di Salvatore Amoroso Il MCU festeggia 10 anni di pellicole regalandoci la sua opera più grande. Dalla battaglia di New York al temuto approdo sulla Terra di uno dei più temuti villain di sempre, Thanos. Scopriamo come si è evoluto questo franchise che lentamente è entrato a far parte delle nostre vite. ![]() Titolo originale: Avengers: Infinity War Paese di produzione: USA Anno: 2018 Durata: 149' Genere: Azione, avventura Regia: Joe e Anthony Russo Sceneggiatura: Christopher Markus & Stephen Mcfeely Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Fotografia: Trent Opaloch Montaggio: Jeffrey Ford, Matthew Schmidt Colonna sonora: Alan Silvestri Cast: Robert Downey Jr. (Tony Stark); Chris Hemsworth (Thor); Mark Ruffalo (Bruce Banner); Chris Evans (Steve Rogers); Scarlett Johansson (Natasha Romanoff); Benedict Cumberbatch (Stephen Strange); Tom Holland (Peter Parker); Zoe Saldana (Gamora); Josh Brolin (Thanos); Elizabeth Olsen (Wanda Maximoff); Chris Pratt (Peter Quill). ‘’Il troppo stroppia’’ recita il famoso detto e Joe e Anthony Russo, i registi dell’ultimo film Marvel, l’avranno pensato. Forse i due si saranno chiesti se fosse il caso di spingere così tanto l’acceleratore, se fosse il caso di partorire la pellicola Marvel con più supereroi primari rispetto a qualsiasi altro film realizzato finora. Se lo saranno chiesti e si sono decisamente presi i loro rischi. L’hype attorno a Avengers: Infinity War era altissimo, basti pensare che ha toccato i quattro milioni di euro in Italia solo nelle prime 48 ore, record d’incassi mostruoso. No, non si può negare: il rischio era alto ma ne valeva decisamente la pena. Quest’ultimo capitolo dei Vendicatori è come un fiume in piena. Ti travolge dall’inizio alla fine, flirta furbescamente con alcune delle domande che tormentano da secoli il genere umano. Gioca con le nostre emozioni, talvolta lo fa con troppa semplicità, talvolta utilizza toni severi e profondi per comunicarci qualcosa. Forse la carne al fuoco è davvero troppa e risulta arduo recensire un prodotto del genere ma nel complesso i fratelli Russo hanno vinto la sfida e si preparano a concludere la FASE 3 del MCU (Marvel Cinematic Universe), proiettando il progetto verso una nuova direzione, misteriosa e allo stesso tempo dannatamente affascinante. Thanos (Josh Brolin) e i suoi scagnozzi, l’Ordine Nero, sono alla ricerca delle Gemme dell’infinito, sei pietre preziose formate alla creazione dell'Universo. Se riuscirà ad ottenerle tutte e sei sarà in grado di spazzare via metà dell'Universo semplicemente schioccando le dita. Thanos è il villain definitivo dell’universo Marvel, il più spietato ma anche il più profondo. Non è solo la sua smisurata forza a farci paura, è il suo pensiero quello che riesce a spiazzarci maggiormente. I Vendicatori finiscono per dividersi in gruppi per proteggere le gemme presenti sulla Terra e Thor parte nella sua missione per trovare un'arma che possa eliminare il titano. Senza spoilerare nulla, il modo in cui i personaggi vengono suddivisi nei loro vari gruppi è piuttosto casuale, ma anche molto divertente. Possiamo vedere Tony Stark (Robert Downey Jr.) al fianco di Doctor Strange (Benedict Cumberbatch), che ovviamente si traduce in una gara ‘’a chi sputa più lontano’’ tra due enormi ego. Troviamo Thor (Chris Hemsworth), un uomo che ha perso ‘’quasi’’ tutto, confidare in Rocket (Bradley Cooper), un personaggio che ha passato quasi tutta la sua vita ad allontanare le persone. Questo mix di personalità borderline ed eroiche si traduce in dialoghi unici, una gioia per gli occhi, per i fan e non solo. Infinity War, oltre al suo variegato mix, è il film che punta con coraggio sul suo assoluto protagonista: il Villain Thanos. Il Primo antagonista che non puoi fare a meno di amare scandisce l'azione di una pellicola che a volte ha il brutto vizio di risolvere alcune vicende con troppa semplicità. Ad esempio, la storia d’amore tra i due personaggi Visione (Paul Bettany) e Scarlet (Elizabeth Olsen), sulla carta è parecchio matura e i risvolti potevano essere molti, purtroppo però, in mezzo a questa frenesia e talvolta caos, non viene approfondita, come la maggior parte delle sottotrame presenti in Infinity War che vengono spesso strozzate. Una sceneggiatura non esente da diverse pecche ma che appunto trova conforto nell’affascinante espressione di Brolin che interpreta un personaggio pieno di determinazione e solitudine. Thanos sa che sta facendo qualcosa di orribile, ma crede fermamente in quello che fa, per questo sarà difficile contrastarlo. Inutile dirvi che il cast di Infinity War è ricco e che avrete delle difficoltà a ricordarvi tutti gli attori presenti all’interno del film. L’epicità e l’adrenalina di alcune sequenze vi terranno con il fiato sospeso ma il ritmo forsennato dell’opera dei fratelli Russo non piacerà a tutti. Quest’ultimo capitolo degli Avengers è destinato a far discutere, anzi è sapientemente costruito per far parlare di sè all’infinito. Come tutti sapevano fin dal principio, questa è la fine di un’era Marvel che vede sorgere all’orizzonte una nuova alba, ricca di nuove storie e nuovi intrecci che potremo ammirare solo in Avengers 4. Come sempre la Disney centra l’obiettivo e noi non possiamo non lodare lo straordinario lavoro dei suoi Marvel Studios, capaci di ridefinire il concetto di intrattenimento, inventando un prodotto che è destinato a monopolizzare la nostra cultura. Il nostro consiglio è quello di andare al cinema a godere di questo film, non privo di pecche, ma che funziona molto bene e riesce a conquistarci con la sua rocambolesca epicità. Immagini tratte da: Locandina: BadTaste.it Immagine1: Americatv.com.pe Immagine2: Cinema.com Immagine3: Nerdbot.com Immagine4: ProjectNerd.com
