Di Federica Gaspari L’attesa ormai è agli sgoccioli e il pubblico di cinefili di tutto il mondo è nel vivo della vigilia di questi Oscar così atipici, senza precedenti e, forse, proprio per questo rivoluzionari. La cerimonia di quest’anno, a causa delle trasformazioni dell’industria della settima arte dovute alla pandemia ma non solo, segna un momento di svolta irreversibile e indispensabile per comprendere le prossime direzioni di Hollywood e di tutto il settore. Per questo motivo mai come quest’anno è interessante oltre che divertente provare a mettersi in gioco per indovinare i vincitori delle più ambite statuette della fabbrica dei sogni. Previsioni, sentimenti serpeggianti nella società attuale, scelte politiche: i fattori che influenzano il voto delle migliaia di votanti dell’Academy sono infiniti e quindi impossibili da intrappolare in un’equazione perfetta in grado di svelare con sicurezza i vincitori. Alcune categorie sembrano già essere saldamente tra le mani di alcuni nomi ma cosa accadrebbe se i premi potessero essere previsti basandosi sulla sua storia? Dopotutto, se Hollywood è una leggenda che si autoalimenta, perché non provare a giocare con le statistiche immaginando un sistema deterministico con memoria del suo passato? Scopriamo insieme, allora, quali sarebbero i vincitori nelle principali categorie. Migliore attore non protagonista Ogni premio precursore indica chiaramente un vincitore quasi certo: Daniel Kaluuya per la sua energica interpretazione di Fred Hampton in Judas and the Black Messiah. Questo trionfo porterebbe l’attore britannico 32enne nell’Olimpo dei premiati più giovani in questa categoria al fianco di grandi nomi come Robert De Niro, Jack Lemmon e Benicio del Toro anche se non sfilerà il record a Timothy Hutton che ottenne la statuetta nel 1981 a soli vent’anni per Ordinary People. Nemmeno un’improbabile vittoria di Paul Raci per Sound of Metal riuscirebbe a segnare un nuovo record d’età ancora sugellato nella storia con l’Oscar del compianto Christopher Plummer. La storia di questi premi punta invece il dito verso Sacha Baron Cohen in Borat 2 che, a 50 anni, è il candidato più vicino alla media di 49 anche se segnerebbe un insolito riconoscimento per una commedia. Migliore attrice non protagonista Osservando le statistiche demografiche di questa categoria relative al passato e a questa edizione, si osserva con curiosità una forte divergenza dalla tradizione. Innanzitutto, con le cinque candidate in competizione si assiste a uno dei più ampi spettri demografici e interpretativi di sempre. Inoltre, l’età media delle candidate, 51 anni, è nettamente superiore a quella delle passate cerimonie, 40 primavere, segno di una manifestazione e un’intera industria che inizia a dare valore ad artiste di diverse generazioni. Questa grande varietà di ruoli e sfumature di performance rende ancora più intrigante la sfida che, statisticamente, suggerisce la possibile vittoria di Olivia Colman per The Father. Attenzione, però, a Glenn Close che con il bistrattato Hillbilly Elegy porrebbe fine a una delle più lunghe serie di candidature senza premi: ben otto! Migliore attore protagonista La prematura scomparsa di Chadwick Boseman lo scorso agosto sarà senza dubbio ricordata nel corso della notte degli Oscar. L’ottima interpretazione dell’attore in Ma Rainey’s Black Bottom potrebbe vedere una nuova assegnazione di una statuetta postuma a dodici anni da quella di Heath Ledger. L’unico contendente plausibile per il titolo è Anthony Hopkins con The Father che, a 84 anni, con un secondo riconoscimento diventerebbe l’attore più anziano di sempre a ottenere una statuetta. La media di 44 anni registrata in 92 edizioni, invece, confermerebbe in via deterministica una vittoria – per molti già scritta – di Boseman. Migliore attrice protagonista In un’edizione in cui molte categorie importanti – basandosi esclusivamente sui premi precursori – sembrerebbero già definite con piccoli margini di errore, la categoria dedicata alle interpreti femminili al centro della scena si preannuncia più intrigante che mai. Alla vigilia della cerimonia di premiazione non vi è una chiara vincitrice e tutte le attrici in competizione