di Fabrizio Matarese Giovedì 24 maggio, nell’accogliente sala del Cineclub Arsenale, abbiamo assistito in anteprima mondiale ai due lavori inaugurali della serie video di Guy Massaux ispirata all’inferno di Dante. L’evento si è svolto nella cornice di Danteprima, festival a cura del professor Marco Santagata, che celebra il sommo poeta con incontri, mostre, concerti, letture e spettacoli teatrali. Massaux, artista visuale, curatore e regista belga con uno studio a Volterra, era presente in sala e, dialogando con la professoressa Sandra Lischi, ha introdotto i due lavori. Questi video, Il rifugio (canto XXV), 2015 e La selva oscura (canto XIII), 2018, fanno parte di una raccolta di 14 cortometraggi, che sono attualmente in realizzazione. L’artista belga, che per questo progetto ha lavorato in combo con il sound designer Mirco Mencacci, ha voluto reinterpretare il poema dantesco con il linguaggio del video. Subito ci tiene a precisare che il lavoro si compone di una sintesi meditata di immagini e suoni, cercando un equilibrio virtuoso tra i due linguaggi. Il rifugio è ispirato al canto XXV dell’Inferno nel quale Dante e Virgilio entrano in contatto coi ladri e assistono alle bestiali trasmutazioni che questi subiscono. L’inquadratura è fissa, stabile, spesso simmetrica, composta secondo principi di equilibrio formale che ritroviamo nella pittura del rinascimento italiano (e nel dialogo iniziale Massaux parla in particolare di Giotto, del suo azzurro messo in questo caso in relazione con la tinta di un soffitto rovinato). I tempi lunghi, i silenzi, il contatto con la natura, le pause ci introducono in un’atmosfera contemplativa. Il video è ambientato presso un podere abbandonato. Due ragazzi, opposti e complementari, uno biondo e vestito di bianco l’altro moro e vestito di nero (non possono non far pensare alle fazioni dei guelfi al tempo di Dante) stanno in questa “stalla” adiacente al podere. Le mura sono scalcinate, le pareti rovinate testimoniano lo scorrere del tempo. Un senso di abbandono domina la scena. In voice over intanto viene letto il canto integralmente, interrotto solamente dalle declamazioni dei due attori che saltuariamente ripetono i versi del poema. Fortissima è l’idea dell’abbandono: il podere, simbolo delle tradizioni regionali (dall’agricoltura al dialetto) e di un rapporto più equilibrato con la natura, è in rovina, ci viene mostrato in completo abbandono. Dentro l’ambientazione scarnificata ci sono questi due personaggi non meglio identificati che si attraggono e si respingono come due poli di una calamita. Schiena contro schiena oppure frontalmente, i due sembrano destinati a completarsi e a fondersi l’uno con l’latro: ecco che ritorna, mediante movimenti di macchina rotatori e circolari, l’idea originaria della trasmutazione, della metamorfosi. La selva oscura invece è tratto dal canto XIII dell’Inferno nel quale il sommo poeta e la sua guida incontrano i suicidi, trasmutati in alberi dopo la morte. E infatti c’è proprio un albero all’inizio del video. Quasi come in un documentario, assistiamo alle operazioni di abbattimento di un pioppo mediante un macchinario. È notte e siamo sempre in una foresta, forse la stessa del rifugio, e gli stessi personaggi si trovano smarriti in questa selva, forse cercano di scappare, forse non possono andarsene. Viene l’alba e il personaggio vestito di nero si risveglia sull’erba, immerso nel verde accesso del mattino. Poi un colpo di pistola e un abbaiare di cani, forse un branco che caccia qualche animale. E allora i due personaggi, ritrovandosi, iniziano a correre in questa selva oscura, nella quale gli alberi hanno gli occhi e osservano le mosse dei due viandanti. Anche qui i versi danteschi sono letti per intero, intessendo un suggestivo ordito di parole, immagini e suoni. Il suono è, come sottolineato dallo stesso Massaux e da Mencacci (i due si considerano coautori), un elemento fondamentale: dona un sapore alle scene, e scandisce il ritmo dell’inquadrature. I due video sono un omaggio e una reinterpretazione dell’opera di Dante che a più di 700 anni di distanza continua a ispirare artisti, interessare studiosi e affascinare curiosi. Ancora una volta, tramite un altro tipo di linguaggio, viene celebrata l’universalità della poesia dantesca, che forse ha ancora molto da insegnarci. Immagini tratte da: http://www.adnstudio.be
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di Vanessa Varini
In una galassia lontana lontana…Sono passati 30 anni dalla sconfitta dell'Impero ma imperversa una nuova minaccia, quella del Primo Ordine. Un gruppo di eroi, Rey che rovista in relitti di astronavi per cercare pezzi di ricambio da rivendere, il piccolo droide BB-8 e Finn, uno Stormtrooper disertore del Primo Ordine, si unisce ai membri della Resistenza per cercare Luke Skywalker che è ormai scomparso da anni, ritiratosi in esilio in una galassia nascosta, indicata su una mappa. È lui l'unico che potrebbe riuscire a sconfiggere questa nuova minaccia.