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di Federica Gaspari ![]() Data di uscita: 19 aprile 2018 Genere: drammatico, biografico. Anno: 2017 Regia: Aaron Sorkin Attori: Jessica Chastain, Idris Elba, Kevin Costner, Michael Cera, Bryan d’Arcy James, Jeremy Strong Sceneggiatura: Aaron Sorkin Fotografia: Charlotte Bruus Christensen Montaggio: David Rosenbloom Colonna sonora: Daniel Pemberton Produzione: The Mark Gordon Company, Entertainment One, Pascal Pictures Distribuzione: 01 Distribution Paese: USA Durata: 140’ The Social Network, L’arte di vincere e Steve Jobs: cosa unisce queste tre pellicole dell’ultimo decennio cinematografico? Tutte condividono un soggetto biografico di grande impatto, ottimi riconoscimenti e premi internazionali e sublimi sceneggiature curate da Aaron Sorkin. Il maestro della scrittura per il grande schermo, ad ogni lavoro, sa come imprimere su celluloide le forti personalità dei protagonisti con dialoghi scolpiti minuziosamente, parola dopo parola. Dopo una breve esperienza nel mondo della recitazione e del teatro ai tempi del college, Sorkin ha debuttato nelle fortunate vesti di sceneggiatore nel 1992 ma solo recentemente ha aggiunto al suo autorevole curriculum l’esperienza da regista. Molly’s Game, biopic insolito e ambizioso, rappresenta l’inizio di un nuovo brillante periodo per lo sceneggiatore newyorkese che, per il suo esordio, ha scelto una storia e un cast d’eccellenza. Nei panni della protagonista, infatti, c’è Jessica Chastain, talento che in un solo decennio di carriera cinematografica ha saputo collaborare brillantemente con registi e autori di altissimo livello: da Terrence Malick a Christopher Nolan passando per Kathryn Bigelow e Ridley Scott. La sua presenza nel cast, insieme al sempre ottimo Idris Elba, è la carta vincente per un film che, sia in patria a stelle e strisce che fuori dai confini, merita molta più attenzione. Impervie piste di sci freestyle e verdi tavoli da poker: terreni di gloriose vittorie come di rovinose sconfitte. Un errore o una semplice fatalità in entrambi i casi possono segnare irrimediabilmente il destino di una persona. Molly Bloom (Chastain), sciatrice poco più che ventenne, all’ultima discesa per la qualificazione alle Olimpiadi invernali ha provato sulla propria pelle le conseguenze di queste crudeli dinamiche. Una caduta ha interrotto la sua gara e ha cambiato le carte in gioco nella sua vita. La ragazza, riadattando le strategie da vincente insegnatole dal padre (Kevin Costner) in tenera età, avvia rapidamente a Los Angeles una fortunata carriera come organizzatrice di partite di poker a cui partecipano facoltosi e celebri imprenditori o personaggi dello spettacolo. Molly diventerà la custode di segreti e ossessioni, intrecciando i suoi successi con pericolosi ostacoli che la porteranno al suo arresto in seguito a un’operazione dell’FBI. Sarà costretta a difendersi da pesanti accuse. Solo un valido avvocato (Elba) potrà aiutarla. Dialoghi ben congegnati, un ritmo travolgente, una storia vera ma incredibile, una protagonista strepitosa e il poker è servito! L’esordio registico di Sorkin inquadra alla perfezione gli alti e bassi di una donna temprata da anni di duri allenamenti finalizzati a un unico risultato: il successo, una strana forma di potere inebriante che rende consapevole Molly del suo ruolo di prestigio. Nemmeno un terribile incidente cambia i suoi piani e una sempre più brava Chastain – a cui ingiustamente non è stata riservata nemmeno una nomination all’ultima edizione degli Oscar – impersona ogni sfumatura di questa affascinante creatura, dalla più granitica degli inizia alle più tenui e spontanee. La sua dinamica interpretazione è pura gioia per gli occhi e per le orecchie grazie a fiumi di incalzanti scambi di battute sorretti ritmicamente da un’ottima soundtrack composta dalla certezza Pemberton. Non lasciatevi ingannare dalla durata e dall’ostico tema del poker: Sorkin sa come appassionare e accompagnare lo spettatore in un mondo scintillante e turbolento con la dolcezza delle parole più accoglienti. Osservate attentamente, questo non è un bluff! Correte subito al cinema! 7° FIPILI Horror Festival Sono 11 lungometraggi e 92 cortometraggi i film presentati al FIPILI Horror Festival 2018 Ospiti della settima edizione: Donato Carrisi, Mariano Baino, Valerio Evangelisti, Manetti Bros., Ivan Zuccon, Daniele Misischia, Cristiano Ciccotti, Claudio Camilli, Roberto D’Antona, Annamaria LoRusso, Gianclaudio Cappai, Luciano Tovoli, Piercesare Stagni, Valentina Valente, Silvia Tarquini, Anna Pastore, Lukha B. Kremo, P.G. Daniel, Linda De Santis, Federico Frusciante, Claudio Bartolini, Ilaria Feole, Michele Galardini, Pier Luigi Gaspa, Fabio Canessa, Filippo Mazzarella, Matteo Pennacchia, Valentina D’Amico, Malleus Rock Art Lab, Giorgio Bernard, Paolo Morelli, Gaetano Ventriglia. Il FIPILI Horror Festival, che si terrà a Livorno il 28, 29, 30 aprile e 1° maggio, taglia il traguardo della VIIª edizione. Un festival che propone da sempre, come marchio identificativo, il rapporto tra cinema e letteratura. Mai come quest’anno la fusione tra carta e “pellicola” risulta essere il fil-rouge dei tanti eventi previsti tra proiezioni, incontri, dibattiti, workshop e masterclass. Il festival tematico della paura e del fantastico