di Salvatore Amoroso
La recensione di 7 ore per farti innamorare, esordio alla regia di Giampaolo Morelli, anche protagonista e autore del romanzo a cui il film si ispira. ![]()
Genere: Commedia
Anno: 2020 Regia: Giampaolo Morelli Attori: Giampaolo Morelli (Giulio Manfredi), Serena Rossi (Valeria), Diana Del Bufalo (Giorgia), Massimiliano Gallo (Alfonso), Gianni Ferreri (Giuseppe), Fabio Balsamo (Ernesto). Sceneggiatura: Giampaolo Morelli, Gianluca Ansanelli Fotografia: Duccio Cimatti Musiche: Pasquale Catalano Montaggio: Luciana Pandolfelli Distribuzione: Vision Distribution
Non c’è niente di realmente nuovo in 7 ore per farti innamorare (direttamente on demand su Amazon Prime Video, Sky PrimaFila, Chili, Infinity, Rakuten TV e TimVision). Eppure, col senno di poi, questa commedia romantica ammiccante quanto prevedibile è una delle ultime produzioni prima del lockdown. Gente che si ama e s’innamora, gira per le strade di una Napoli solare e viva.
Tuttavia, l’esordio alla regia di Giampaolo Morelli, anche autore del romanzo all’origine del film e interprete insieme a Serena Rossi, ha il suo punto di forza proprio nell’innegabile alchimia tra i due protagonisti. Al terzo incontro sul grande schermo, Morelli e Rossi portano in dote soprattutto l’intesa collaudata nei due film con i Manetti Bros., Song’e Napule e Ammore e malavita.
Alle prese stavolta con una storia meno eccentrica, si dimostrano i corpi attoriali forse più intriganti di un’ipotetica via alla rom-com all’italiana. Un genere spesso accarezzato dal nostro cinema commerciale ricalcando senza personalità i modelli americani o appoggiandosi a dinamiche pigre e consumate. Valeria, donna avvenente e dal carattere deciso ma da sempre disillusa sull'amore, è un'implacabile maestra di rimorchio per uomini single ai quali insegna l'arte della seduzione, convinta che le relazioni fra le persone siano mosse da semplici stimoli biologici. Giulio è un giornalista di economia, uomo serio e po' prevedibile, convinto invece che in amore non si possano attuare delle strategie. Quando, a un passo dalle nozze, la fidanzata Giorgia lo lascia per il suo capo Alfonso, Giulio si ritrova scalfito nelle sue granitiche certezze, senza donna e senza lavoro. Deciso a riconquistare la sua ex andrà a lezione da Valeria, ma uno dei due dovrà cambiare idea. I rimandi a Hitch – Lui si che capisce le donne e What Women Want sono tanti ma Morelli sorprende e convince.
Nel simpatico 7 ore per farti innamorare, la forma vale più del contenuto: in fin dei conti, la storia sembra uno schema per esprimere altro. C’è Giulio, serioso giornalista economico che, tradito dalla compagna, si affida alle lezioni di Valeria, maestra di seduzione per uomini single. L’obiettivo sarebbe riconquistare la donna perduta, ma chiaramente sappiamo dall’inizio che Giulio e Valeria sono destinati a innamorarsi (non è spoiler ve lo assicuro). Dentro il comodo contenitore, c’è più di un elemento interessante, nella cornice di una Napoli talmente raggiante da risultare sfacciatamente alternativa alla prevalente narrazione criminale degli ultimi anni e non aspettatevi distanziamenti sociali, anzi tutto l’opposto. Guarderete quasi con nostalgia quelle scene d’affetto e sarà inevitabile il ricordo alla nostra vita pre-covid.