hanno già messo le mani su almeno uno dei premi principali dell’award season. Difficile, quindi, districarsi tra una cinquina di prove attoriali davvero stupefacenti. Solo i numeri e le statistiche – oltre anche ai gusti e alle speranze personali – possono fornire un saldo (forse) appiglio. La media d’età di 36 anni delle passate detentrici del titolo corrisponde esattamente al profilo di Carey Mulligan, nome papabile grazie alla sua spumeggiante interpretazione in Promising Young Woman. Andrà davvero a finire così? I giochi sono davvero apertissimi. Miglior film E per il premio principe della kermesse? Più di novant’anni di prestigiosi titoli in gara hanno visto susseguirsi generi, movimenti, correnti di pensiero e, anche, polemiche molto variegate. In tutti questi decenni, tuttavia, sembra che nessuno sia riuscito a trovare una vera e propria formula perfetta per realizzare un film a prova di Oscar anche se, ogni anno, alcuni titoli sembrano essere più in linea con un certo tipo di tradizione. Il palmares degli Academy Awards ricorda infatti che gli annuali appuntamenti con la notte delle star spesso vede l’assegnazione di statuette importanti a film di stampo drammatico, solitamente spiccatamente biografici e celebrativi della storia di Hollywood stessa. Nella rosa di nominati di questa edizione compare un titolo che corrisponde perfettamente a questo identikit a cui si aggiunge anche una durata totale paragonabile a quella media dei passati vincitori: Mank. Il film di David Fincher, però, riuscirà davvero ad avere la meglio sul favoritissimo della vigilia Nomadland? Fino a questo punto si è trattato solamente di statistiche e puro determinismo – o quasi! – ma questo non basterà o non avrà grande rilevanza davanti alla trepidante attesa che culminerà nella nottata italiana con l’inizio di una delle cerimonie degli Oscar che per la sua importanza e particolarità passerà senza dubbio alla storia. Chi vincerà davvero? Appuntamento all’una su TV8 per seguire in diretta la cerimonia scoprendo così le risposte a questo difficile quesito!
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di Matelda Giachi Dopo un anno di pandemia che ha tenuto chiuse le sale cinematografiche rilegando tutti sul divano di casa, molti guardano all’edizione 2021 degli Academy’s Awards come ad un evento arrabattato, finanche privo di senso e contenuti validi. Eppure eccoci di nuovo alle porte della notte del cinema, con un po’di ritardo rispetto al solito, ed una selezione di film tutt’altro che insipida ma, anzi, assai interessante a dispetto i tutto. Ma quali sono i film che l’Academy ha selezionato come i migliori dell’anno? Ve ne facciamo una breve panoramica IL PROCESSO AI CHICAGO 7 Fine agosto del 1968 a Chicago, le manifestazioni di protesta contro la guerra del Vietnam, durante la convention del Partito Democratico, sfociano in uno scontro tra i manifestanti e la Guardia nazionale. Otto attivisti vengono arrestati pochi mesi dopo con l’accusa di incitamento alla rivolta e portati a processo. Aaron Sorkin, col suo secondo film da regista, racconta la storia di quel processo. Basato su fatti realmente accaduti, Il Processo ai Chicago 7 è forse il più “completo” tra i candidati all’Oscar come miglior film. Una sceneggiatura impeccabile, di impostazione molto classica, che non si focalizza solo sul procedimento giudiziario nel suo svolgimento, ma va ad approfondire i fatti che hanno portato ciascun accusato a sedersi in quell’aula di tribunale. Il cast è stellare, non tanto per la notorietà degli interpreti quanto più per il loro carisma e il loro talento nel dare spessore ai personaggi. L’ammiccamento all’attuale situazione socio - politica americana, evidente. Disponibile su Netflix JUDAS AND THE BLACK MESSIAH William O’Neal è un giovane con diversi problemi con la giustizia, non ultimo quello di spacciarsi per un agente dell’FBI. Quando dei veri agenti lo catturano, baratta la propria coscienza per la libertà e viene infiltrato nel movimento rivoluzionario afroamericano delle Pantere Nere. Collabora così alla cattura e uccisione del loro leader, tradendo quelle stesse convinzioni di cui si sente di giorno in giorno sempre