di Maria Luisa Terrizzi
A distanza di due anni dal road-movie L’estate addosso, Muccino torna al box-office con A casa tutti bene, film corale in cui indaga l’universo familiare. Alba (Stefania Sandrelli) e Pietro (Ivano Marescotti) festeggiano le nozze d’oro: è l’occasione propizia per riunire attorno la loro grande famiglia, a cominciare dai tre figli ( interpretati da S. Impacciatore, P. Favino, S. Accorsi), le nuore, i generi e i nipoti. Quello che sarebbe dovuto essere un soggiorno di qualche ora, sull’isoletta campana in cui i due coniugi si sono stabiliti, diventa invece un’occasione per ritrovarsi più a lungo: i traghetti che collegano l’isola alla costa vengono bloccati a causa del maltempo e gli ospiti sono costretti a intrattenersi per due giorni e due notti nella villa dei patriarchi. La famiglia, “il luogo in cui si cresce, da cui si parte e in cui si ritorna”, è la cornice in cui emergono inquietudini e contraddizioni attraverso l’universo duale delle coppie protagoniste della pellicola. Sì, perché è proprio il microcosmo della relazione a due, declinato nelle sue più diverse varianti, che si mostra quale orizzonte del non bastare a se stessi, come spazio di inevitabile saturazione del sentimento e di noia, come luogo artefatto, depositario di un’apparente quanto falsa felicità familiare, simulacro da ostentare socialmente. Il tutto nello stile che può dirsi propriamente alla Muccino: sulla scia del pluripremiato L’ultimo bacio e di Baciami ancora, momenti convulsi animano la scena dove la macchina da presa vortica violenta, in un alternarsi spasmodico di personaggi che urlano, si amano, si invidiano, si odiano, si perdono, come pure si ritrovano. Un film godibile, in cui il regista mostra l’estrema abilità di fare un quadro familiare generale pur muovendosi da una vicenda a un’altra, da un personaggio all’altro, senza blocchi o interruzioni, ma assecondando il naturale scorrere della trama animata dalla frenetica isteria di personaggi, per lo più quarantenni, non ancora maturi e irrisolti. Il rivelarsi senza sosta del realismo del cinema mucciniano, fatto di frasi brevi, linguaggio semplice ma potente, si mostra senza fronzoli, puntando lo sguardo alla rappresentazione di una famiglia come tante, in un momento di festa, come ce ne sono tanti, in cui la vita ricorda di poter essere drammatica e di poter rendere cinici, ma per converso ricorda pure di poter lasciare, ancora una volta, una nuova occasione, forse illusoria e temporanea, per essere felici. Immagini tratte da: https://www.comingsoon.it/film/a-casa-tutti-bene/54155/scheda/ https://www.cinematografo.it/recensioni/casa-tutti-bene/ https://www.cinematographe.it/rubriche-cinema/cinematografood/a-casa-tutti-bene-lisola-dischia-location-film/
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di Vanessa Varini
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Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2017 Durata: 119’ Genere: fantastico, sentimentale, avventura, drammatico Regia: Guillermo del Toro Soggetto: Guillermo del Toro Sceneggiatura: Guillermo del Toro, Vanessa Taylor Produttore: Guillermo del Toro, J. Miles Dale Fotografia: Dan Laustsen Montaggio: Sidney Wolinsky Colonna Sonora: Alexandre Desplat Scenografia: Paul D. Austerberry Costumi: Luis Sequeira Trucco: Kristin Wayne Cast: Sally Hawkins (Elisa Esposito); Michael Shannon (col. Richard Strickland); Richard Jenkins (Giles); Doug Jones (uomo anfibio); Michael Stuhlbarg (dott. Robert 'Bob' Hoffstetler / Dimitri); Octavia Spencer (Zelda Delilah Fuller); Nick Searcy (gen. Frank Hoyt); David Hewlett: (Fleming); Lauren Lee Smith (Elaine Strickland); Morgan Kelly (uomo della torta); Stewart Arnott (Bernard); Nigel Bennett (Mihalkov); Martin Roach (Brewster Fuller); John Kapelos (Arzoumanian); Jayden Greig (Timmy Strickland); Brandon McKnight (Duane)
Anno 1963. A Baltimora, nell'America ossessionata dalla Guerra Fredda, Elisa (Sally Hawkins) lavora come donna delle pulizie in un laboratorio segreto del governo. La ragazza è muta e conduce una vita solitaria, l'unica sua amica è la collega Zelda (Octavia Spencer). Un giorno nella struttura viene trasferita una creatura anfibia (Doug Jones), incatenata e torturata per scoprire chissà quali segreti. Elisa prova subito simpatia per quello strano individuo: sa bene cosa si prova a essere soli e così decide di farlo evadere. Ma americani e russi gli daranno la caccia.