Star Wars: Il risveglio della forza é il settimo capitolo della celebre saga di fantascienza, questa volta diretto da J.J Abrams (il regista di Lost) e si caratterizza subito per il ricchissimo cast di attori. Infatti, oltre alle giovani promesse di Hollywood Daisy Ridley (Rey) che abbiamo visto in Assassinio sull'Orient Express e John Boyega (Finn), ci sono in ruoli irriconoscibili attori del calibro di Daniel Craig (l'assaltatore), Lupita Nyong'o che interpreta l'anziana aliena Maz Kanata, Andy Serkis nei panni del Leader Supremo Snoke mentre in ruoli secondari compaiono Domhnall Gleeson (il Generale Hux), Max von Sydow cioè Lor San Tekka e, soprattutto, star leggendarie come Carrie Fisher (la compianta principessa Leila) e Harrison Ford (il mitico Han Solo).
Dart Vader non c'è più ma al suo posto c'è Kylo Ren (Adam Driver), figlio di Han Solo e Leila, passato al lato oscuro della forza. Un importante cast che popola una storia emozionante, divertente e anche nostalgica nonostante gli effetti speciali e visivi, la tecnologia Imax e le scatenate scene d'azione. Infatti, non mancano i celebri scontri con le spade laser, gli omaggi al passato (l'ambientazione nel deserto, la scena del bar con gli alieni, l'eterna lotta tra il bene e il male). In questo capitolo avviene anche un cambio generazionale di spettatori per accontentare i nuovi appassionati della saga e questa modifica colpirà soprattutto Han Solo. Comunque ci possiamo consolare: il 23 maggio è uscito il film Solo: A Star Wars Story che racconta la vera storia del contrabbandiere più famoso della galassia.
Han Solo, che fece la sua prima apparizione in Guerre stellari nel 1977, quando lui e Chewbecca trasportarono Luke Skywalker, Obi-Wan Kenobi, C-3PO e R2-D2 ad Alderaan sul Millennium Falcon, è impersonato da Alden Ehrenreich, attore statunitense scelto da Ron Howard per questo film che racconta le avventure giovanili di Solo e del suo migliore amico, lo wookie Chewbacca. Nel cast ci sono anche Emilia Clarke (la Daenerys Targaryen della serie Game of Thrones), l'amica d'infanzia di Solo, e Donald Glover, (star della serie tv Atlanta) nei panni di Lando Calrissian. Buona visione e che la forza sia con voi!
