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28/2/2021

Golden Globes 2021: la vigilia tra scandali e incertezze

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di Federica Gaspari
Dopo un’attesa più lunga del solito per permettere la candidatura di un numero maggiore di titoli sostanziosi, l’Award Season ha finalmente inizio. Nelle prossime settimane, nelle scintillanti notti delle premiazioni più ambite di Hollywood, esperti del settore e semplici appassionati della settima arte celebreranno i titoli che hanno segnato la scorsa stagione di intrattenimento, cercando anche sibillinamente segni per il futuro di questo universo in difficoltà. Nel corso della notte italiana e della serata californiana, Tina Fey e Amy Poehler condurranno per la quarta volta insieme a ospiti collegati da remoto la cerimonia di premiazione dei Golden Globes, i premi che tradizionalmente a livello mediatico rappresentano l’anticamera delle statuette più ambite della stagione dei riconoscimenti: gli Academy Awards, più comunemente noti come Oscars.
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Come ogni grande festa hollywoodiana, alla vigilia della cerimonia non mancano ferventi polemiche legate alla Hollywood Foreign Press Association, il discusso organo mediatico che assegna le statuette. Da anni, infatti, si discute con interesse sulla reale necessità o obiettività di una giuria composta da solamente 87 giornalisti non statunitensi – in confronto alle centinaia per gilda dell’Academy degli Oscars – che si occupano di cinema a Hollywood. Edizione dopo edizione, si è così consolidata la reputazione di pura festa mediatica frutto di meccanismi legati più al celebrity business e al marketing piuttosto che al reale prestigio di film o serie tv. Nel corso di febbraio 2021, tuttavia, alcune dichiarazioni riportate da siti e giornali del settore come IndieWire e LA Times hanno riacceso la polemica intorno a questa nuova edizione con accuse direttamente legate a problematiche di rappresentatività e trasparenza. Tra gli 87 votanti non figura nemmeno un giornalista nero. Inoltre, sono emerse numerose testimonianze legate a scambi di favori ai singoli membri dell’associazione. Queste accuse e richieste di maggiore chiarezza sono culminate lo scorso venerdì con l’entrata in scena del movimento Time’s Up che, sui canali social di riferimento, ha diffuso un’immagine che ha fatto presto il giro del mondo diventando il manifesto di questa discussa edizione.
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Queste polemiche, tuttavia, riusciranno davvero a compromettere una lunga tradizione di Hollywood? La fabbrica dei sogni, più di qualsiasi altro settore, ha spesso insegnato che lo show deve sempre continuare, anche nei momenti più complessi come quello rappresentato dall’ultima stagione duramente colpita dalla pandemia coronavirus. Hollywood e le celebrities amano i Golden Globes, divenuti ormai, nel bene e nel male, metri di valutazione del prestigio di una carriera nel cinema. Soprattutto quest’anno questa cerimonia rappresenta una luce, un punto di riferimento che, pur essendo tutt’altro che saldo o affidabile, offrirà spunti di riflessione interessanti soprattutto per il futuro di un settore che dovrà necessariamente ripensare le proprie aspettative e priorità. 
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I nominati di questa edizione rispecchiano quindi 12 mesi trascorsi soprattutto sul piccolo schermo, testimoniando così l’ormai avvenuta affermazione completa di piattaforme streaming come Netflix o Prime Video. Film di produzione Netflix ma figli della tradizione come Mank e Il processo ai Chicago 7 detengono il record di candidature – rispettivamente 7 e 5 – nelle categorie dedicate ai film. Gli altri grandi titoli in gara, tuttavia, lasciano ancora speranze per un futuro completamente incerto nelle direzioni e nelle tematiche da affrontare. Nonostante le numerose polemiche, infatti, questa edizione sarà la prima che vedrà ben tre donne in gara nella classe dedicate alla regia con altrettanti film che hanno saputo affrontare tematiche attuali e urgenti che raramente trovano questo spazio sullo schermo: gli abusi e le violenze sessuali e psicologiche in Promising Young Woman di Emerald Fennell, la necessità di ritrovare un percorso di vita dopo una durissima crisi economica dell’American Dream in Nomadland di Chloé Zhao e le battaglie – con differenti punti di vista - per i diritti della comunità afroamericana in One Night in Miami di Regina King.
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In una lunga notte da gustare come semplice intrattenimento non necessariamente legato alle ben più complesse dinamiche degli Oscar, si cercheranno comunque indizi sul futuro di piccolo e grande schermo con dei premi che mai come prima hanno dato valore a storie al femminile. Oltre ai titoli citati in precedenza, infatti, è impossibile non citare altre grandi successi delle serie tv come The Queen’s Gambit con una strepitosa Anya Taylor-Joy e la quarta stagione di The Crown che senza dubbio faranno incetta di premi in questa notte di grandi stelle.
 