tra cinema e letteratura ha in programma 11 lungometraggi e 92 cortometraggi. Quest’ultimi, suddivisi nelle categorie horror-thriller, fantastico-fantascienza, weird, opere internazionali, rappresentano da sempre la colonna portante del festival la cui premiazione è fissata per l’ultima giornata del 1° maggio, mentre i migliori racconti saranno premiati il 28 aprile. Tra i protagonisti della quattro giorni Donato Carrisi, lo scrittore da poco premiato come miglior regista esordiente al David di Donatello 2018 direttamente da Steven Spielberg. Per entrare in profondità nell'intreccio tra romanzo e sceneggiatura, la prima parte della serata del 30 aprile, sarà imperniata sulla presentazione della sua ultima fatica letteraria, L’uomo del labirinto (Longanesi), e si chiuderà con la proiezione di La ragazza nella nebbia, film scritto e diretto da Carrisi che vede come protagonisti Toni Servillo, Jean Reno e Alessio Boni. Molte le proiezioni alla presenza dei registi e dei cast con la proiezione in occasione dei 25 anni dall’uscita del cult horror italiano Dark Waters di Mariano Baino (29/4), The Wicked Gift di Roberto D’Antona (30/4), in anteprima assoluta Herbert West Reanimator di Ivan Zuccon (30/4), Senza lasciare traccia di Gianclaudio Cappai (1/5), e in esclusiva italiana, dopo le uniche proiezioni al Fear festival di Londra e alla festa del cinema di Roma, The End? di Daniele Misischia (1/5). Altri lungometraggi che verranno proiettati al festival saranno: in anteprima italiana Insidious – L’ultima chiave di Adam Robitel (28/4) e The Whispering Star di Sion Sono (29/4), The Void – il vuoto di Jeremy Gillespie e Steven Kostanski (28/4) presentato dalla giornalista Valentina D’Amico, e infine due classici che hanno fatto la storia del genere come Deliria di Michele Soavi (29/4) e Suspiria di Dario Argento (1/5), alla presenza del direttore della fotografia Luciano Tovoli. Non mancheranno gli appuntamenti formativi dedicati a workshop e masterclass. Attraverso uno sguardo esclusivo dall'interno del mondo editoriale la masterclass intitolata “Il re ed io” di Anna Pastore, editor italiana di Stephen King per Sperling & Kupfer, farà luce su questo ruolo fondamentale nel mondo dell’editoria contemporanea e rivelerà storie e aneddoti sul suo rapporto lavorativo con King (29/4). Per gli amanti della scrittura di fantascienza il Premio Urania 2015 Lukha B. Kremo terrà un workshop finalizzato alla realizzazione di un racconto di fantascienza. La due giorni sarà arricchita dalla presenza degli autori P.G. Daniel e Linda De Santis (28-29/4). A coronare questo percorso lo scrittore Valerio Evangelisti che in video conferenza, sarà il protagonista di una conversazione per riflettere sullo stato dell’arte della fantascienza nel 2018. Il padre letterario di Nicolas Eymerich racconterà infatti storia, mutamenti e nuovi scenari per gli autori del genere (29/4). Il direttore della fotografia Luciano Tovoli, già collaboratore di Dario Argento, Marco Ferreri, Michelangelo Antonioni, Andrej Tarkovskij, Ettore Scola e molti altri, terrà una masterclass sull’uso della luce nel cinema di genere e non. A seguire verrà presentato, assieme a Tovoli stesso e ai curatori Piercesare Stagni, Valentina Valente e Silvia Tarquini, il libro Suspiria e dintorni. Conversazione con Luciano Tovoli (1/5). Il FIPILI Horror Festival 2018 ospiterà un focus su Michele Soavi realizzato in collaborazione con Edizioni Bietti. Il regista di Deliria, La chiesa, La setta e molti altri titoli, verrà celebrato con la presentazione del libro scritto da Ilaria Feole dal titolo Michele Soavi: Cinema e televisione (29/4) e dal nuovo numero della rivista gratuita Inland. Il giornalista Claudio Bartolini, insieme al direttore del festival pistoiese Presente Italiano Michele Galardini, sarà al centro della presentazione del suo libro Il cinema giallo thriller italiano (Gremese Editore), non solo un dizionario del cinema giallo italiano ma un volume già fondamentale per gli amanti del genere (28/4). Verrà omaggiata la figura di Frankenstein con un incontro sul volume Frankenstein. Il mito tra scienza e immaginario. Il giornalista Fabio Canessa converserà con Pier Luigi Gaspa, uno degli autori del testo, in un evento chiamato “200 anni di Frankenstein – il mostro infelice” (27/4). Oltre al connubio cinema-letteratura, nella 7ma edizione del festival verranno esplorate anche le connessioni tra cinema-arte con una mostra del collettivo artistico Malleus Rock Art Lab dal titolo “Martello dei sensi”. Malleus ha curato l’aspetto grafico delle recenti edizioni home video di CG Entertainment dei lavori di Dario Argento come 4 mosche di velluto grigio, Profondo rosso e Opera. Al festival saranno esposte 30 opere originali, serigrafate manualmente, creazioni in bilico tra illustrazioni cinematografiche, sensorialità e arte dal grande impatto emotivo. Non mancheranno tre appuntamenti con Federico Frusciante: il primo vedrà Frusciante protagonista di una videointervista realizzata a Sergio Martino e Luc Merenda durante l’ultima edizione del festival pistoiese Presente Italiano, il secondo sarà un sentito omaggio a Umberto Lenzi denominato “Le monografie live di Federico Frusciante”, nel quale il noto videotecaro-youtuber ripercorrerà dal vivo i passi salienti della carriera di Lenzi nelle modalità che solitamente attua nelle sue videorecensioni di Youtube (28/4), infine il terzo, dal titolo “Vietato dire Netflix”, che verterà sulle nuove modalità di fruizione di film e serie tv (1/5).