più parte, come un vero e proprio Giuda nero. Un’altra sceneggiatura basata su fatti realmente accaduti; un altro spaccato di storia americana non proprio meritevole con focus sui diritti civili (siamo anche nello stesso periodo storico). Judas and The Black Messiah è un film rigoroso, estremamente lucido, scevro, verrebbe da dire anche troppo, di qualsiasi sentimentalismo, la cui forza risiede soprattutto nelle potenti interpretazioni dei due attori principali. Disponibile per il noleggio su tutte le piattaforme predisposte (prime Video, Google play, Chili…) MANK Mank racconta la genesi di uno dei più discussi capolavori del cinema, Quarto Potere e la vera storia del suo sceneggiatore, Herman Mankiewicz, che lo ha scritto bloccato a letto per un incidente, con l’aiuto della sua dattilografa. Potremmo definire Mank come il più “difficile” dei candidati all’ambita statuetta, a partire dal bianco e nero e dallo stile volutamente anni ’30-’40; un prodotto estremamente cinefilo. Un capolavoro di tecnica, di dialoghi, un protagonista mastodontico per nulla casuale come Gary Oldman. Impossibile non leggerci dentro, pur criticandone, anche ferocemente, le contraddizioni, un’enorme dichiarazione d’amore per il mondo del cinema. Disponibile su Netflix MINARI Un piccolo nucleo familiare coreano – americano si trasferisce nell’Arkansas rurale per inseguire i sogni del padre e deve cercare, tra paure, incertezze, dubbi, di trovare un nuovo equilibrio che lo accompagni in questo cambio di vita. Ricco di spunti di riflessione, qualcosa deve distruggersi per poter rimettere insieme i pezzi. Minari ha un ritmo lento, come è tipico del cinema orientale, ma non tanto da non essere fruibile anche per un pubblico eterogeneo. Ha elementi fortemente poetici, soprattutto nella fotografia ed è un invito ad approfondire un tipo di cinema che solo in rare occasioni riesce a farsi spazio tra i blockbusters. Nonostante il suo essere un bel film, è quello che un po’ scompare a confronto col gruppo. Presente tra i nominati forse perché forte della vittoria di Parasite della precedente edizione e di Brad Pitt in produzione. Sarà il primo film a tornare in sala il 26 aprile, per poi approdare anche in streaming a maggio. NOMADLAND Già vincitore del Leone D’oro a Venezia e poi del Golden Globe, del BAFTA e di numerosi altri premi, Nomadland è sicuramente il cavallo favorito in questa corsa all’Oscar. Racconta la storia di Fern, una donna di circa sessanta anni che, vedova e travolta dalla crisi economica che spazza via ogni appiglio solido della sua esistenza, decide di intraprendere la vita on the road, scoprendo un inaspettato mondo di moderni nomadi. Il viaggio di Fern, è un viaggio attraverso quell’America invisibile di cui troppo spesso ci dimentichiamo la vastità, ma anche un viaggio esistenziale alla ricerca di se stessa e del proprio posto nel mondo. Lo spunto di riflessione potente che il film si incarica di dare è sicuramente ciò che lo rende il favorito di ogni giuria e Frances McDormand sembra nata per interpretare questo tipo di ruoli. Disponibile dal 30 aprile su Disney Plus ma anche in sala SOUND OF METAL Cosa succede se un batterista metal si trova a perdere progressivamente l’udito? E’ quello che accade a Ruben, che inizia così un percorso terapeutico, ma non solo, alla disperata ricerca di riallacciare il legame con la cosa a cui tiene di più nella vita, la musica. Ciascuno di questi otto film ha in comune di reggersi su di interpretazioni di altissimo livello e Sound of metal non fa eccezione. Ma la sua personale peculiarità sta nella scelta del montaggio sonoro: non è solo il protagonista a trovarsi escluso da un universo di rumore, suoni, musica e silenzi ma orecchie analoghe sono fornite allo spettatore, che si trova così a confrontarsi con la stessa percezione frammentata del mondo del protagonista. Perché quello che conta non è ciò che accade intorno a Ruben ma quello che accade dentro di lui, la sua esperienza, Disponibile su Prime Video THE FATHER Attraverso la storia di Anthony, un ottantenne che rifiuta ogni aiuto che la figlia tenta di dargli, The Father porta sullo (speriamo a breve grande) schermo la fragilità