Link immagini: Locandina: MyMovies.it Immagine 1: ComingSoon.it Immagine 2: IlMattino.it Immagine 3: Yahoonews.it
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25/5/2020 La serie tv storica "La cattedrale del mare", tratta dal romanzo di Ildefonso Falcones, è in chiaro su Canale 5Read Nowdi Vanessa Varini ![]() Titolo: "La cattedrale del mare" Paese: Spagna Anno: 2018 Genere: storico, drammatico, in costume Stagioni: 1 Episodi: 8 Durata: 55 min (episodio) Regia: Jordi Frades, Salvador García Ruiz Soggetto: dal romanzo di Ildefonso Falcones Sceneggiatura: Ildefonso Falcones, Rodolf Sirera, Sergio Barrejón, Antonio Onetti Interpreti e personaggi: Aitor Luna (Arnau Estanyol); Pablo Derqui (Justin Chatwin); Michelle Jenner (Mar Estanyol); Josep Maria Pou (Sahat); Silvia Abascal (Elionor); Nathalie Poza (Francesca); Andrea Duro (Aledis) Martedì 19 maggio su Canale 5, dopo essere stata trasmessa su Netflix nel 2018 (comunque si può ancora guardare su quella piattaforma), sono andati in onda in prima visione assoluta i primi due episodi della miniserie storica in 4 puntate "La Cattedrale del Mare", tratta dal best sellers omonimo di Ildefonso Falcones, pubblicato nel 2007, che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. La storia è ambientata nel XIV secolo a Barcellona, quando si sta realizzando la chiesa di Santa María del Mar. Protagonista della vicenda è Arnau Estanyol (interpretato da Aitor Luna) figlio di Bernat e di Francesca. Durante il matrimonio dei suoi genitori, irrompe alla fine della cerimonia il conte feudatario che violenta Francesca, avvalendosi del diritto che la moglie del servo deve prima giacere con lui. Nove mesi dopo nasce Arnau, che ha un neo sotto l’occhio come suo padre Bernat, così Francesca viene segregata nel palazzo del signore feudale, mentre Bernat con il figlio ancora in fasce, riesce a fuggire a Barcellona, rifugiandosi dalla sorella del padre. Quando resterà orfano Arnau entrerà nella confraternita dei Bastixos, gli scaricatori di porto che costruiscono la Basilica. Gli otto episodi seguiranno tutta la storia di Arnau, che da lavoratore umile diventerà banchiere e successivamente Console del Mare di Barcellona, figura ricca e potente per l'epoca. Inoltre il giovane vivrà un amore impossibile con Aledis (Andrea Duro), affronterà un matrimonio combinato con la cortigiana Elionor (Silvia Abascal) e prima del lieto fine dovrà superare tanti ostacoli come l'Inquisizione spagnola, le guerre, le carestie e la peste. "La Cattedrale del Mare" mette in scena, in modo molto attinente alla realtà storica, uno squarcio della società barcellonese del medioevo spagnolo, suddivisa tra nobili feudatari, schiavi che sono leali ai loro feudatari tiranni ma sognano la vendetta e uomini liberi, mentre le donne sono l'ultima ruota del carro, non sono libere ma di proprietà dei signori e dei mariti che possono persino murarle vive se non si comportano bene! E poi ancora più assurdo, tra la gente che muore di fame e di malattia, Barcellona vive, invece, una stagione di rinascita, dal punto di vista economico, finanziario e culturale. Personalmente non ho apprezzato questi primi episodi, la storia è troppo sconvolgente (sono state tagliate alcune scene "forti" ma nonostante ciò la fiction è rivolta ad un pubblico adulto), tragica e l'epoca medievale non mi affascina (la serie però è curata nei minimi dettagli, dall'ambientazione ai costumi). Consiglio questa serie a chi ha già letto il romanzo omonimo e conosce le dinamiche della storia e a chi vuole approfondire la storia della Barcellona del 1300. LA SERIE SI PUÒ GUARDARE ANCHE SU NETFLIX
E I PRIMI 2 EPISODI SI POSSONO RECUPERARE SU MEDIASET PLAY
La Recensione
di Matelda Giachi
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Genere: Drammatico, Thriller
Anno: 2020 Regia: Nick Hurran, Jan Maria Michelini Cast: Alessandro Borghi, Patrick Dempsey, Kasia Smutniak, Laia Costa, Harry Michell, Paul Chowdhry, Pia Mechler, Malachi Kirby, Lars Mikkelsen Produzione: Lux Vide Sceneggiatura: Alessandro Sermoneta, Mario Ruggeri, Elena Bucaccio, Guido Maria Brera, Christopher Lunt, Michael A. Walker Distribuzione: Sky Atlantic, Now Tv Paese: Italia, Regno Unito, Francia Ideatore: Guido Maria Brera
È stata la serie Sky più di successo; un progetto ambizioso, di respiro internazionale. Sky in genere si lancia in progetti intraprendenti, basti pensare a Chernobyl o a The New Pope. Dieci episodi in cui si parla di finanza, di complotti e di omicidi, con Alessandro Borghi e Patrick Dempsey a capitanare una squadra di interpreti di livello uniti da un’evidente chimica lavorativa. Il cast è sicuramente il primo dei punti forti di questa serie, dai protagonisti all’ultimo dei comprimari. Dempsey merita che si smetta di parlare solo di Grey’s Anatomy, perché è andato ben oltre quel sorriso dolce e ammaliante che tanto ci piaceva in Derek Shepard e Borghi ha dimostrato di reggere egregiamente anche l’ostacolo della lingua, che non va a intaccare un’ottima performance, molto diversa da quelle a cui ci ha abituati. Possiamo dirlo, un orgoglio tutto italiano.
