La recensione di Vanessa Varini ![]() Titolo: "Vivi e lascia vivere" Paese: Italia Anno: 2020 Genere: dramma familiare Stagione: 1 Episodi: 12 Durata: 50 min (episodio) Ideatore: Pappi Corsicato, Monica Rametta Regia: Pappi Corsicato Sceneggiatura: Giulia Calenda, Monica Rametta, Valia Santella e con Pappi Corsicato Interpreti e personaggi: Elena Sofia Ricci (Laura Ruggero); Massimo Ghini (Toni Romani); Antonio Gerardi: Renato Ruggero; Silvia Mazzieri (Giada Ruggero); Carlotta Antonelli (Nina Ruggero); Giampiero De Concilio (Giovanni Ruggero); Iaia Forte (Marilù Ruggero); Bianca Nappi (Rosa); Teresa Saponangelo (Daniela) Laura (Elena Sofia Ricci), cuoca all’interno di una mensa, ha tre figli e con la più grande, Giada (Silvia Mazzieri), ha un rapporto complicato e conflittuale. È sposata da vent’anni con Renato (Antonio Gerardi), un musicista che suona a bordo delle navi da crociera e quindi spesso assente per lavoro. Una vita apparentemente normale fino a quando Laura, di ritorno dalle Tenerife dove si trova il marito, chiama i figli per comunicare loro una sconvolgente notizia: il padre è morto a causa di un incendio. Da quel momento le loro vite cambiano: Laura, in difficoltà per i debiti che ha lasciato Renato e dopo essere stata licenziata per aver rubato, decide di reinventarsi un lavoro proponendosi all’amica Rosa (Bianca Nappi) come cuoca e successivamente decide di aprire un'attività di street food cucinando il sartù di riso, finanziata da Toni (Massimo Ghini) un suo vecchio amico, Giada per pagarsi gli studi negli Stati Uniti inizia a lavorare come ballerina in un locale notturno, Nina (Carlotta Antonelli), che ha il vizio di rubare, insieme a due amiche si intrufola in un lussuoso appartamento per rubare dei vestiti, scarpe, borse e rossetti come le ladre del film di Sofia Coppola "Bling Ring", ma viene scoperta da un ragazzo e mentre si dà alla fuga, la sua amica perde il cellulare. Ma anche Renato nasconde qualcosa. "Vivi e lascia vivere", diretta da Pappi Corsicato che è stato assistente di Pedro Almodóvar, sua fonte d'ispirazione, è una nuova serie tv ambientata a Napoli, anche se nessun attore sfoggia un accento partenopeo. Unisce il genere mistery (il marito è veramente deceduto? Chi l'ha ucciso?) con il dramma, aggiungendo tanti (forse troppi) flashback tra il presente di Napoli e il passato alle Tenerife, un tocco di commedia e di romanticismo (sarà scontato ma sicuramente scoppierà l'amore tra Giada e il proprietario del night club e tra Nina e il figlio della famiglia derubata, infatti lui è rimasto impassibile come una statua, non ha avvertito la polizia, anzi si è messo a curiosare nel cellulare della ladra rimanendo colpito dalle foto di Nina).
Per quanto riguarda il cast, come in "Doc - Nelle tue mani" (inserire il link ➡ https://www.iltermopolio.com/cinema/recensione-della-serie-tv-doc-nelle-tue-mani) i protagonisti sono tutti attori molto conosciuti dal pubblico come Elena Sofia Ricci l'indimenticabile Lucia dei "Cesaroni", Silvia Mazzieri appena vista nei panni di Alba proprio in "Doc", Antonio Gerardi il marito di Perla in "Non dirlo al mio capo"... Bravissima la Ricci nei panni di una donna coraggiosa, che non si abbatte e che cerca un riscatto cambiando vita, un personaggio molto attuale visto la situazione di crisi che stiamo vivendo. Infatti proprio come Laura, in questo periodo negativo ci possiamo mettere in discussione, cogliere nuove opportunità per cambiare vita e migliorarci. Per ora la fiction, malgrado qualche difetto, promette bene, vediamo cosa accadrà nei prossimi episodi in onda giovedì 30 aprile. GLI EPISODI ANDATI IN ONDA GIOVEDÌ SI POSSONO RECUPERARE SU RAI PLAY: https://www.raiplay.it/programmi/vivielasciavivere FOTO TRATTE DA: https://cinemalibero.plus/ https://www.tpi.it/ http://chetvfa.altervista.org/
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Di Federica Gaspari
L’universo di personaggi creato da Jane Austen è da sempre un’inesauribile fonte d’ispirazione per il piccolo e il grande schermo. La BBC, con i suoi elegantissimi adattamenti delle opere dell’autrice britannica, ha costruito una vera fortuna, lanciando anche le carriere di alcuni tra i più promettenti interpreti dell’ultimo periodo. Negli anni Novanta un classico in particolare ha avuto grande successo in ambito cinematografico e televisivo. Risale, infatti, al 1995 Ragazze a Beverly Hills, irresistibile trasposizione in chiave moderna che ha anticipato l’adattamento con Gwyneth Paltrow del 1996 ma anche quello televisivo con Kate Beckinsale dello stesso anno. Due decenni dopo l’ondata di interesse per il classico della Austen, una nuova frizzante versione viene distribuito in esclusiva in formato digitale. Emma. è l’istrionico debutto alla regia sul grande schermo per Autumn de Wilde, già nota per il suo apprezzato lavoro di fotografa negli Stati Uniti. Con questo film, la regista esordiente trova una chiave di lettura originale in grado di interpretare con fedeltà ma