Preparate i pop-corn – e qualche tazza di caffè! – per un lungo viaggio notturno e cinefilo che in Italia verrà trasmesso su Sky Atlantic!
 
Immagini tratte da:
 
www.thewrap.com
www.theguardian.com

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28/2/2021

RECENSIONE DI "ROBIN HOOD - L'ORIGINE DELLA LEGGENDA"

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di Vanessa Varini
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Titolo: "Robin Hood - L'origine della leggenda"
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2018
Durata: 116 minuti
Genere: avventura, azione
Regia: Otto Bathurst
Sceneggiatura: Ben Chandler, David James Kelly
Produttore: Jennifer Davisson, Leonardo DiCaprio
Interpreti e personaggi: Taron Egerton (Robin Hood/Robin di Loxley), Jamie Foxx (Little John), Ben Mendelsohn (sceriffo di Nottingham), Eve Hewson (Lady Marian), Tim Minchin (Fra Tuck), Jamie Dornan (Will Tillman), F. Murray Abraham (Cardinale Franklin)

"Robin Hood - L'origine della leggenda" inizia con un'introduzione che ci avvisa di dimenticare la storia che già conosciamo sul celebre personaggio Robin Hood. Quindi se siete dei puristi astenetevi nel guardare questo film perché è una versione moderna (anzi molto moderna!) e completamente fuori tempo (dovrebbe essere ambientato nel Medioevo, ma ci sono troppi anacronismi). Robin di Loxley (interpretato da Taron Egerton) è un signorotto inglese che vive in un castello con Lady Marian (Eve Hewson, la figlia di Bono Vox), quando si ritrova costretto a prestare servizio nella Terza Crociata e ad abbandonare la sua amata. In Terra Santa Robin sfodera le sue abilità di arciere, ma i nemici cecchini sono muniti di un'arma molto esagerata, una balestra/mitragliatrice spara frecce a ripetizione e per poco non viene ucciso. Per il suo carattere ribelle il giovane viene accusato di insubordinazione e viene rimandato in patria. Qui trova il suo Paese sconvolto perchè lo sceriffo di Nottingham (un Ben Mendelsohn che sfoggia sempre una lunga giacca grigia, un capo d'abbigliamento troppo contemporaneo) chiede continui tributi per finanziare le spedizioni dei Crociati.
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Robin trova anche John (Jamie Foxx), il guerriero moro con cui si era scontrato nelle Crociate (un personaggio chiaramente ispirato ad Azeem del film “Robin Hood - Principe dei ladri”). L'uomo vuole vendetta per il figlio e sabotare le nuove spedizioni in Terra Santa sottraendo il denaro, così Robin decide di allearsi con lui.
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John addestra Robin per farlo diventare un ladro mascherato che di notte ruba ai ricchi per dare ai poveri, ma più che un ladro assomiglia al supereroe dei fumetti Arrow, mentre di giorno, nei panni di Robin di Loxley, tenta di conquistare la fiducia dello sceriffo. Grazie a John, Robin diventerà il leggendario Robin Hood e tenterà di riconquistare l’amata Lady Marian, che in povertà, ma tutt'altro che deperita, e sfrattata dal castello, vive con il giovane contadino Will (Jamie Dornan, l'ex Christian Grey della saga "Cinquanta sfumature di grigio).
Tra battute ironiche, scatenati combattimenti, scene a rallentatore, assurdità varie (oltre a quelle elencate, anche la presenza di una roulette durante la scena di una festa!), il film scorre per quasi due ore senza annoiare lo spettatore. Discrete le performance degli attori, su tutti quella di Jamie Foxx nel ruolo di Little John. Se soprassedete su tutti questi particolari che sono in contrasto con la storia originale, il film vi piacerà.
Consigliato se avete apprezzato "King Arthur - Il potere della spada", modernissima rivisitazione del classico mito dei Cavalieri della Tavola Rotonda. 