Ciò che rende Diavoli interessante e nuovo è anche l’ambientazione. Si è parlato di finanza ne “la Grande Scommessa” o nell’ancora più recente “Panama Papers”, ma raramente la si sceglie come mondo in cui far muovere i personaggi di una serie. Un azzardo, perché si tratta di uno scenario sconosciuto fondamentalmente a chiunque, tranne a chi ci lavora dentro, e pieno di tecnicismi. Punto di forza ma anche tallone d’Achille perché, nonostante il supporto di Guido Maria Brera, autore del romanzo a cui la serie si ispira ma prima di tutto finanziere, che cerca espedienti che spieghino al comune mortale i movimenti di tutti quegli incravattati, ci sono momenti in cui proprio ci si perde. Sapere che la decisione di un uomo dietro un computer può determinare il prezzo della tua insalata è disarmante ma anche una consapevolezza in più necessaria.
La componente thriller, completamente assente nel libro, costituisce l’espediente narrativo che ha il compito di tenere alta l’attenzione dello spettatore, messa alla prova dai meccanismi del trading, e a rendere la serie, passatemi il termine, un po’ più commerciale e fruibile.
Il panorama umano si gioca invece tutto sulla doppiezza. Nessun personaggio è totalmente positivo o totalmente negativo, eccezion fatta forse per la bravissima Laia Costa, che interpreta l’attivista Sofia Flores. Un’altalena tra bene e male che oscilla in ogni puntata, con velocità più o meno marcata e che trova forse il suo culmine nel finale di stagione (ebbene si, Alessandro Borghi ha già annunciato pubblicamente una seconda serie, ambientata ai tempi del covid). Quest’aspetto dei protagonisti è evidente non solo nel loro modus operandi ma anche nel continuo gioco di specchi e di riflessi che caratterizza le riprese nella loro interezza e che è un po’ anche il marchio estetico della serie.
Un potenziale enorme non sempre sfruttato al meglio. Il limite più grande di Diavoli, a volte, è di concentrarsi troppo sul colpo di scena, sulla rivelazione, invece di concedersi un attimo di lentezza analitica, una caratterizzazione in più dei suoi protagonisti; rimanere superficiale proprio là dove sarebbe invece interessante andare a scavare. Partono i titoli di coda dell’episodio finale e, della squadra di Massimo, che cosa sappiamo veramente? Di Paul, di Eleanor… O di Ed? Voto: 7
di Matelda Giachi
“M'è capitata una cosa curiosa settimane fa: ho trovato il diario di una bambina. Io quel diario l'ho tenuto, perché quella vita mi piaceva! Quanto segue è ispirato a una storia vera, la storia vera è ispirata a una storia falsa...la storia falsa non è molto ispirata!”