Han Solo, che fece la sua prima apparizione in Guerre stellari nel 1977, quando lui e Chewbecca trasportarono Luke Skywalker, Obi-Wan Kenobi, C-3PO e R2-D2 ad Alderaan sul Millennium Falcon, è impersonato da Alden Ehrenreich, attore statunitense scelto da Ron Howard per questo film che racconta le avventure giovanili di Solo e del suo migliore amico, lo wookie Chewbacca. Nel cast ci sono anche Emilia Clarke (la Daenerys Targaryen della serie Game of Thrones), l'amica d'infanzia di Solo, e Donald Glover, (star della serie tv Atlanta) nei panni di Lando Calrissian. Buona visione e che la forza sia con voi! Immagini tratte da: https://www.ilpost.it/ https://webpointzero.com/ https://www.cinematographe.it/ https://milnersblog.files.wordpress.com/ Potrebbe interessarti anche: di Maria Luisa Terrizzi
Non è la prima volta che il narcotrafficante colombiano Pablo Escobar è protagonista di pellicole o serie: era il non lontano 2014 quando Benicio del Toro interpretava i suoi panni nel biopic Escobar: Paradise Lost di A. Di Stefano. E ancora, un anno dopo usciva la serie Narcos (2015), preceduta qualche anno prima da Pablo Escobar: el patrón del mal (2012). Una figura, quella del criminale latino che, a distanza di tempo, continua a destare interesse con la sua carica di fascino perverso e oscuro. Presentato in anteprima fuori concorso alla 74ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e al Toronto International Film Festival, la pellicola, di cui Fernando León de Aranoa firma la regia, è il racconto dell’ascesa del criminale all’interno dei circuiti della malavita organizzata colombiana e statunitense negli anni Ottanta, della breve parentesi politica come senatore nel Parlamento di Bogotà, fino alla morte avvenuta in uno scontro a fuoco con le forze armate nel 1993. Ispirato al bestseller Loving Pablo, Hating Escobar della giornalista, nonché amante Virginia Vallejo, il film è un ritratto dell’uomo e del criminale, raccontato dal punto di vista privilegiato della donna che gli è rimasta accanto –nonostante il legame ufficiale con la moglie Maria Victoria- negli anni d’oro. Nei panni del protagonista, questa volta non Benicio del Toro ma Javier Bardem, visibilmente ingrassato per interpretare il personaggio di cui risulta molto somigliante. L’attore è accompagnato dalla propria compagna nella vita, Penelope Cruz, che presta il proprio volto a Virginia, ambiziosa e sensuale, custode di segreti scomodi. Il racconto si apre con la fuga della donna dal proprio Paese nel cuore della notte e prosegue con un lungo flashback in cui vengono toccati i momenti salienti dell’ascesa e della caduta del narcotrafficante. Un racconto di donna che coglie, tra gli eventi e le mostruosità che si susseguono, le sfumature e l’ambiguità della personalità di Pablo. Virginia è affascinata da un uomo dal duplice volto: seduttore e criminale, imbolsito ma carismatico, spietato ma irresistibile nella propria determinatezza. Un sogno, quello della passione col criminale, che pian piano rivelerà l’annunciato volto raccapricciante. Assaporate le lusinghe del denaro e della bella vita, Virginia si ridesta quando è già troppo tardi, svegliata dall’odore acre del sangue delle uccisioni, della guerriglia urbana, delle sparatorie e dal timore di perdere la propria stessa vita. Un film dalla regia asciutta, in cui non vengono fatti sconti a Escobar e ai delitti efferati commessi, nonostante ne tratteggi la figura una donna che lo ha anche amato, responsabile tra l’altro del successo mediatico del primo Escobar. Una pellicola che non annoia e che non si disperde banalmente nella storia d’amore romantica che è invece presentata, più verosimilmente, come passione erotica. La pellicola è una sorta di memoria storica particolare in cui la scelta registica ha cercato di conciliare l’oggettività del racconto con la testimonianza della donna, forse sbilanciandosi troppo nei confronti di una narrazione che si configura come un susseguirsi di fatti già saputi, che non restituisce nulla a chi già conosce la storia. Immagini tratte da: http://www.ondacinema.it/film/recensione/escobar-il-fascino-del-male.html https://www.culturamente.it/cinema/escobar-il-fascino-del-male-film-recensione/ https://www.comingsoon.it/film/escobar-il-fascino-del-male/54055/foto/ https://www.radiorioja.es/2018/03/16/escuchar-programa-hoy-hoy-16-3-18-tramo-1300-1400/loving-pablo/
di Enrico Esposito
Siamo stati privilegiati. dobbiamo riconoscerlo. Innanzitutto perchè è sempre una grande fortuna poter assistere a un film introdotto dal suo regista o da uno dei suoi interpreti. Ancor di più se questo succede in anteprima nazionale, all'interno di una sala gremita e al cospetto di un attore dalla storia e dallo stile elevatissimi, Rupert Everett, che nel corso della sua carriera ha affrontato albori luminosi ma anche vuoti bui e senza alcuna spiegazione. Per poter portare a compimento The Happy Prince, l'omaggio su tela a Oscar Wilde che aveva in cantiere da diverso tempo, Everett ha faticato molto a trovare i fondi necessari e con sincerità e charme difficili da eguagliare ne parla tranquillamente davanti alla platea del Cinema Astra, in occasione della serata che il Lucca Film Festival gli ha cucito su misura, insignendolo di un doveroso Premio alla Carriera. Everett è riuscito alla fine a compiere un progetto ambizioso, grazie al supporto di colleghi del settore come Colin Firth che lo affiancano nella pellicola, prendendo parte a un affresco degli ultimi tempi vissuti dal controverso scrittore inglese.