dell’età anziana, la lotta per mantenere identità, indipendenza quando, non solo il corpo, ma anche la mente cominciano a non rispondere, a tradirti e senti la vita sfuggirti di mano. Anthony Hopkins, protagonista magistrale di questo dramma, ti prende il cuore e lo stringe in una morsa. Il testo è di origine teatrale e protagonista e attore portano lo stesso nome perché il ruolo è stato scritto apposta per Hopkins. Di tutti, è il film di cui si è sentito meno parlare, eppure uno dei più meritevoli. Non ancora disponibile in Italia UNA DONNA PROMETTENTE Esplosivo esordio alla regia per Emerald Fennel, la Camilla di The Crown, con quello che è sicuramente il più brillante e inaspettato dei film candidati. Cassie, la protagonista, interpretata da una Carey Mulligan che non è mai stata così brava, è una ragazza di 30 anni che sembrava poter tenere il mondo in pugno e invece abbandona gli studi di medicina, lavora in un bar, vive a casa coi genitori e spende il fine settimana ad abbordare sconosciuti senza uno scopo apparente. Ma è un profondo trauma a muovere la vita di Cassie in una direzione che è, in realtà, lucidissima e pianificata. Il film di Emerald Fennel affronta il tema della violenza senza farla mai comparire sullo schermo, eppure picchiando duro più di qualsiasi crudezza. Dà voce alle donne senza mai essere petulante o retorica e riesce ad essere sorprendente e inaspettato fino all’ultimissimo minuto. Non ancora disponibile in Italia
di Salvatore Amoroso
La recensione di Love and Monsters, il film di Michael Matthews con Dylan O'Brien: in un mondo post-apocalittico il protagonista intraprende un viaggio pieno di pericoli per ritrovare la donna amata. ![]()
Genere: Avventura, commedia
Anno: 2020 Regia: Michael Matthews Durata: 109 min. Sceneggiatura: Matthew Robinson Fotografia: Lachlan Milne Montaggio: Debbie Berman, Nancy Richardson Musiche: Marco Beltrami, Marcus Trumpp Produzione: Paramount Pictures, 21Laps Entertainment Distribuzione: Netflix Paese: USA, Canada
Cosa non si fa per amore? Il sentimento più forte che pervade l'essenza stessa dell'universo. Ci fa compiere gesti inconsulti e impensabili, azioni che normalmente non avremmo mai fatto ma che in nome dell'amore non ci sembrano poi così folli. Quanti film e serie TV hanno mostrato la doppia faccia dell'amore, in grado di distruggere e creare, di separare e unire, ma che nonostante tutto ci hanno fatto sognare di vivere quelle romantiche storie. Ecco, magari la storia di oggi può risultare romantica, ma se potessimo evitare di viverla, certamente non ne faremmo un dramma.
Sbarcato sul catalogo italiano di Netflix il 14 aprile, Love and Monsters era già stato distribuito negli Stati Uniti il 16 ottobre dello scorso anno sempre sulla medesima piattaforma di streaming. Diretta da Michael Matthews, che firma il suo secondo lungometraggio come regista, la pellicola è un'avventura comica che ci porta a scoprire quanto l'amore può spingere anche il più timoroso degli uomini a intraprendere un viaggio pericoloso per raggiungere la propria amata, distante chilometri da casa sua… o da quello che ne rimane. A porre fine all'umanità non è il proverbiale asteroide che minaccia la nostra sopravvivenza ma gli scarti chimici dei missili che, lanciati da tutte le nazioni unitesi nello sforzo di salvare il mondo, ricadono sul pianeta. Tali sostanze colpiscono e modificano il DNA degli animali a sangue freddo (rettili, insetti, crostacei e chi ne ha più ne metta), trasformandoli in enormi e mostruose creature assetate di sangue. La storia si apre sette anni dopo il giorno del giudizio, ma noi veniamo velocemente trasportati al momento in cui tutto è cambiato, scoprendo il passato del nostro protagonista Joel (Dylan O’ Brien): il giorno della comparsa dei primi mostri è costretto a separarsi da Aimee (Jessica Henwick) la ragazza di cui è profondamente innamorato, per seguire i suoi genitori nel disperato tentativo di abbandonare il pericolo delle città per un luogo isolato e sicuro. Come possiamo immaginare fin da subito le cose non sono andate come speravano e Joel, sette anni dopo i fatti, si trova rinchiuso in un bunker insieme a un gruppo di altri sopravvissuti.