anche autenticità una storia senza tempo. All’inizio dell’Ottocento, Emma (Anya Taylor Joy), con la sua vita di agi, è alla ricerca di nuovi divertissement per scuotere la monotonia della sua routine quotidiana. La grande occasione per dare una scossa alla sua giornata è rappresentata dalla possibilità di organizzare il fidanzamento di Harriet Smith (Mia Goth) con un giovane gentiluomo. Ignorando i sentimenti e i pensieri della ragazza, Emma metterà in atto il suo piano per manipolare le vite di chi la circonda, trascurando anche le sue emozioni. Adattare un grande classico della letteratura non è mai un’impresa semplice. L’indecisione tra una trasposizione fedelissima e una versione fuori dalle righe alternativa potrebbe essere letale per qualsiasi progetto di questo tipo. L’opera prima di de Wilde si posiziona esattamente a metà tra i due estremi, trovando un soddisfacente compromesso in grado di mettere d’accordo appassionati del romanzo e semplici curiosi. Con ammirevole lucidità, il film interpreta brillantemente la tagliente ironia del racconto di partenza, giocando astutamente proprio con il potenziale delle dinamiche che legano tutti gli attori in scena. La strepitosa protagonista – Anya Taylor Joy, un’attrice che si sta ritagliando un ruolo di prestigio nell’attuale panorama – catalizza l’attenzione senza però soffocare le interpretazioni degli interpreti secondari, tra cui spicca un sempre ottimo Bill Nighy. La sceneggiatura di Eleanor Catton, pur rischiando di arenarsi in alcune occasioni nella prima parte del film, valorizza ogni personaggio, sottolineando in modo convincente anche la critica alle ipocrisie delle varie classi sociali ma anche al ruolo della donna nella società. Pur non riuscendo a rendere totalmente incisive queste riflessioni, la pellicola di de Wilde riesce comunque a dare nuovo fascino a un classico senza tempo affidandosi anche a scenografie e costumi estremamente curati che colorano l’intera narrazione con magnetiche tonalità pastello. Con leggerezza e alcune punte di satira, Emma. si dimostra un interessante rilettura fedele ma irriverente nei suoi toni moderni in grado di incuriosire anche gli spettatori meno avvezzi a questo tipo di racconti sul grande schermo. Immagini tratte da: www.architecturaldigest.com www.vox.com
La Recensione
di Matelda Giachi
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Genere: Drammatico, Biografico
Anno: 2020 Durata: 118 min Regia: Greg Barker Cast: Wagner Moura, Ana de Armas, Brían F. O'Byrne, Bradley Whitford, Garret Dillahunt, Clemence Schick, Will Dalton, Pedro Hossi, Sahajak Boonthanakit, Clarisse Abujamra, Eduardo Melo, João Barreto Sceneggiatura: Craig Borten Fotografia: Adrian Teijido Montaggio: Claudio Castello Musica: Fernando Velázquez Produzione: Black Rabbit Media, Anima Pictures Distribuzione: Netflix Paese: Stati Uniti
Sergio Vieira De Mello è stato un diplomatico che ha lavorato 34 anni per l’ONU, rivelandosi decisivo in numerosi contesti, dal Sudan, alla Cambogia quanto in Kosovo e nel Timor Est, che ha conquistato l’indipendenza dall’invasione indonesiana grazie al suo operato. Si trovava in Iraq come Alto Commissario delle Nazioni Unite quando, nel maggio 2003, è rimasto vittima, insieme ad altri 21 membri del suo staff, dell’attentato terroristico del Canal Hotel.
Una figura evidentemente cara al regista che, già nel 2009 e sempre per Netflix, aveva diretto un documentario sempre sulla vita di De Mello.
Greg Barker, con Sergio, l’ultimo film distribuito da Netflix, cambia stile e si concentra sugli ultimi tre anni di vita del diplomatico brasiliano. Lo incontriamo già sotterrato dalle macerie mentre, nelle sue ultime ore di vita, torna con la mente ai passi che lo hanno portato fino a Baghdad ed in particolare al suo incontro con Carolina Lerreira, economista delle Nazioni Unite stanziata nel Timor Est nel suo stesso periodo, divenuta poi la sua compagna. Il film, più che le azioni politiche, intende raccontare l’umanità del protagonista, tramite le sue vittorie, quali il coinvolgimento per ogni popolo con cui abbia avuto a che fare e, soprattutto, l’amore per Carolina, vero fulcro di tutta la narrazione. Così come anche le sconfitte: un matrimonio finito e la paternità di due figli nei confronti dei quali si trova a essere un grande assente.
Il film gode della complicità di due attori capaci e affiatati, che già avevano lavorato insieme in Wasp Network, presentato all’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia. Moura, divenuto celebre per il ruolo del narcotrafficante Pablo Escobar, passa con disinvoltura dall’interpretare il “diavolo” direttamente a “Madre Teresa di Calcutta”, confermandosi un grande attore. Ana De Armas, classe 1988, è la stella nascente di questo periodo. Dopo Blade Runner 2049, sono stati numerosi i ruoli importanti, tra cui quello in Knives Out, per il quale ha ricevuto anche una nomination al Golden Globe, e presto la vedremo al fianco di Daniel Craig come Bond girl.