Affresco è il termine che nel complesso sembra più adatto a descrivere un film dai forti contenuti pittorici e iconici, in cui trionfa la bellezza estetica del volto umano, degli abiti eleganti come dei paesaggi naturali di una Napoli clamorosa e gli interni affollati dei cafè parigini al culmine della Belle Époque. Art for art's sake ("L'arte per l'arte"): non solo un aforisma storico di Wilde, ma una vera e propria etichetta dello stile di vita bohémien e della filosofia dell'epoca decadentista nell'Europa di fine Ottocento. The Happy Prince emerge come un elogio puro degli anni bohémien di Oscar Wilde ma non semplice, non scontato. Qui siamo lontani anni luce dalla biografia ordinata e diacronica resa da Brian Gilbert con Wilde nel 1997. A Everett non interessa ricominciare da capo, prendere le mosse dall'infanzia e dall'adolescenza per proseguire sino all'età adulta, il finto matrimonio con Lady Costance, il successo di pubblico, il processo e l'esilio dovuto agli scandali. Non mancano di certo accenni alla sequela di vicissitudini, dolorose ma anche bellissime, che hanno segnato la prima fase dell'esistenza wildeiana in Gran Bretagna e affiorano in sordina sottoforma di flashbacks avvolti dalla penombra, come se fossero filtrati attraverso le ciglia dischiuse di Wilde stesso oppure provenissero da meandri confusi della sua mente. Il passato e il presente si confondono in continuazione nel "gioco" creato dal regista, si muovono lentamente secondo l'andamento generale della trama, e dimostrano l'inutilità di una conformazione temporale ben precisa.
Il tempo è infatti del tutto relativo in The Happy Prince, mentre gli spazi e il modo in cui all'interno di essi i personaggi si muovono e interagiscono assumono un rilievo assoluto. Wilde entra in scena sotto le mentite spoglie di Sebastian Melmoth a Dieppe (Nord della Francia) dove è arrivato dopo aver scontato i due anni di carcere a Reading, a seguito della condanna per omosessualità mossagli dal padre del suo amato Alfred "Bosie" Douglas. È un uomo affannato e perso, abbandonato dalla moglie Constance come dallo stesso Bosie, ingrassato, incapace di resuscitare il suo grandioso talento letterario. Appare più come un animale notturno da avanspettacolo, tenuto su dalla grinta di due giovani orfani e confortato dall'amicizia mai perduta di Reggie Turner e Robbie Ross, da sempre innamorato di lui ma prevaricato da Bosie. Proprio Bosie, il suo portatore di gioie immense e drammi inauditi, ricompare, si riappacifica con lui, e la loro fuga d'impulso nella convivenza lussuriosa di Napoli dà l'impressione di concedere a Wilde in questa seconda vita la possibilità di riconquistare traguardi eccelsi. Ma il confronto con difficoltà, forse stupide ma inevitabili, della quotidianità quali la mancanza di soldi e di cure mediche rovesciano ancora la situazione e trasportano Wilde in un replay incontrollabile e discendente.
Rupert Everett riesce probabilmente in questo film a comporre il ritratto che aveva sempre desiderato e in virtù dell'età e delle fasi della sua di vita è molto più vicino di quello che pensasse al Wilde raccontato. Per questo motivo, con naturalezza e istrionismo pregevoli, interpreta la scena in cui lo scrittore monopolizza l'attenzione di un locale intero quando canta una lasciva canzone in francese. Senza dimenticare la scena emotivamente e artisticamente più aulica della pellicola, che lo vede recitare all'orfanello The Happy Prince ("Il Principe felice"), la fiaba che raccontava sempre ai suoi figli prima di andare a dormire. Immagini tratte da: - Immagine 1 da www.comingsoon.it - Immagine 2 da www.zimbio.com - Galleria da www.luccafilmfestival.it e da www.genteetteritorio.it;
La recensione della seconda parte del dittico di Paolo Sorrentino su Silvio Berlusconi.