Difficile classificare un film come The Shape of Water che ha vinto il Leone d'Oro a Venezia ed è candidato a 13 nomination agli Oscar. Può sembrare una fiaba diretta dal visionario regista Tim Burton dove i protagonisti sono dei "diversi", emarginati dalla società (Elisa è muta, il suo vicino di casa gay e la sua collega afroamericana) e il mostro anfibio, proveniente dall'Amazzonia, è tenero e allo tempo stesso letale come Edward mani di forbice.
Il film è diretto, però, da Guillermo del Toro che aggiunge a una storia visionaria, la sua passione per l'horror, mostrando violenza e scene spinte. Il risultato è una fiaba dark per adulti che unisce tanti generi diversi: spy story e azione (la fuga rocambolesca per far evadere il "mostro"), musical (un balletto in bianco e nero in stile La La Land), horror, il tutto ambientato in un'atmosfera vintage e "acquatica" e collegato a una metafora politica democratico e anti-razzista della storia.
È arduo far decollare un film così strambo, invece tutti questi aspetti diversi sono mescolati perfettamente insieme e il cast è superlativo. Ottima la performance di Sally Hawkins (già vista nel film Paddington) che trasmette sia delicatezza, con il suo aspetto esile e dolce, che tenacia. La creatura, interpretata dal veterano Doug Jones, specializzato in personaggi mostruosi, un anfibio con le sembianze di un personaggio iconico di un vecchio film cult degli anni '50 Il mostro della laguna nera, è spettacolare.
Una coppia atipica in stile La Bella e la Bestia, dove la Bella non è bellissima ed è muta per un trauma passato e la Bestia è poetica e dotata di umanità più degli umani stessi, capaci di ogni tipo di mostruosità. Bravi anche Michael Shannon, nel ruolo del perfido Richard Strickland, un uomo che ha una famiglia perfetta e una moglie bellissima, ma è divorato dall'ambizione; Richard Jenkins che interpreta il vicino di casa gay e Octavia Spencer, la forte ma dolce e simpatica Zelda. Shape of Water è un film visionario, romantico, che rimane impresso nella mente e nel cuore dei spettatori ed è anche attualissimo perchè affronta la paura (infondata) del diverso. Da non perdere!
Immagini tratte da: https://aforismi.meglio.it/ https://i2.wp.com/www.badtaste.it/ https://www.ucicinemas.it/ https://mr.comingsoon.it/ di Federica Gaspari ![]() DATA USCITA: 1° febbraio 2018 GENERE: biografico, storico, drammatico ANNO: 2017 REGIA: Steven Spielberg CAST: Meryl Streep, Tom Hanks, Sarah Paulson, Bob Odenkirk, Tracy Letts, Bradley Whitford, Bruce Greenwood SCENEGGIATURA: Liz Hannah, Josh Singer FOTOGRAFIA: Janusz Kaminski MONTAGGIO: Michael Kahn, Sarah Broshar COLONNA SONORA: John Williams PRODUZIONE: Amblin Entertainment, Pascal Pictures, DreamWorks, Star Thrower Entertainment, Participant Media, 20th Century Fox DISTRIBUZIONE: 01 Distribution PAESE: Stati Uniti DURATA: 115’ In un’epoca incerta in cui la società è costretta a fare i conti con i propri errori subendone le conseguenze, l’industria cinematografica a stelle e strisce volge lo sguardo in direzione delle più grandi contraddizioni del presente oppure del passato più o meno recente. Alla seconda categoria appartiene l’ultima fatica di Steven Spielberg, The Post, pellicola che affonda le sue radici nella storia statunitense e che rientra perfettamente nella linea di pensiero alla base della fase più impegnata della carriera del cineasta. Questo suo ultimo film, però, non si limita a riproporre un frammento del passato bensì permette di riflettere in modo insolito su alcuni aspetti importanti del presente, ricordando quanto il coraggio, la determinazione e la verità siano capaci di fare la differenza. Steven Spielberg, Meryl Streep, Tom Hanks e John Williams: il dream team protagonista di questa produzione può vantare ben quattordici Oscar. Hanks, giunto alla sua quinta collaborazione con il regista di Cincinnati, affianca sul grande schermo quella che viene considerata una delle più grandi attrici viventi, dando vita a un duo inedito