Mentre gli attori rappresentano un punto di forza, sceneggiatura e regia inciampano in qualche difetto di progettazione. Narrazione di struttura non lineare: segue il flusso di pensieri di un protagonista in fin di vita, ma lo fa in maniera spesso troppo rapida, senza soffermarsi su di una scena abbastanza da permettere allo spettatore di assaporare il momento e venire coinvolto, come se non fosse del tutto chiaro, neanche a chi guida la macchina da presa, cosa esattamente si voglia raccontare e cercando quindi di includere un po’ tutto. E, pur essendo l’amore la forza che muove ogni cosa, non approfondire l’aspetto lavorativo di un personaggio che al proprio mestiere ha sacrificato la gran parte della sua vita, anzi, letteralmente la vita stessa, ne penalizza la caratterizzazione.
Difetti che lasciano comunque Sergio un film interessante, godibile e ben recitato, ma che gli tolgono quel poco di spessore in più che lo avrebbero potuto promuovere da buon film a gran film. Voto: 7 Di Federica Gaspari Nella primavera del 2017 un nuovo show originale firmato da Alex Pena fece il suo debutto su Antena 3, emittente privata spagnola. Nonostante un solido debutto con discreti e promettenti ascolti, la prima stagione – poi divisa in prima e seconda parte – de La casa di carta si rivelò un flop. Puntata dopo puntata, infatti, lo show ha continuato a perdere spettatori, portando l’emittente a pensare a una cancellazione. L’intervento inaspettato di Netflix e l’ingresso nel catalogo del servizio di streaming hanno cambiato il destino della serie rendendola un fenomeno globale. A poche settimane dall’uscita della quarta discussa parte, è interessante riflettere sulle dinamiche di questo successo che pone le sue basi principalmente su tre componenti: l’icona della maschera, la suggestione di temi impegnati e la caratterizzazione dei personaggi. Il fascino dell’icona Originalità del soggetto? Ambientazioni suggestive? Non è un segreto che nessuno di questi ingredienti è quello che ha reso vincente la ricetta della serie di Pena. Nemmeno un interessante montaggio, unico aspetto tecnico che ha mantenuto intatta la sua qualità per tutte le quattro parti. La carta vincente de La casa di carta è da ricercare nella decisione di adottare un’iconografia semplice, immediata e, soprattutto, in grado di sfruttare e rendere più accessibile un background cinematografico già molto consolidato. Attingendo a piene mani dalla trama di Inside Man e dalle situazioni di V per Vendetta, la serie spagnola trova nella maschera di Dalì e in una semplice tuta rossa non solo un tratto distintivo ma una vera e propria icona più efficace a livello internazionale – forse per i suoi riferimenti spiccatamente anglosassoni – che all’interno dei confini iberici. Un simbolo, asciutto ed essenziale, funziona più di tanti episodi e dialoghi diventando anche il più immediato strumento promozionale. La maschera quindi è solo un’astuta immagine priva tuttavia di un messaggio? Sulla carta sì. Nella pratica, invece, anche per una serie di fortuite coincidenze, il volto di Dalì, come un elemento momentaneamente magnetizzato, ha attirato su di sé, spesso inconsciamente, molteplici temi che conducono alla riflessione sulla seconda componente fondamentale di questo fenomeno mediatico. Suggestioni di uno scopo più grande La maschera e la rapina raccontata nelle prime due parti de La casa di carta si intrecciano con tematiche scottanti dell’attuali a livello internazionale. Le intenzioni del racconto fittizio, infatti, intercettano uno spirito rivoluzionario – da poltrona - diffuso, cavalcando un diffuso malcontento nei confronti delle classi dirigenti. Nel farlo, lo show sfrutta anche un brano di tradizione partigiana come Bella Ciao, snaturandolo parzialmente per renderlo una hit. La ricerca di un punto di incontro tra temi difficili e un intrattenimento estremamente leggero funziona solamente per le prime due parti. A partire dalla terza il binomio inizia a stridere con una fortissima incertezza sulla strada da imboccare. È questo il precursore della vera crisi di contenuti della quarta parte, in cui diventa palese la superficialità con cui ogni problematica attuale viene affrontata. La serie, a partire dalla terza stagione utilizza la maschera non più come un orgoglio ma come uno scudo per mascherare un’evidente mancanza di profondità nei messaggi e, in particolare, di confronti. Una pluralità di voci Cosa rimane a reggere i futuri sviluppi della serie? Ovviamente i suoi personaggi sopra le righe. Il Professore è il grande orchestratore super partes ma, nonostante questo, La casa di carta rimane un racconto corale sorretto da un gruppo di personalità fuori dagli schemi, spesso al limite del caricaturale. La scelta di una caratterizzazione così abbozzata, tuttavia, continua a essere una mossa che premia la serie. Tramite pochi tratti che lasciano ampio spazio di manovra ai vari interpreti, il pubblico riesce ad appassionarsi e, a tratti, riconoscersi nei vari personaggi. A partire dalla terza stagione viene posto un grande accento in particolare sulle figure