PREZZI: L’ingresso agli eventi è consentito con tessera associativa FIPILI HORROR FESTIVAL 2018 al costo di 3 euro Biglietti: - Giornaliero 7 euro ingresso valido per l’intera giornata in corso. - Abbonamento 22 euro abbonamento completo per tutti i 4 giorni del festival. Workshop: “Scrivere un racconto di fantascienza”: 2 lezioni 15 euro - 1 lezione 10 euro “La fotografia nel cinema horror”: 10 euro Eventi ad ingresso gratuito con la sola tessera associativa: “Martello dei sensi”, “Insidious - l’ultima chiave”, premiazioni dei concorsi letterari e del concorso cortometraggi. Luoghi del festival: Cinema La Gran Guardia - Via del Giglio 18, Livorno Nuovo Teatro delle Commedie - via G.M. Terreni 5, Livorno Sala Asili Notturni - via G.M. Terreni 5, Livorno (presso Nuovo Teatro delle Commedie) www.fipilihorrorfestival.it mail: fipilihorrorfestival@gmail.com infoline:3287372627/3395781493 Comune di Livorno www.comune.livorno.it Accrediti stampa: stampafipili@gmail.com Partner: Benetti Erboristerie - Via Marradi 205, Livorno 0586 807111 Videodrome Noleggio film - Via Magenta 25 Livorno 0586 210033 Feltrinelli Livorno - Via di Franco, 14 Livorno 199 151 173 Mondadori Libreria - Via Magenta 23, Livorno 0586219353 Librerie Coop - Via Gino Graziani, 6, Livorno 0586 407072 Crediti: Direzione Artistica e Tecnica - Alessio Porquier e Ciro Di Dato Addetto Stampa - Tomas Ticciati Graphic Design - Enrico Costalli Organizzazione - Filippo Figone Consulente artistico - Michele Innocenti Responsabile mostra - Elisa Toni Segreteria di edizione - Andrea Pipitone, Antonio Perri, Lorenza Marini. Corso di Laurea DISCO, Università di Pisa Sigla Festival - Ivan Zuccon
di Vanessa Varini
Paese: Italia
Anno: 2016 - 2018 Formato: serie TV Genere: commedia drammatica Stagioni: 2 Episodi: 12 (prima stagione) e 12 episodi (seconda stagione) Durata: 50 min (episodio) Ideatore: Pif, Michele Astori, Michele Pellegrini, Stefano Bises Regia: Luca Ribuoli Soggetto: Pif Sceneggiatura: Pif, Stefano Bises, Michele Astori Cast: Claudio Gioè (Lorenzo Giammarresi); Anna Foglietta (Pia Melfi-Giammarresi); Nino Frassica (Frà Giacinto); Francesco Scianna (Massimo Melfi); Angela Curri (Angela Giammarresi); Edoardo Buscetta (Salvatore Giammarresi); Valentina D'Agostino (Patrizia); Andrea Castellana (Alice Guarneri) Con la voce narrante di Pif, ideatore della serie, La mafia uccide solo d'estate narra le vicende di una comune famiglia di Palermo nei primi sette mesi del 1979. I protagonisti sono Lorenzo (Claudio Gioè), il capofamiglia che lavora all’anagrafe di Palermo, un uomo onesto che si imbatte in un omicidio mafioso; Pia (Anna Foglietta) la moglie di Lorenzo che fa la supplente a vita e poi c'è il giovane protagonista, Salvatore (Edoardo Buscetta) che racconta gli eventi che accadono attorno a lui, come gli omicidi mafiosi o come quando a scuola scopre che è arrivata una nuova compagna, la bella Alice. La prima stagione si chiude con l'omicidio del capo della squadra mobile Boris Giuliano. Testimoni del delitto, la famiglia Giammaresi vuole lasciare la Sicilia per paura di ritorsioni ma alla fine deciderà di restare per combattere la mentalità mafiosa, per ribellarsi allo stato di decadimento della scuola e diffondere la cultura.
Dopo l’enorme successo ottenuto, la serie è stata rinnovata per una seconda stagione che andrà in onda il 26 aprile; anche questo secondo capitolo è stato diretto da Pif, alias Pierfrancesco Diliberto.
Se la prima stagione era narrata da Salvatore bambino e ambientata in una Palermo di fine anni ‘70 - tra primi amori, flashback, episodi riferiti alla guerra di mafia con il boss mafioso Totò Riina e i Corleonesi- questa seconda stagione è ambientata negli anni ‘80 con l'elezione del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella e con l'esplosione della Seconda Guerra di mafia; questi eventi vengono narrati da un Salvatore ormai adolescente.
Nel cast spiccano sempre nomi di prestigio come Claudio Gioè, Anna Foglietta, Francesco Scianna che interpreta Massimo, fratello di Pia e zio del protagonista, guardia forestale, siciliano vecchio stampo e simpatizzante dei mafiosi, Nino Frassica il sacerdote Fra' Giacinto colluso con i mafiosi, Angela Curri che interpreta Angela la sorella di Salvatore, una ragazza ribelle e femminista, Carmelo Galati, Sergio Vespertino, Dajana Roncione. Marchio di fabbrica della serie é il mix di commedia e dramma dosato sapientemente; si riesce a scherzare con argomenti seri, senza però mancar loro di rispetto, prendendo in giro i boss, mettendo in risalto gli eroi dell’antimafia che hanno sacrificato le loro vite per la difesa dello Stato e il coraggio della gente comune che squarcia il velo di omertà che regna sulla città di Palermo. La mafia uccide solo d'estate capitolo 2 è una serie da vedere perché è attualissima: la mafia non riguarda solo i siciliani e il Sud, ma tutta l'Italia.
Immagini tratte da: http://www.tuttotv.info/ http://www.optimaitalia.com/ https://popcorntv.it/
di Fabrizio Matarese
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Genere: Commedia, Drammatico, Fantastico
Anno: 2017 Regia: Ian Lagarde Cast: Sylvio Arriola, Ludovic Berthillot, Alexander Guerrero, Richard Jutras, David La Haye, Yaité Ruiz Sceneggiatura: Ian Lagarde Fotografia: Ian Lagarde Montaggio: Mathieu Grondin Produzione: Ménaïc Raoul, Gabrielle Tougas-Fréchette Distribuzione: Stray Dogs Durata: 85’ Paese:Canada
La seconda giornata del Lucca Film Festival e Europa Cinema è stata ricca di film ed eventi. Prima del gran finale, con la cerimonia di consegna del premio alla carriera a Martin Freeman, abbiamo assistito, al Cinema Centrale, alla proiezione del primo lungometraggio di Ian Lagarde, All you can eat Buddha.
Il film parte da alcune premesse all’apparenza ordinarie: un uomo di mezza età, che si fa chiamare semplicemente Mike, un gigante rasato con qualche kilo di troppo, arriva in un villaggio vacanze sulle paradisiache spiagge caraibiche. Appena giunto all’Hotel Palacio, Mike inizia a comportarsi come un normale turista che, lontano dal logorio del lavoro e delle grigie città occidentali, si gode un po' di relax e pace in riva al mare. Ma fin da subito alcuni personaggi notano un’aura misteriosa che circonda quest’uomo singolare. Non sono pochi coloro che subiscono una fascinazione, all’apparenza ingiustificata, nei confronti di quest’individuo trasandato e malmesso. Come la cameriera Esmeralda che gli lascia in stanza strani biglietti corredati di alcuni disegni enigmatici e allusivi.
La vita procede placida all’Hotel Palacio tra ricchi pranzi consumati in solitudine e serate passate ai margini delle feste offerte dal personale del resort: Mike sembra più in cerca di serenità e rifugio che di divertimento e spensieratezza.
A un certo punto del film c’è un evento che segnerà il protagonista in maniera indelebile: Mike libera una piovra arenata sulla battigia e mentre la rimette nell’acqua sente la sua voce, la voce dell’animale che gli sussurra parole oracolari di riconoscenza e monito.
