di Matelda Giachi
Aprile 2019 è stato un mese di chiusure: da Avengers Engame all’ultima serie de’ Il Trono di Spade.
Abbiamo tanto atteso questa ottava stagione e, di sicuro, i primi due episodi ci hanno regalato grande stupore: non è ancora morto nessuno! Molti non hanno gradito questa momentanea piega presa dalla serie, abituati come siamo ad un continuo bombardamento di colpi di scena, in genere tutti piuttosto tragici e sanguinosi. Di fatto, i due episodi sono un passaggio fondamentale.
Innanzitutto, i personaggi con cui abbiamo a che fare, sono i sopravvissuti finali al gioco del trono e, che arrivino vivi in fondo all’ultima puntata o meno, è giunto il momento dei saluti per i fan. I primi due episodi sono quindi in primo luogo un congedo. Viene concesso un certo spazio ad ognuno dei protagonisti rimasti. La macchina da presa li segue da vicino e abbiamo modo di constatare quanto ognuno sia cambiato lungo il percorso, e non solo fisicamente. Sopravvivere li ha forgiati, ha implicato scelte difficili e nessuno è arrivato a questo punto senza macchiarsi le mani di sangue ed essere risorto dal più tremendo dolore.
In quest’ottica, possiamo perdonare qualche deriva un po’ troppo palesemente orientata a dare un contentino agli spettatori; gli addii non sono mai semplici. L’unica deriva che non perdoniamo è la fuga d’amore in groppa di drago di Dany e Jon. A tutto c’è un limite. Sempre in linea con questo tema, la 8x01 e la 8x02 rappresentano una chiusura del cerchio; si torna dove tutto ha avuto inizio, a Winterfell. A rendere più chiaro questo aspetto, il richiamo ad alcuni momenti del primo episodio della prima serie nel primo episodio dell’ultima. Ci si prepara ad una grande battaglia, di quelle in cui le possibilità di fallimento superano nettamente quelle di riuscita e il cinema ci insegna che, prima di una grande tempesta, vi è sempre un momento di calma. Un esempio tra tutti, la battaglia del Fosso di Helm nel secondo capitolo de’ Il Signore degli Anelli, Le Due Torri, da cui il secondo episodio sembra prendere manifestatamente spunto. Tyrion affacciato alle mura di Grande Inverno ricorda molto Gimli. La calma è il raccoglimento con cui i guerrieri aspettano, metabolizzano e affrontano la fine. Ed è bellissimo vedere come tutti i protagonisti abbiano un loro modo, che poi si riconducono tutti ad un unico desiderio: assaporare un momento di vita. Non ultimo e non meno importante, la meravigliosa connotazione umana che è stata la base di questi due primi episodi, nasconde tuttavia anche una vena di sadismo degli autori, che ci fanno ulteriormente affezionare ai protagonisti, prima di compiere quella che è stata promessa come la più importante strage della serie. E quando la battaglia sarà finita, c’è la questione della legittimità al trono che ancora non è stata risolta. Per la prima volta Daenerys Tagaryen viene messa davvero in discussione come regina. Sempre che lei e il re del Nord escano vivi dallo scontro con il buon vecchio Mickey occhi blu. In caso contrario, problema risolto alla radice. E poi c’è Cersei che aspetta. Più sadica ancora dell’autore la cui penna le ha dato vita. Buona 8x03 a tutti! Immagini tratte da: www. Ginnyent.com www.facebook.com/GiffoniExperience www.movieplayer.it www.mondofox.it
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di Matelda Giachi
Per questo motivo Endgame è un po’ diverso rispetto ai precedenti capitoli; si prende tempo (in tutti i sensi, dal momento che dura quasi tre ore). Tempo necessario per seguire i protagonisti originali dell’universo Marvel, con tutta quella che è stata fino ad ora la loro evoluzione. Molta meno azione di quella a cui siamo abituati di solito. Ma, ad un certo punto, -questo lo posso spoilerare per rassicurarvi? - arrivano anche le botte, per la gioia di tutti i personal trainers che vedono messe a frutto le ore passate a urlare “Vaiii!” ai propri hollywoodiani pupilli. Scarlett Johansson lo dice spesso che quello della Vedova Nera è stato un ruolo benefico sotto tanti aspetti. Dovremmo farci