femminili, sul “matriarcato”. Nonostante le ammirevoli intenzioni, lo show sembra però perdersi nelle sue sempre più frequenti derive soap, svuotando di importanza ogni personaggio. L’ultima parte de La casa di carta ha perso di vistA i suoi punti di forza. Considerata la possibilità concreta di un futuro per il progetto iberico ora targato Netflix, la serie curata da Pena avrà seriamente l’urgenza di ricalibrarsi, andando alla ricerca nuovamente delle su maggiori potenzialità. Riuscirà nell’impresa? I fan, fedelissimi, sicuramente rimarranno al fianco della banda del Professore. Immagini tratte da: www.netflix.com DOMENICA 19 RITORNA LA SECONDA STAGIONE DELLA SERIE TV L'ALLIEVA + LE ANTICIPAZIONI DELLA TERZA STAGIONE di Vanessa Varini ![]() Titolo: "L'Allieva" Paese: Italia Anno: 2016 – in produzione Genere: commedia, giallo, medico, poliziesco Stagioni: 2 Episodi: 23 Durata: 50 min (episodio) Ideatore: Peter Exacoustos, Alessia Gazzola Soggetto: L'allieva di Alessia Gazzola Interpreti e personaggi Alessandra Mastronardi (Alice Allevi); Lino Guanciale (dottor Claudio Conforti); Dario Aita (Arthur Malcomess); Michele Di Mauro (Roberto Calligaris); Francesca Agostini (Lara Proietti); Pierpaolo Spollon (Marco Allevi); Martina Stella (Ambra); Emmanuele Aita (Paolo Macrì); Ray Lovelock (professor Paul Malcomess st. 1); Tullio Solenghi (professor Paul Malcomess); Giorgio Marchesi (Sergio Einardi); Giselda Volodi (professoressa Boschi) Domenica 19 aprile ritorna su RaiUno la seconda stagione della serie tv "L’allieva" composta da 12 episodi, con protagonisti Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale, dopo essere andata in onda il 25 ottobre 2018 sempre sullo stesso canale. Il motivo? Il grande successo che sta riscuotendo la replica della prima stagione su Rai Premium (sabato andrà in onda l'episodio numero 6), tanto che i telespettatori hanno lanciato l'hashtag #iorestoacasaconlallieva. E poi per sopperire alla mancanza di una terza stagione. Infatti l'inizio delle riprese del terzo ciclo di episodi è partito a dicembre 2019, per poi interrompersi di colpo, a marzo, a causa del Coronavirus. Comunque dalle ultime indiscrezioni gli episodi sarebbero tratti da "Arabesque" e da "Un po' di follia in primavera", i romanzi scritti dalla siciliana Alessia Gazzola. Tra le new entry delle nuove puntate Antonia Liskova che interpreterà il nuovo capo dell’Istituto di medicina legale e Sergio Assisi nei panni del fratello di Claudio Conforti. Se non avete mai visto la serie, "L’allieva" è una fiction Rai creata da Peter Exacoustos insieme proprio alla Gazzola. Al centro della trama c'è la studentessa di medicina Alice Allevi (Alessandra Mastronardi), ad un passo dalla laurea che ha molti dubbi riguardo al futuro e alla specializzazione da intraprendere. Solo dopo la morte della badante di sua nonna che abita a Sacrofano, paese nella periferia di Roma, Alice, facendo delle rilevazioni sul cadavere insieme all'affascinante ma arrogante medico legale Claudio Conforti (Lino Guanciale), capisce che la sua strada è la medicina legale. Così decide di frequentare l'Istituto per diventare medico legale. Tra indagini (Alice ha un grande intuito investigativo e riesce sempre a risolvere gli omicidi, anche se questo lavoro non le compete) e autopsie, la ragazza s'invaghisce di Conforti, ma rimane colpita anche dal giovane reporter Arthur (Dario Aita). Quest'ultimo però nasconde un segreto: è il figlio del direttore dell'Istituto. Nella seconda stagione Alice e Claudio iniziano una relazione di nascosto, ma Alice lo lascia perché vuole una relazione vera. Intanto fa la conoscenza di Einardi (Claudio Marchesi) un nuovo PM che è rivale di Claudio e cerca di vincere un concorso che le permetterebbe di completare gli studi a Baltimora. Un'impresa ardua perché la severa professoressa Boschi (Giselda Volodi), soprannominata la "Wally", continua ad assegnare dei compiti extra ad Alice.
Se amate le fiction di genere giallo e rosa e i personaggi molto credibili, è impossibile non immedesimarsi e affezionarsi alla simpatica e un po' imbranata Alice Allevi (Alessandra Mastronardi è perfetta per la parte) e non rimanere conquistati dal fascino di CC, recuperate la serie tv "L'Allieva". TROVATE LE STAGIONI 1 E 2 ANCHE SU RAIPLAY ➡ https://www.raiplay.it/programmi/lallieva FOTO TRATTE DA: https://www.dituttounpop.it/ https://img.ibs.it/ https://i2.wp.com/www.spettacolandotv.it/ https://cdn.gelestatic.it/
Recensione in anteprima del 1° episodio
di Matelda Giachi
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Genere: Drammatico, Thriller
Anno: 2020 Regia: Nick Hurran, Jan Maria Michelini Cast: Alessandro Borghi, Patrick Dempsey, Kasia Smutniak, Laia Costa, Harry Michell, Paul Chowdhry, Pia Mechler, Malachi Kirby, Lars Mikkelsen Produzione: Lux Vide Sceneggiatura: Alessandro Sermoneta, Mario Ruggeri, Elena Bucaccio, Guido Maria Brera, Christopher Lunt, Michael A. Walker Distribuzione: Sky Atlantic, Now Tv Paese: Italia, Regno Unito, Francia Ideatore: Guido Maria Brera
“Ci sono nato in basso. L’unica possibilità che avevo era salire.”
