di Federica Gaspari ![]() Paese: Stati Uniti Anno: 2019 Formato: serie TV Stagione: 2 Genere: drammatico, fantascienza, fantasy Puntate: 8 Regia: Zal Batmanglij, Andrew Haigh, Anna Rose Holmer Sceneggiatura: Brit Marling, Zal Batmanglij, Damien Ober, Nicki Paluga, Dominic Orlando, Henry Bean, Claire Kiechel Produzione: Plan B Entertainment, Anonymous Company Cast: Brit Marling, Emory Cohen, Scott Wilson, Phyllis Smith, Patrick Gibson, Jason Isaacs, Ian Alexander In un panorama televisivo sempre più affollato, riuscire a trovare un prodotto di qualità basato su un’idea originale diventa sempre più difficile. Netflix, nelle ultime stagioni del piccolo schermo, si è confermato sovrano indiscusso in questo territorio ma poche volte è riuscito davvero a regalare al pubblico un intrattenimento completamente originale. Il successo di serie come Stranger Things o The Crown, infatti, si basa su dinamiche collaudate, generi definiti e, spesso, omaggi illustri. Certo, per distinguersi dalla massa sono state necessarie idee intriganti e personaggi appassionanti ma, in partenza, si poteva già contare su una nutrita mitologia. The OA, invece, non ha potuto fare affidamento su nessuno di questi aspetti. I creatori dello show, il duo artistico Brit Marling e Zal Batmanglij, hanno sfoderato tutta la loro creatività nel 2016 con la prima stagione. Lo scorso 22 marzo, 8 nuovi episodi sono approdati su Netflix e, anche questa volta, hanno centrato l’obiettivo. Mentre Steve, Jesse, Alfonso e Buck si interrogano sul destino di Prairie/PA (Brit Marling), la ragazza sembra aver sfruttato le sue abilità per raggiungere una nuova dimensione parallela. In questo diverso universo, però, si chiama Nina e la sua vita ha seguito un percorso completamente diverso. In questa dimensione, la sua strada si intreccerà con quella di Karim (Kingsley Ben-Adir), detective dalle abitudini inconsuete alla ricerca della verità sulla misteriosa scomparsa di una ragazzina vietnamita. La prima stagione aveva colto tutti di sorpresa. La seconda conferma le aspettative – alimentate da una lunghissima attesa – portando lo show su un altro livello ancora più complesso ma intrigante. Prima di affrontare la visione, infatti, è necessario fare un patto con The OA. È necessario credere ciecamente e fidarsi, lasciandosi trascinare in un tornando di storie e racconti difficili da comprendere rapidamente. Le tematiche cardine dei primi episodi tornano prepotentemente in scena ma trovano nuove dimensioni: esperienze post-mortem, religione, mitologia senza perdere di vista emozioni e legami capaci di andare oltre distanze e dimensioni. È facile, allora, perdersi nell’universo creativo di The OA: parte II. Una fotografia spettacolare, scenografie studiate nel dettaglio e particolari mai lasciati al caso: è impossibile negare che ogni aspetto sia stato curato con passione e attenzione. Il risultato, diversamente da quanto si potrebbe pensare, è tuttavia un racconto appassionante e coinvolgente, capace di catturare lo spettatore sin dal primo minuto, invitandolo ad addentrarsi in un rompicapo di generi e stili fuori dall’ordinario. Ad ogni angolo compare un interprete motivato e brillante, in grado di sostenere perfettamente quell’atmosfera tipicamente sospesa tra genio e surreale che rende vincente la serie. Si perderà spesso l’orientamento in questa dinamico luna park di idee e creazioni ma, alla fine, si assaporerà nuovamente lo stupore, una sensazione che, forse, in molti hanno dimenticato.