che ha il compito di raccontare una pagina controversa della politica e della società statunitense. Al centro della narrazione, infatti, vi è la pubblicazione dei cosiddetti Pentagon Papers, documenti segreti del governo americano resi noti al pubblico nel 1971. Il racconto muove i suoi primi passi avventurandosi, al tramonto degli anni Sessanta, nella giungla vietnamita in cui sudore e terrore delle disorientate truppe statunitense si confondono con gli invisibili e incompresi vietcong, i nemici designati. Daniel Ellsberg (Matthew Rhys) è in Vietnam con il compito di analizzare i progressi bellici per conto del segretario della Difesa Robert McNamara. Dopo aver riportato le proprie osservazioni, tuttavia, si rende conto di essere una pedina di una consolidata rete di informazioni che ha l’obiettivo di nascondere la verità su una guerra discussa. Al suo ritorno in patria decide quindi di diffondere la documentazione segreta contenente i rapporti sullo stato del contrasto. Questo materiale potenzialmente esplosivo raggiunge le redazioni del The New York Times e del The Washington Post, costrette a compiere scelte che avranno serie ripercussioni sulla libertà di stampa ed espressione. Katharine Graham (Meryl Streep), proprietaria del Post, dovrà fare i conti anche con le sue amicizie e i suoi legami familiari. The Post segue una delle tradizioni più amate della storia del cinema americano. L’ultima creatura del grande schermo curata da Spielberg, infatti, celebra il giornalismo d’inchiesta, protagonista, nel corso degli anni, di pellicole pluripremiate e divenute leggenda. Non è casuale, quindi, che le vicende brillantemente portate in scena dalla Streep e da Hanks si concludano passando virtualmente il testimone a Tutti gli uomini del presidente, capolavoro del 1976 che ripercorre gli eventi legati allo scandalo Watergate. Il film sui Pentagon Papers non può vantare la stessa intensità e potenza ma è una valida narrazione che ricorda l’importanza di condividere la verità e di renderla accessibile a tutti, senza risparmiare anche qualche silenziosa critica agli atteggiamenti di Trump.
Il 4 marzo, nella scintillante notte degli Oscar, molto probabilmente non sarà tra gli assoluti protagonisti ma potrebbe regalare sorprese, soprattutto con una spumeggiante Meryl Streep candidata nella categoria di migliore attrice protagonista. Immagini tratte da: Immagine 1: www.mymovies.it Immagine 2: www.theverge.com Immagine 3: www.vox.com Immagine 4: www.youtube.com
GENERE: fantastico
ANNO: 2018 DURATA: 53’ REGIA: Gianmaria Pezzato SCENEGGIATURA: Gianmaria Pezzato FOTOGRAFIA: Michele Purin SCENOGRAFIA: Silvia Dalpiaz COLONNA SONORA: Stefano Prestia, Matthew Steed CASA DI PRODUZIONE: Tryangle films PAESE: Italia CAST: Stefano Rossi (Marvolo Riddle); Davide Ellena (Lord Voldemort); Maddalena Orcali (Grisha McLaggen); Andrea Deanisi (Wiglaf); Andrea Bonfanti (Lazarus Smith); Alessio Dalla Costa (Generale Makarof)
Harry Potter e il Principe Mezzosangue, il sesto film tratto dalla saga del maghetto più amato della letteratura, si chiude con un grande interrogativo: cosa ha spinto Tom Riddle a diventare il mago più odiato e temuto al mondo? La risposta ci viene data solo nove anni dopo, grazie al film Voldemort origins of the Heir, realizzato dalla Tryangle, casa di produzione indipendente fondata da Gianmaria Pezzato e Stefano Prestia, e diffuso sul canale Youtube il 13 gennaio 2018. Un fan film che, a differenza di Harry Potter e la maledizione dell'erede, pièce teatrale tradotta poi in un libro, riesce a tirar fuori un prodotto che coglie e rispetta l'ambientazione e lo spirito della saga. Quello che la Tryangle offre allo spettatore è un prodotto di enorme qualità. Le atmosfere sognanti e ingenue di Harry Potter e La Pietra Filosofale o La Camera dei Segreti lasciano il posto a un'ambientazione tetra, oscura, valorizzata da continui giochi di chiaroscuro, un ottimo uso della luce ed effetti speciali degni di nota nonostante il basso budget.