IL FILM SI PUÒ RECUPERARE SU RAI PLAY
O SU AMAZON PRIME VIDEO

FOTO TRATTE DA:
https://www.mymovies.it/
https://www.cinema.everyeye.it/
https://www.spettacolomania.it/
https://www.tpi.it/
https://www.mirror.co.uk/

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21/2/2021

Call my Agent: la recensione

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Call My Agent è una produzione originale Netflix: se avete voglia di una commedia leggera, divertente, ma molto ben realizzata, allora questa è la serie che fa per voi.
di Salvatore Amoroso
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​Genere: Commedia

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Anno: 2015-2020

Stagioni: 4

Sceneggiatura: Fanny Herrero

Produzione: Canal+
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Paese: Francia


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​Call my Agent è un gioiello raro, che esce dagli schemi della serialità a cui siamo ormai abituati. Dall’inizio del mese è disponibile la quarta e ultima stagione (staremo a vedere) che, come le precedenti, colpisce per il suo umorismo, la qualità della scrittura e delle interpretazioni. In ogni puntata compare almeno una star che non solo interpreta sé stessa, ma anche una versione di sé piena di fragilità e idiosincrasie. La serie ha il dono di portarci al cuore di una professione, di farcene cogliere le dinamiche e apprezzare l’intelligenza che la anima. Il team di agenti che ci lavora ha sotto contratto alcuni dei registi e attori più famosi del paese. Ognuno di loro non è semplicemente collaboratore di questi artisti: molto spesso svolgono funzione di confidenti, psicologi, a volte badanti. Il rutilante circo dello spettacolo oltre il glamour.
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Ideata da Fanny Herrero, prima pallavolista, poi attrice e infine sceneggiatrice televisiva Dix pour cent (il titolo originale), ovvero la percentuale che gli agenti trattengono dal compenso dei propri clienti ha la freschezza e l'ironia pungente di chi quel mondo lo conosce molto bene. I capricci dei divi e molte delle situazioni assurde mostrate risultano genuine agli occhi di un addetto ai lavori, perché le ha vissute in prima persona. O magari le ha sentite raccontate da amici e colleghi. Proprio come la nostra amata Boris l'opera prodotta da Canal+ (andata in onda su France 2 in patria) racconta un microcosmo in modo consapevole, tanto da diventare universale. Non è ambientata nella Roma ‘’caciarona’’ che conosciamo, non troverete il nostro Augusto Biascica che si ossessiona per gli straordinari di aprile ma la formula però è molto simile: raccontare con brutale onestà un ambiente che dall'esterno sembra folle, ma in realtà racconta molto della società in cui è inserito.

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La serie di Fanny Herrero ha una marcia in più rispetto alla tv a cui siamo abituati: è molto francese. Al contrario degli americani, i nostri cugini d'Oltralpe sembrano molto più familiari. Attori e attrici non hanno denti finti, non ostentano perfezione, anzi, amano il difetto che rende unici, sia dal punto di vista fisico che caratteriale. Tutto è molto elegante e raffinato ma non leccato, plastificato, ingessato. Là dove serve una scena con fotografi non vengono ingaggiati modelli, ma ci sono veri professionisti dello scatto che capita di incontrare nella sala stampa dei festival internazionali. Nonostante i nostri protagonisti siano a capo di una delle più importanti agenzie di spettacolo di tutta la Francia li vediamo andare a fare la spesa o risolvere annose questioni familiari. L'industria cinematografica francese sembra quindi una grande famiglia in cui tutti si detestano ma alla fine collaborano per amore della settima arte, più che un'enorme fabbrica in cui ognuno è un bullone in un ingranaggio perfetto. ​

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Di stagione in stagione apprezzerete sempre di più gli innumerevoli sforzi che compiono gli agenti ogni giorno e le avventure sgangherate ed esilaranti dei loro assistiti ovvero le star. In ogni puntata troveremo personaggi iconici: da Isabelle Huppert a Juliette Binoche, da Monica Bellucci (italiana ma naturalizzata icona francese) a Jean Dujardin, e poi Isabelle Adjani, Cecile de France, Norman Thavaud e tanti altri. Un’ambientazione alternativa e originale, una buona scrittura, un ottimo casting ma anche glamour, competizione e sensualità gli ingredienti vincenti di Call My Agent che si presenta come un buon format da realizzare ovunque. Ma la sua forza maggiore sta nell’ottima caratterizzazione dei personaggi, empatici e divertenti a cui ci si affeziona nel giro di poche scene. I francesi, ancora una volta si confermano maestri nella commedia contemporanea.
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Immagini tratte da:
Locandina: Wikipedia
Immagine1: Medium.com
Immagine2: Ozap.com
Immagine3: Mentorless.com