tutti scritturare dalla Marvel. Strutturalmente, Endgame lo si può dividere in tre parti: una prima parte in cui ritroviamo l’eroe sconfitto, o sarebbe meglio parlare al plurale, ciascuno con un proprio modo di reagire al fallimento. La fragilità umana anche nel supereroe; un tema su cui, al cinema, ultimamente piace molto riflettere. Viene subito in mente l’ultimo James Bond (che sta per diventare penultimo; aiuto). La seconda parte comincia quando una scintilla riaccende nei protagonisti la voglia di rimettersi in gioco. La terza, che ve lo dico a fare, è quella della tanto attesa battaglia finale. Endgame ci è piaciuto, anche se ha diversi difetti. Non nello scontro finale con Thanos, quello è come deve essere: epico. Così come è assolutamente ben fatto e giusto il finale. Ci sono le linee narrative di alcuni dei protagonisti che vengono portate avanti meravigliosamente, mentre altre ci hanno convinto meno. Magari partivano come idee simpatiche che poi però sono state esasperate. Ma il punto di forza maggiore è nella linea narrativa globale, quella di una grande “famiglia”, fatta di persone che si sono scelte e che ci sono le une per le altre. Roberd Downey Jr. regala la sua interpretazione più intensa come Iron Man e si rivelano degni di nota anche Chris Evans e Jeremy Renner. Speravamo in un inserimento di Captain Marvel un po’ più contestualizzato, dal momento che da quasi l’impressione di trovarsi lì per caso. Non era Carol Denvers che interessava maggiormente i fratelli Russo in questo contesto e si vede. Nel suo complesso, forse Infinity War aveva ancora una migliore realizzazione, ma il coinvolgimento emotivo di Endgame… is Ineluttable. Voto: 8 Immagini tratte da: www.badtaste.it www.cineclick.it www.nerdist.com
Go Home – A Casa Loro, presentato ad Alice nella città, è uno zombie movie politico che nasce con le migliori intenzioni ma delude sotto diversi punti di vista.
di Salvatore Amoroso ![]()
Paese: Italia
Anno: 2018 Durata: 84 min. Genere: horror, dramma. Regia: Luna Gualano Sceneggiatura: Luna Gualano, Emiliano Rubbi Fotografia: Sandro Chessa Musiche: Emiliano Rubbi, Eugenio Vicedomini, Franck Marrelli Montaggio: Luna Gualano Trucco: Giulia Giorgi Baburka Factory Cast: Antonio Bannò (Enrico); Sidy Diop (Ibrahim); Shiek Dauda (Fahran); Cyril Dorand Nzeugang Domche (Victor); Pape Momar Diop (Alì); Mounis Firwana (Khaled).
Chi scrive è convinto che, per nobile che sia l’esercizio dell’analisi critica, quelli che profondono le proprie forze nella realizzazione di una pellicola fosse anche solo per la grandissima mole di lavoro, la passione, e l’ampio numero di professionalità che questa richiede avranno sempre e comunque più dignità di chi si ‘limita’ a spiegare e giudicare quel lavoro dietro la trincea di una tastiera. Se però è vero che tutti i cineasti, e ancor più quelli alle prime opere, meritano grandissima comprensione e rispetto da parte della critica, è altresì vero che quello stesso rispetto è dovuto allo spettatore, e che alcuni lavori sono confezionati con una trascuratezza tanto disarmante da trasformarsi in un insulto verso chi il cinema lo prende come una cosa seria. Ahimè è proprio questo il caso di Go Home – A Casa Loro, secondo lungometraggio di finzione di Luna Gualano, che viene presentato in anteprima ad Alice nella Città nell’ambito della Festa del Cinema di Roma, nella sottosezione Panorama Italia. Go Home, fatta salva la bellissima locandina siglata da Zerocalcare, la colonna sonora e la lodevole iniziativa di inclusione sociale da cui nasce, è un fallimento su quasi ogni fronte; un lavoro davanti al quale verrebbe quasi da pensare che la regista e lo sceneggiatore non abbiano mai visto un film in vita loro. Eppure Luna Gualano non è affatto una sprovveduta: ha dimostrato in molte occasioni un vivo talento nel videoclip materia di cui è anche insegnante in una nota scuola romana e con la sua pellicola precedente ha pure meritato due premi al ToHorror Film Festival; motivi per i quali questo ‘incidente di percorso’ è ancora più sorprendente.