Uno show da non perdere, una scommessa audace che i produttori vincono insieme ad un pubblico pronto a mettersi in gioco. Immagini tratte da: www.polygon.com www.imdb.com www.rollingstone.it www.independent.co.uk
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di Matelda Giachi
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Genere: Fantasy, Family, Animazione
Anno: 2019 Durata: 130 min Regia: Tim Burton Cast: Colin Farrell, Michael Keaton, Danny De Vito, Eva Green, Roshan Seth, Elisa, Nico Parker, Deobia Oparei, Alan Arkin, Joseph Gatt, Douglas Reith, Finley Hobbins, Sandy Martin, Lars Eidinger, Michael Buffer, Bern Collaço Sceneggiatura: Ehren Kruger Fotografia: Ben davis Colonna Sonora: Danny Elfman Produzione: Walt Disney Pictures, Tim Burton Productions. Infinite Detective Productions. Secret Machine Entertainment Distribuzione: Walt Disney Italia Paese: Stati Uniti
“Dumboooooo. Dumboooooooo.”
Sono ormai anni che la Disney, evidentemente povera di estro creativo (eccezion fatta per Coco, che è un gioiello), riporta al cinema i suoi cavalli di battaglia sostituendo attori veri ai disegni. Per dare vita a Dumbo ha scaltramente scelto di mettere Tim Burton alla regia. E, in effetti, un film su di uno “scherzo della natura”, un elefante con enormi orecchie in cui inciampa quando cammina, è già suo. Il film si plasma inizialmente sul cartone, alle cui scene iconiche rende tributo anche con estrema delicatezza ed eleganza, per poi prendere una linea narrativa diversa, più ampia e più umana. Un ampliamento della sceneggiatura era in fondo necessario, data la breve durata dell’originale animato.
A prendersi cura di Dumbo, sono i due piccoli Holt, Milly e Joe (Nico Parker e Finley Hobbs), rimasti anche loro senza la mamma e per questo in forte empatia con l’elefantino. Ma nel circo dei fratelli Medici, dove però il fratello, Max, interpretato da Danny DeVito, è figlio unico, sono tutti un po’ soli e in cerca di una famiglia. Un gruppo di diversi che trovano conforto e supporto gli uni negli altri, come accadeva anche nel circo di Hugh Jackman in The Greatest Showman.
Si può dire quindi che il film assuma, nella sua seconda parte, quasi un aspetto corale. Rimanendo sull’evoluzione del live action rispetto al cartone, la ricerca del successo diventa non più la chiave per l’accettazione ma per la libertà. La diversità non va sfruttata ma amata e valorizzata. Meno cupo del Dumbo originale e del solito Burton che, anzi, si lascia andare ad un’insolita dolcezza, che trova espressione soprattutto negli occhioni azzurri del protagonista. Riconoscibile però la mano del regista, soprattutto in determinate scene e dettagli.
La voglia di non limitarsi a copiare ma di aggiungere qualcosa alla storia è lodevole, anche se, purtroppo, rimane meno coraggioso di un cartone capace di aprirsi a visioni psichedeliche, nel 1941. Ma nel 2019, dobbiamo tutti essere politically correct e un elefante sbronzo non s’ha da vedere. Non manca neanche una sferzata di femminismo che si incarna nel personaggio dell’amica di Dumbo Milly. “Io non voglio fare l’acrobata, voglio fare ricerche scientifiche.” E si muove per tutto il film guidata tanto dal cuore quanto dalla logica.