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14/2/2021

WONDER WOMAN 1984

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La Recensione
di Matelda Giachi
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Genere: Azione, Avventura, Fantasy
Anno: 2020
Durata: 155 min
Regia: Patty Jenkins
Sceneggiatura: Patty Jenkins, Geoff Johns
Cast: Gal Gadot, Kristen Wiig, Pedro Pascal, Chris Pine, Connie Nielsen, Robin Wright, Gabriella Wilde, Kristoffer Polaha, Ravi Patel
Fotografia: Matthew Jensen
Montaggio: Richard Pearson
Musica: Hans Zimmer
Effetti speciali: César Abades, Hank Atterbury, Adrian Bennett, David Caunce, Paul Dane, William Dawson, Tim Hampton
Produzione: DC Entertainment, Warner Bros.
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Paese: USA

Venti minuti (i migliori) di video dall’infanzia in cui una baby Diana si cimenta in una sorta di olimpiade per amazzoni, e conquista una grande sconfitta formativa. Veniamo quindi catapultati negli anni ’80, quelli preannunciati dal titolo, e seguono quarantacinque minuti (i tempi sono approssimativi) in cui ti interroghi su cosa sia più bello tra Gal Gadot e il suo guardaroba, disturbato solo dall’invece antiestetico parrucchino biondo a cui è stato condannato Pedro Pascal. Inizia quindi l’azione, cosa che porta a chiedersi cosa sia successo fino a quel momento, a parte un colpo di scena a metà tra Beautiful e Centovetrine, che sicuramente voleva essere romantico ma che emoziona quanto la televendita di un frigorifero. Ci teniamo a mantenerci sul vago così da non rovinare la toccante sorpresa. Fatto sta che Diana si ritrova a combattere contro il cattivo di turno, che si scopre poi non essere altro che un uomo con un’infanzia infelice e che, per il trauma non affrontato e la ricerca di un riscatto, rischia di portare il mondo verso l’autodistruzione. 
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La riproduzione ha, a questo punto, superato le due ore ma ancora non sappiamo dove il film voglia andare a parare. Ecco però che l’insperato finale comincia a delinearsi: l’eroina ha la meglio sul cattivo, ogni cosa torna al suo posto e la morale della storia si svela in tutta la sua banalità: attento a quel che desideri, perché tutto ha una conseguenza. Molto bene. Molto bello. Avrebbe potuto essere anche profondo, ma quindi? La Warner Bros rifiuta di darci il numero della Jenkins per chiedere ulteriori spiegazioni. 
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Gal Gadot fa quel che può, non pare ci sia scritto molto nella sceneggiatura per il suo personaggio, a parte essere splendida e fortissima. Pedro Pascal sicuramente bravo ma in diversi momenti esasperato, un po’ macchietta. Azione, tanti effetti speciali che soffrono la chiusura a tempo indeterminato della sala. E poi il vuoto. La tecnologia è in continuo sviluppo e permette sempre di più ad immagini di fantasia di uscire dalla testa di chi le pensa ed essere visibili a tutti. Ma non ci sono effetti speciali che possono sostituire una buona storia e Wonder Woman 1984 soffre la totale assenza di uno scopo. Non basta la morale, non basta l’effetto “wow”, non basta il femminismo spicciolo. E’ la stessa scorciatoia contro cui il film si dichiara. Che poi, in fondo, volevamo solo vedere un film carino di supereroi.
Voto: 5,5
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Immagini:
www.ansa.it
www.vanityfair.com
www.time.com
www.cinematographe.it

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14/2/2021

Sei film da guardare in tv o in streaming per San Valentino ❤

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di Vanessa Varini
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Ecco una miniguida di sei film che vi consigliamo per passare una romantica serata sul divano a San Valentino.
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"LOVE ACTUALLY" IN ONDA IL 14 FEBBRAIO SU LA 5 ALLE 21:10 ​
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È un film corale diretto da Richard Curtis, ricco di umorismo british, romantico ma non troppo, con situazioni a volte un po' irreali e con un cast di alto livello formato da attori inglesi molto celebri a Hollywood come Colin Firth, Emma Thompson, Alan Rickman, Hugh Grant, Keira Knightley, Liam Neeson. È perfetto da guardare sia a Natale che il 14 febbraio.
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"SERENDIPITY" IN ONDA IL 14 FEBBRAIO SU PARAMOUNT NETWORK ALLE 21:10

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Credete nel destino e nella serendipità, cioè la possibilità di scoprire una cosa non cercata ed imprevista mentre se ne sta cercando un'altra? Questi concetti fanno parte di "Serendipity", film romantico che racconta la storia di Sarah (Kate Beckinsale) e Jonathan (John Cusack) che s'innamorano a prima vista. I due, però, sono già impegnati e decidono di affidare il destino al loro futuro. Anche questo film è un classico natalizio immancabile per San Valentino.


