma decisa, la propria intervista. Un biopic ben riuscito e curatissimo esteticamente (ripropone addirittura le tonalità sature anni ’60) che non estingue, alimentantando, la curiosità su Jacqueline e sul suo post Kennedy, terreno ancora filmicamente inesplorato.
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comingsoon.net thedenverpost.com abcnews.go.com telegraph.co.uk 5/2/2017 La controprogrammazione di Mediaset al Festival di Sanremo: 5 imperdibili film da oscarRead Now
Da Martedì 7 febbraio a sabato 11 febbraio, mentre Rai1 trasmette il Festival di Sanremo 2017, Canale5 propone una carrellata di grandi film vincitori dei premi Oscar.
Il 7 febbraio verrà trasmesso Il discorso del Re, vincitore di quattro Oscar: Miglior film, Miglior regia, Miglior attore protagonista e Miglior sceneggiatura.
La pellicola narra la storia del figlio (Colin Firth) di Re Giorgio V, affetto da balbuzie. Dopo la morte del padre e l'abdicazione del fratello, viene incoronato re d'Inghilterra ma ha problemi nel linguaggio. La moglie (Helena Bonham Carter), affiancata da un eccentrico logopedista (Geoffrey Rush), lo aiuterà a risolvere il suo problema.
Mercoledì 8 febbraio 2017 sarà trasmesso il film The blind side, vincitore di un Oscar come Miglior attrice protagonista a Sandra Bullock che interpreta la madre adottiva del protagonista.
Il film racconta la vera storia di Michael Oher, un ragazzo dall'adolescenza problematica che grazie alla sua famiglia adottiva e all'amore per lo sport, diventerà un giocatore di football professionista coi Baltimore Ravens.
Giovedì 9 febbraio è la volta di Interstellar, vincitore di un Oscar per i migliori effetti speciali.
Il film di Christopher Nolan racconta la missione di alcuni astronauti (Matthew McConaughey, Jessica Chastain e Anne Hathaway) che, preoccupati per la fine delle risorse sulla Terra a causa del cambiamento climatico, intraprendono un avventuroso viaggio intergalattico alla ricerca di un pianeta adatto a ospitare l'uomo.
Venerdì 10 febbraio 2017 è la volta di Gravity di Alfonso Cuaròn, film ambientato nello spazio, vincitore di 7 premi Oscar: Miglior regia, Migliori effetti speciali, Miglior fotografia, Miglior montaggio, Miglior colonna sonora, Miglior sonoro e Miglior montaggio sonoro.
Il film narra la storia di due astronauti (Sandra Bullock e George Clooney), in viaggio per una missione spaziale di routine che si trasformerà in un disastro. Lo shuttle verrà distrutto: i due si ritroveranno dispersi nello spazio e tenteranno l'impossibile per tornare a casa.
Sabato 11 febbraio 2017 verrà trasmesso Il grande Gatsby di Baz Luhrmann, vincitore di due premi Oscar: Miglior scenografia e Migliori costumi.
Un aspirante scrittore, Nick Carraway, lasciato il Midwest Americano, arriva a New York nella primavera del 1922, un’epoca in cui regna la musica jazz e il divertimento. In cerca del suo personale Sogno Americano, Nick si ritrova vicino di casa di un misterioso milionario a cui piace organizzare feste, Jay Gatsby (Leonardo DiCaprio), e di sua cugina Daisy (Carey Mulligan) che vive sulla sponda opposta della baia con il marito. È allora che Nick viene catapultato nell’accattivante mondo dei ricchi tra illusioni e inganni.
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Dal regista de Il sesto senso (1999) M. Night Shyamalan, una pellicola ispirata a un episodio realmente accaduto: nel 1977 un sociopatico di nome Billy Milligan rapisce, violenta e rapina tre studentesse. Milligan e le sue personalità collaborano pochi anni più tardi, nel 1981, alla stesura de Una stanza piena di gente, dello scrittore A. Keyes.
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DATA USCITA: 26 gennaio 2017
GENERE: Thriller-horror ANNO: 2017 REGIA: M. Night Shyamalan ATTORI: James McAvoy, Anya Taylor-Joy, Haley Lu Richardson, Betty Buckley, Brad William Henke, Jessica Sula, Kim Director SCENEGGIATURA: M. Night Shyamalan FOTOGRAFIA: Michael Gioulakis MONTAGGIO: Luke Franco Ciarrocchi MUSICHE: West Dylan Thordson PRODUZIONE: Blinding Edge Pictures, Blumhouse Production DISTRIBUZIONE: Universal Pictures PAESE: USA DURATA: 117 Min
Thriller psicologico che inquieta e tiene col fiato sospeso nell’attesa che qualcosa di terribile accada. E in effetti, di cose ne accadono e nel finale, lo stesso genere vira, come annunciato a più riprese, verso un horror dalle tinte fortemente fumettistiche.
Un alternarsi di 24 personalità che coesistono nella psiche della stessa persona, cercando, ognuna, di prendere il sopravvento. Un’atmosfera di terrore e impotenza quella che pervade la claustrofobica camera in cui tre ragazze sono recluse. Scelte non a caso dallo psicopatico (interpretato dal talentuoso James McAvoy), fanno parte della schiera degli impuri: dormienti, esseri che non conoscono il vero significato della sofferenza e quindi senza valore.
Un disturbo dissociativo dell’identità è l’anamnesi attorno cui ruotano le congetture della dottoressa Fletcher (Betty Buckley), che elabora una sorta di mistica della patologia: gli individui mentalmente disturbati spesso svelano potenzialità inespresse della mente che rappresenterebbero un canale preferenziale di accesso al soprannaturale. Un turning point annunciato in cui ansia e attesa esplodono in un ending in linea con lo stile del regista. Un incubo senza fine che vira al fantasy con la trasformazione dell’uomo in Bestia, creatura uomo-animale dalla forza disumana.
Compiere qualcosa di atroce è la ratificazione di fronte al mondo, dell’esistenza di tutte le identità viventi in un solo soggetto e la compensazione di un’esistenza sofferta. Tante le vittime e una sola superstite: Casey (A. Taylor-Joy), colei nei quali occhi è possibile scorgere ancora la purezza di un essere senziente e sofferente.
Sangue e violenza e il vorticoso turbinio delle personalità su cui l’uomo non ha controllo in uno spazio franco, metafora della sua mente, al di là del tempo e della società. Psicologico, thriller e horror-fantasy mixati insieme in un film che privilegia spazi chiusi illuminati artificialmente, perdendosi nei labirintici meandri di una mente intrappolata tra le proprie ossessioni. L’incubo si conclude, almeno per una delle ragazze, ma al di là della prigione, il mondo continua ad essere un luogo di sofferenza.
Un film che inquieta e che forse inquieterebbe ancor di più senza un finale fantastico che costituisce però un leitmotive delle strutture filmiche del regista, che peraltro realizza nel finale un cameo con la presenza di Bruce Willis, rimandando al suo Unbreakable del 2000.
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