Bella la fotografia, ma eccessivo e palese il ricorso alla tecnologia digitale, tanto da risultare, in alcuni frame, quasi tirato via. Tim Burton riunisce nel cast parte della sua famiglia cinematografica: ad affiancare Colin Farrel, Eva Green (Dark Shadows, Miss Peregrine), sempre di una bellezza folgorante, Alan Arkin (Edward mani di Forbice ha recitato anche per Vittorio De Sica) e soprattutto Danny DeVito e Michael Keaton, con ruoli speculari rispetto al passato e risorti dopo una lunga pausa dagli schermi; sono i migliori in campo per la loro interpretazione. Ah. Un aspetto è rimasto assolutamente invariato: si piange. Mamma mia se si piange. Voto: 7,5 di Vanessa Varini Titolo: "La gabbianella e il gatto" Paese di produzione: Italia Anno: 1998 Durata: 76 min Genere: animazione, drammatico, musicale Regia: Enzo D'Alò Soggetto: Luis Sepúlveda (dal romanzo Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare) Sceneggiatura: Umberto Marino Produttore: Cecchi Gori Group Musiche: David Rhodes Animatori: Giorgio Ghisolanifi, Marco Varrone Doppiatori originali Carlo Verdone (Zorba); Antonio Albanese (il Grande Topo); Sofia Baratta (Fortunata neonata); Veronica Puccio (Fortunata bambina); Leda Battisti (Fortunata canto); Domitilla D'Amico (Fortunata adolescente); Luis Sepúlveda (il Poeta); Alida Milana (Kengah dialoghi); Ivana Spagna (Kengah canto); Roberto Ciufoli (Topo 2) Una femmina di gabbiano di nome Kengah viene avvelenata da una macchia di petrolio e precipita esausta nel giardino della casa di Zorba, un micione di colore nero. In punto di morte riesce a deporre l'uovo e lo affida al gatto che deve rispettare tre promesse: quelle di non mangiare l'uovo, di averne cura finché non si schiuderà e di insegnare a volare al nascituro. La gabbianella orfana viene battezzata Fortunata e cresce con Zorba nella comunità dei gatti formata da Diderot, Colonnello, Segretario e Pallino, convincendosi di essere un felino. Spetterà a Zorba l'arduo compito di spiegargli il valore della sua diversità e di insegnargli a spiccare il volo verso la libertà. Ma a complicare la situazione ci sono dei topi che vogliono liberarsi dei gatti e conquistare il mondo! Per festeggiare il ventennio dall'uscita nelle sale cinematografiche italiane, il 21, 22, 23 e 24 marzo torna nei cinema "La gabbianella e il gatto" diretto da Enzo D'Alò e tratto dal celebre libro Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare dello scrittore cileno Luis Sepúlveda. L'amicizia che abbatte la diversità e sfida i luoghi comuni (i gatti sono nemici degli uccelli) tra Zorba (doppiato da Carlo Verdone) e Fortunata, ha incantato intere generazioni di ragazzi grazie ad una storia poetica, divertente e anche commovente che diffonde messaggi importanti. Il principale insegnamento è amare chi è diverso da noi, che è riassunto in una frase pronunciata da Zorba: "È vero che i gatti mangiano gli uccelli, fa parte della loro natura, ma noi non potremmo mai mangiare te, perchè ti vogliamo bene, e ti vogliamo di bene ancora di più proprio perchè sei diversa da noi". Ma questo film insegna anche tutelare l'ambiente (le petroliere inquinano e uccidono tantissimi animali), valorizza l'amicizia e la solidarietà e incita a seguire la propria strada e a credere in sé stessi. Proprio le tematiche dell'integrazione e della protezione dell'ambiente rendono "La Gabbianella e il Gatto" un film ancora molto attuale, che merita di essere visto dai bambini di oggi e riscoperto dagli adulti che l'hanno guardato durante la loro infanzia. Quindi non perdete l'occasione di vedere il film al cinema.
Foto tratte da: https://mr.comingsoon.it/ https://www.librincontro.altervista.org/ https://www.sololibri.net/ #Lagabbianellaeilgatto #EnzoDAlo #Zorba #Fortunata
di Matelda Giachi ![]()
Data di uscita: 14 marzo 2018
Genere: Drammatico, Biografico Anno: 2018 Durata: 114 min. Regia: Joel Edgerton Cast: Nicole Kidman, Lucas Hedges, Russell Crowe, Joel Edgerton, Xavier Dolan, Cherry Jones, Flea, Troye Sivan Sceneggiatura: Joel Edgerton Fotografia: Eduar Grau Colonna sonora: Danny Bensi, Saunder Jurriaans Produzione: Anonymous Content, Blue-Tongue Films, Focus Features, Perfect World Pictures Distribuzione: Universal Pictures Paese: USA
Seconda volta alla regia di un lungometraggio per Joel Edgerton, che di questo film è anche sceneggiatore. Seconda volta in pochi mesi che il cinema ci porta dentro la realtà dei campi di conversione per ragazzi omosessuali. La prima volta lo aveva fatto con La diseducazione di Cameron Post, per la regia di Desiree Akhavan, premiato al Sundance e poi presentato all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma. Film, quest’ultimo, che in pochi ricorderanno, in quanto nelle sale non è durato una settimana.