"NOTTING HILL" SU AMAZON PRIME
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​È sceneggiato da Richard Curtis ed è una delle commedie romantiche più amate di tutti i tempi grazie all'immortale storia d'amore tra una star del cinema americana (Julia Roberts) e un libraio inglese (Hugh Grant) e all'ambientazione nell'omonimo quartiere di Londra. Da rivedere sempre con piacere!

"SUSANNA" SU AMAZON PRIME
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Classico del passato (1938), racconta la storia dello zoologo David Huxley (Cary Grant) che incontra casualmente una ragazza bizzarra (Katharine Hepburn) che lo trascinerà in alcune "strane" avventure, tra cui l'inseguimento di un leopardo di nome Baby. Tra gag, equivoci e situazioni comiche, è impossibile non divertirsi. Se volete passare un San Valentino vintage e allegro non perdete questa commedia considerata una delle migliori di tutti i tempi.


"LA LA LAND" SU RAIPLAY
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Siete appassionati di musical? Gratuitamente su RaiPlay potete riguardare o recuperare il bellissimo "La La Land", vincitore di 6 oscar, diretto da Damien Chazell, un meraviglioso omaggio all'arte del cinema e ai sfavillanti film musicali degli anni 50 e 60, che incita ad inseguire i propri sogni e a non mollare mai. Protagonisti Mia (Emma Stone) un'aspirante attrice e Sebastian (Ryan Gosling) un pianista jazz che sogna di aprire un locale tutto suo, ma per ora si trova costretto a cantare canzoni natalizie. I due cominceranno a frequentarsi e ad innamorarsi aiutandosi a vicenda per realizzare le loro aspirazioni, ma saranno proprio quelle ad allontanarli.

"MALCOM E MARIE" SU NETFLIX 
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Tra le novità cinematografiche, su Netflix c'è il dramma sentimentale girato in bianco e nero e con uno stile patinato "Malcom & Marie", scritto e diretto da Sam Levinson con protagonisti Zendaya e John David Washington. Dopo il grande successo dell'anteprima del suo ultimo film da regista, Malcolm torna a casa con la propria fidanzata Marie. Tra i due nasce una lite e cominceranno a rivelarsi a vicenda dei fatti che metteranno a dura prova il loro rapporto.
Voi cosa guarderete?
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Immagini tratte da:
https://www.8tracks.com/
https://www.cinematographe.it/
https://www.cinemabianchini.it/
https://www.sentieriselvaggi.it/
https://www.mymovies.it/
https://www.showcasemagazine.com/

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7/2/2021

IFFR50 – Aristocrats

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Di Federica Gaspari
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Genere: drammatico
Anno: 2021
Regia: Yukiko Sode
Attori: Mugi Kadowaki, Kiko Mizuhara, Kengo Kora, Shizuka Ishibashi
Sceneggiatura: Yukiko Sode, Mariko Yamauchi
Fotografia: Yasuyuki Sasaki
Montaggio: Zensuke Hori
Paese: Giappone
Durata: 124 min

Ormai è appurato che esistono dinamiche impossibili da scardinare anche nelle società più moderne e progressiste. La selezione di titoli cinematografici della cinquantesima edizione dell’International Film Festival di Rotterdam in un’annata ricca di temi e attenzioni alle repentine trasformazioni e travolgenti sensazioni di un’attualità in costante cambiamento riflette anche su come queste dinamiche vengono vissute in prima persona da più punti di vista differenti. Ispirandosi a un romanzo di Mariko Yamauchi – vero successo in patria – Aristocrats si avventura tra le pieghe delle consolidate (e granitiche) strutture sociali giapponesi attraverso lo sguardo di due protagoniste molto diverse tra loro ma con un destino comune in balia di regole sociali non scritte.
 