Love and Monsters mette in contrasto questi due concetti assai differenti tra loro e l'idea di dare spazio all'amore in un mondo popolato da mostri a sangue freddo risulta un abbinamento particolare. Quante volte abbiamo visto due amanti volersi bene per poi essere divisi da uno sfortunato incidente dovuto al mostro di turno, come per altro accade perennemente nei film e serie TV horror? La componente comica invece funge perfettamente da collante. Difatti Joel, lungo il suo percorso si imbatte in situazioni di pericolo molto ‘’sui generis’’ ma può contare sulla presenza di alcuni peculiari amici, tra cui il cane Boy, piccolo guastafeste e salvatore della sua psiche, e del duo Minnow e Clyde, quest'ultimo interpretato da Michael Rooker. Purtroppo i due sopravvissuti raminghi, nonostante ricoprano un ruolo fondamentale per lo sviluppo della trama, danno l'impressione di essere personaggi un po' troppo di passaggio, così come per altro tutti i personaggi secondari del film. Diciamo che a conti fatti, Love and Monsters è un buddy movie tra Joel e Boy.
Non possiamo che soffermarci sull'aspetto visivo di un film in cui mostri e creature mutanti hanno un ruolo così importante: gli esseri creati e portati sullo schermo sono tanti e vari, ben sviluppati e realizzati. Le ambientazioni in cui si muovono sono molto dettagliate e capaci di trasportarci in un mondo in cui la natura ha nuovamente preso il sopravvento e in cui gli esseri umani non sono più la specie dominante: enormi formicai e alveari aggrappati alle vestigia di un mondo che fu, boschi sconfinati popolati da quelli che un tempo erano solo innocui animali ed ora sono temibili creature, paesaggi inquietanti ma al tempo stesso estremamente affascinanti. Nei momenti di scontro con i mostri la CGI non sempre è perfetta, questo non possiamo che sottolinearlo, ma resta comunque piuttosto valida, e a risaltare sono spesso però le scene in cui si utilizzano effetti speciali pratici, che evidenziano ancor di più la ricchezza di dettagli data alle diverse creature.
Love and Monsters non è un film privo di difetti, la sceneggiatura si appoggia fin troppo spesso su soluzioni decisamente miracolose per i guai in cui il protagonista si caccia e nessuno dei personaggi secondari viene mai realmente approfondito, servendo semplicemente per dare un po' più di colore ad alcune situazioni o per mettere in luce alcune caratteristiche del protagonista. Arrivati in fondo, però, ci viene facile perdonare il secondo lungometraggio diretto da Matthews che si rivela una sorpresa piacevole, un film gradevole da vedere, senza particolari colpi di scena o momenti unici ma che ci riconcilia con il folle mondo che stiamo vivendo attualmente.
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Locandina: Amazon.it Immagine 1: NerdMovieProductions Immagine 2: Pinterest Immagine 3: Anosmia Dopo il grande successo del primo atto della 50esima edizione dell’International Film Festival di Rotterdam, la manifestazione cinematografica internazionale propone una lineup di prestigio per la seconda parte dell’edizione che avrà luogo dal 2 al 6 giugno in forma ibrida. di Federica Gaspari IFFR si prepara alla chiusura della cinquantesima edizione con un programma di altissimo livello che sarà disponibile in forma ibrida tra sale e web dal 2 al 6 giugno, estendendosi in modalità on demand fino al 9 giugno. Rispettando tutte le attuali restrizioni Covid-19, la kermesse adotterà quindi una modalità in grado di proporre titoli cinematografici sia nelle sale di Rotterdam nonché quelle convenzionate in tutti i Paesi Bassi ma anche online in modo da rinnovare e rispettare la propria vocazione internazionale attenta a un pubblico e professionisti provenienti da ogni continente. Il festival con questa nuova formula accetta anche la sfida di introdurre alcune ulteriori novità tra cui la presentazione del nuovo programma Harbour, insieme a Bright Future, Cinema Regained, e il programma Short & Mid-length, con una selezione di proiezioni all'aperto