Una storia vera quella di Jared Eamons, che confessa ai genitori di essere attratto dagli uomini e questi, traumatizzati, lo mandano in cura speranzosi di poterlo “correggere”.
Jared ha il volto di Lucas Hedges. Negli ultimissimi anni lo abbiamo visto in Manchester by the Sea, Lady Bird, Tre Manifesti a Ebbing Missouri e pochi mesi fa a fianco di Julia Roberts in Ben is Back. 22 anni, giovanissimo, ma con le idee molto chiare sul tipo di cinema che vuole affrontare, in barba a chi dice che i giovani non sono impegnati e partecipi. La scena si apre già nel mezzo del dramma, alla firma dei documenti di ingresso nel centro di recupero, e procede con un’alternanza di piani temporali tra ciò che anticipa e ciò che segue questo momento. Un metodo narrativo che ultimamente piace molto ai registi e si vede usare spesso.
La storia di Jared è la storia di migliaia di ragazzi in America. Va collocata indietro nel tempo di una trentina di anni ma ancora non smette di essere attuale. In tempi in cui si teme di andare indietro invece che in avanti, il cinema sente la necessità e il dovere di aprire le menti.
Il film di Joel Edgerton lo fa in maniera didascalica, seguendo il protagonista nel suo percorso e, sullo sfondo, anche i genitori. Genitori che sono poi quelli che vivono il vero dramma. Mentre Jared scopre e afferma la sua omosessualità, passando da uno stato di confusione a uno di forza e consapevolezza, il padre, pastore di una cittadina di provincia e interpretato da Russel Crowe, non può accettare che suo figlio sia gay. La madre, che ha il volto di Nicole Kidman, subisce passivamente le decisioni del marito, finché non sarà l’istinto materno ad avere la meglio. Edgerton dice tutto ma non va in profondità. Fa vedere quanto basta a colpire l’intelligenza ma sfiora soltanto le corde dei sentimenti e delle emozioni. Le percepisci ma non ti trasportano. Con una terna di attori simili, si poteva dare tanto. Guardatelo e poi recuperate La Diseducazione di Cameron Post che, con un’apparente nota di leggerezza in più, arriva esattamente dove deve arrivare. Voto 6 Di Federica Gaspari
Dopo aver detto addio alle sue serie più apprezzate legate al progetto The Defenders, Netflix apre la strada ad un nuovo ambizioso universo di supereroi. L’idea nasce da un fumetto di Gerard Way, cantante dei My Chemical Romance. Questa graphic novel, pubblicata nel 2007, è stata accolta con grande entusiasmo dagli appassionati del genere e nel corso degli anni ha saputo già conquistare lo status di cult. Considerato il grande successo, il percorso di adattamento per il grande schermo ha preso il via già nel lontano 2010 senza però arrivare mai ad una conclusione. Nove anni dopo, quello che è considerato il più grande villain del cinema ha utilizzato tutti i suoi superpoteri per dare vita a The Umbrella Academy. Dal 15 febbraio scorso, infatti, i dieci episodi della prima stagione sono disponibili nel catalogo Netflix. 