Un avventore del resort, incuriosito dall’appetito miracoloso del protagonista, gli si avvicina durante un pranzo e dopo una breve conversazione gli confida che la figlia, anche lei presente nella sala, da diversi mesi non mangia cose solide. A questo punto Mike osserva la ragazza seduta al tavolo, si alza e si dirige verso di lei; qui abbiamo un primo incontro con le qualità straordinarie di questo misterioso individuo. Dopo averle sussurrato qualcosa all’orecchio, la ragazza lentamente muove la forchetta sul piatto di lasagne che ha davanti e, sotto gli occhi increduli del padre, ingerisce un boccone.
Questo lavoro di Lagarde ha un andamento ipnotico che parte piano e accentua progressivamente il tasso onirico delle scene, fino al climax lisergico finale. All you can eat Buddha non è un film convenzionale, non propone una storia pienamente conclusa e comprensibile e i personaggi conservano tutti una buona dose di ermetismo. L’atmosfera è giocata dosando sapientemente surrealismo, commedia e dramma.
Il titolo forse offre uno spunto per addentrarsi nei meandri di quest’opera enigmatica: un’espressione emblematica del consumismo occidentale, dell’all inclusive, del turismo massivo e plastificato, accostata al nome di una figura sacra della spiritualità orientale. Questa giustapposizione crea un cortocircuito che scardina il nostro modo di pensare. E così anche il film di Lagarde riesce a sorprendere a ogni scena e ci porta in un mondo affascinante e mortale, infuso di luce mistica, facendo dell’Hotel Palacio un luogo metafisico.
Immagini tratte da: https://www.cinoche.com www.traileraddict.com https://www.stray-dogs.biz Potrebbe interessarti anche: di Federica Gaspari ![]() Paese: Spagna Anno: 2017 Genere: drammatico, thriller Stagione: 1 Episodi: 15 Durata: 70-75 min (originale), 40-60 (Netflix) Ideatore: Alex Pina Regia: Jesus Colmenar, Miguel Angel Vivas, Francisco Fernandes, Alejandro Bazzano, Alex Rodrigo Cast: Ursula Corbero, Itziar Ituno, Alvaro Morte, Paco Tous, Pedro Alonso, Alba Flores, Miguel Herran, Jaime Lorrente Produzione: Vancouver Media, Atresmedia C’era una volta un’insolita serie tv ideata, prodotta e distribuita per il solo pubblico spagnolo. Se il colosso di Netflix non si fosse accorto di questa creatura televisiva, probabilmente l’intera comunità di appassionati di serie tv sarebbe stata privata di uno dei titoli più accattivanti e coinvolgenti delle ultime stagioni televisive. La fortunata storia de La casa di carta inizia nella soleggiata penisola iberica, all’ombra di un’industria cinematografica e televisiva che negli ultimi anni ha vissuto vertiginosi alti e bassi faticando a trovare una costanza nell’individuare la vera qualità narrativa. Una semplice idea nata dalla mente di Alex Pina, tuttavia, ha saputo fare la differenza, portando alle luci della ribalta europea e internazionale un gioiellino di scrittura e avventura. La serie di Atres Media e Vancouver Media approda sulla versione italiana della più celebre piattaforma di streaming il 20 dicembre 2017 con i suoi primi 13 episodi con una suddivisione differente da quella della messa in onda in patria. Il 6 aprile scorso altre 9 puntate hanno completato l’arco narrativo di questa mini-serie capace di divenire in breve tempo, grazie al passaparola di entusiasti fan e alle reazioni sui social, un vero e proprio fenomeno di dimensioni globali, un successo che mette d’accordo pubblico e critica. Tokyo, Rio, Berlino, Nairobi… il riecheggiare di questi nomi fa pensare a un tabellone dei voli in partenza oppure a un atlante geografico! Dopo questa visione, tuttavia, queste città entrano senza troppe difficoltà nell’immaginario comune legandosi indissolubilmente a una serie tv i cui protagonisti, alle prese con la pianificazione di una rapina, scelgono come proprio il nome di un capitale per nascondere le proprie identità. Sotto l’attenta guida del freddo e calcolatore ‘Professore’, questo variegato gruppo di rapinatori ha un solo obiettivo: svaligiare la Fabrica Nacional de Moneda y Timbre, la zecca di stato spagnola nonché uno dei luoghi più protetti del paese. È bastata un’idea semplice quanto brillante per accendere la miccia di una narrazione esplosiva, sostenuta da un’estrema attenzione rivolta ai dettagli estetici e sonori. La sigla si avvia, quindi, sulle delicate note di My Life is Going On di Cecilia Krull e si focalizza sulle maschere che coprono i volti dei rapinatori richiamando i tratti eccentrici e surreali del genio di Dalì, oltre che i travestimenti presidenziali di Point Break. Il riferimento iniziale più vivace è però rappresentato dal rosso accesso delle tute dei protagonisti, una versione più comoda dei completi giacca e cravatta de Le Iene tarantiniane e colorate. I punti di contatto, nelle dinamiche corali d’apertura, con il cult del 1992 sono innumerevoli ma lo sviluppo è differente: il rosso è solo un assaggio delle personalità in gioco, multisfaccettate e animate da una rabbia e da un’energia incredibilmente vitali. La lunghezza della serie, che copre l’intera durata della rapina, potrebbe suggerire una situazione claustrofobica per lo spettatore che, invece, si trova subito a proprio agio grazie a un ritmo incalzante agevolato da flashback e incursioni nello schieramento della polizia. L’edificio della zecca rimane comunque il fulcro dell’azione che si arricchisce con svolte inaspettate e con l’instaurarsi al suo interno di sistemi di governo inaspettati che rispecchiano e portano alla luce le vere anime dei personaggi. Difficile, quindi, appassionarsi a una sola figura: tutte sono ben scritte ed elaborate. Quando questo accade, per merito di un validissimo cast, il successo è garantito! Ironia tagliente e intrecci con problematiche economiche e sociali vanno in conclusione a confezionare perfettamente un prodotto destinato a rimanere a lungo negli occhi e nel cuore degli spettatori. Immagini tratte da: https://posterspy.com www.ammazzacaffe.org https://www.recensionedigitale.it https://www.hallofseries.com 10/4/2018 "Isle of dogs" - L'Anteprima italiana al LFFEC18 del nuovo capolavoro di Wes AndersonRead Nowdi Enrico Esposito