Sono parole di Massimo Ruggero, interpretato da Alessandro Borghi, in questa nuova serie in cui l’ambizione sembra fare da filo conduttore. Già nei minuti iniziali di questo primo episodio viene messa molta carne al fuoco. Ci sono un finanziere, un maestro e il suo successore designato, il suo discepolo. Ci sono talento, intuito, soldi, invidia, sotterfugi. Un passato non raccontato che vuole essere dimenticato, cancellato eppure segue i protagonisti come un’ombra oscura. C’è doppiezza in ogni cosa: nei personaggi, nella trama, nei temi (lealtà e tradimento) nella costruzione delle scene, un continuo gioco di vetri e riflessi, di luci e ombre. E si respira in ogni istante aria di thriller.
Diavoli si delinea da subito come una serie fortemente estetica, in cui ogni fotogramma è costruito come un’opera di design. C’è una forte attenzione al dettaglio: Nick Hurran (Sherlock, Doctor Who) alla regia muove la macchina da presa come se prendesse tra le mani il volto dello spettatore per guidarne lo sguardo esattamente dove vuole che si vada a posare.
Una serie sull’alta finanza, del cui mondo usa i tempi frenetici e il linguaggio, senza però mai lasciare lo spettatore indietro, ma ricorrendo sempre a espedienti tramite cui spiegare ogni termine o azione specifica. Alessandro Borghi, l’attore che la produzione ha fortemente voluto come protagonista, tanto da mettere tutto in attesa affinché portasse a termine precedenti impegni e fosse così a disposizione, affronta un ruolo diverso da quella usuale romanità che ha vestito tanto bene in tutte le sue sfaccettature (Ante Christum compresa) ma che, da quando abbiamo assaporato un’idea del suo talento, non ci basta più. E’ un lavoro meno verace, più composto, per certi versi maturo. Minuzioso, fatto anche questo di dettagli, come tutto nella serie. Pane per i denti per uno della Vergine, “famoso per essere pignolo, puntiglioso”, come lui stesso si definisce.
Patrick Dempsey, dopo l’ottima prova nella mini-serie La verità sul Caso Harry Quebert, di cui si è parlato troppo poco, torna con un ruolo dalla fortissima componente psicologica. Da un punto di vista di tempo scenico, rispetto a Borghi, meno presente ma sicuramente di presenza. Incisivo e misterioso.
Kasia Smutniak colpisce sempre per la sua bellezza raffinata, ma aspettiamo che abbia un attimo più di spazio per parlare del suo lavoro di attrice con oggettività. Fa molto ben pensare invece Laia Costa, che convince nel suo ruolo sfacciato di corrispondente per il gruppo Subterranea. L’anteprima concessaci era in versione doppiata e si può dire che Andrea Mete abbia fatto un ottimo lavoro su Borghi, da professionista del mestiere quale si vede (e si sente) che è. Ma l’attore nostrano va molto fiero del percorso fatto nell’interpretare un ruolo in una lingua diversa da quella madre e la sua performance appare già di qualità tale da volerla godere a 360gradi. Appuntamento quindi tutti insieme per questo venerdì su Sky Atlantic o NowTv alle 21.15 per i primi due episodi di una serie che sembra avere tutte le carte in regola per affermarsi in un panorama di opere ormai sconfinato. di Federica Gaspari Paese: Stati Uniti Anno: 2020 Formato: serie TV Genere: drammatico, fantascienza Stagione: 1 Puntate: 8 Regia: Mark Romanek, So Yong Kim, Dearbhla Walsh, Andrew Stanton, Tim Mielants, Charlie McDowell, Ti West, Jodie Foster Sceneggiatura: Nathaniel Halpern Produzione: Indio Film, 6th & Idaho, Moving Picture Company, Fox 21 Television Studios, Amazon Studios Cast: Rebecca Hall, Jonathan Pryce, Daniel Zolghadri, Duncan Joiner, Paul Schneider Nel 2016 il successo della prima stagione di Stranger Things, sfruttando con astuzia anche l’eco di Super 8, ha dato il via a una nuova ondata di show sul piccolo schermo in grado di coniugare la voglia di fantascienza con un crescente sentimento dolce-amaro da molti definito come “retro-nostalgia”. Pochi titoli – nessuno in realtà – hanno saputo ottenere i risultati della fortunata serie Netflix, limitandosi a essere copie sbiadite dell’originale. Anche lo stesso fenomeno mediatico senza precedenti nato dalla mente dei fratelli Duffer, tuttavia, sulla lunga durata ha perso la sua efficacia, soffocando a tratti il suo potenziale con l’insaziabile necessità di riferimenti alla cultura pop. In uno scenario televisivo ricchissimo ma quasi privo di saldi riferimenti nell’ambito della fantascienza, Tales from the Loop, senza alcun tipo di pretesa, è allora una ventata di aria fresca con la sua idea di una semplicità travolgente. L’ultima proposta seriale di casa Amazon nasce dalle opere di Simon Stalenhag, artista e designer svedese che nel 2014 ha pubblicato Tales from the Loop, un art book dallo stile retro-futuristico. I suoi lavori hanno appassionato Matt Reeves – regista del prossimo The Batman – al punto da convincerlo a diventare produttore esecutivo di questa prima stagione in 8 episodi che porta per la prima volta il grande pubblico delle serie tv tra i paesaggi e le suggestioni plasmate dalla visione di Stalenhag. Le vite degli abitanti di una piccola cittadina si intrecciano in una realtà in cui umanità e tecnologia si sono amalgamate su molteplici livelli fisici e non. Ogni personaggio in scena ha una sua voce inconfondibile e una storia da raccontare attraverso gesti, ricordi e, soprattutto, suggestioni alimentate anche dall’enigmatico e magnetico