Origins. Su questo termine ruota per alcuni il punto di forza del film e per altri il maggior elemento di critica. Cosa indica questo termine? Uno dei ricordi collezionati da Silente o Merope Gaunt? La Tryangle non opta per nessuna delle due opzioni, prendendo le distanze dalla storia ufficiale dI J.K. Rowling inserendo la storia dei quattro eredi di Hogwarts.Che Voldemort sia l'erede di Serpeverde ce lo dice la stessa Rowling nella saga originale: Salazar costruì la Camera dei Segreti, la sigillò e solo Orvoloson Riddle, Alias Lord Voldemort, ultimo discendente della famiglia Gaunt, il prescelto, fu in grado di aprirla.
Se nella saga i sette Horcrux sembrano solo il vezzo di un mitomane, l'eterna scommessa che nessuno avrebbe scoperto uno di questi, il diadema di Priscilla Corvonero, nella camera delle necessità di Hogwarts, in Origin of the Heir viene spiegato perché Voldemort, che aveva già creato il diario, abbia cercato di impossessarsi degli oggetti magici appartenuti alle quattro casate magiche Corvonero, Grifondoro, Serpeverde e Tassorosso. “Il Signore Oscuro aveva l'ambizione di utilizzare degli oggetti appartenuti ai quattro fondatori di Hogwarts e così fece, ma non riuscì a reperire nessun oggetto di Godric Grifondoro”. Origin of the Heir, pertanto, tratta dei quattro discendenti degli antichi fondatori della scuola di magia (Grisha, Lazarus, Tom e Wiglaf), accomunati dal desiderio di ritrovare gli oggetti perduti dei fondatori delle quattro casate che sarebbero poi diventati gli Horcrux distrutti da Harry Potter e i suoi compagni.
Nemici dell'erede temete...ora tocca a voi mezzosangue! Con queste parole Tom uccide la zia di Lazarus, erede di Tosca Tassorosso, dopo aver scoperto che era in possesso della coppa di Tassorosso e del medaglione di Serpeverde. Un ruolo centrale nella storia lo assume Grisha McLaggen, erede di Godric Grifondoro e narratrice della storia, l’unica in grado di capire le intenzioni del futuro signore oscuro. Infatti, oltre a ostacolare e impedire il ritrovamento della spada di Godric, la stessa si reca, dopo la morte di Wiglaf (erede di Priscilla Corvonero), in Russia per recuperare il diario di Tom, già trasformato in Horcrux e caduto nelle mani degli Auror sovietici. Grisha, seduta davanti al generale russo, si sottopone al veritaserum.
Il generale infatti, prima di cedere il prezioso diario, vuole essere sicura che lei effettivamente sia la discendente ed erede di Grifondoro. La rivelazione di Grisha di essere un Auror del dipartimento britannico convince il generale, scettico inizialmente di fronte alla maga ma che alla fine crede alla sua storia cedendole il prezioso diario. Avrà funzionato il veritaserum? Perché Grisha non era rintracciabile da due anni, come chiarisce bene il generale durante il loro colloquio? Le sarà forse successo qualcosa? E perché il generale è in possesso di una descrizione che non corrisponde alla McLaggen nonostante il veritaserum a sua detta abbia funzionato finendo pe fidarsi di lei? E soprattutto, che fine ha fatto Tom Riddle se lo abbiamo visto all’inizio film preparare una valigia, entrare in possesso del prezioso cimelio (il diario) e diventare il signore oscuro?