di Salvatore Amoroso
Il 10 maggio è uscito Loro 2, la seconda parte del dittico di Sorrentino su Berlusconi. Nel precedente articolo, dedicato a Loro 1, vi avevamo ampiamente parlato dei vari difetti del film e ci auguravamo che la seconda parte fosse di gran lunga superiore. Purtroppo le nostre attese sono state deluse. Avevamo lasciato il nostro protagonista alle prese con la riconquista di Veronica ma nei primi minuti del film troviamo un Silvio a tavola con il suo riflesso, ovvero il caro amico Ennio Doris. Quest’ultimo è davvero il suo riflesso, non condividono soltanto la stessa megalomania ma anche la solitudine. I due preparano la strategia vincente per scendere nuovamente in campo, per sedurre i loro clienti e ricordano la cosa più importante: sono venditori e in quanto tali possono solo fare una cosa, persuadere il prossimo. Doris è interpretato a sorpresa dallo stesso Servillo, sempre più trasformista, sempre più talentuoso, il faro di questa pellicola. Nei minuti seguenti Silvio, attanagliato dall’angoscia di non essere più “amato” si cala nei panni del venditore di case Augusto Pallotta, una delle sequenze più esaltanti e divertenti del film. Pallotta cerca di vendere a una casalinga genovese “il suo sogno” e nuovamente il mattatore Servillo riporta la luce nell’opaca operazione sorrentiniana.
Da quella scena in poi riparte il delirio del cavaliere: una giostra di emozioni che inizia con l’euforia scaturita dal ritrovato potere. Dopo aver comprato infatti ben sei senatori, Silvio ritorna a essere premiere e i fatti che seguono nel film raccontano il periodo più triste e cupo dell’era berlusconiana. Oltre alle pessime figure politiche in campo europeo, il nostro protagonista finalmente contatta l’ambizioso Morra/Scamarcio e parte il circo delle olgettine. Giovani e belle, disposte a tutto per ottenere un ruolo in una società falsa e decadente. In mezzo a questo mix di favori, chiamate tra LUI e Max Tortora, troviamo il tempo per gustarci il simpatico spot di “Congo Diana”, sketch comico creato da Sorrentino, che in questo Loro 2 non disdegna affatto l’ironia. La sinistra e la stampa cercano di affossarlo, lui risponde con battute sferzanti e siparietti al parlamento europeo. Di tanto in tanto gli amici ricordano a Silvio di chiamare Mike, che c’è rimasto parecchio male. Lui continua a fare finta di nulla, perchè chi tenta di psicanalizzarlo, di tradirlo, di ostacolarlo, non otterrà nulla.
All’improvviso tutto nell’operazione Loro appare chiaro: l’infantilismo, il machismo, l’erotomania sono Silvio. Il forte imbarazzo che percepisce lo spettatore è quello che voleva ottenere Sorrentino, che ha provato a raccontarci in realtà chi si cela dietro quella maschera. Il tentativo del regista non è mai stato mettere alla berlina un uomo, ma cercare di provare a capire chi sia in realtà Silvio, come ha ottenuto la fortuna che gli ha permesso di creare il suo impero? E allora, visto che i registi molto spesso si rispecchiano in un personaggio, mi piace pensare che Sorrentino abbia scelto di utilizzare Veronica nel dialogo serrato tra lei e lui. Lei incalza con le domande, ormai esausta e umiliata, pronta a lasciarlo ma desiderosa di capire come ci si senta a essersi spinti così in basso. E Lui? Lui che fa? Si avvale della facoltà di non rispondere. Mente e cerca ancora di persuaderla, l’unica arma che gli è rimasta. La sceneggiatura continua a essere confusa, il film è composto da varie scene distaccate, dove lui è sempre il protagonista, in costante lotta tra allegria e tristezza. Silvio alla fine del film appare cupo e malconcio ma sappiamo tutti che non si fermerà mai, persino il terremoto dell’Aquila non è riuscito a farlo. Sorrentino in questo progetto cerca di raccontare la storia di un piazzista con un forte complesso d’inferiorità e, purtroppo, lo fa parecchio male. Non convince il ritmo del film, non convince la sceneggiatura, non convince la caratterizzazione di alcuni personaggi. Sono lontani i tempi de Il Divo o Le conseguenze dell’amore. Il film continuerà a far discutere e come sempre dividerà il pubblico ma francamente Loro 2 delude parecchio le aspettative.