Ambientato nella periferia romana, Favolacce è vissuto, più che raccontato, da un gruppo di ragazzini in quella fase dal confine indefinito che segna il passaggio dell’infanzia all’adolescenza. Sono bambini infelici, già disillusi e privati anche della più lieve memoria di magia. Si muovono nella vita a tentoni, sperimentando cose perché “va fatto”. Sono il frutto di una generazione di genitori incapaci, disinteressati, emozionalmente vuoti. L’incuria è la grande protagonista sulla scena, il tema dominante. I fratelli D’Innocenzo la mostrano allo spettatore in un lento soffermarsi della macchina da presa sulle case, le tavole, i giardini, l’abbigliamento. Tutto è decadente, sciatto. Un’indifferenza che inghiotte vite come il Nulla inghiotte a poco a poco il regno di Fantàsia ne “la Storia Infinita”. Favolacce è un racconto terribile, a tratti opprimente, di un’umanità che si autodistrugge a partire dall’abbandono delle nuove generazioni, un ritratto di una società che consuma ma non gusta, non gode. Una favola triste, sbagliata, lo fa intuire già il titolo che non ci si può aspettare un contenuto di fate turchine, gnomi e principesse. In fondo, molte fiabe non nascono a lieto fine, basti pensare alla crudezza dei fratelli Grimm. Ma in questo panorama desolato c’è tutta la bellezza del cinema nella sua forma più pura, della sua capacità di raccontare la vita vera quanto quella immaginata. Orso D’argento per la sceneggiatura a Berlino, il film dei fratelli D’Innocenzo segna un altro importante traguardo per un cinema italiano in rimonta, che torna a far parlare di sé e ad essere riconosciuto nel mondo per la sua capacità di scavare a fondo e di eccellere. Ma anche un traguardo personale significativo, nel veder premiata una sceneggiatura nata in realtà nel 2007 e che il cinema aveva rifiutato. Per il loro nuovo film, Fabio e Damiano scelgono il talento di Elio Germano, affiancato da volti nuovi, di cui molti giovanissimi, in quello che appare come un meraviglioso slancio di fiducia nelle nuove generazioni e di voglia di regalare opportunità. Impossibilitato ad uscire nelle sale cinematografiche, da lunedì 11 maggio, Favolacce è disponibile a fare il suo ingresso nelle case di tutti grazie alla modalità on demand di diverse piattaforme di distribuzione Voto: 8
di Matelda Giachi
Struttura moderna, miniserie in 8 puntate, e riprese da film d’autore. Da subito si capisce che The Eddy non è una serie come le altre. I primi due episodi sono stati presentati questo febbraio alla settantesima Berlinale. Sono quelli diretti dal giovane Damien Chazelle che, dopo La La Land, torna, sulla sceneggiatura di Jack Thorne (Wonder, His Dark Materials), a raccontare il Jazz, attraverso un gruppo di artisti che suona in un locale di Parigi, il The Eddy. Del resto, proprio il suo Sebastian, mentre cerca di spiegare a Mia la propria musica, rammenta che a Parigi si suona dell’ottimo Jazz. Elliot (André Holland), musicista, ha lasciato l’America fuggendo da un enorme dolore ed ha aperto un locale di musica live con il suo amico e socio Farid. In un attimo, la sua già non semplice vita si complica con la scoperta del coinvolgimento di quest’ultimo in giri loschi di affari che riguardano anche il locale, che rischia così di chiudere, e l’arrivo della figlia Julie (Amanda Stendberg, la Rue di Hunger Games), un’adolescente con la quale si vede costretto a vivere un legame spezzato da silenzi e lontananza. Sono artisti formati quelli che suonano al The Eddy, al massimo della loro espressività musicale, ma che faticano a tenersi a galla in un mondo che sembra non volerli notare. Ciascun episodio si focalizza principalmente su uno di loro, il cui nome fa anche da titolo. Perché la musica nasce dalla vita, dalle emozioni umane, più spesso dalla sofferenza. Solo ascoltando il suono dei singoli strumenti, si può arrivare, nel finale, a capire l’intera band. Ed è proprio la musica la vera protagonista; performance rigorosamente live, suonate da veri musicisti, tra i quali si incastrano gli attori con le loro storie. Un tale omaggio al Jazz che risulta quasi scontato il coinvolgimento di Chazelle. La musica è il collante tra i personaggi, è espressione del loro vissuto ed è ciò che li salva. Qualcosa da cui ripartire sempre. Sullo sfondo, Parigi: non quella della Torre Eiffel, di Notre Dame e degli Champs Elysées, simboli dell’immaginario romantico che tutti abbiamo della capitale francese e che mai compaiono nelle riprese, E’ la Parigi periferica, quella più oscura e problematica. Per certi versi, quella un po’ più reale. The Eddy è una serie difficile da raccontare, va vista, ascoltata e vissuta. Più facile sicuramente che finisca nella lista di un cinefilo, merita un’opportunità da parte di tutti. Un gioiello.