La serata di apertura della sesta edizione del Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 è stata illuminata in forma copiosa dalla Prima Visione italiana del nuovo film di Wes Anderson, il genio americano della commedia arguta e surreale. Presentato in esclusiva a febbraio al Festival del Cinema di Berlino che gli ha riconosciuto il Leone d'Argento alla regia, Anderson torna all'animazione in stop-motion dopo “Fantastic Mr.Fox”, in omaggio all'omonimo romanzo di Roal Dahl. “Isle of dogs”, spassoso e sornione racconto di un futuro distopico in un Giappone posto sotto la dittatura del sindaco Kobayashi, che condanna all'esilio tutti i cani presenti nella nazione confinandoli in un'isola che raccoglie rifiuti di qualsiasi tipo. “Influenza canina” è il malanno che Kobayashi si inventa furbescamente per attuare un'autentica estromissione dal mondo comune nei confronti di una razza di animali che egli odia a tutto vantaggio dei gatti. Una segregazione attuata con metodi nazisti, violenti, discriminatori, che possono coinvolgere gli stessi sudditi di Kobayashi, in particolare coloro che si oppongono alle sue idee “anti-canine". Ma inaspettatamente il sindaco-tiranno si ritroverà il suo antagonista peggiore in casa. Aitari Kobayashi,12 anni, è infatti il bambino da lui adottato dopo che questi perde da piccolissimo i suoi genitori in un grave incidente. Durante il ricovero in ospedale, il piccolo aveva avuto il suo primo incontro con Spots, un cane addestrato dall'esercito che gli era stata assegnato come guardia del corpo. Ben presto i due erano diventati veri amici, inseparabili, finché Spots non era stato inviato per primo in assoluto sull’ “Isle of dogs”, chiuso all'interno di una gabbia ipertecnologica. A distanza di alcuni anni dunque Sigari sente sempre più forte la mancanza del suo migliore amico, e decide perciò di rubare un aereo per raggiungere l'isola. Qui atterra malamente, ma viene accolto e curato da un gruppo di cinque cani superstiti. Quattro sono cani domestici o comunque allevati in civiltà. Si chiamano Rex, Duke, Boss e King, e hanno quasi tutti un passato “illustre”, chi come testimonial di una marca di croccantini, chi come mascotte di una squadra di baseball. E poi c'è lui, il randagio, the stray, Chief, che si distingue dagli altri per la sua volontà di distinguersi dal gruppo, anche se in realtà si rimette sempre alle decisioni prese in democrazia. Chief non fa le feste al bambino, dice di odiarlo, di non volerlo aiutare. Fa il duro insomma, ma in realtà la sua sensibilità e il suo coraggio arrivano a rivelare un personaggio ben diverso. Il suo “I bite” (“Io mordo”) ha l'effetto di un colpo di ascia che squarcia in due, ma l'eleganza e l'avvenenza di Nutmeg, una cagnolina d'esposizione, addolciranno la sua furia e cambieranno il suo modo di vedere le cose. La graziosa Nutmeg è la cagnolina sottratta a Tracy Walker, una studentessa americana che sta trascorrendo un periodo di studi in Giappone, una combattente decisa. Non solo un’attivista concreta, ma un'indagatrice precisa e instancabile, pronta a tutto pur di riabbracciare Nutmeg e sconfiggere le ingiustizie continue con cuie Kobayashi governa, zittisce il popolo sebbene esprima un parere avverso al suo, e stia progettando un ulteriore passo nella guerra ai cani. Dopo i fasti di “Grand Budapest Hotel”, Wes Anderson pone le sue doti eccellenti di creatività e rivisitazione narrativa della storia al servizio di un film d'animazione che fa tanto ridere, ma anche rimanere stupiti dinanzi alla purezza che contraddistingue i suoi personaggi. Miyazaki, il suo Giappone e le sue opere da maestro, vegliano dall'alto una storia ambientata nel futuro di droni, ma attaccata alle ventose del passato e del presente. Con un cast stellare di attori che prestano le voci ai protagonisti. Da Bryan Cranston (Chief), Edward Norton (Rex), Bill Murray (Boss), a Scarlett Johansson (Nutmeg), Frances McDormand (interprete Nelson) e la special guest Yoko Ono nei panni di se stessa. "Fattoria degli animali” del Terzo Millennio in slow-motion. Immagini tratte da www.isleofdigsmovie.com, Galleria da foto dell'autore
di Salvatore Amoroso
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John Krasinski, arrivato al suo terzo lungometraggio, dirige una pellicola a metà tra l’horror e il thriller. In sala, vi assicuriamo, regnerà l’assoluto silenzio.
Titolo originale: A Quiet Place Paese di produzione: USA Anno: 2018 Durata: 90’ Genere: Horror, Thriller, Fantascienza Regia: John Krasinski Sceneggiatura: Scott Beck, Bryan Woods, John Krasinski Distribuzione: 20th Century Fox Fotografia: Charlotte Bruus Christensen Montaggio: Christopher Tellefsen Colonna sonora: Marco Beltrami Cast: Emily Blunt (Evelyn Abbott); John Krasinski (Lee Abbott); Noah Jupe (Marcus Abbott); Millicent Simmonds (Regan Abbott); Cade Woodward (Beau Abbott).
A Quiet Place è a metà tra un thriller e un horror. Diretto da John Krasinski, questa pellicola che sa molto di B-Movie ha aperto il Southwest Film Festival e fin da subito ha incuriosito tutti. Il film racconta la storia di una famiglia sotto assedio. Per sopravvivere, deve seguire delle costanti regole di sicurezza: se qualcuno emette un suono, praticamente qualsiasi suono, allora quella persona sarà spacciata. Creature scheletriche con tenaglie simili ai granchi e con teste che ricordano meloni metallici appariranno dal bosco per farti a brandelli. Il nucleo familiare dovrà sopravvivere per una notte, riuscirà a trovare il punto debole di queste orribili creature?
Il film di Krasinski è un esercizio originale di mix di generi, tecnicamente elegante e compiuto, con alcuni momenti di camera vivaci e spaventosi, anche se è un po’ troppo innamorato della logica lapidaria della sua stessa premessa. Il film genera un terrore fluttuante, scaturito dal fatto che quasi ogni suono prodotto da un personaggio è potenzialmente mortale. Più lo guardi, però, più ti accorgi che A Quiet Place è allo stesso tempo troppo artificiale, a tratti macchinoso. Alcuni punti della sceneggiatura risultano poco credibili e il finale del film potrebbe risultare a molti eccessivamente rapido.