di classici dell'IFFR. Il programma Art Directions completa l'offerta fisica con performance dal vivo, Virtual Reality, un'installazione itinerante e gli speciali del 50°, che insieme offrono la possibilità di celebrare di persona la chiusura di questa edizione dell'importante anniversario. La direttrice artistica Vanja Kaludjercic presenta la lineup della seconda parte del festival come un incontro tra i grandi classici che hanno segnato la storia di IFFR e l’eclettica fantasia di autori e artisti che trovano finalmente spazio per sperimentare le proprie idee sul grande schermo. I titoli proposti nelle varie sezioni, quindi, riflettono pienamente questa volontà di ritrovare la settima arte in ogni sua mutazione e sfumatura in un momento tutt’altro che semplice per l’industria e per il pubblico stesso che, forse, vede il graduale ritorno di normalità nella propria quotidianità. L’International Film Festival di Rotterdam, con la solida volontà di unire locale a globale come da sua tradizione, con il lancio del nuovo programma Harbour che affonda le radici proprio nella natura portuale dell’importante snodo urbano olandese in continua evoluzione e con un occhio sempre rivolto alla contemporaneità. L’anteprima esclusiva di Dune Dreams del regista francese Samuel Doux aprirà le danze della sezione che vanta tra i suoi titoli anche la premiere europea di The Blue Danube di Ikeda Akira. Nella sezione Bright Future dedicata ai debutti registici più promettenti, spiccano i nomi della visual artist Émilie Serri con il documentario Damascus Dreams e di Joke Olthaar in scena con BERG. La grande tradizione di cinema europeo e non solo trova voce tra i titoli della selezione Cinema Regained con la presentazione esclusiva di film restaurati come Neck 'n' Neck, tra le prime produzioni di Walt Disney che vede in scena Oswald, precursore dell’iconico Mickey Mouse. Questa prima lista di titoli appena svelata si arricchirà ulteriormente tra poche settimane. Il programma di giugno, infatti, sarà ampliato con ulteriori titoli di film, Big Talks e altro ancora dopo che la lineup completa sarà annunciata nel corso della conferenza stampa dell'IFFR martedì 25 maggio, che sarà trasmessa in diretta streaming su IFFR.com. Maggiori info su: https://press.iffr.com/ Immagini tratte da: https://press.iffr.com/
di Matelda Giachi
Disponibile per il noleggio da questo 9 di aprile su tutte le piattaforme, uno degli otto candidati a Miglior Film per gli Oscar 2021. Con sei nomination totali, Judas and the Black Messiah segue quello che sembra essere il maggiore filone narrativo di questa edizione, la lotta per i diritti civili, al centro anche di One Night in Miami come de’ Il Processo ai Chicago 7.
Film di genere biografico, si racconta del movimento rivoluzionario afroamericano, nato verso la fine degli anni ’60, delle Pantere Nere, e dell’omicidio del suo leader Fred Hampton. Dopo la venuta di Martin Luther King e di Malcom X, le Pantere Nere lottano ancora per la libertà (non solo del popolo nero ma di tutto il proletariato, in una guerra di classe ancor più che di razza), rifiutando però il principio di non violenza di King e sostituendolo con quello dell’autodifesa, per cui giravano pesantemente armati, così da arginare abusi di potere da parte della polizia. Visti come un pericolo per lo stile di vita americano, entra in gioco l’FBI che infiltra nel movimento William O’Neal, ragazzo con diversi problemi con la giustizia, a cui promette la libertà in cambio di informazioni. Un’offerta di lasciare in prigione la propria coscienza al posto del proprio corpo. A Fred Hampton, carismatico, forte delle sue convinzioni, impetuoso, venerato come un Messia, ecco che si contrappone la figura di O’Neal, un vero Giuda che ha venduto per pochi soldi quelle stesse persone e quelle stesse convinzioni delle quali si sente però sempre più parte; un dilemma interiore che lo accompagnerà fino al giorno del suo suicidio, nel 1990. Signori, la potente similitudine biblica del titolo è servita.