A ventisette anni, Hanako (Mugi Kadowaki) è considerata una delusione. La sua relazione con il fidanzato è finita e la sua famiglia teme che non si sposerà mai e non avrà mai figli. Dopo un momento di totale disorientamento, Hanako asseconda timidamente i suggerimenti della sua famiglia. Va agli appuntamenti organizzati dalle sue sorelle, ed è così ossessionato dall’idea di trovare ad ogni costo un marito che non le importa di doversi accontentare di un matrimonio combinato. Eppure, sotto la sua educazione, la sua moderazione e, per certi versi, passività, c'è qualcuno, una personalità alla ricerca di un posto nel mondo. Miki (Kiko Mizuhara), una giovane donna con un’estrazione sociale totalmente diversa sta vivendo un percorso simile che la porterà a incontrare Hanako quando scoprirà di avere una relazione con il suo promesso sposo.
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Una contemporaneità sospesa nel tempo, dominata da architetture e geometrie moderne ma allo stesso tempo legata a tradizioni antiche: Yukiko Sode allestisce con maestria e precisione maniacale – a tratti forse asettica – un palcoscenico di contrasti su cui raccontare le vite di due donne a un punto di svolta, a un bivio che trova concretezza proprio con i loro confronti a distanza. Inquadrature eleganti e interpretazioni misurate ma efficaci aggiungono dettagli e significati a un ritratto eccezionale e acuto della società giapponese fondata sui valori di classe, età e tradizione. Le pressioni della famiglia su Hanako – interpretata splendidamente – si scontrano con la genuina ma malinconica vivacità di Miki e, con semplici e brillanti dialoghi, l’obiettivo della narrazione è raggiunto.
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Il più grande difetto di un film così curato dal punto di vista visivo e così radicato nella tradizione cinematografica orientale che riflette sui ruoli e le classi sociali è la mancanza di una vera scena emblematica in grado di racchiudere in sé tutto il messaggio del film. Fortunatamente, tuttavia, le due protagoniste riescono a far perdonare questo difetto con un’intesa splendida in scena, la raffigurazione di un’amicizia improbabile per estrazione, carattere e storia ma che lascia il segno e scalfisce in modo chiaro una società rigida che vorrebbe un destino uguale e inesorabile per entrambe. Questa storia al femminile si arricchisce così soprattutto grazie a due grandi protagoniste che sin dalla prima comparsa in scena sanno catturare l’attenzione con semplici sguardi e gesti.
 
Immagini tratte da:
https://press.iffr.com/

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7/2/2021

Recensione della serie tv "Il commissario Ricciardi"

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di Vanessa Varini
Titolo: "Il Commissario Ricciardi"
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Paese: Italia
Anno: 2021
Genere: poliziesco, noir, storico, fantastico
Stagioni: 1
Episodi: 6
Durata: 100 min (episodio)
Regia: Alessandro D'Alatri
Soggetto: Maurizio de Giovanni, Salvatore Basile, Viola Rispoli
Sceneggiatura: Maurizio de Giovanni, Salvatore Basile, Viola Rispoli, Doriana Leondeff
Fotografia: Davide Sondelli
Scenografia: Carlo De Marino (scenografo), Toni Di Pace (arredatore)
Costumi: Alessandra Torella
Interpreti e personaggi: Lino Guanciale (Luigi Alfredo Ricciardi), Antonio Milo (Raffaele Maione), Enrico Ianniello (Bruno Modo), Serena Iansiti (Livia Lucani), Maria Vera Ratti (Enrica Colombo), Mario Pirrello (Angelo Garzo), Peppe Servillo (don Pierino Fava)
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Dal 25 gennaio ogni lunedì su Rai 1 alle 21:25 va in onda la serie tv "Il Commissario Ricciardi" diretta da Alessandro D'Alatri e tratta dell'omonima serie di romanzi dello scrittore Maurizio de Giovanni. Il protagonista è il Commissario di polizia Luigi Alfredo Ricciardi (interpretato da Lino Guanciale) che custodisce un terribile segreto ereditato dalla madre: è in grado di percepire gli spiriti delle vittime di morte violenta per incidenti e soprattutto omicidi.
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L'uomo vede il suo dono come una maledizione e per questo si allontana da tutti, non rivelando mai a nessuno il suo segreto. I suoi unici amici sono l'anziana tata Rosa, che si occupa di lui fin da piccolo dopo la morte della madre e i suoi colleghi di lavoro, il brigadiere Raffaele Maione (Antonio Milo) che ha perso in maniera tragica un figlio e il patologo antifascista Bruno Modo (Enrico Ianniello). Ricciardi "rifiuta" anche l'amore anche se è innamorato ricambiato di Enrica Colombo (Maria Vera Ratti), una ragazza che abita nel palazzo di fronte al suo.
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La serie è molto fedele ai romanzi ed è una miscela di vari generi: storico perché la vicenda è ambientata nella Napoli degli anni trenta durante il regime fascista (a volte viene citato Mussolini), poliziesco/noir dato che in ogni puntata avviene un omicidio, fantasy infatti in ogni episodio Ricciardi vede nei luoghi dei delitti gli spiriti delle vittime che continuano a ripetere la frase che stavano dicendo o pensando nel momento della morte e sono parole ovviamente incomprensibili, altrimenti i casi verrebbero subito risolti. "Il commissario Ricciardi" è una serie realizzata in maniera impeccabile, curata in ogni dettaglio, dai magnifici costumi d'epoca, alla fotografia dai colori seppia, all'ambientazione nella parte vecchia di Napoli e di Taranto, fino agli attori che sono bravissimi, come Lino Guanciale perfetto nel difficile ruolo di Ricciardi, un uomo che per risolvere i casi ed aiutare gli altri è disposto a condurre una vita solitaria ed infelice. Nella prossima puntata in onda l'8 febbraio il Commissario dovrá affrontare una nuova sfida lavorativa, risolvere l'omicidio della Duchessa di Camparino e ritroverà anche Livia (Serena Iansiti), la ricca e bellissima vedova del defunto cantante lirico Arnaldo Vezzi il cui omicidio è stato risolto nella prima puntata, che ora inizia a corteggiarlo.
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I PRIMI DUE EPISODI SI POSSONO RECUPERARE QUI:
https://www.raiplay.it/programmi/ilcommissarioricciardi
IMMAGINI TRATTE DA:
https://www.puglia24news.it/
https://www.napolidavivere.it/
https://www.lanostratv.it/