All’autore Emiliano Rubbi va riconosciuto il merito di quello che in potenza è uno dei più geniali soggetti nei quali ci sia capitato di imbatterci negli ultimi anni. Infatti Go Home – A Casa Loro si colloca concettualmente nel solco dei migliori horror di George Romero, nei quali la componente visionaria e orrorifica diventava una piattaforma per un fortissimo messaggio politico. Mentre un gruppo di militanti di estrema destra manifesta rumorosamente al di fuori di un centro d’accoglienza per immigrati, un’improvvisa ‘apocalisse zombie’ li stermina e costringe l’unico superstite tra i fascisti (ben interpretato da Antonio Bannò) a dissimulare la propria appartenenza politica e a rifugiarsi tra quegli africani che tanto ripudia. La permanenza coatta con gli ospiti e i lavoratori del centro metterà il protagonista a stretto contatto con un mondo di solidarietà e accoglienza che è lontanissimo dal suo, fino a un finale che darà un senso profondo (e inaspettato) all’idea di partenza. Il concept alla base del film non è solo un’intuizione brillantissima, ma è anche lo specchio di quell’impegno sociale che è sempre più assente nel cinema italiano e del quale invece ci sarebbe un grande bisogno. Il messaggio della pellicola è infatti chiaro e tutt’altro che retorico, e quindi onore al merito della Gualano e di Rubbi per aver sfruttato la propria posizione di artisti e autori per lanciare un segnale di apertura e inclusione mai così necessario. Il ricorso al cinema di genere per compiere tale operazione, poi, è un altro aspetto particolarmente meritevole dei loro sforzi.
Le registe donne sono così poche e si muovono su un terreno così ostile che ci dispiace con tutto il cuore di non poter supportare proprio il film di una ragazza che in passato ha già dimostrato di avere determinazione, visione e talento. Non sappiamo cosa, nel processo produttivo e realizzativo, abbia comportato un risultato così deludente, ma è ovvio che nel rapporto tra l’artista e la sua pellicola qualcosa di importante si è rotto, e che nella confezione del film ci sono state troppe distrazioni (guai a dare la colpa solo al budget modesto). Go Home – A Casa Loro rappresenta una grande e meritoria iniziativa che coinvolge una moltitudine di forze eterogenee e che, partendo dal basso, include nella macchina produttiva anche coloro cui difficilmente viene data voce in coerenza con l’operato dell’associazione della regista, Il ponte sullo schermo, che mira a insegnare il linguaggio cinematografico alle categorie deboli e a rischio. Nel momento in cui il risultato viene inspiegabilmente incluso in un cartellone festivaliero di opere dai connotati marcatamente più professionali, però, anche la più benevola indulgenza viene messa alla prova. A Luna Gualano ed Emiliano Rubbi riconosciamo la grande intuizione iniziale, l’importanza dell’impegno politico, la determinazione di essere ricorsi in parte a un finanziamento in crowdfunding e il coraggio di fare cinema impegnato passando per il genere. Purtroppo il risultato non è quello che ci saremmo aspettati, ma siamo certi che Go Home sia solo un passo falso e che entrambi avranno ancora molte occasioni per far fruttare al meglio il proprio talento.