Immagini tratte da:
www.cb01.work www.it.ign www.mauxa.com www.ciakclub.it di Federica Gaspari ![]() Genere: animazione Anno: 2019 Regia: Lorenzo Mattotti Voci: Toni Servillo, Antonio Albanese, Linda Caridi, Maurizio Lombardi, Corrado Invernizzi, Alberto Boubakar Malanchino, Beppe Chierici Sceneggiatura: Jean-Luc Fromental, Thomas Bidegain, Lorenzo Mattotti Musiche: René Aubry Produzione: Prima Linea Productions Distribuzione: BiM Distribuzione Paese: Francia, Italia Durata: 82 min Il passaggio dalla carta stampata al grande schermo non è mai un procedimento semplice, soprattutto quando il materiale di partenza è firmato da un autore estremamente rappresentativo e apprezzato come Dino Buzzati. Lo scrittore e giornalista premio Strega nel 1958 ha segnato la narrativa dedicata ai ragazzi con un titolo chiave come La famosa invasione degli orsi in Sicilia, da lui scritto e illustrato. Da sempre considerato estremamente affascinante sia a teatro – risalgono agli anni Sessanta i primi spettacoli a cura della compagnia Fratelli Colla – che al cinema, questo romanzo ha tuttavia visto il completamento del suo primo adattamento cinematografico d’animazione solamente nel 2019 dopo sei lunghi anni di gestazione. L’opera finale con la regia di Lorenzo Mattotti ripaga tutte le aspettative diventando un vero gioiellino dell’animazione italiana. Ambientata in Sicilia in tempi e circostanze immaginarie, la storia vede molteplici livelli di racconti in grado di avventurarsi su più linee temporali. Il pubblico viene, infatti, inizialmente accolto dalla narrazione delle avventure di un gruppo di orsi che vive pacificamente sui rilievi siciliani. Un inverno particolarmente rigido spinge questa comunità, guidata da Re Leonzio, a spingersi fino ai confini della più vicina cittadina popolata da uomini per cercare cibo e per ritrovare anche il figlio del sovrano scomparso in circostanze misteriose. L’incontro tra questi due tipi di società apparentemente agli antipodi darà vita a una storia segnata da errori e preziosi insegnamenti. Illustratore e narratore di fama internazionale, Lorenzo Mattotti firma il suo primo film da regista dopo numerose collaborazioni nel mondo della settima arte con figure del calibro di Michelangelo Antonioni e Steven Soderbergh. Sin dalla sua presentazione nella prestigiosa cornice della sezione Un Certain Regard del Festival de Cannes 2019, La famosa invasione degli orsi in Sicilia ha saputo affascinare e conquistare gli spettatori prima nelle sale cinematografiche di tutta Europa e in un secondo momento con la distribuzione in digitale sulle principali piattaforme online di video-noleggio. L’esperienza e la creatività dalla forte vocazione internazionale, supportate dalle penne di Fromental e Bidegain alla sceneggiatura, donano nuova linfa a un classico senza tempo della narrativa dedicata ai ragazzi. Forme e disegni estremizzati valorizzano con genuinità un ensemble variegato di personaggi in grado di entrare nell’immediato nell’immaginario comune grazie a una forte e autentica personalità.
I giochi di ombre e sfumature valorizzano così un racconto in grado di rinnovarsi prendendo piena consapevolezza delle dinamiche della più classica favola. Lo sguardo magistrale di Mattotti riesce ad affrontare ogni elemento della vasta gamma emotiva con cui è dipinta questa storia, trovando i giusti toni e ritmi anche per raffigurare i momenti più cupi e crudi delle vicende. La poesia dell’incontro tra le mille immagini e voci è allora il naturale fil rouge di una storia capace di avventurarsi in riflessioni mature e articolate che, grazie alla loro struttura su molteplici livelli di significato, raggiunge con efficacia un pubblico eterogeneo favorendo uno sguardo originale sul tema dell’incontro tra culture e prospettive differenti. Immagini tratte da: www.mymovies.it di Vanessa Varini Venerdì 8 maggio, in diretta dallo studio 2 di Via Teulada alle 21.25 su Rai 1, Carlo Conti ha condotto in modo inedito e a volte un po' troppo veloce, la 65esima edizione dei Premi David di Donatello con i candidati collegati virtualmente da casa a causa del coronavirus. La serata, dedicata alle oltre 200.000 persone che lavorano nel mondo del spettacolo (anche se purtroppo sono mancati i collegamenti con i vincitori dei David per i costumi, le