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4/2/2021

IFFR50 – Lone Wolf

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di Federica Gaspari
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​Genere: thriller, drammatico, distopico
Anno: 2020
Regia: Jonathan Ogilvie
Attori: Tilda Cobham-Hervey, Hugo Weaving, Josh McConville Chris Bunton, Diana Glenn, Marlon Williams
Sceneggiatura: Jonathan Ogilvie
Fotografia: Geoffrey Simpson
Montaggio: Bernadette Murray
Produzione: Future Pictures
Paese: Nuova Zelanda, Australia
Durata: 100 min

Una nuova normalità e quotidianità da vivere soprattutto davanti e dentro a uno schermo spinge i creativi anche verso narrazioni alternative che, partendo da uno spunto originale e attuale, reinventano grandi classici della letteratura. Il regista neozelandese Jonathan Ogilvie approda quindi alla 50esima edizione dell’International Film Festival di Rotterdam con una versione distopica del romanzo The Secret Agent di Joseph Conrad che, concepita e realizzata prima della pandemia, risulta ora quasi profetica: Lone Wolf, muovendo i suoi passi in un futuro prossimo, immagina una realtà inquietante il suo scheletro portante è una sorveglianza pervasiva delle autorità. Come si può rileggere un classico in una chiave così moderna? Ogilvie ha qualche idea a proposito, scegliendo di giocare anche le sensazioni evocate da una messa in scena originale.

Il ministro della giustizia australiano (Hugo Weaving) preferirebbe altri tipi di impegni ma qualcosa di misterioso e indecifrabile richiede urgentemente la sua attenzione: un flusso infinito di filmati di telecamere di sicurezza, riprese amatoriali, contenuti multimediali dei social networks oppure registrazioni di sessioni Skype. Questo insieme di immagini racchiude e racconta una storia interessante e inquietante che vede protagonista la giovane attivista Winnie (Tilda Cobham-Hervey) al centro di un intrigo decisamente più grande di lei.
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Considerato un titolo così evocativo, è immediato chiedersi chi sia esattamente il lupo solitario della storia. Le possibilità di interpretazione sono moltissime e il film – estremamente consapevole – gioca con tutte queste dedicando a ogni personaggio atti differenti. Questa scelta, tuttavia, sembra spesso non dare il giusto valore – forse intenzionalmente - alla componente umana della storia. Ne consegue che il pubblico difficilmente può riuscire a intrecciare un legame con uno dei personaggi, condividendone le angosce oppure anche semplicemente seguendone i passi per trovare un filo conduttore in una narrazione piuttosto caotica. Hugo Weaving, come sempre, giganteggia, impreziosendo i pochi ed essenziali dialoghi a lui affidati. Tuttavia, nel complesso la componente dei personaggi del film risulta abbastanza deludente.
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Fortunatamente, gli aspetti più tecnici e sperimentali della pellicola non deludono. Ogilve, facendo tesoro dei precedenti riconoscimenti a Cannes ma anche della collaborazione al montaggio per Kubrick, costruisce una macchina quasi perfetta in grado di evocare atmosfere e suggestioni con semplici inquadrature che sfruttano al meglio l’escamotage dei differenti mezzi di ripresa. La generale sensazione di freddezza e distacco suggerita dai personaggi trova quindi terreno fertile in un palcoscenico costruito forse per giocare più con i vuoti e i silenzi che con l’empatia. A fine visione, con un opprimente sensazione di oppressione, l’obiettivo si può allora considerare raggiunto nonostante alcune sbavature: il regista e sceneggiatore è riuscito a riprodurre alla perfezione le dinamiche distopiche di una sorveglianza capillare a cui non si può sfuggire e che può essere manipolata solamente da pochi. Resta, infine, uno spiraglio di luce: ma se tra quei pochi si nascondesse qualcuno in grado di ridare il giusto valore ai rapporti, alla solidarietà e alla collaborazione?