Immagini tratte da: Locandina: MyMovies Immagine1: Reti Solidali.it Immagine2: ScreenWeek.it Immagine3: Vimeo.com
Italia, 1327. Il frate francescano Guglielmo da Baskerville, seguito dal giovane novizio benedettino Adso da Melk, raggiunge un'isolata abbazia benedettina per partecipare ad una disputa sulla povertà tra i rappresentanti dell'Ordine francescano e del papato avignonese. All'arrivo nell'abbazia i due si trovano coinvolti in alcune morti misteriose legate all'impenetrabile biblioteca/labirinto del monastero. Per risolverle Guglielmo farà ricorso alle sue straordinarie doti investigative. In un'epoca invasa dai remake televisivi, anche un romanzo capolavoro come Il Nome della rosa scritto da Umberto Eco, è stato trasformato in una serie tv internazionale composta da 8 episodi da 50 minuti, divisi in 4 puntate, estendendo la trama ed inserendo nuovi personaggi, però la storia si sarebbe potuta benissimo riassumere solo in un paio di puntate perchè ai fini della trama non è indispensabile conoscere la vita precedente del novizio Adso e degli ex dolciniani Remigio e Salvatore. Infatti si allarga molto la storia dedicata ai Dolciniani che predicavano la pace e parità tra uomo e donna, un concetto inconcepibile per l'epoca (nel Medioevo le donne venivano considerate "oggetti" o streghe che dovevano essere bruciate nei roghi). Nella serie conosciamo meglio anche Fra Dolcino (Alessio Boni), la sua compagna Margherita Boninsegna (Greta Scarano) e Anna la figlia segreta di fra Dolcino e Margherita (sempre interpretata da Greta Scarano), eroina moderna come Giovanna d'Arco, che sfodera la spada per vendicare la morte dei genitori. Il protagonista indiscusso della serie, così come nel romanzo e nel celebre film con Sean Connery, rimane Guglielmo da Baskerville (un bravissimo John Turturro) uomo intelligente, colto e istruito e anche ironico (un personaggio ispirato a Sherlock Holmes di sir Arthur Conan Doyle) accompagnato sempre da Adso da Melk (Damian Hardung), novizio benedettino e voce narrante della storia (che richiama il suo assistente dottor Watson). Hanno anche un grande rilievo il perfido Bernardo Gui (Rupert Everett) e i monaci che animano il convento, su tutti l'inquietante Salvatore (Stefano Fresi) che parla una lingua mista incomprensibile e Remigio da Varagine (un eccellente Fabrizio Bentivoglio). Quindi "Il nome della rosa" grazie al mix di dramma, mistery (l'intricato labirinto della biblioteca e gli omicidi dei monaci), fantasy (le spaventose visioni di Adso), azione (le battaglie) e romanticismo (l'amore impossibile tra la ragazza Occitana e Adso), si conferma una novità nel panorama televisivo italiano, anche se non eguaglia il film con Sean Connery.
SU RAIPLAY PUOI RIVEDERE GLI EPISODI DELLA SERIE ➡ https://www.raiplay.it/programmi/ilnomedellarosalaserie/ FOTO TRATTE DA: https://mr.comingsoon.it/ https://themillennial.it/ https://popcorntv.it/ Di Matelda Giachi La settima stagione è stata la prima ad affrancarsi totalmente dagli scritti di Martin, in quanto la stesura e pubblicazione del nuovo capitolo hanno subito così tanti rimandi da costringere gli showrunners a ricorrere alla nobile arte dell’arrangiarsi, salvo qualche indicazione dell’autore. Una serie diversa dalle precedenti, a partire dalla durata, di soli sette episodi. Forse lievissimamente meno cattiva, anche se tanti sono caduti lungo il cammino e di certo non è adesso che si smette di accorciare la lista dei protagonisti ancora in gioco. Così come non vengono mai a mancare i colpi di scena e la suspense. Ice and Fire. Una serie dalla componente femminile molto importante. Daenerys Targaryen, Sansa e Arya Stark, Brienne di Tarth, Melisandre, Ellaria Sand e le tre figlie, lady Oleanna Tyrell, Cercei Lannister, Yara Greyjoy… Che cadano o affermino il proprio potere è la loro stagione: la stagione di donne che grazie al proprio istinto di sopravvivenza e alla propria intelligenza hanno superato innumerevoli avversità e adesso scendono in guerra in prima linea; che sono cariche di coraggio, determinazione e dignità tali da ispirare devozione e rispetto negli uomini che le circondano e scelgono di seguirle (o almeno, quasi tutte loro! Ogni riferimento a invasate di casa Lannister è puramente casuale). Sono due donne rimaste a contendersi il trono di