scenografie ecc... categorie che in questo periodo hanno maggiormente bisogno di sostegno), alle associazioni che stanno lavorando alla ripartenza, a quegli schermi ora spenti ma che presto si riaccenderanno, è iniziata con degli omaggi. Prima alla quasi centenaria Franca Valeri (compie gli anni a luglio), icona dello spettacolo e della cultura italiana, che a metà serata ha ricevuto il David Speciale alla carriera, poi a due icone del cinema italiano che avrebbero compiuto cento anni quest'anno: il celebre regista Federico Fellini e il grande Alberto Sordi. Per quanto riguarda i candidati ai David 2020, il primo video collegamento (dalla pessima connessione) é stato con Valeria Golino, seduta sul divano di casa, che ha vinto la statuetta come miglior attrice non protagonista per 5 è il numero perfetto, scritto e diretto da Igort e basato sul suo omonimo romanzo a fumetti, battendo Anna Ferzetti per Domani è un altro giorno, Tania Garribba per Il primo re, Maria Amato per Il traditore, Alida Baldari Calabria per Pinocchio, che si sono collegate tutte da casa. Il primo re di Matteo Rovere, rivisitazione del mito di Romolo e Remo, ha vinto il premio come miglior fotografia attribuita a Daniele Ciprì e a fine serata ha trionfato anche nelle categorie miglior produttore (Rai Cinema) e miglior suono. Pinocchio di Matteo Garrone ha vinto ben cinque David di Donatello come miglior scenografia per Dimitri Capuani, miglior trucco alla coppia formata da Dalia Colli e Mark Coulier, miglior costumista per Massimo Cantini Parrini, miglior acconciatore per Francesco Pegoretti e migliori effetti visivi a Theo Demeris e Rodolfo Migliari. Roberto Benigni candidato come miglior attore non protagonista sempre per Pinocchio dove interpreta Geppetto, invece, non ha vinto il premio, che è stato assegnato a Luigi Lo Cascio per Il Traditore (l'attore ha festeggiato in collegamento con i figli) battendo tra gli altri anche Stefano Accorsi per Il campione. Il Traditore conquista anche la categoria migliore attore protagonista grazie a Pierfrancesco Favino che interpreta il pentito di mafia Tommaso Buscetta e ottiene anche i David per miglior sceneggiatura (Marco Bellocchio, Ludovica Rampoldi, Valia Santella e Francesco Piccolo), regia (Marco Bellocchio), film e montaggio (Francesca Calvelli), diventando il film trionfatore della serata. Altre pellicole, come Martin Eden, liberamente tratto dall'omonimo romanzo del 1909 scritto da Jack London, si devono accontentare di una sola statuetta, quella come miglior sceneggiatura non originale assegnata a Maurizio Brauci e Pietro Marcello e l'attore Luca Marinelli candidato come miglior attore protagonista resta a mani vuote. Come miglior attrice protagonista vince Jasmine Trinca, che festeggia insieme al cartonato di Angelina Jolie e alla figlia Elsa per La Dea Fortuna, film di Ferzan Özpetek che vince anche nella categoria Miglior Canzone originale (Che vita meravigliosa) con le musiche di Diodato, vincitore del Festival di Sanremo, il 2020 si conferma quindi il suo anno. Questa 65esima edizione dei David ha dimostrato che il cinema, malgrado le difficoltà, è vivo più che mai e non vede l'ora di ripartire. Speriamo al più presto! Immagini tratte da: https://static.fanpage.it/ https://www.spettacolomania.it/ https://img-prod.tgcom24.mediaset.it/ https://www.spettacolo.eu/
Riuscire a mantenere intatta la qualità di un prodotto che ha saputo continuamente sorprendere milioni di appassionati non è impresa semplice. Dopo due stagioni animate da riflessioni filosofiche non banali e da svolte esplosive, Westworld ha scelto di cambiare nettamente direzione puntando verso orizzonti insoliti per la serie. Il ciclo di nuovi episodi appena conclusosi ha rappresentato un sostanziale riavvio del sofisticato show targato HBO, un reboot motivato dall’evidente volontà degli showrunner di incontrare l’approvazione del pubblico e della critica dopo le numerose critiche a quella che è stata considerata da molti un’eccessiva ambizione nella seconda stagione. Il risultato, purtroppo, è una narrazione dalle necessità vacillanti e dall’identità confusa che sembra porre le basi per un futuro altrettanto incerto. Lasciate ormai alle spalle le gioie violente del parco di Westworld, Dolores Abernathy (Evan Rachel Wood) ha