Immagini tratte da: Cineblog.it Quinlan.it ScreenweekBlog.it Ansa.it
di Fabrizio Matarese
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Genere: commedia, sentimentale
Anno: 2017 Regia: Michael Showalter Cast: Kumail Nanjiani, Zoe Kazan, Holly Hunter, Ray Romano, Adeel Akhtar Sceneggiatura: Emily V. Gordon, Kumail Nanjiani Fotografia: Brian Burgoyne Montaggio: Robert Nassau Produzione: Judd Apatow, Barry Mendel Distribuzione: Amazon Studios Durata: 120’ Paese: Stati Uniti d'America
Kumail Nanjiani (che nel film interpreta sé stesso) è un attore statunitense di origine pakistana. Il suo sogno è sfondare nel mondo della stand up comedy ma intanto, per pagare l’affitto dell’appartamento, deve affiancare questa attività a quella di pilota di Uber. La sua famiglia lo vorrebbe medico o ingegnere e la madre, a ogni pranzo domenicale, invita una giovane donna pakistana da proporre al figlio come sposa. Sebbene Kumail rispetti le tradizioni e la cultura del suo paese natale, non vuole un matrimonio combinato e, sfortunatamente per i suoi, si innamora di Emily una giovane studentessa americana di psicologia.
Il conflitto tra tradizione e sentimento è un leitmotiv di tutto il film e genera una serie di complicazioni nei rapporti, sia familiari che amorosi. Kumail non è sincero né con la sua famiglia, tacendo della relazione con Emily, né con la sua girlfriend che, una volta scoperta la tradizione dei matrimoni combinati e i limiti imposti al loro rapporto, decide di rompere.
La loro storia sembrerebbe finita senonché a metà del film circa, Kumail riceve una chiamata da un’amica di Emily dalla quale viene a sapere che la sua ex ragazza è in ospedale, in coma indotto per una grave infezione. Ecco svelato il perché del titolo, The Big Sick. La grande malattia è il calvario che passa Emily, costretta a letto per giorni, ma anche il difficile rapporto di scoperta e conoscenza reciproca che instaurano i genitori di lei e il suo ex, Kumail. I rapporti all’inizio sono molto tesi e per niente facili, ma le lunghe attese nelle sale d’ospedale e il dolore comune per la drammatica sorte di Emily finiscono per unire i tre in un catartico percorso di perdono e riconciliazione.
La differenza culturale tra american way of life e il millenario retaggio delle tradizioni dell’oriente è un altro tema portante del film. Kumail Nanjiani, che da bambino si è trasferito veramente in America con la famiglia, vive sulla sua pelle le difficoltà di chi si trova sospeso e non accettato né dai suoi familiari (che minacciano di cacciarlo dalla famiglia), né da della cultura americana: lo spauracchio dell’Isis ricorre nel film e avrà un ruolo importante in una scena del film.
Si ride molto in The Big Sick (non a caso è prodotto da Judd Apatow) ma si soffre anche insieme ai personaggi che faticosamente cercano un equilibrio tra culture diverse. Tra le spinte divergenti di dovere e piacere ciò che rimane è la purezza dei sentimenti e la bellezza dell’amore che insieme alla forza del riso attenua le differenze, abbatte i pregiudizi e travalica le frontiere.
Loro 1: la recensione della prima parte del dittico di Paolo Sorrentino su Silvio Berlusconi.
Lo stavamo aspettando da tempo, il film di Paolo Sorrentino su Silvio Berlusconi. In realtà, a pochi mesi dall’uscita, abbiamo scoperto che l’opera è stata divisa in due parti. Quindi oggi mi trovo a commentare la prima parte del dittico che il regista ha voluto dedicare a uno dei personaggi politici più discussi degli ultimi anni. Sappiamo che Sorrentino nutre un amore sconfinato per il grottesco e nelle vicende del cavaliere trova pane per i suoi denti. Già dai primi minuti del film si può percepire un forte senso di serialità. Sembra quasi di assistere al primo episodio di una grande serie tv. Un Riccardo Scamarcio, in grande spolvero, interpreta l’ambizioso Sergio Morra aka Tarantini, che stanco della monotona Taranto decide di puntare in grande. Decide di trasferirsi a Roma per conquistare lui. LUI? Lui chi? Proprio LUI, proprio il nostro Silvio. L’innominato, quello che tutti vogliono, quello di cui tutti vogliono inebriarsi. All’inizio di Loro 1 il nostro protagonista non apparirà affatto. L’attenzione del regista è su di loro, “quelli che contano”, ovvero i politici lecchini e pronti a pugnalare Berlusconi, le olgettine pronte a soddisfare ogni più becera e macabra fantasia dei potenti pur di raggiungere i propri traguardi. La prima parte del film è tutta sesso, commedia e droga, tanta droga. Sembra che Sorrentino abbandoni Fellini per abbracciare Scorsese. Morra mette insieme un esercito di ragazze da portare in Sardegna per attirare le attenzioni di LUI e con l’avanzare del film sembra proprio riuscirci. Dalla Roma ormai in decadenza, grigia, cupa, piena di fenomeni da baraccone feroci e ambigui si passa alla colorata Sardegna. Dalla Cocaina si passa alla MDMA, con tanto di spiegazione autorevole da parte di un medico, una delle poche scene divertenti del film. Sì perchè purtroppo, almeno per ora, in attesa di vedere la seconda parte attesa per il 10 maggio, questo Loro 1 di Sorrentino non è né divertente né affascinante come le sue opere precedenti.
