di Matelda Giachi ![]()
Genere: Drammatico, Biografico
Anno: 2021 Durata: 117 min Regia: Pablo Larraín Cast: Kristen Stewart, Timothy Spall, Jack Farthing, Sean Harris, Sally Hawkins, Jack Nielen, Freddie Spry, Stella Gonet, Richard Collect, Elizabeth Berrington, Lore Stefanek, Amy Manson, James Harkness, Laura Benson, Wendy Patterson, Thomas Douglas, Olga Hellsing Sceneggiatura: Steven Knight Fotografia: Claire Mathon Montaggio: Sebastián Sepúlveda Musica: Jonny Greenwood Produzione: Fabula, Komplizen Film, Shoebox Films, Topic Studios Distribuzione: 01 Distribution, Leone Film Group Paese: USA
"A che nome?" "Spencer".
Dopo Jackie, Pablo Larraìn torna a raccontare un'altra grande donna del panorama internazionale, la Principessa Diana, morta nell'agosto del 1997 ma sempre viva nel cuore dei milioni di persone che l'hanno amata. Questo di Larraìn non è un biopic canonico, possiamo anzi dire che non è affatto un biopic. L'arco narrativo copre solo tre giorni, tra Natale e il boxing day (Santo Stefano). Tre giorni che la ricorrenza vorrebbe di festa, di serenità e condivisione familiare, ma che per Diana hanno invece forse rappresentato il processo di maturazione della decisione di divorziare dal futuro re di Inghilterra, rinunciare alla corona e uscire dalla famiglia reale. Regia e sceneggiatura si uniscono nell'immaginare la battaglia psicologica interiore che Diana deve aver vissuto, pressata tra una quotidiana morte interiore e slanci di vita disperati di un'anima ancora giovane.
Spencer è il titolo del film, non Diana, non Lady D. Spencer. La protagonista è una donna intrappolata in un mondo che non le lascia neanche la libertà della scelta di un abito, ogni cui movimento, quando non è sotto i riflettori di una stampa invadente, è ispezionato da occhi ancora più aggressivi: "Loro sanno". Il senso di oppressione che domina la pellicola, che grava lo spettatore con ogni fotogramma è lo stesso della protagonista. Il cappio che la tiene legata prigioniera, che la soffoca, è una preziosa collana di perle che il marito non si è accorto di aver regalato identica alla moglie e all'amante, tanto è l'interesse a nascondere la propria infedeltà. Di Diana si sono fatti tanti riratti, la si è raccontata in film, documentari; sappiamo tutto, almeno in superficie. Per questo Larraìn sceglie una strada diversa e cerca di immaginare qualcosa che non sappiamo e che certo non sapremo mai. Porta sullo schermo un percorso graduale verso casa, verso la riappropiazione di sé, della moglie, madre, donna, della Diana Spencer che la Principessa non le permette più di essere. Il regista riesce a farlo con un rispetto e una raffinatezza senza precedenti.
Kristen Stewart è forse il punto un po' più debole di un'opera dolce e straordinaria. Ha dei momenti in cui la presenza dell'attrice sotto il personaggio è ancora ingombrante e si fa notare. In particolare le sequenze con i figli soffrono di una empatia non trovata. Momenti che si alternano però con altri in cui la tristezza degli occhi, la schiena un po' ricurva a proteggere la propria timidezza e tutti quei dettagli che ha trovato per caratterizzare la sua Diana, funzionano molto bene e denotano un notevole impegno che ha portato, nonostante tutto, alla più convincente e riuscita prova dell'attrice; una performance delicata ed equilibrata. Spencer fa parte di una serie di pellicole incomprese e quasi dimenticate, che passano per un'edizione alquanto insipida degli Oscar semi inosservate e che invece avrebbero meritato riconosciuto il proprio valore. Da vedere, possibilmente al cinema, dove il grande schermo amplifica e consacra il linguaggio del film. Voto: 8