spade e la guida dei Sette Regni. Ma è anche la serie di Jon Snow, il bastardo di casa Stark tanto amato dai fan, che fin da subito (e, va detto, in maggior modo nei libri) si intuiva essere destinato a qualcosa di molto più grande del ruolo di mero spettatore delle prese di potere altrui. Un destino che non cerca ma che lo insegue. Sempre avvolto da quell'alone di mistero riguardante la sua nascita, impenetrabile come la neve in Val Padana. Ma la nebbia, almeno per lo spettatore e Bran Stark, si è dissipata e Jon procede a grandi passi verso la piena coscienza di sé. Dopo sei stagioni di strade divise, di allontanamento e separazione, la settima è stata quella del ritorno a casa, delle riunioni, dei rincontri. Alcuni più duraturi, altri fugaci (“Zio ben!” “Tieni scappa!” Fine). Tutto ha cominciato a convergere verso un unico punto: la fine. Si definiscono gli schieramenti, le alleanze. L’imminenza di una conclusione costringe tutti a scelte difficili, uno su tutti, Jaimie Lannister, da sempre diviso tra la propria coscienza e un amore malato. Ma soprattutto si definiscono sempre di più i ruoli che ognuno riveste nella grande partita finale. O forse dovremmo dire due partite finali... L’ottava stagione: qual è il destino di Westeros? Di Federica Gaspari Il grande finale è davvero vicinissimo. Dopo anni di teorie, speculazioni e, qualche volta, passi falsi, la grande epopea di Game of Thrones il 15 aprile darà il via alla definitiva resa dei conti con la sua ottava stagione. Per lunghi e interminabili mesi, i fan di tutto il pianeta si sono interrogati sulle prossime mosse dell’armata degli Estranei, ora una vera e concreta minaccia per il regno di Westeros continuamente in guerra. Sicuramente il preparatissimo gruppo di autori della serie riserverà grandi sorprese e colpi di scena difficili da prevedere. Nel frattempo, però, è possibile consolarsi con i pochi dettagli certi su una stagione dalla trama blindatissima! Una stagione completamente diversa nei tempi e nella durata Il gran finale del fortunatissimo show HBO rappresenterà una rivoluzione anche nella struttura dei suoi episodi. La conclusione della saga immaginata di George R. Martin, infatti, si snoderà su 6 sole puntate invece che sui canonici 10 episodi delle prime sei stagioni. Il leggendario epilogo, tuttavia, sarà innovativo anche nella durata dei suoi singoli capitoli: si passerà dai 54 minuti della premiere per arrivare agli 80 minuti della conclusione. Non bisogna stupirsi, quindi, davanti alle parole dei produttori che hanno voluto definire questa stagione come un lungo ed avvincente film! Senza dimenticare le proprie origini Tra i numerosi protagonisti dello show, Ned Stark, scomparso drammaticamente già nella prima stagione, è sempre stato uno dei più amati dai fan. Questo dettaglio e la presenza dell’attore Sean Bean all’anteprima dell’ultima stagione suggeriscono quanto Game of Thrones, nonostante lo scorrere delle stagioni, sia legato alla sua tradizione. Per questo motivo il primo episodio dell’ottava stagione omaggerà gli avvenimenti dell’ormai storico pilot andato in onda nel 2011. Diversi personaggi e obiettivi ma stessi intrighi e ambientazioni. Un confronto senza precedenti Questo show è stato in grado di entrare nella storia dell’intrattenimento per la sua incredibile capacità di coniugare puro divertimento con un’estrema cura per gli aspetti più tecnici. Le lunghe ed epiche sequenze della “Battle of the Bastards” difficilmente potranno competere con le riprese della battaglia finale. Le dichiarazioni rilasciate da cast e produzione suggeriscono uno scontro rivoluzionario frutto di ben 55 giorni di riprese e di settimane di editing studio. Insomma, sembra che anche quest’anno lo show sarà caratterizzato da un altissimo livello tecnico! Non sarà (probabilmente) l’ultimo viaggio a Westeros. L’idea di una conclusione definitiva da sempre rende malinconici i fan. Ovviamente, dopo otto lunghe stagioni, anche i tormentati personaggi di Game of Thrones hanno bisogno di trovare finalmente la strada giusta vero il loro destino. Tuttavia, l’addio è reso più dolce dalla notizia che l’universo di Westeros si amplierà grazie alla produzione di 4 altri misteriosi spin-off. Le notizie sulla trama e i soggetti, purtroppo, scarseggiano. A Londra, però, sono già iniziati i casting con primi nomi di rilievo – da Georgie Henley de "Le Cronache di Narnia" a Ivanno Jeremiah di "Black Mirror". Immagini tratte da: https://www.in.com www.hbo.com www.geektyrant.com www.theverge.com