In questo film condotto in maniera lineare, asciutta, classica, senza scelte di regia azzardate; un film diretto, che non nasconde la sua presa di posizione e che non si lascia andare a sentimentalismi neanche quando sfiora il lato più umano dei personaggi che racconta, sono soprattutto le interpretazioni dei due attori principali a lasciare il segno nello spettatore. Daniel Kaluuya, già premiato con il Golden Globe e il SAG, entrambi candidati all’Oscar come miglior attore non protagonista. Una scelta che ha lasciato perplessi molti ma che trova la sua migliore spiegazione in chi ha definito Judas and the Black Messiah come un’opera senza protagonisti, in cui il ruolo centrale è occupato solo dal movimento. Diciamo che la cerimonia più famosa del mondo cinematografico si presenta, inaspettatamente, dopo un anno che il Covid19 ci costringe lontani dalla sala, molto più interessante di quanto avremmo immaginato.
Voto:7/8 di Federica Gaspari ![]() Genere: documentario Anno: 2020 Regia: Shalini Kantayya Con la partecipazione di Joy Buolamwini, Cathy O’Neil, Meredith Broussard, Silkie Carlo Produzione: 7th Empire Media, Independent Lens, ITVS, JustFilms /Ford Foundation, Chicken And Egg Pictures, Women Make Movies, The Alfred P. Sloan Foundation Production, undance Institute Documentary Film Paese: Stati Uniti, Regno Unito, Cina Durata: 105 min Controllo della criminalità con tecniche di riconoscimento facciale, gestione dei servizi di prima necessità con l’ausilio di sofisticati algoritmi di machine learning addestrati da un ristretto gruppo di tecnici: queste tecnologie sembrano essere frutto della fantasia avveniristica di sceneggiatori di serie come Person of Interest oppure della terza stagione di Westworld, visioni futuristiche capaci di andare anche oltre la fervida quanto terrificante immaginazione distopica di Orwell. Applicazioni informatiche di questo tipo, tuttavia, sono realtà già in azione oppure in fase avanzata di sperimentazione. Dopo un’iniziale reazione meravigliata, è inevitabile tuttavia una urgente riflessione sull’etica di tali ingegnose conquiste che potrebbero o dovrebbero – questa la “naturale” evoluzione – sostituire il fallibile occhio umano in molti campi. Il documentario Coded Bias di Shalini Kantayya, recentemente approdato su Netflix dopo l’ottima accoglienza fuori concorso all’ultima edizione del Trieste Science Fiction Festival, intercetta la necessità di una discussione sul tema sollevando tuttavia interrogativi ancora più concretamente inquietanti: come queste tecnologie potranno influenzare dinamiche sociali e, inevitabilmente, ineguaglianze e discriminazioni? La voce appassionata e determinata di Joy Buolamwini, giovane ricercatrice del MIT di origine ghanese, accompagna lo spettatore in un racconto che ha origine nel 2018, anno in cui l’intervistata nel corso della fase di validazione di un algoritmo di intelligenza artificiale ha riscontrato dei significativi bias nel riconoscimento automatico dei volti di donne nere. Tale constatazione ha portato l’informatica a una ricerca sempre più approfondita per trovare ulteriori prove della presenza di discriminazioni automatizzate e sistematiche nello sviluppo di software di questo tipo, individuando così numerose applicazioni in fase di prossima adozione oppure già operative come accaduto in Regno Unito. Con lo sguardo tipico delle generazioni successive e spesso per definizione o deformazione “più evolute”, è ora semplice osservare e interpretare con criticità i cambiamenti delle rivoluzioni industriali dei secoli scorsi. Nel vivo di costanti cambiamenti tecnologici di ordini di grandezza e complessità crescenti non è raro, al contrario, dimenticarsi delle implicazioni delle tecnologie stesse a cui si intende delegare con estrema e cieca fiducia la ricerca di soluzioni per interpretare una realtà non lineare. L’ispirato documentario di Kantayya lascia volutamente alle spalle una tradizione multimediale fantascientifica legata al paradigma della ribellione della creatura artificiale nei confronti del creatore per proporre con gelida efficacia una prospettiva ancora più rilevante, considerate le sue tentacolari e mutevoli conseguenze sulla quotidianità. Cosa accade quando gli algoritmi di intelligenza artificiale, assurti ad arbitri incorruttibili e imparziali, includono nella loro programmazione retaggi culturali