Loop, un complesso macchinario costruito per esplorare e risolvere i misteri più nascosti dell’universo. Nella prima puntata Jonathan Pryce, l’attore più noto coinvolto in questa produzione, accoglie lo spettatore, introducendo un universo narrativo senza pari. Sin dai primi istanti è chiaro che ogni confronto con altre serie di fantascienza è inutile oltre che privo di qualsiasi significato. Tales from the Loop è una creatura inedita nel panorama della fantascienza per il piccolo schermo. Gli episodi di questa prima stagione dipingono un immaginario variegato segnato da una profondità di emozioni e temi unica nel suo genere. Con dialoghi misurati ma incisivi e interpreti profondamente coinvolti, la serie affronta argomenti complessi con un tocco delicato e appassionato. Il dramma di una perdita, il sentirsi diverso, le difficoltà dei rapporti di tutti i giorni e molto altro trovano anima e forma grazia allo sguardo autentico e caratteristico di otto registi differenti tra cui spiccano Andrew Stanton, veterano della Pixar che affronta con dolcezza le sfumature di significato dell’esistenza, Charlie McDowell, alle prese con le ambiguità delle scelte e del destino, e infine Jodie Foster che sigilla questo primo loop narrativo con un racconto estremamente intimo e sincero. Le differenti regie di ogni episodio permette a Tales from the Loop di mostrare più identità e voci indipendenti, dando sfogo agli slanci creativi più arditi e interessanti. Il filo conduttore della stagione è quindi accuratamente tessuto da Nathaniel Halpern che si è occupato della sceneggiatura di tutti gli episodi, avventurandosi su un palcoscenico altrettanto affascinante in grado di deliziare lo sguardo oltre che la mente. Ambientata in Ohio ma girata prevalentemente in Canada, la serie traspone l’ambientazione svedese originale ma non tradisce lo spirito dell’opera di Stalenhag ricercando lo stesso equilibrio tra architetture, gadget tecnologici e paesaggi della provincia rurale. Con un’estrema cura per i dettagli della messa in scena e della caratterizzazione dei “robot” in scena, i direttori della fotografia, gli scenografi e i costumisti riescono a trovare una dimensione iconica per la storia, rendendola magnetica ma in un modo irresistibilmente sinistro.
La sinergia di più voci, sguardi e vocazioni creative è la chiave della riuscita di una serie da non perdere grazie alla sua capacità di entrare nel cuore del pubblico sin dalla prima sequenza con le sua atmosfere sospese nel tempo. Immagini tratte da: www.primevideo.com
di Vanessa Varini
Titolo: "Gifted"
Paese di produzione: Stati Uniti d'America Anno: 2017 Durata: 101 min Genere: drammatico Regia: Marc Webb Sceneggiatura: Tom Flynn Fotografia: Stuart Dryburgh Musiche: Rob Simonsen Interpreti e personaggi: Chris Evans (Frank Adler); Mckenna Grace (Mary Adler); Lindsay Duncan (Evelyn Adler); Jenny Slate (Bonnie Stevenson); Octavia Spencer (Roberta Taylor) Per tutti Chris Evans rimarrà l'indimenticabile Steve Rogers che viene tramutato nel muscoloso supersoldato Capitan America dal governo degli Stati Uniti, un ruolo che non richiede molta espressività, ma tra una battaglia con lo spietato Teschio Rosso e l'entrata nel gruppo degli "Avengers", ha tolto la tutina blu e si è calato nel ruolo strappalacrime di Frank, un uomo che vive a Tampa con la nipote Mary. La bambina ha un talento naturale per i numeri e la matematica, ma Frank ha deciso di non coltivare il suo dono facendole fare una vita normale, perchè sua sorella (e madre di Mary), brillante matematico ad un passo dal risolvere una delle equazione irrisolte di Navier-Stokes, si è suicidata, lasciando orfana la bambina. La vita scorre tranquilla, finché le capacità della piccola attirano l'attenzione della maestra e a Mary viene offerta una borsa di studio che le permetterebbe di frequentare una scuola prestigiosa per ragazzi geniali ma Frank rifiuta. A complicare la situazione arriva la nonna della bambina, che vuole trasformarla in un genio matematico per avere un po’ di quel successo a cui ha rinunciato in passato per la famiglia e portarla via da Frank. Il film di cui vi sto parlando s'intitola "Gifted - Il dono del talento", è diretto da Marc Webb e nel cast, oltre all'interpretazione credibile e commovente di Chris Evans, spicca l'intensa ed espressiva McKenna Grace (Mary), ma anche due talentuose attrici Lindsay Duncan (la nonna Evelyn) e Octavia Spencer (premio oscar per "The Help", nei panni di Roberta, la vicina di casa di Frank e Mary) senza tralasciare Jenny Slate che interpreta la maestra. Il film è un mix tra legal drama (con la battaglia legale per l'affido di Mary simile a quella del film "Black or White" con Kevin Costner, che si contendeva con la nonna paterna, interpretata proprio da Octavia Spencer, la custodia della nipotina), commedia (le scene con Fred, il gatto rosso senza un occhio, uno dei personaggi più divertenti del film)
ed è una storia ricca di insegnamenti. Infatti "Gifted" insegna che, nonostante il talento precoce, ogni bambino deve vivere la propria infanzia e non diventare un adulto in miniatura (alla fine Mary riuscirà a coltivare il suo talento ma anche vivere una vita normale) e che la famiglia non è solo quella classica, fatta di legami di sangue, ma é quella dove regna l'armonia, l'amore e la felicità, infatti Mary è legatissima alla sua vicina di casa Roberta.