di Salvatore Amoroso
Una guardia che lavora sul confine si trova ad affrontare la novità di non riuscire più a riconoscere i fuorilegge. L’incontro con un misterioso essere potrebbe far riaffiorare verità che la triste Tina non si sarebbe mai aspettata. Il piccolo gioiello di Ali Abbasi ha ottenuto una candidatura agli Oscar 2019. Premiato a Cannes ha ottenuto inoltre quattro candidature agli European Film Awards. ![]()
Paese: Svezia, Danimarca
Durata: 101 min. Genere: fantastico, drammatico Anno: 2018 Regia: Ali Abbasi Sceneggiatura: Ali Abbasi, John Ajvide Lindqvist Fotografia: Nadim Carlsem Montaggio: Olivia Neergaard-Holm, Anders Skov Musiche: Christoffer Berg, Martin Derkov Distribuzione: Wanted Cinema, PFA Films, Valmyn Trucco: Göran Lundström, Pamela Goldammer, Erica Spetzig Attori: Eva Melander (Tina); Eero Milonoff (Vore); Jörgen Thorsson (Roland) Ann Petrén (Agneta) Sten Ljunggren (padre di Tina)
Coproduzione svedese –danese vincitrice della sezione di Cannes, Un Certain Regard, Border porta sul grande schermo un racconto dello Stephen King scandinavo, John Ajvide Lindqvist (autore del romanzo Lasciami entrare) che, insieme a Ali Abbasi, ha lavorato alla sceneggiatura del film. Proprio come accadeva ai due bambini protagonisti di Lasciami entrare, in Border il confine tra umano e sovrannaturale si assottiglia a tal punto da non riuscire più a distinguere specie, genere (filmico ma anche sessuale), realtà e folklore. La storia è quella di Tina (Eva Melander), donna dall’incredibile bruttezza ma con qualità decisamente fuori dalla norma che le permettono di intercettare, attraverso l’olfatto, vergogna, sensi di colpa, rabbia. Capacità singolari che fanno di lei un’agente di dogana modello: arricciando il naso, con fare animalesco, smaschera spacciatori, alcool di contrabbando, ma anche materiale pedo-pornografico nascosto. Tanto speciale nel suo lavoro quanto disadattata nella vita quotidiana, Tina è un’emarginata sociale che convive con un ragazzo (Jorgen Thorsson) per non sentirsi sola, non ha rapporti interpersonali e gli unici esseri con cui sembra legare sono gli animali che abitano nella foresta attorno alla sua casa.
A sconvolgerle la vita sarà l’incontro con Vore (Eero Milonoff), anche lui con un fascino da primate e qualità percettive molto simili, tali da suscitare una curiosità irrefrenabile verso una prospettiva di vita mai presa in considerazione prima. Al suo secondo lungometraggio Abbasi, iraniano trapiantato in Svezia, debuttò nel 2016 con Shelley, horror incentrato sul tema della gravidanza demoniaca che flirtava con le atmosfere polanskiane. Fu in quel periodo che maturò l’idea di lavorare con Lindqvist per dar vita a un film in cui fantasy e reale si intrecciassero, senza tralasciare un importante lato oscuro. Ed è proprio l’approccio realistico di Border che colpisce nel raccontarci la storia di un outsider che ha sempre pensato di avere “un’anomalia cromosomica” in grado di renderla speciale, convinzione indebolita dall’incontro con il rude Vore, un essere libero e fiero di sentirsi diverso nel nutrirsi di vermi e correre nudo per la foresta.
Più ci si addentra nella storia, più si rimane ipnotizzati dai vari cambi di registri: il viaggio verso la scoperta di se stessi, l’indagine su un caso di pedofilia e l’importante componente fantasy che riesce a unire il genere a una metafora sociale. Un ibrido perfettamente funzionante che riflette sui limiti e confini tra atavici impulsi e moralità della civiltà. Se l’attrazione per Vore è un gioioso senso di vertigine e riscoperta, la consapevolezza di una vita, sino a quel momento basata sulla menzogna, destabilizza Tina che non riesce a capire a quale mondo appartenga. Sensazioni contrastanti che passano dai protagonisti allo spettatore, in balia di una fiaba fantasy dal sapore coming of age. Ma anche il risveglio sessuale ha un approccio fuori dall’ordinario e a dimostrarlo è una memorabile sequenza in cui i confini tra ferinità/umanità, maschile/femminile, si uniscono (con)fondendosi naturalmente tra loro. Border, più che raccontato, va vissuto.