L’atteso Lui appare all’improvviso travestito da odalisca. Forse un omaggio a Fellini, forse l’ennesimo tentativo di fare apparire la figura di Silvio una macchietta. La sceneggiatura di Sorrentino e del suo fido collaboratore Contarello, con questi lampi scagliati all’improvviso, non aiuta per niente la visione di questa pellicola. Il ritmo è troppo incalzante, i toni spesso assumono contorni troppo comici. Il grottesco che tanto piace al nostro autore in questo caso è inutile da rappresentare. Vi chiedete il perchè? Perchè è impossibile sminuire un personaggio come il nostro Silvio, visto che ci ha già pensato largamente lui a farlo. Il film annaspa come la vita del nostro protagonista reale e come la vita di Morra/Scamarcio. La decadenza, il sesso e la coca a tre quarti di film scompaiono e lasciano spazio a una storia completamente diversa, decisamente più interessante: la storia d’amore tra Veronica e Silvio. Le uniche due cose davvero belle di questo film sono proprio loro: il grande Toni Servillo, un attore completo che non ha bisogno di presentazioni e celebrazioni e il talento ritrovato di Elena Sofia Ricci
Quest’ultima interpreta una Veronica Lario satura delle “marachelle” del nostro bambinone. Sì, perché il cavaliere è come un bambino agli occhi di Sorrentino. Un bimbo estremamente bugiardo, che non vuole mai restare da solo. Veronica lo scalfisce con batture sagaci, conosce i suoi punti deboli come l’ossessione per Gianni Agnelli, l’uomo che Silvio vorrebbe essere ma che non sarà mai. Come d’incanto allora appare tutto il mondo Sorrentiniano. I primi tre quarti di film sembrano un pallido ricordo perchè il regista riesce a recuperare se stesso. Proprio lì, in quel preciso momento, lo spettatore più attento può rendersi conto che il progetto Loro è un’operazione commerciale ben studiata, perché il film che fino a poco fa appariva noioso, volutamente volgare, cambia drasticamente tono e inizi a pensare che dovrai attendere necessariamente la seconda parte per assistere all’evoluzione della storia. Non che il nostro cinema non abbia bisogno di queste operazioni, sia ben chiaro, in questo preciso momento storico abbiamo bisogno di film come questo.
La parte più bella del film è alla fine e bisogna ammetterlo, grazie a questi due straordinari interpreti il livello per fortuna si alza. Torna il citazionismo, con Servillo/Berlusconi che sembra quasi il Polidor di 8 ½ di Fellini, tornano i dialoghi sferzanti e divertenti con alcune battute degne di nota come: “un venticinque percento di me è omosessuale, solo che è lesbica” oppure il commento di Silvio sullo spettacolo di burattini di Veronica per il nipote: “sembra uno di quei tristi programmi di Rai 3”. Cosa più importante torna l’amore. Torna l’amore Sorrentiniano riassunto nella scena del carosello: sotto una pioggia estiva i due si riparano in un carosello in mezzo al vasto prato di Villa Certosa. Silvio deve riconquistare Veronica e lo fa a suo modo, dedicandogli la loro canzone d’amore, suonata proprio dal buon Fabio Concato. I toni cambiano, lo spettatore medio si sarebbe aspettato un Berlusconi messo alla berlina invece Sorrentino enfatizza il sentimento che c’è tra i due coniugi. Che sia questa la possibile direzione intrapresa da LORO 2, l’epilogo di una storia d’amore travolgente tra due persone bizzarre? Dobbiamo aspettare il 10 maggio per scoprirlo. Sarò sicuramente più chiaro e convinto del mio giudizio, sinora negativo, solo dopo quella data. Paolo Sorrentino ci ha abituato a storie appassionanti come Le conseguenze dell’amore o L’uomo in più, vere opere d’arte visiva che ci hanno conquistato e hanno diviso il pubblico. O lo ami o lo odi, ma in questo caso ci ha davvero annoiati e il mio augurio e che possa al più presto ritrovare la linfa creativa che sempre l’ha contraddistinto. Vi do appuntamento alla prossima settimana con la recensione di Loro 2.