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Di Federica Gaspari ![]() Paese: Stati Uniti d’America Anno: 2022 Genere: biografico, drammatico Episodi: 8 Durata: 34-53 min Ideatore: Malcolm Spellman Regia: Craig Gillespie, Lake Bell, Gwyneth Horder-Payton, Hannah Fidell Sceneggiatura: Robert Siegel, D.V. DeVincentis, Matthew Bass, Theodore Bressman, Brooke Baker, Sarah Gubbins Cast: Lily James, Sebastian Stan, Nick Offerman, Seth Rogen, Taylor Schilling, Pepi Sonuga, Andrew Dice Clay, Spenser Granese, Mozhan Marnò, Fred Hechinger, Mike Seely, Medalion Rahimi Le ultime stagioni sul piccolo schermo hanno dimostrato che non c’è limite alla capacità di showrunner e sceneggiatori televisivi di riuscire a trasformare eventi più o meno noti in prodotti di intrattenimento in grado di catturare il pubblico. L’annuncio della realizzazione di una miniserie sullo scandalo del sex-tape che negli anni Novanta sconvolse la vita di Pamela Anderson e Tommy Lee poteva inizialmente sembrare una semplice naturale evoluzione di questa tendenza a tratti morbosa. Tuttavia, l’iniziale stupita curiosità ha lasciato spazio a problematici interrogativi sull’effettiva natura dell’operazione Pam & Tommy: sciacallaggio o riflessione su un’epoca in cui si sono sviluppate manie, ossessioni e bias che solo ora si iniziano a discernere lucidamente? Con questo dubbio che aleggiava nell’aria, la produzione Hulu è sbarcata – nello sbalordimento generale, considerato il target abituale della piattaforma – su Disney+ e ha saputo sorprendere tra comicità surreale e sviluppi inaspettati. Nel corso di 8 episodi, la miniserie segue la storia della relazione di Pamela Anderson (Lily James) e Tommy Lee (Sebastian Stan), dagli albori della loro folgorante vorticosa storia d'amore che iniziò con il loro matrimonio a sole 96 ore dal loro primo incontro nel 1995. Tra vacanze, progetti eccentrici e scandali sessuali, sarà possibile seguire tutti i passi del loro rapporto mentre, all’ombra del luccicante mondo dello show business, si instaurano dinamiche destinate a cambiare società, comunicazione e intrattenimento negli anni a seguire. Nel contesto delle discutibili premesse del progetto, i primi episodi della miniserie non hanno fatto altro che alimentare lo scetticismo. Le prime due puntate dirette da Craig Gillespie (Tonya, Cruella) e scritte da Robert Segel (The Wrestler, The Founder), infatti, si insinuano con goliardica eccentricità tra le pieghe dell’antefatto che portò alla diffusione del videotape erotico dei due protagonisti a opera del carpentiere Rand Gauthier, soffermandosi in particolare sull’assurdità delle richieste di Tommy per la ristrutturazione della propria camera da letto. Lo sguardo dello spettatore coincide con quello di Rand, ne veicola rabbia, ottusità e bieco desiderio di vendicarsi del trattamento subito per i suoi lavori. Attraverso questa lente compare per la prima volta il personaggio di Pamela nella sua versione di immagine surreale, spesso accompagnata da musiche che rimandano alla sua figura pubblica costruita artificiosamente con il successo di Baywatch. Le puntate successivi, tuttavia, giustificano questa iniziale scelta mostrando come esso sia essenziale per poter sviluppare nelle puntate successive un ritratto grottesco e spietato degli anni Novanta e di come questo periodo abbia creato i presupposti per tutti i contrasti dello show business degli anni successivi. Nel susseguirsi di narrazioni estranee, esterne, in cui nessuno sembra preoccuparsi di come la persona, le intenzioni e il corpo femminili vengano percepiti diversamente, si può individuare infatti un chiaro percorso di riflessione su una graduale presa di coscienza di se stessa a opera di Pamela. La miniserie gestisce al meglio e con delicatezza tutto questo grazie al coinvolgimento di una writer room variegata che, oltre al già citato Segel, vanta nomi del calibro di Sarah Gubbins, già apprezzata sceneggiatrice e produttrice di Shirley nonché di episodi di Better Things e I Love Dick. Un’irriconoscibile ma bravissima Lily James avanza così gradualmente nei panni di Pamela Anderson verso il centro del palcoscenico mentre in parallelo si delinea un’analisi estremamente lucida su come fama, immagine, rapporto con le celebrità e con l’intrattenimento si siano evoluti con l’avvento sulla scena del web. Il discorso, però, non si limita alla rivoluzione sul ruolo dei contenuti e sulle loro questioni etiche e morali legate a temi di privacy bensì a come lo sguardo morboso e inquisitorio di un’intera società sia stato plasmato e legittimato anche attraverso la comunicazione. Nonostante alcune ingenuità – forse volute? - nella prima parte, Pam & Tommy è assolutamente una miniserie da vedere in questo 2022, risultando più attuale che mai pur trattando fatti avvenuti negli anni Novanta. Impossibile, tuttavia, chiudere questo commento