Link Immagini: Locandina: Circuito Cinema Genova Immagine1: universalmovies.it Immagine2: Radio Colonna.it Immagine3: Radio Colonna.it Di Federica Gaspari ![]() Data di uscita: 4 aprile 2019 Genere: orrore, thriller Anno: 2019 Regia: Jordan Peele Attori: Lupita Nyong’o, Winston Duke, Elisabeth Moss, Tim Heidecker, Yahya Abdul-Mateen II, Anna Diop, Evan Alex Sceneggiatura: Jordan Peele Fotografia: Mark Gioulakis Montaggio: Nicholas Monsour Musiche: Michael Abels Produzione: Monkeypaw Productions, QC Entertainment, Universal Pictures Distribuzione: Eagle Pictures Paese: USA Durata: 116 min Sono trascorsi solo due anni dall’esplosivo successo di Scappa – Get Out, thriller tagliente che ha saputo conquistare il pubblico statunitense e non solo. Critica pungente, riferimenti alla pop culture e, soprattutto, un linguaggio in grado di dialogare con un ampio spettro di pubblico: questi sono i tratti distintivi della pellicola di Jordan Peele che ha avuto il coraggio e la spregiudicatezza di riferirsi senza filtri ad un’attualità claustrofobica dominata dalla paura targata – neanche troppo velatamente – Trump. L’opera seconda del regista di New York, però, è molto diversa dal film che molti attendevano. Noi non è una semplice critica alla società, non è l’ennesimo prodotto dell’onda – un po’ alla deriva – del tanto acclamato Black Power. Questo nuovo film riesce a toccare corde più universale con stratagemmi e scelte di grandissimo pregio. Negli anni Ottanta in un luccicante e caotico luna park in riva all’oceano, la piccola Adelaide Wilson, attirata dal mistero più sinistro, si perde all’interno di un’inquietante labirintica attrazione. La bambina rimarrà profondamente segnata da questa strana esperienza che non la lascerà mai nemmeno negli anni della maturità. Diversi anni dopo, infatti, Adelaide (Lupita Nyong’o) tornerà insieme alla sua giovane famiglia sui luoghi dell’accaduto dove passato e suggestioni potrebbero prendere violentemente il sopravvento. Ma si tratterà solamente di illusioni e angosce scatenate nelle quattro mura domestiche oppure il destino di Adelaide prevede qualcosa di ben più complesso e spaventoso? Se, nella sua opera prima da regista, Jordan Peele si concentrava sulla situazione degli afroamericani negli Stati Uniti, in Noi il premio Oscar sceglie toni più criptici e oscuri per trovare un messaggio più ampio. Non si tratta più di contrasti tra bianco e nero ma al centro della storia rimangono sempre dualismi e opposti. Chi siamo veramente Noi? Cosa si nasconde dietro alla maschera che indossiamo tutti i giorni? Istinto più sfrenato e ordinata razionalità sono in costante lotta ma nessuno avrà mai la meglio sull’altro. I due estremi convivono e si confrontano in lunghe sequenze che giocano sul tema del doppio. Straordinarie, allora, sono le duplici interpretazioni di tutti i componenti del cast: su tutti svetta Lupita Nyong’o capace di trovare e mantenere fino all’epilogo un perfetto ma ambiguo equilibrio tra le parti senza mai sfociare nell’eccessivo. Un altro talento di questo film è proprio quello di riuscire a destreggiarsi tra generi e toni molto diversi senza mai risultare ridicolo o superficiale. Con queste molteplici sfaccettature – sempre lasciate all’interpretazione di un pubblico coinvolto in prima persona – Noi vince la sua scommessa, compiacendosi dei suoi simboli e appassionando con i suoi molteplici livelli. Il tema del doppio è ricorrente ma, senza dubbio, per apprezzare al meglio questo gioiellino serviranno ben più di due visioni! Immagini tratte da: Immagine 1: www.imdb.com Immagine 2: www.complex.com Immagine 3: www.geektyrant.com |
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