43 bambini di ogni provenienza nascono la notte del 1° ottobre 1989. A prima vista questo evento potrebbe sembrare un avvenimento degno di poca nota se non fosse per il fatto che tutti questi bambini siano stati adottati dal professore Reginald Hargreeves (Colm Feore), esuberante e facoltosa personalità statunitense. I ragazzi, sotto la guida del loro mentore, scopriranno di avere poteri e sei di loro formeranno la The Umbrella Academy, una squadra di supereroi. Diversi anni dopo le loro prime missioni, i fratelli Hargreeves si riuniranno in occasione della morte di Reginald e dovranno fare i conti su un nuovo mistero che riguarda le loro vite. Dopo la grande campagna promozionale riservata a questa produzione, le aspettative erano inevitabilmente altissime. In un panorama televisivo sovrappopolato di show sui supereroi serviva ben più di uno spunto di partenza interessante e curioso per lasciare il segno negli occhi e, soprattutto, nel cuore del pubblico. The Umbrella Academy, con le sue prime puntate non sembra distinguersi dalla massa proprio come i suoi protagonisti: un’apparenza discreta a metà tra Watchman e X-Men, un potenziale inespresso e una totale assenza di interesse per il futuro. Se si sceglie di premere stop e di non dare una possibilità a questa squadra di squattrinati supereroi, l’ultima serie della scuderia Netflix rimarrà per sempre un banale esperimento tele-comic tra i tanti. Se, invece, si sceglie di continuare nella visione, lo show saprà catturare sfoderando i suoi migliori superpoteri: un cast eterogeneo e convincente e una colonna sonora spettacolare in grado di reggere l’evoluzione della storia. Non mancano alcuni buchi di sceneggiatura che, tuttavia, sembrano essere giustificati dal progetto di una seconda stagione che, senza alcun dubbio, andrà ad approfondire ancor di più le psicologie di questi personaggi complessi. Tra questi svetta Ellen Page nei panni di Vanya, l’unica tra i fratelli che, apparentemente, non sembra avere alcun potere. Il suo personaggio, ancora più efficacemente di quelli dei colleghi, riflette sulle difficoltà della normalità, il peso delle aspettative non ripagate e, infine, sulla capacità di affrontare e comprendere le proprie attitudini, anche le più incontrollabili. Si tratta di un percorso di tentativi ed errori. La famiglia Hargreeves lo sa bene. Solo così, però, si può cercare la versione migliore di se stessi. Sicuri, però, che quel finale sia il migliore dei possibili? Immagini tratte da: www.imdb.com www.thejakartapost.com www.seventeen.com
Il personaggio interpretato dal premio Oscar Brie Larson non vuole limitarsi a essere un'altra wonder woman, ma vuole costruirne un esercito! Più forte di Thanos e dei commenti sessisti sbarca la più forte super eroina Marvel di tutti i tempi.
Come primo film dell’universo cinematografico Marvel con una supereroina per protagonista assoluta, Captain Marvel è approdato al cinema con una valanga di beceri commenti sessisti sulle spalle. Basti pensare che Rotten Tomatoes ha dovuto bandire dal suo sito i troll che erano determinati a distruggere il lungometraggio prima dell’uscita. Sembra che tutti i misogini celibi del pianeta si siano riuniti per infangare la talentuosa Brie Larson. Il motivo? Il premio Oscar che interpreta il personaggio, ha più volte espresso pubblicamente la necessità di una maggiore presenza di questo tipo di film, così come i critici che li recensiscono. È scoppiata una vera e propria guerra. E ora che Captain Marvel è al cinema, aspettatevi che questo contingente di maschi bianchi vergini e incazzati vada su tutte le furie (il web è pieno di insulti e troll).