discriminatori ereditati dagli stessi coders? Da qui nasce l’interpretazione del titolo intraducibile in italiano per la sua perfetta sintesi di immagine e linguaggio e soprattutto prende forma la scelta vincente della regista di spostare il focus da un ipotetico e fantascientifico condizionale a un concreto e capillare indicativo presente o, nei casi più sperimentali, futuro prossimo. Con lucidità e consapevolezza, il lungometraggio si avventura tra casi applicativi e di studio, mettendo così al centro dell’indagine non un’ingenua condanna al progresso informatico bensì una severa evidenza di una società talmente inconsapevole di processi discriminatori innati al punto da trasmetterli quasi geneticamente per estensione alle proprie creature digitali. Solo attraverso una costruttiva presa di coscienza, algoritmi e procedure pensate e programmate dalla società stessa sapranno essere più inclusive e rappresentative della stessa. Portando sotto i riflettori sia una ricerca scientifica di grande richiamo nella comunità scientifica e non che esperienze in presa diretta, Coded Bias conduce un viaggio critico e analitico in un’evoluzione possibile che è già plasmata senza cadere però in facili e ricattatori sentimentalismi oppure in banali riflessioni da fobia del web come accaduto in illustri predecessori – The Social Dilemma su tutti - ben più promossi e discussi (purtroppo). Una visione consigliata quanto necessaria alla portata di un clic…magari non solo con l’aiuto di un algoritmo di visioni suggerite affetto da qualche fortuito bias! Immagini tratte da: www.netflix.com
di Vanessa Varini
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Titolo: "Risorto"
Paese di produzione: Stati Uniti d'America Anno: 2016 Durata: 107 minuti Genere: drammatico, azione Regia: Kevin Reynolds Sceneggiatura: Paul Aiello, Kevin Reynolds Fotografia: Lorenzo Senatore Musiche: Roque Baños Scenografia: Stefano Maria Ortolani Costumi: Maurizio Millenotti Interpreti e personaggi: Joseph Fiennes (Clavio), Tom Felton (Lucio), Peter Firth (Ponzio Pilato), Cliff Curtis (Yeshua), María Botto (Maria Maddalena)
"Risorto" diretto da Kevin Reynolds è ispirato alla storia della risurrezione di Gesù narrata nel Nuovo Testamento, ma è raccontato da un punto di vista inedito, quello di un tributo romano di nome Clavio agli ordini di Ponzio Pilato. Infatti Clavio insieme al suo giovane aiutante Lucio deve assicurarsi che i seguaci di Gesù non rubino il suo corpo dichiarandone la resurrezione. Ma il corpo sparisce e Clavio dovrà cercare in tutti i modi di recuperarlo.
La prima parte del film ricorda una serie poliziesca con Ponzio Pilato che richiama continuamente Clavio per affidargli nuovi ordini e Clavio, in versione detective, che fa dei sopralluoghi stile "NCIS" nel sepolcro, ma le uniche cosa che trova sono il telo che ha avvolto Gesù (la Sacra Sindone), le corde strappate e i sigilli fusi. Non mancano inoltre delle perquisizioni, delle irruzioni nelle case, degli interrogatori alle due guardie che hanno sorvegliato il sepolcro e a chi crede che Gesù sia risorto. La seconda parte è più religiosa, emozionante e commovente: quando Clavio trova Gesù le sue certezze crollano, soprattutto dopo aver osservato le ferite ai polsi inferte dai chiodi e la ferita al costato che aveva lui stesso inferto. Questo evento segnerà l'inizio del suo cammino verso la conversione e la spiritualità. Le scene sono realistiche, ma non violente, l'ambientazione sembra veramente la Galilea, anche se il film è stato girato ad Almeria in Andalusia, location di molti film western e le performance degli attori sono ottime, soprattutto Joseph Fiennes nei panni dell'ex scettico soldato romano Clavio e Peter Firth che interpreta un Ponzio Pilato molto arrabbiato, ma dotato di una sottile ironia.
A parte qualche improbabilità come il centurione romano dagli occhi azzurri e i capelli biondi interpretato da Tom Felton, il Draco Malfoy di "Harry Potter", e Gesù rappresentato con gli occhi marroni, i capelli scuri e la carnagione abbronzata, il film merita di essere visto perché è diverso da tutte le altre pellicole che raccontano la vita di Gesù.
Questo film lo potete guardare stasera per Pasqua su Rai 1 alle 21.25 oppure online su Netflix.
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Maggio 2023
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