Va detto però che Krasinski, al suo terzo lungometraggio, ha la geniale idea di mescolare l’horror movie al thriller sopraffino, dimostrando di riuscire a dirigere un genere tutto nuovo. Lavorare sulla totale assenza di suoni ha poi portato una ventata di aria fresca. Da tempo non si vedeva un film con una tale dose di adrenalina e suspense. Il film ti entra così tanto dentro da riuscire ad ammutolirti per tutta la sua durata. Al centro di tutto ci sono questioni familiari e rapporti padri/figli, ma vi accorgerete che la questione è molto di contorno. A Quiet Place non vuole essere davvero un film sulla famiglia o sulla perdita: ha la fierezza di essere un film di tensione, in cui ogni svolta e ogni nuova minaccia è accompagnata da un rimedio differente approntato dai protagonisti per non morire. Questo dà a ogni singola scena una dinamica e un ritmo diversi, impedendogli di ripetersi e tenendo sempre lo spettatore sulla corda.
Nel cast potrete trovare lo stesso John Krasinski che interpreta il padre, affiancato dalla compagna (partner nella vita reale) Emily Blunt, volto che conosciamo e abbiamo imparato ad apprezzare moltissimo in Europa. Da tenere d’occhio anche i due giovani attori Noah Jupe e la fortissima Millicent Simmonds, il coraggio e la forza di quest’ultima vi saprà conquistare. Se state cercando un ottimo horror (come non se ne vedeva da tempo) A Quiet Palce è il film che state cercando e potete starne certi: non emetterete un singolo rumore.
Immagini tratte da: Movieplayer MondoFox TheFourohfive.com Inverse.com LandMarkCinemas.com
di Carlo Cantisani
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Data uscita: 4 agosto 2017 (Stati Uniti), 5 aprile 2018 (Italia)
Genere: noir, thriller Anno: 2017 Regia: Taylor Sheridan Cast: Jeremy Renner; Elizabeth Olsen; Graham Greene; Gil Birmingham; Jon Bernthal; Kelsey Asbille Sceneggiatura: Taylor Sheridan Fotografia: Ben Richardson Montaggio: Gary D. Roach Colonna Sonora: Nick Cave & Warren Ellis Produzione: Acacia Entertainment, Savvy Media Holdings, Thunder Road Pictures, Film 44 Distribuzione: The Weinstein Company, Eagle Pictures Paese: USA/GB/Canada Durata: 107’
Secondo il dipartimento di Giustizia americano, tra gli indiani d’America il tasso degli stupri nei confronti di giovani donne native è il doppio di quello nazionale, con soltanto il 13% delle denunce fatte in tutti gli Stati Uniti prese in considerazione. Abbandonati dalle istituzioni e in una situazione di completo degrado e miseria, per quello che rimane delle tribù indiane degli Usa, così come del Canada e dell’Alaska, lo stupro legato alla scomparsa e all’assassinio delle donne native è tragica realtà quotidiana. Senza nessun tipo di supporto, a oggi non esiste neanche un elenco completo di queste vittime di cui non si sa più nulla.
Parte da questo spaccato sociale il film di Taylor Sheridan, I segreti di Wind River, titolo che rimanda nella realtà all’omonima riserva indiana nel Wyoming, la settima più grande degli Usa, vessata da un alto numero di omicidi di donne indiane d’America. Omicidi rimasti irrisolti a causa di un divieto governativo del 1978 che non permette alle tribù del posto di perseguire e processare i crimini commessi da non-nativi in terra nativa. Una materia altamente delicata, che viene trattata con sensibilità e partecipazione attraverso lo sguardo del noir e del thriller grazie alla loro capacità di indagare nei recessi più oscuri dell’animo, restituendo così una vicenda dai toni realistici, duri e senza fronzoli, evitando rappresentazioni idealistiche, romantiche o da cartolina che il cinema americano spesso e volentieri ha dedicato alle vicende dei nativi americani.
I segreti di Wind River, terzo capitolo di quella che Sheridan ha definito la sua personale trilogia della frontiera insieme a Sicario e Hell or High Water, per i quali è stato acclamato sceneggiatore mentre questa volta lo troviamo anche dietro alla macchina da presa, sposta lo sguardo dal confine col Messico dei cartelli della droga e dalle aride e polverose strade del Texas per piombare nella wilderness nord statunitense dei boschi innevati e popolata da fauna selvaggia. In primis, l’uomo.
Il mito della frontiera si rinnova ancora una volta, quindi, a latitudini differenti, ma le caratteristiche dell’epica puramente americana di frontiera rimangono intatte: la labilità di bene e male, uomini in cerca di una forma di riscatto, la violenza e il senso di tragedia che sembra legare indissolubilmente persone e ambienti. La storia, poi, è tanto essenziale nella sua semplicità, priva di colpi di scena o di snodi particolari, quanto funzionale a ciò che realmente interessa a Sheridan: le dinamiche interiori dei personaggi e il loro inserimento nella cornice delle tragiche condizioni di vita di uomini e donne abbandonati. Il ritrovamento in mezzo alla neve dei boschi del cadavere di una ragazza indiana da parte del guardiacaccia Cory Lambert (un grandissimo Jeremy Renner) che cercherà di dipanare la vicenda insieme all’agente FBI Jane Banner (Elizabeth Olsen), giovane e inesperta ma tenace, dà il via a una micro indagine dal taglio quasi antropologico di un territorio martoriato, dove gli adulti sono più dei sopravvissuti dell’antica stirpe indiana e i giovani condannati a un presente di droga e degrado senza alcun futuro. La regia di Sheridan gioca un ruolo fondamentale in questo tipo di narrazione, grazie a un taglio a tratti documentaristico, spiando i personaggi da lontano facendoli sovrastare dall’ambiente naturale, per poi approcciarsi a loro quando si aprono per confidare il loro dolore attraverso i dialoghi, uno dei punti di forza della pellicola, perfettamente adeguati e mai scadenti. Proprio in questi frangenti, il film mostra tutta la sua peculiarità, assumendo toni da dramma e mettendo al centro il dolore, sia fisico che emotivo, che lega tutti i personaggi: da Lambert per non aver saputo difendere sua figlia, anch’essa indiana e assassinata, alla famiglia della vittima verso la quale il guardacaccia giura di portare quella giustizia negata dalle istituzioni, a una comunità messa ai margini e dove sembra imperare la stessa legge che vige in natura, ovvero quella del più forte.