La rivincita del girl power pulsa attraverso ogni fotogramma, per non parlare dell’umorismo, del cuore e del brivido nel guardare qualcosa che potrebbe davvero cambiare tutto. Wonder Woman, il film del 2017 targato DC Comics, ha sferrato il primo pugno per la parità nei cinecomic. Ma Captain Marvel in quel pugno ci tiene i detrattori. Ambientato a metà degli anni ’90, il film sembra fatto molto prima che Iron Man e gli altri Avengers fossero pronti per il grande schermo, e sventola una bandiera orgogliosamente retrò. Ma tutto nel suo DNA, dalla rappresentazione (davanti e dietro la camera) alle nozioni di empowerment, parla di quello che stiamo vivendo, qui e ora. Non era per niente facile raccontare la storia di quest’eroina, ma i registi Anna Boden e Ryan Fleck, che si sono fatti le ossa nell’universo indie con drammi basati sui personaggi come Half Nelson (2006) e Mississippi Grind (2015), hanno preferito andare dritti all’azione. Carol Danvers, la pilota dell’Air Force impersonata dalla Larson, ha già i superpoteri quando la incontriamo nel bel mezzo di una battaglia intergalattica tra due razze aliene: i Krees e gli Skrull. Il suo mentore Kree, Yon-Rogg (Jude Law), l’ha addestrata per unirsi alla sua squadra d’élite nota come Starforce per bandire i nemici mutanti dalla pelle verde, guidati da villain Talos (Ben Mendelsohn). In realtà Carol non sa chi è. Ha perso la memoria e ci vuole un viaggio di ritorno sulla Terra per recuperarla. È lì che incontra il capo dello S.H.I.E.L.D Nick Fury (un Samuel L. Jackson, tosto e divertentissimo), che ha ancora entrambi gli occhi. Sia lui che il volto del franchise Clark Gregg, l’agente Coulson, sono stati ringiovaniti digitalmente. È un po’ inquietante, ma c’è anche qualche vantaggio, soprattutto quando Fury ha a che fare con il gatto Goose. Potrà sembrare un po’ stucchevole, ma sia dal vivo che in computer graphic, l’animale ruba ogni scena. Al cinema non c’è mai stato un gatto come Goose, il suo nome è un riferimento a Top Gun e accompagna una colonna sonora di canzoni d’epoca come I’m Just a Girl dei No Doubt. Carol ritrova anche la collega pilota Maria Rambeau (una strepitosa Lashana Lynch), che ha lasciato l’esercito per prendersi cura della figlia (Akira Akbar). È la connessione di Maria con la tormentata protagonista cosmica che dà al film la sua anima. L’amicizia femminile è il fattore che mantiene Carol in contatto con la sua umanità, specialmente quando guadagna forza e affronta le sue responsabilità di guardiana galattica. Ed è in queste scene che il casting di Larson acquisisce davvero senso. È un’attrice intuitiva, guardatela in Room (film che le è valso l’Oscar) e in Short Term 12, che aggiunge strati di sensibilità al ruolo, dettagli che un’interprete meno talentuosa avrebbe potuto farsi sfuggire. Una grande prova attoriale che impreziosisce il film e non desterà sospetto la presenza di Captain Marvel ai prossimi Academy, i puristi del cinema indignati dai tre Oscar ottenuti da Black Panther sono dunque avvisati. Magari la trama sarà troppo contorta a partire da metà, il ritmo occasionale e lo stile retrò troppo piatto rispetto ai soliti fuochi d’artificio Marvel. Ma il tempo che Boden e Fleck usano per sottolineare come le vite vengano vissute tra una sequenza d’azione e l’altra sono quello che ci farà ricordare Captain Marvel. Il film è appesantito dallo sforzo di diventare l’origin story dell’intero universo cinematografico Marvel (vedremo di nuovo la supereroina in Avengers: Endgame il 24 aprile) e dimentica che il potere del laser che Carol spara con le mani è meno convincente delle intuizioni che emergono dalla sua presa di coscienza. Tuttavia il fascino low-key del film e l’umorismo bizzarro fanno colpo e creano attesa per il futuro. Non serve la ‘’Suprema Intelligenza dell’Universo’’ per sapere che è saggio giocare sulla lunga distanza. Captain Marvel non vuole limitarsi a essere un’altra wonder woman, ma vuole costruirne un esercito.