Immagini tratte da:
https://press.iffr.com

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4/2/2021

IFFR50 – Riders of Justice

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di Federica Gaspari
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Genere: commedia, drammatico
Anno: 2020
Regia: Anders Thomas Jensen
Attori: Mads Mikkelsen, Nikolaj Lie Kaas, Andrea Heick Gadeberg, Lars Brygman, Nicolas Bro
Sceneggiatura: Anders Thomas Jensen
Fotografia: Kasper Tuxen
Montaggio: Anders Albjerg Kristiansen, Nicolaj Monberg
Produzione: Sisdel Hybschmann, Sisse Graum Jorgensen
Paese: Danimarca
Durata: 116 min

La cinquantesima edizione dell’International Film Festival di Rotterdam ha aperto le danze cinematografiche tuffandosi nell’immaginario di uno dei registi e sceneggiatori più prolifici dei paesi scandinavi e, in particolare, della Danimarca, da sempre nota per aver dato i natali ad artisti eclettici e molto spesso rivoluzionari nel loro stile. Il film di apertura della kermesse è stato infatti Riders of Justice, sfaccettata creatura del grande schermo che, avvalendosi di un cast in gran forma capitanato da Mads Mikkelsen, si avventura con estrema naturalezza e maestria tra generi e scenari concreti tutt’altro che rassicuranti sulla carta. Con un titolo dai risvolti quasi pop in modo sinistro si è inaugurata quindi un’edizione che riflette con grande chiarezza le inquietudini degli ultimi mesi.​

E se ogni elemento della quotidianità, da un fattore sociale a un piccolo dettaglio personale, potesse essere inquadrato in uno schema preciso in grado di spiegare ogni fenomeno con dinamiche di causa ed effetto? L'analista di dati Otto (Nikolaj Lie Kaas) con le sue strampalate ricerche cerca proprio di dare una risposta a questa domanda con l’aiuto dell’eccentrico collega Lennart (Lars Brygmann) e dal loro amico ancora più strano Emmenthaler (Nicolas Bro). Insieme al soldato professionista Markus (Mads Mikkelsen), che ha perso la moglie in un tragico incidente in treno, gli uomini si trasformano in vendicatori spietati spinti dalla cieca fiducia in un mondo regolato da ingranaggi deterministici.
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​Una bicicletta rubata, un incontro di lavoro andato male, un bagaglio di tensioni pronte a esplodere: l’incidente in cui perde la vita la moglie del protagonista è infatti solo la miccia di una narrazione fuori dagli schemi che abbraccia il caos dei generi per renderlo proprio e trasformarlo nel suo motore. Il racconto scritto e diretto da Anders Thomas Jensen, nonostante una prima parte piuttosto sbilanciata, riesce ad accompagnare perfettamente il pubblico in una realtà caotica, difficile e forse addirittura impossibile da decifrare proprio come l’attualità. I suoi personaggi, illusi o ciechi per i loro desideri, sono in balia di eventi che credono di poter controllare o addirittura piegare al loro volere per inseguire obiettivi impossibili.

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Mads Mikkelsen è come sempre sublime nella sua interpretazione di un uomo dal carattere ruvido alle prese con un lutto e con un difficile rapporto con la figlia. La sua figura, costruita quasi sui personaggi crudi che hanno segnato la sua carriera, viene contrapposta alle eccentricità degli altri protagonisti, creando un perfetto contrasto che genere intrattenimento in aggiunta alla riflessione non banale sull’indecifrabilità.

Con grande maestria, Anders Thomas Jensen riesce in conclusione a dimostrare tutta la sua versatilità con una dark dramedy assurda con sfumature action che, pur rimanendo priva di un vero tormentone – nessuna scena o battuta particolarmente iconica -, riesce ad appassionare e intrattenere.


Immagini tratte da:
https://press.iffr.com/

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