“Di chiunque fossero questi resti, oramai ha poca importanza. Probabilmente un sacrificio umano per chissà quale oscuro rituale… era una donna comunque”. Con queste parole si chiude il film, intravedendo sullo sfondo quell'Igor, Igor Karkaroff, allora un giovane bambino nelle fila dei servizi russi, prima che diventasse un mangiamorte alla corte di Lord Voldemort. Immagini tratte da: Immagine 1: https://www.cogitoetvolo.it Immagine 2: http://www.playersmagazine.it Immagine 3:https://corrientealterna.net Immagine 4: https://ceraunavoltahollywood.wordpress.com
Ci lascia a soli 48 anni uno degli artist più talentuosi di sempre. L’islandese lascia un vuoto incolmabile nei nostri cuori.
di Salvatore Amoroso
Due volte candidato all'Oscar e vincitore del Golden Globe per il suo lavoro su "The Theory Of Everything", il compositore acclamato Jóhann Jóhannsson è scomparso venerdì all'età di 48 anni. Attualmente la causa della morte è sconosciuta e i fan e gli appassionati di tutto il mondo non riescono a darsi pace. Nato e cresciuto in Islanda, il primo percorso musicale di Jóhannsson lo ha visto suonare in gruppi indie rock, per poi passare a un approccio più sperimentale che lo ha visto immergersi in collaborazioni con artisti di generi diversi. Nel 2000, Jóhannsson si fece notare per il sua prima opera da compositore per una pellicola ovvero "The Icelandic Dream". Continuava a contribuire a una varietà di progetti come documentari, cortometraggi, lungometraggi e al tempo stesso riusciva a pubblicare album solisti con il suo nome, un artista ‘’visionario’’ che viveva l’arte con un’intensità fuori dal comune.
Nel 2013, Jóhannsson ha stregato il mondo con "Prisoners" di Denis Villeneuve, dando vita a tre film con il regista che includerà "Sicario" (candidato all'Oscar) e "Arrival" (nominato per un Golden Globe). Con "The Theory Of Everything" di James Marsh il musicista ha ottenuto le prime nomination agli Oscar ed è riuscito ad aggiudicarsi l’ambito Golden Globe. Questi film hanno reso il compositore uno dei più ricercati nel settore. Il lavoro distintivo di Jóhannsson era spesso avanti e percussivo, utilizzando toni e droni sovrapposti per ottenere un effetto profondo. Questo artista poliedrico è riuscito a creare un lavoro lussureggiante e romantico, la colonna sonora firmata per la Teoria ne è la conferma
L'anno scorso le collaborazioni di Jóhannsson con il cinema hanno creato un certo scalpore perchè non sono mai state pubblicate. Il compositore era stato inizialmente assunto per "Blade Runner 2049" di Villeneuve, ma fu sostituito da Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch. Tutt’oggi non conosciamo cos’ha portato Jóhannsson ad abbandonare il progetto. Aveva anche scritto una partitura per il controverso "Madre!" di Darren Aronofsky, ma sia il regista che il musicista alla fine convennero che il film avrebbe funzionato meglio senza quel tipo di sonorità. Poco dopo la fine del cessato rapporto con Aronofsky rilasciò una nota fornita alla stampa che diceva: “Madre! è un film in cui le mezze misure non hanno posto e dopo che Darren e io abbiamo esplorato molti approcci diversi, il mio istinto è stato quello di eliminare completamente i miei brani. La cancellazione è una parte importante del processo creativo e in questo caso sapevamo che dovevamo portare questo approccio al suo estremo logico”.
Recentemente, Jóhannsson è tornato a lavorare con Marsh e ha realizzato "The Mercy" che ha appena aperto questo fine settimana nel Regno Unito. Ha anche firmato la colonna sonora dell'imminente "Mary Magdalene" di Garth Davis con Joaquin Phoenix e Rooney Mara. Entrambi i film sono in attesa delle date di uscita negli Stati Uniti. Inoltre, ha realizzato il film ungherese "The Butcher, The Whore and the One-Eyed Man", così come l’acclamato "Mandy" con Nicolas Cage, che ha recentemente ricevuto elogi dalla stampa mondiale al Sundance Film Festival. La morte di Jóhannsson è una tragica perdita. Era un artista singolare e dotato di un talento fuori dal comune, ma il lavoro che ha lasciato continuerà a risuonare profondamente.