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Immagini tratte da: Locandina: blog.screenweek.it Immagine1: Variety.com Immagine2: Multiplayer.it Immagine3: ComicBookMovie.com Immagine4: Mashable.com Immagine5: TheGalleria.eu
di Vanessa Varini
Titolo: "Il nome della rosa"
Paese: Italia, Germania Anno: 2019 Genere: drammatico, storico, thriller Stagioni: 1 Episodi: 8 Durata: 50 minuti (episodio) Ideatore: Giacomo Battiato, Andrea Porporati, Nigel Williams Regia: Giacomo Battiato Soggetto: dal romanzo di Umberto Eco Sceneggiatura: Andrea Porporati, Nigel Williams Fotografia: John Conroy Musiche: Volker Bertelmann Scenografia: Francesco Frigeri, Dante Ferretti Costumi: Maurizio Millenotti Trucco: Luca Mazzoccoli Effetti speciali: Massimo Ciaraglia, Enrico Toscano Interpreti: John Turturro (Guglielmo da Baskerville); Damian Hardung (Adso da Melk); Rupert Everett (Bernardo Gui); Michael Emerson (Abbone da Fossanova); Sebastian Koch (Barone di Neuenberg); Antonia Fotaras (ragazza dai capelli rossi); James Cosmo (Jorge da Burgos); Richard Sammel (Malachia); Fabrizio Bentivoglio (Remigio); Greta Scarano (Margherita ed Anna); Stefano Fresi (Salvatore); Alessio Boni (Dolcino) Uscito nel 1980 il romanzo "Il nome della rosa" di Umberto Eco ed edito da Bompiani, è considerato un capolavoro della letteratura italiana che unisce magistralmente thriller e atmosfere cupe, storia medievale, giallo, mistero, teologia e filosofia. La storia del monaco francescano Guglielmo di Baskerville che giunge in un monastero italiano con il novizio Adso per un incontro teologico ma finisce per indagare su una serie di omicidi di cui sono vittime i monaci, dopo essere stata trasportata sul grande schermo nel 1986 dal regista francese Jean-Jacques Annaud e con protagonisti Sean Connery (Guglielmo da Baskerville), e un giovanissimo Christian Slater (Adso), approda ora in Tv in una miniserie di quattro puntate. Diretta dal regista Giacomo Battiato e prodotta da Rai Fiction, Palomar, 11 Marzo Film e dalla tedesca Tele München Group, la fiction andrà in onda in anteprima mondiale su Raiuno da lunedì 4 marzo. La storia seguirà in parte quella del romanzo originale e vedrà per protagonista l'attore tedesco Damian Hardung (Adso da Melk), giovane e inesperto novizio di un frate francescano inglese di nome Guglielmo da Baskerville, interpretato da John Turturro.
Arrivati in un monastero benedettino sperduto nei monti dell'Italia settentrionale, i due si trovano a dover risolvere una serie di misteriosi omicidi che alcuni monaci credono di natura soprannaturale, legata all'Anticristo. In realtà le morti sono tutte riconducibili ad un manoscritto custodito nella biblioteca del monastero. A complicare la situazione arriva l'Inquisitore domenicano Bernardo Gui (Rupert Everett), disposto a tutto pur di porre fine all'ordine francescano.
Oltre a questi celebri attori internazionali, nel cast troviamo anche alcuni attori italiani: Alessio Boni che interpreta il frate rivoluzionario Dolcino, Fabrizio Bentivoglio nei panni di Fra' Remigio seguace di Dolcino, Greta Scarano (Laura nella serie tv "Non mentire") nei doppi panni di Margherita compagna di Dolcino e di Anna, figlia di Dolcino, quest'ultimo un personaggio aggiunto nella fiction e Antonia Fotaras che interpreta una ragazza in fuga dalla guerra.
Girata tra il Lazio, l'Umbria e l'Abruzzo con un grande impiego di mezzi e comparse (un budget di 26 milioni di euro), "Il nome della rosa" eguaglierà il successo mondiale della serie tv "L'amica geniale"?
Immagini tratte da: - https://auroragonevitvedintorni.files.wordpress.com/ - https://mr.comingsoon.it/ - https://i1.wp.com/www.wereporter.it/ - https://www.artribune.com/ |
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