Immagini tratte da: Locandina: Screenweek Blog.com Immagine1: La Stampa.it Immagine2: La Repubblica.it Immagine3: VanityFair.com Immagine4: Youtube
di Vanessa Varini
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Paese di produzione: Regno Unito, Polonia
Anno: 2017 Durata: 94’ Genere: animazione, biografico, giallo, drammatico Regia: Dorota Kobiela, Hugh Welchman Sceneggiatura: Dorota Kobiela, Hugh Welchman, Jacek Dehnel Fotografia: Tristan Oliver, Lukasz Zal Effetti speciali: Scott McIntyre, Eddy Popplewell Musiche: Clint Mansell Costumi: Dorota Roqueplo Trucco: Sallie Jaye Art director: Daniela Faggio Doppiatori originali: Robert Gulaczkyk: (Vincent van Gogh); Douglas Booth (Armand Roulin); Eleanor Tomlinson (Adeline Ravoux); Jerome Flynn (dott. Paul Gachet); Saoirse Ronan (Marguerite Gachet); Chris O'Dowd (Joseph Roulin); John Sessions (père Tanguy); Piotr Pamula (Paul Gauguin); CezaryLukaszewicz (Theo van Gogh)
Nella Francia del 1891, il giovane Armand Roulin riceve dal padre postino l'incarico di recapitare una lettera a Theo van Gogh, fratello del pittore olandese che da poco si è tolto la vita, in preda ai sensi di colpa per non essere riuscito ad aiutare Vincent. Armand si reca a Parigi, dove però non riesce a rintracciare Theo, intraprende dunque una ricerca che lo porta a incontrare persone e luoghi importanti per Vincent van Gogh, scoprendo a poco a poco, lo straordinario talento dell'artista, la sua vita tormentata, cercando di fare luce sulla sua tragica morte.
Loving Vincent, basato sulle circa 800 lettere che van Gogh ha scritto o ricevuto e che sono giunte fino a noi, è il primo lungometraggio interamente dipinto su tela. Tutti i fotogrammi sono stati trasformati in autentiche opere d'arte, rielaborando oltre mille dipinti per un totale di più di 65 000 fotogrammi. Un film unico e fuori dagli schemi perchè è una idea originale realizzare un film di animazione completamente dipinto con i quadri di Vincent e di altri artisti chiamati a copiare lo stesso stile del pittore olandese, modificandone il rapporto, aggiungendo parti, scambiando il giorno con la notte, il tempo meteorologico e le stagioni .Un'idea geniale che fa di Loving Vincent un autentico capolavoro. A dare un prezioso contributo al film ci sono anche degli attori (Douglas Booth, Jerome Flynn, Saoirse Ronan, Helen McCrory) che corrispondono perfettamente all'aspetto dei corrispettivi personaggi su tela.
Loving Vincent, candidato come miglior lungometraggio d'animazione agli Oscar 2018, è un omaggio a un pittore la cui vita è stata molto infelice e travagliata,culminata nel più tragico dei modi, probabilmente con il suicidio. Infatti,il film inizia come un biopic con l'aggiunta di immagini realistiche in bianco e nero e sfocia nel giallo investigativo, con l'ipotesi che van Gogh non morì suicida, una tesi ancora oggi sostenuta da alcuni storici che ipotizzano sia stato ucciso accidentalmente. Un'indagine su una morte misteriosa che coinvolgerà diversi personaggi, come Adeline Ravoux figlia degli albergatori da cui Vincent pernottava e Margaret, figlia del dottor Gachet che assistette van Gogh, ma che non verrà mai risolta.
Sembra impossibile che van Gogh, artista che ha realizzato quadri come il campo di grano con volo di corvi, la camera da letto, la Notte stellata sul Rodano e la Terrazza del caffè la sera, con pennellate vivide e con colori luminosissimi e brillanti, fosse in realtà oppresso dalla solitudine, indifferente alla gente (venne considerato un genio solo dopo la sua morte), fragile o forse era solo troppo sensibile. È un film commovente, unico nel suo genere, emozionante, appassionerà non solo gli amanti dell'arte ma tutti i cinefili
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Giugno 2023
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