Soundtrack di Jóhann Jóhannsson:
Link Immagini:
Immagine1: Variety.com Immagine2: NoFilmScholl Immagine3: The Schleicher Spin.com Immagine4: Thoughtcatalog.com
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PAESE: Regno Unito, Stati Uniti d’America
ANNO: 2017 GENERE: fantascienza STAGIONE: 1 EPISODI: 10 DURATA: 48-60 min IDEATORI: Ronald D. Moore, Michael Dinner REGIA: Julian Jarrold, David Farr, Tom Harper, Marc Munden, Jeffrey Reiner, Francesca Gregorini, Dee Rees, Peter Horton, Alan Taylor, Michael Dinner SCENEGGIATURA: Matthew Graham, David Farr, Jack Thorne, Tony Grisoni, Ronald D. Moore, Jessica Mecklenburg, Dee Rees, Travis Beacham, Kalen Egan, Travis Sentell, Michael Dinner CAST: Richard Madden, Holliday Grainger, Jack Reinor, Benedict Wong, Timothy Spall, Rebecca Manley, Julia Davis, Steve Buscemi, Anna Paquin, Terrence Howard, Essie Davis, Brian Cranston, Vera Farmiga, Mel Rodriguez, Janelle Monae, Juno Temple, Annalise Basso, Maura Tierney PRODUZIONE: Channel 4, Sony Pictures Television
44 romanzi, 121 racconti e 14 raccolte di storie brevi. Sono queste le cifre che riassumono la produzione letteraria di Philip K. Dick, controverso e prolifico autore statunitense che, a partire dagli anni Cinquanta, ha saputo dare nuova linfa alla fantascienza senza dimenticare i più drammatici aspetti della vita umana. L’incredibile potenziale di questa moltitudine di lavori non è certamente passato inosservato a Hollywood che, sin dal 1982 con Blade Runner, ha saputo adattare incredibili avventure. Anche sul piccolo schermo, però, le opere di Dick hanno trovato la giusta dimensione.
Dopo il successo di The Man in the High Castle, i produttori Ronald D. Moore e Michael Dinner, con Philip K. Dick’s Electric Dreams, danno vita a una nuova serie antologica che, episodio dopo episodio, rielabora alcuni tra i racconti più significativi dell’autore. La prima stagione, composta da 10 episodi, ha debuttato il 14 settembre 2017 nel Regno Unito e il 12 gennaio 2018 è stata distribuita negli Stati Uniti e in Italia da Amazon Video. Tra ambientazioni futuristiche e semplici situazioni della quotidianità, lo show si tuffa nel mondo della tecnologia con un’ottica insolita, attenta nei confronti dei temi cardine del presente ma preparata a omaggiare la grande tradizione dell’intrattenimento di stampo fantascientifico.
Un cast di volti noti introduce lo spettatore nel mondo non lineare immaginato da Dick, popolato da profonde inquietudini e da incontrollabili emozioni: il premio Oscar Anna Paquin e Terrence Howard, nel primo episodio, si interrogano sulla realtà per poi lasciare spazio alla convincente Janelle Monae, alle prese con un mondo minacciato dall’inquinamento, e a un severo Brian Cranston che si avventura nello spazio alla conquista di altri pianeti. Questi sono solo alcuni dei protagonisti di dieci storie distinte che esplorano ogni sfumatura di genere, dal classico noir al puro dramma. Le ricercate ambientazioni, ben definite per ciascun episodio, rispecchiano alla perfezione i sentimenti e le emozioni al centro della narrazione: The Commuter viaggia sui grigi e rigidi binari di tristi stazioni mentre Impossible Planet affonda le sue radici in un universo futuristico, ricco di colori neon, ma profondamente legato ai ricordi fatti di ombre ed essenziali chiaro-scuri. La grande qualità del reparto tecnico si affianca in questo modo ad attori di talento immersi in atmosfere suggestive ricreate anche dai brani curati da Harry Gregson Williams e Olafur Arnalds.
La storia del cinema ci ha insegnato che la fantascienza non è composta solo da navicelle ipertecnologiche e mostruosi alieni da sconfiggere: questo genere ha saputo evolversi raccontando ogni varietà di storia. Electric Dreams celebra un grande autore e un’intera tradizione narrativa senza snaturare il materiale di partenza, racconti immaginati più di trenta anni fa ma estremamente appetibili per il pubblico odierno. Emerge così una profonda malinconia, un irrimediabile senso di solitudine e angoscia causato dall’incapacità di comprendere realmente il mondo. I momenti solari e più spensierati non mancano ma spesso, a posteriori, assumono i contorni di effimere illusioni. Non mancano, inoltre, alcune puntate meno riuscite: un minor numero di episodi avrebbe ulteriormente giovato alla qualità del prodotto che riesce comunque a distinguersi da tanti altri. Molti hanno paragonato questa serie a Black Mirror per la sua volontà di indagare sui lati più oscuri della tecnologia. Certo, questi due titoli condividono diverse tematiche ma si differenziano sostanzialmente nelle loro scelte narrative e stilistiche. Electric Dreams, pur affrontando argomenti delicati, mantiene e valorizza la sua componente di intrattenimento nella sua forma meno cupa e cerebrale. La duplice possibilità di lettura di queste storie è proprio uno dei loro più grandi punti di forza.