senza una nota amara legata al mancato coinvolgimento di Pamela Anderson nella produzione: perché realizzare con buone intenzioni un’operazione di questo tipo senza coinvolgere chi più di tutti è stata interessata dai fatti? Immagini tratte da: www.movieplayer.it www.screenrant.com www.bbc.com di Federica Gaspari ![]() Paese: Stati Uniti d’America Anno: 2022 Genere: teen drama Episodi: 8 Durata: 48-65 min Ideatore: Sam Levinson Regia: Sam Levinson Cast: Zendaya, Maude Apatow, Angus Cloud, Eric Dane, Alexa Demie, Jacob Elordi, Barbie Ferreira, Nika King, Storm Reid, Hunter Schafer, Algee Smith, Sydney Sweeney, Colman Domingo, Javon “Wanna” Walton, Austin Abrams, Dominic Fike Negli ultimi anni, pochi show hanno saputo segnare le discussioni di costume e società come Euphoria. Lanciato con i suoi primi episodi nel cuore della stagione estiva di HBO del 2019, la serie ideata, diretta e scritta da Sam Levinson è stata un fulmine a ciel sereno che ha scosso un panorama televisivo e un genere, il teen drama, con il suo ritratto provocatorio ed eccentrico di una gioventù legata a doppio filo all’abuso di sostanze stupefacenti e alle relazioni tossiche. Il connubio di una messa in scena di altissimo livello e di temi estremamente delicati non hanno lasciato indifferente il pubblico e la critica, costringendo entrambi a schierarsi tra fervidi appassionati e determinati detrattori. La pioggia di premi del settore e il successo dei due speciali dedicati alle protagoniste Rue e Jules e realizzati nel cuore della prima ondata di COVID non hanno fatto altro che accrescere la curiosità per una seconda stagione che, rimandata per ritardi dovuti alla pandemia, ha debuttato sugli schermi di HBO e Sky a inizio gennaio, terminando la sua travolgente corsa nel mese di febbraio con 8 episodi in grado di superare le aspettative. Tra addii, tradimenti e riscoperte delle proprie ambizioni, i ragazzi conosciuti nel corso della prima stagione di Euphoria si avventura in un nuovo ciclo di racconti dal sapore corale, in cui ognuno di loro trova spazio aggiungendo un tassello narrativo prestigioso al suo percorso di crescita, nel bene e nel male. Attraverso l’intreccio di queste storie, Levinson si prefigge così di trovare ulteriori spunti per raccontare, attraverso la generazione Z, vizi e virtù di un’intera società. Sembra che raccontare gli Stati Uniti – e non solo! – attraverso gli abusi e gli eccessi che segnano diverse generazioni sia una delle specialità della famiglia Levinson. La seconda stagione di Euphoria, infatti, segue di poche settimane la conclusione della miniserie Dopesick diretta da Barry Levinson, padre di Sam, incentrata sulla lotta alla dipendenza da oppioidi negli Stati Uniti a partire dagli anni Novanta. Con questo titolo, lo show HBO condivide la capacità di raccontare piccole conquiste, ricadute e agognate riscoperte di persone oltre le dipendenze, attraverso quelli che sono gli intrecci delle relazioni personali. I nuovi episodi pongono proprio l’accento su questa costante interconnessione, sulla concezione di un ecosistema governato da dinamiche in cui ogni personaggio è strettamente interconnesso all’altro. Per questo motivo questa stagione che intreccia singole storie all’apparenza meno articolate degli episodi precedenti funziona così bene come racconto corale di inquietudini che esplode in un finale dai toni teatrali. Dopo una partenza che lasciava presagire una semplice replica amplificata dei toni della prima stagione, Euphoria riesce a superare allora i suoi stessi obiettivi ridefinendo una dimensione più intima per i suoi personaggi che finalmente si liberano da una concezione della storia Rue-centrica. Zendaya continua a splendere ma è una delle tante stelle della costellazione di giovani interpreti che illuminano questi nuovi episodi. Sydney Sweeney, Angus Cloud, Maude Apatow e non solo: ognuno di loro con il suo personaggio ha una necessità da raccontare, un percorso da tracciare per rispondere alla domanda ricorrente “sono o sarò una brava persona?”. Nello sfuggire ai ruoli che gli sono stati assegnati, tutti loro, però, troveranno nuove parti da recitare in un epilogo quasi tragico che nella sua componente meta regala due dei migliori episodi televisivi degli ultimi anni.