In poco più di un’ora e mezza, I segreti di Wind River riesce a condensare una narrazione emotivamente intensa, dove la semplicità e la linearità giovano a una sceneggiatura serratissima che gioca per sottrazione. Noir che va a braccetto col thriller, evoca sullo sfondo numerose suggestioni che enfatizzano l’aspetto “di frontiera” dell’opera, dal western al poliziesco, sino a un tocco di revenge-movie nel finale. Le indagini e la ricerca degli indizi vengono messe in secondo piano, anche nei momenti in cui la tensione è maggiore ed esplode in una sparatoria dove la violenza è realistica e il sangue ben dosato, insieme a un flashback chiarificatore che è un notevole tocco di classe. Il personaggio di Jeremy Renner diventa l’epicentro della vicenda e chiave interpretativa di un po’ tutta la pellicola, drammatico punto di contatto fra civiltà e natura selvaggia, cultura dei nativi e dei bianchi, rispetto della legge e vendetta; amico degli indiani e solitario cacciatore, rischia di offuscare parecchio il personaggio della Olsen, la cui evoluzione rimane accennata nonostante il film ne lasci intravedere il potenziale. Di conseguenza, nessun dialogo serrato fra i due protagonisti principali come in un classico poliziesco, né tantomeno alcun gioco delle parti stile buddy movie: il contatto fra i protagonisti, e fra i protagonisti e il resto dei personaggi, serve soprattutto a esorcizzare un dolore condiviso. Alla fine la valenza del dramma si farà sentire e l’impressione sarà quella né di una sconfitta ma nemmeno di una vittoria. D’altronde, Lambert recita emblematicamente: “i lupi non uccidono i cervi sfortunati. Uccidono i cervi deboli”. Il cuore di I segreti di Wind River e della frontiera americana di Sheridan, quel limite violento che mette continuamente in discussione uomini e cose, è tutto racchiuso qui.
di Maria Luisa Terrizzi Data uscita: 22 febbraio 2018 Genere: Biografico, Commedia, Drammatico Anno: 2017 Regia: James Franco Cast: James Franco; Dave Franco; Seth Rogen; Zoey Deutch; Alison Brie; Kristen Bell; Lizzy Caplan; Zac Efron; Bryan Cranston; Sharon Stone; J.J. Abrams. Paese: USA Durata: 104’ Distribuzione: Warner Bros. Italia Tommy Wiseau: faccia da duro e cuore tenero. Di lui nulla si sa eccetto che ha una pazza voglia di diventare un attore famoso. E non chiedetegli di fare il cattivo: è un antieroe dai capelli lunghi e unti che recita Shakespeare con uno strano accento dell’Est Europa. È diventato famoso con The Room (2003), di cui è stato produttore, regista e attore, costatogli 6 milioni di dollari. Un capolavoro di bruttezza diventato negli anni, nonostante accoglienza fredda del grande pubblico, un film cult, complice la distribuzione in circuiti non tradizionali. Tratto dall'omonimo romanzo di Greg Sestero e Tom Bissell, James Franco firma la regia di The Disaster Artist, omaggio alla figura di Tommy Wiseau di cui interpreta egregiamente anche i panni, portandosi a casa l’Oscar come Migliore Attore protagonista. In una scuola di recitazione a San Francisco, Tommy - sognatore folle, indisponente e pseudo artista sopra le righe - conosce fortuitamente Sestero (interpretato dal fratello del regista, Dave Franco), ambizioso e inesperto ventenne. Di Tommy si sa pochissimo, la sua età e dove sia nato sono avvolti dal mistero, così come da dove provenga il suo conto in banca che sembra essere un pozzo senza fondo. Ha la faccia da duro ma un animo a tratti fanciullesco. Animati dalla stessa voglia di diventare attori, i due partono alla volta di Los Angeles alla ricerca del successo. Ricco di camei (Melanie Griffith, Zac Efron, Sharon Stone) e recitato da un azzeccatissimo cast corale, la pellicola è idealmente bipartita in due sezioni nelle quali Franco mostra i tentativi dei due aspiranti artisti di inserirsi nel circuito artistico tramite l’affiliazione alle agenzie di Los Angeles e, successivamente, di come Tommy, rimbalzato da vari produttori, decida di mettersi in proprio e di realizzare autonomamente un proprio film, di cui curerà la regia e sarà protagonista. Come un fulmine a ciel sereno inizia l’avventura di The Room che appare nelle diverse fasi di realizzazione, dalla scrittura della sceneggiatura alla messa in opera del primo ciak. Un lavoro che tuttavia non ha nulla di artistico, realizzato senza alcun filo logico, disorganizzato, con dei buchi nella trama, recitato male e senza alcuna competenza tecnico-artistica. La mancanza di senso del film, peraltro autobiografico, sospeso tra il sentimentale e il soft porno, conferma l’irriducibilità dello stesso Wiseau rispetto una comprensione razionale, oscillante - nella finzione filmica, come nella realtà - tra persona e personaggio, sogno e follia, incapacità di rendersi conto dei propri limiti (peraltro ben evidenti!) come aspirante artista e in preda a sentimenti contrastanti nei confronti dello stesso amico Sestero, di cui sembra a tratti essere dipendente affettivamente. Raggiunge livelli particolarmente elevati l’interpretazione di Franco, reso perfettamente somigliante al vero Wiseau; degno di nota il doppiaggio italiano del personaggio: Gabriele Sabatini adotta una cadenza dell’est Europa che riesce a renderlo indimenticabile; anche i tormenti, ascoltandolo parlare, non possono che suscitare un sorriso divertito. Modello di indomita caparbietà a cui Tommy si è ispirato è l’inarrivabile James Dean, mai arresosi ai tanti no ricevuti. Peccato che, con Dean, oltre alla determinazione, Wiseau non possa condividere altro. The Room uscirà, accolto da fragorose risate: un effetto non voluto, casuale, in fondo come la stessa avventura di Tommy e Sestero, illuminata da una ingenua e candida voglia di sognare. E qualche volta i sogni, anche se con risultati decisamente trash, si avverano. Tragicomica rilettura di una storia strampalata ma vera, da vedere. Immagini tratte da: https://www.themacguffin.it/in-sala/33619/ http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/06/12/news/the_room_fenomeno_rocky_horror-17259569/ http://www.slate.com/blogs/browbeat/2017/12/05/fact_vs_fiction_in_the_disaster_artist.html http://www.inchiestasicilia.com/2018/03/01/the-disaster-artist-e-figlia-mia/ http://www.ilgiornale.it/news/milano/disaster-artist-ecco-vera-storia-film-pi-brutto-tutti-i-1495835.html |
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Maggio 2023
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