Gli episodi meno coinvolgenti non bastano a compromettere una serie che, con gioiellini come Human Is e Real Life, sembra frutto dei più fantasiosi sogni (o incubi)! Immagini tratte da: Immagine 1: www.realitytvworld.com Immagine 2: www.blog.screenweek.it Immagine 3: www.denofgeek.com
![]() Paese di produzione: Francia Anno: 2015 Durata: 97’ Genere: avventura Regia: Christian Duguay Soggetto: Cécile Aubry Sceneggiatura: Juliette Sales, Fabien Suarez Colonna Sonora: Armand Amar Cast: Félix Bossuet (Sebastien); Tchéky Karyo (Cesar); Thierry Neuvic (Pierre); Margaux Châtelier (Angelina); Urbain Cancelier (il Sindaco); Thylane Blondeau (Gabriela).
Settembre 1945. La Seconda guerra mondiale è finita e il piccolo Sebastien ha ormai dieci anni. Insieme al cane Belle, il bambino attende il ritorno di Angelina, ignorando che questa è rimasta vittima di un incidente aereo nel bel mezzo delle foreste transalpine. Lo schianto dell'aereo ha provocato un incendio che rende difficile la ricerca dei superstiti, così tutto il paese sembra aver perso le speranze di ritrovarla. Tutti tranne Sebastien, che decide di mettersi sulle sue tracce insieme all'ormai inseparabile amica Belle e a una conoscenza di suo nonno Cesar, il pilota Pierre Marceau. Insieme dovranno affrontare molti pericoli e Sebastien scoprirà un segreto che cambierà per sempre le loro esistenze. La saga di "Belle e Sebastien" è ispirata al romanzo di Cécile Aubry da cui prima è stato tratto un anime e, nel 1965, in Francia, una serie televisiva in 13 episodi in bianco e nero con attori in carne e ossa e due seguiti tra il '68 e il '70. Dallo stesso soggetto sono stati prodotti i due film in live action nel 2013 Belle & Sebastien di Nicolas Vanier e appunto il suo sequel Belle & Sebastien - L'avventura continua di Christian Duguay. In questo secondo capitolo i protagonisti sono sempre il giovane Sebastien, interpretato nuovamente dal bravo Félix Bossuet e il cane Pastore dei Pirenei Belle. Se il primo capitolo era incentrato sulla nascita della loro amicizia, il fulcro principale di questo sequel è, invece, il rapporto tra Pierre, interpretato da Thierry Neuvic, e Sebastien che partono insieme alla ricerca di Angelina e vivranno un'emozionante avventura aiutati da una ragazzina italiana, Gabriela, interpretata dalla modella Thylane Blondeau. In Belle e Sebastien - L'avventura continua c'è maggiore azione (l'incendio che si propaga nella foresta), momenti pericolosi e drammatici (la scena della lotta tra Belle e l'orso è impressionante per il suo realismo) e tanta bellezza (impossibile non rimanere catturati dai favolosi paesaggi che fanno da cornice al film). È un film godibile per chi ama il cinema per famiglie e, per chi ama gli animali, rimarrete conquistati dalla bellezza e dall'espressività di Belle.
E la saga di Belle e Sebastien non è conclusa: il 22 febbraio 2018 arriverà nei cinema il terzo capitolo Belle & Sebastien - Amici per sempre diretto da Clovis Cornillac, con tante novità in arrivo.
Belle ha sempre un rapporto speciale con Sebastien e ora è diventata anche mamma di tre cuccioli mentre Pierre e Angelina si sono innamorati e sono futuri sposi. Ora la coppia vuole trasferirsi lontano dalle montagne, ma Sebastien non vuole lasciare il nonno e a complicare la situazione arriva un presunto proprietario di Belle che vuole portarla via, ma Sebastien è testardo farà di tutto per non separarsi dalla sua migliore amica a quattro zampe.
Immagini tratte da: https://mr.comingsoon.it/ http://www.sceglilfilm.it/ https://pad.mymovies.it/ |
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