Dopo un finale di stagione che spezza ancora una volta il naturale corso degli eventi nonché i desideri degli appassionati, cosa potrà raccontare ancora Euphoria nella sua terza stagione già confermata? La risposta arriverà solo da Sam Levinson che dovrà confrontarsi con standard di qualità sempre più alti. Immagini tratte da: www.rbcasting.com www.hollywoodreporter.com www.movieplayer.it di Matelda Giachi ![]()
Genere: Drammatico, Musicale
Anno: 2021 Durata: 124 min Regia: Joe Wright Cast: Peter Dinklage, Haley Bennett, Kelvin Harrison Jr., Ben Mendelsohn, Bashir Salahuddin, Monica Dolan, Joshua James, Anjana Vasan, Ruth Sheen, Mark Benton, Richard McCabe, Peter Wight, Tim McMullan Sceneggiatura: Erika Schmidt Fotografia: Seamus McGarvey Montaggio: Valerio Bonelli Musica: Aaron Dessner, Bryce Dessner Produzione: MGM e Working Title Films Distribuzione: Eagle Pictures Paese: Gran Bretagna, Italia, Canada, USA
Cosa vedi quando guardi nello specchio? Ti piace quello che vedi? Quanti risponderebbero affermativamente a questa domanda? Chi, potendo, non prenderebbe in mano una gomma e una matita per correggere l’immagine riflessa? Nel testo originale di Edmond Rostand, Cyrano De Bergerac è un uomo capace nell’uso della penna quanto della spada ma con un lungo naso che lo fa sentire profondamente a disagio col proprio aspetto. Nel film di Joe Wright questa imperfezione fisica è sostituita da un difetto di altezza, rendendo il ruolo perfettamente calzante per l’attore protagonista Peter Dinklage e dando all’opera un respiro moderno e un linguaggio universale. Incapace di confessare a Roxanne quello che prova per paura di essere respinto a causa del suo aspetto fisico, quando questa si invaghisce di Christian, un giovane e bellissimo cadetto, Cyrano presta al giovane le proprie parole. Scrive lettere appassionate che infiammano il cuore e la mente della brillante Roxanne.
Il film è la trasposizione di uno spettacolo off Broadway di cui sia Peter Dinklage (Cyrano) che Haley Bennet (Roxanne) erano già protagonisti. Joe Wright ha un grande amore per il teatro, la cui struttura riporta un po’ in ogni sua opera (ricordiamo soprattutto Anna Karenina). Lo fa anche con Cyrano, in cui tempo e spazio sono solo approssimati e la vicenda sembra svolgersi in una dimensione favolistica in cui la parola si alterna al canto ma con molto equilibrio, senza prendere mai del tutto la strada del musical. Le canzoni (nessuna, va detto, indimenticabile) nascono nei momenti di poesia in modo quasi naturale, senza mai essere invadenti. La regia è un trionfo di estetica, pura gioia per gli occhi. Di tanta attenzione risente però il lato sentimentale. Sul fronte delle emozioni Wright si affida alla bravura dei suoi protagonisti e alla profondità dello sguardo di Dinklage, nella quale spesso si affonda con la macchina da presa, ma questo non sempre basta a compensare una dose troppo parca di passione nella scrittura.
“Io ho amato il mio orgoglio”, afferma a un certo punto il protagonista. Perché Cyrano è la storia di un grande amore ma anche di un uomo che non riesce a vedere oltre il proprio naso, o la propria altezza. Che, troppo concentrato sui propri difetti, non sfrutta i propri pregi e si preclude da solo il sogno di vivere l’amore. Un invito ad essere e ad abbracciare se stessi che è sempre attuale.
Voto: 7,5 |
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Marzo 2023
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