Questo film si può recuperare su Tim Vision e se volete ammirare Chris Evans in un'altra sua brillante interpretazione, vi consiglio di guardare il giallo del 2019 "Cena con delitto", sempre disponibile su Tim Vision.
Immagini tratte da:
https://pad.mymovies.it/ https://mr.comingsoon.it/ https://www.youmovies.it/ https://mr.comingsoon.it/ Di Federica Gaspari ![]() Data di uscita: 27 marzo 2020 Genere: thriller, horror, fantascienza Anno: 2020 Regia: Leigh Whannell Attori: Elisabeth Moss, Oliver Jackson-Cohen, Storm Reid, Aldis Hodge, Harriet Dyer Sceneggiatura: Leigh Whannell Fotografia: Stefan Duscio Montaggio: Andy Canny Musiche: Benjamin Wallfisch Produzione: Blumhouse Productions, Goalpost Pictures, Nervous Tick Distribuzione: Universal Pictures Paese: Stati Uniti d’America, Australia Durata: 124 min Cinema chiusi e uscite in sala posticipate di diversi mesi spingono l’industria della settima arte a ripensare strategie di distribuzione in una situazione di emergenza senza precedenti. Universal Pictures, etichetta responsabile dei titoli in uscita più interessanti previsti per marzo e aprile, ha quindi scommesso sulle piattaforme di streaming, rilasciando in esclusiva per i cataloghi di Chili, Infinity e Rakuten TV alcune delle sue proposte per il grande schermo. L’uomo invisibile era uno dei film più attesi nelle sale dagli appassionati dopo una vivace accoglienza di pubblico e critica statunitense. Lo scorso 27 marzo la pellicola è stata distribuita ufficialmente in Italia in video on demand suscitando già accesi confronti tra gli spettatori grazie a una rivisitazione estremamente attuale dell’omonimo romanzo di fantascienza del 1881 di H. G. Wells. Le reinterpretazioni dei grandi classici, nonostante l’approccio moderno e intrigante, non sempre sanno centrare il loro obiettivo rispettando lo spirito originale. Questa versione, pur stravolgendo temi e dinamiche del materiale di partenza, riesce tuttavia a regalare uno dei thriller più interessanti degli ultimi tempi. L’esistenza di Cecile (Elisabeth Moss) è soffocata costantemente da una relazione tossica. Il fidanzato Adrian (Oliver Jackson-Cohen), un brillante ingegnere di successo, è infatti terribilmente violento. Nel corso di una serata come tante altre, la ragazza mette in atto un piano di fuga, riuscendo finalmente ad allontanarsi dall’aggressivo compagno trovando rifugio e protezione a casa di James (Aldis Hodge), un fidato amico d’infanzia. Pochi giorni dopo la fuga, Cecile scopre che Adrian si è suicidato lasciandole in eredità tutto il suo patrimonio. L’inattesa notizia, però, sarà seguita da una serie di strani e surreali eventi che sembrano seguire in modo sinistro la protagonista… Nel 2016 Universal rese noti i suoi ambiziosi piani per la creazione di un universo cinematografico legato ai suoi iconici mostri dei film horror dagli anni Cinquanta. Dopo il fallimento di critica e pubblico de La Mummia l’anno seguente, ogni possibile strategia legata allo sviluppo di un film con l’uomo invisibile in questo contesto è stata abbandonata. Il “Monsterverse” si è così rapidamente sbriciolato sotto il peso delle sue ambizioni, rinunciando a Johnny Depp, il nome di prestigio associato sin dal principio al nuovo adattamento dell’iconico romanzo di Wells. Questo fallimento sembrava inesorabilmente la fase conclusiva di un progetto di un adattamento che in realtà era in cantiere sin dal lontano 2006. L’ingresso in scena della Blumhouse, casa di produzione specializzata in titoli horror, ha tuttavia cambiato totalmente le regole del gioco assumendo il controllo creativo dell’adattamento. L’uomo invisibile si concretizza quindi come una storia stand-alone attraverso la regia e la sceneggiatura di Leigh Whannell, già artefice di quel raro e imperdibile esempio di fantascienza e thriller intitolato Upgrade. In netto contrasto con le prime versioni della sceneggiatura, il ruolo di protagonista viene affidato a Elisabeth Moss, ottima attrice che in passato ha dimostrato la sua vena drammatica sul piccolo schermo con Mad Men e The Handmaid’s Tale. Proprio lei e le tematiche insolitamente affrontate sono le scelte vincenti di questo adattamento fuori dagli schemi. La straordinaria protagonista – sempre credibile ed estremamente immersa nelle difficili atmosfere del film – è la narratrice di una storia di abusi, timori e angosce. Attraverso i suoi occhi il pubblico vive ogni difficoltà legata allo stalking e, in particolare, alle conseguenze di una fuga, con tutte le paure e ossessioni che ne derivano. Un compagno violento e soffocante diventa una minaccia silenziosa e, appunto, invisibile, interpretando e incarnando a livello psicologico lo spirito originariamente più triviale del personaggio immaginario creato da Wells. L’aspetto puramente fantascientifico diventa così un semplice supporto per un thriller con slanci da tesissimo horror psicologico che non lascia scampo allo spettatore nonostante qualche distensione nella parte centrale. L’ottima scrittura e gestione dei personaggi secondari e delle loro interazioni con la protagonista permettono inoltre di riflettere sulle vicissitudini di una donna vittima di violenza domestica che ha avuto il coraggio di scappare cercando di ricostruire una nuova vita. I dubbi, le incomprensioni e le presunte paranoie si materializzano attraverso gesti e sguardi, in un modo ancora più efficace di quanto già sperimentato da Steven Soderbergh con Unsane.
Con la giusta attenzione per i dettagli e i temi, il film gioca abilmente con la tradizione di un’icona del cinema soprannaturale riflettendo brillantemente su una problematica sociale non semplice da affrontare con la giusta lucidità. Immagini tratte da: www.mymovies.it
Volge al termine la maratona di Harry Potter proposta da Mediaset, con la prima parte de I Doni della Morte, che sarà trasmesso stasera.
di Salvatore Amoroso
Tra oggi e domani rivivremo i due capitoli conclusivi della saga del maghetto più amato di sempre. Recensire un fenomeno di costume che ha riscosso un enorme successo e varie opinioni contrastanti non è mai facile, specialmente quando i fan della saga restano puntualmente delusi da ciò che i registi trasportano sullo schermo e soprattutto dai tagli importanti che fanno alla trama (fatta eccezione per il terzo film, “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” di Alfonso Cuarón, quello più apprezzato finora). Di certo per occuparsi di Harry Potter non basta solo una bacchetta magica, ma molto impegno e soprattutto un’enorme budget. Il settimo libro “Harry Potter e i doni della Morte” fa ancora oggi parlare di sé. Il fatto di essere stato diviso in due episodi per esigenze di trama (e di incassi) non è andato molto a genio agli ammiratori del maghetto, vedendosi allungare ulteriormente il brodo.
Uno dei grandi difetti di questo ‘’I Doni della Morte – parte I’’ fu la scelta di avvalersi del 3D, una di quelle cose che può segnare a vita lo spettatore, se il risultato è un buco nell’acqua. L’insuccesso dei cambiamenti apportati fu tale che nella seconda parte si decise di tornare alle origini, resettando gli effetti e cercando di dare più spazio agli Studios. Decisione assolutamente azzeccata, dal momento che tutti questi effetti speciali non fecero altro che distogliere l’attenzione dalla trama: qui di cose da dire ce ne sono parecchie, e non sempre sono cariche di action, come nei film degni degli occhialetti. Lo spettatore, per chi non avesse letto il libro, segue le vicende del magico trio in giro per l’Inghilterra, alla ricerca degli ultimi Horcrux da distruggere per sconfiggere il perfido Voldemort.
Per la prima volta in sette libri l’ambientazione non è quella familiare del castello Hogwarts; il regista David Yates ha avuto così modo di sbizzarrirsi e bisogna ammettere che non delude le aspettative: dagli interni del Ministero della Magia, tetri e soffocanti, fino ai boschi innevati e alle distese selvagge, ricrea scenari mozzafiato, che non ci fanno sentire la mancanza della Sala Grande e della aule polverose della scuola.
Gli attori come sempre sono convincenti: tre ragazzi che per la prima volta si trovano ad essere completamente soli in un mondo di adulti, smarriti e braccati dai Mangiamorte, si abbandonano al nervosismo e alla paura che dilaga in questo mondo perennemente in guerra. Le scene sono sempre più cupe, i colori freddi, e ci sono momenti di pura violenza in cui si ha voglia di distogliere lo sguardo dallo schermo, ma basta tirare fuori la Pozione Polisucco per far tornare la magia.
Il momento in assoluto migliore è il cortometraggio animato che racconta la storia dei “Doni della Morte”, ricreando quell’atmosfera degna dei vecchi cartoon d’autore, facendoci ricordare per un secondo che questa saga è in realtà rivolta ai bambini. Essendo un film di transizione, si può dire che l’unico vero difetto è l’eccessiva lentezza nella parte centrale, quando i protagonisti sono alla ricerca di indizi per gli Horcrux. L’inizio e la fine sono pieni di battaglie e inseguimenti, ma gli spostamenti e le discussioni nel mezzo non verranno digeriti facilmente da uno spettatore non preparato dai libri. Questo non dipende dal regista, ma dalla trama, che nel secondo episodio riprende ad essere piena d’azione e magia. Dunque non ci resta che aspettare domani e sperare fiduciosi di non sentire troppo presto quella vecchia fitta allo stomaco, dovuta non solo alla sensazione malinconica che accompagna sempre la fine di una saga tanto amata, ma anche alla maldestra scena finale passata alla storia per... sapete di cosa stiamo parlando.
Immagini tratte da: Locandina: Libri, sogni e realtà.it Immagine1: Wikipedia Immagine2: ScuolaZoo.com Immagine3: Quinlan.it Immagine4: Movieplayer.it |
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Giugno 2023
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