iniziato a preparare il suo piano di vendetta contro gli umani che per anni hanno approfittato degli host all’interno delle attrazioni della Delos Destinations. Per mettere in atto ogni fase della sua articolata strategia, tuttavia, ha bisogno di alleati host e non solo. L’incontro con Caleb (Aaron Paul), uomo medio intrappolato nelle dinamiche di una società in cui non si riconosce, segnerà un’inevitabile svolta per il piano d’attacco di Dolores che dovrà confrontarsi anche con un nuovo nemico: Serac (Vincent Cassel). Quest’ultimo è l’ideatore dell’intelligenza artificiale Rehoboam che, attraverso complessi algoritmi, prevede il futuro dell’umanità cercando anche di correggere deviazioni da un percorso prefissato. Maeve (Thandie Newton), inconsapevole ancora del suo ruolo, sarà una pedina fondamentale di questo nuovo giocatore del mondo di Westworld che, anche se distante dal parco originale, non sembra essere molto diverso dalle strutture narrative ideate da Robert Ford. Nel corso dei suoi otto episodi segnati da una profonda discontinuità sia a livello di sceneggiatura che di regia, la terza stagione introduce nuove personaggi arricchendo le fila di uno schieramento di figure che in passato hanno contribuito al successo della serie. Il racconto seriale ispirato all’omonimo film di Michael Crichton, tuttavia, in questo suo nuovo capitolo perde chiaramente il controllo di tutte le pedine presenti sulla scacchiera. A un’evoluzione interessante di un personaggio finora secondario come Charlotte Hale (Tessa Thompson), infatti, corrisponde un’imperdonabile trascuratezza nei confronti di figure storiche come William (Ed Harris) e Bernard (Jeffrey Wright), coinvolti in questa nuova fase della narrazione con grandi aspettative per poi essere abbandonati impietosamente sullo sfondo dell’azione. Il finale, su cui ricadono tutti i difetti e le esitazioni di una stagione confusa e incerta, definisce quindi la natura di pura transizione verso una quarta stagione. A differenza di quanto accaduto in precedenza, infatti, questo terzo ciclo di episodi non riesce a essere né incisivo né autonomo nei suoi temi, ricorrendo troppo spesso a riferimenti al passato della serie oppure rimandando a un futuro indefinito spiegazioni e riflessioni. Si sprecano così numerosi spunti narrativi su temi estremamente attuali quanto quasi inediti sul piccolo e grande schermo. La possibilità di approfondire problematiche legate ai dati personali intrecciate al fil rouge del libero arbitrio si consuma, infatti, in frettolosi sviluppi didascalici al servizio di sequenze d’azione spettacolari ma vuote. La terza stagione di Westworld diventa così un suggestivo esercizio di stile che ammalia con il suo spirito visionario attraverso scenografie e costumi ma che non convince con la sua materia narrativa. Appare, quindi, chiaro che l’intero team creativo abbia posto più attenzione alla forma con la creazione di un nuovo immaginario piuttosto che alla sostanza spesso incoerente o approssimativa nelle sue dinamiche. Approfondendo il suo lato più umano, la prestigiosa serie HBO si riscopre così fragile, indifesa e, soprattutto, infallibile rinunciando anche ai suoi personaggi più carismatici in vista di un futuro privo di saldi riferimenti.
Immagini tratte da: www.hbo.com
La Recensione
di Matelda Giachi
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Genere: Miniserie Tv drammatica
Anno: 2020 Episodi: 7 Durata: 45 min circa Cast: Darren Criss, David Corenswet, Jeremy Pope, Laura Harrier, Samara Weaving, Dylan McDermott, Holland Taylor, Patti LuPone, Jim Parsons Sceneggiatura: Ryan Murphy, Ian Brennan Produzione: Ryan Murphy Productions Distribuzione: Netflix Paese: USA Ideatore: Ryan Murphy, Ian Brennan
Hollywood è l’ultima serie tv prodotta dal duo Ryan Murphy – Ian Brennan, la seconda collaborazione con Netflix dopo The Politician. Protagonista un gruppo di giovani con un sogno: lavorare a Hollywood, quel posto magico che, verso la fine degli anni ’40, i così detti anni d’oro, durante i quali è ambientata la serie, appariva come un El Dorado pieno di promesse di gloria.
Sette episodi di circa 45 minuti ciascuno, che contengono tutto il Ryan Murphy migliore. Sfrontatezza, una narrazione esplicita e sopra le righe, una realtà portata all’eccesso sono i suoi tratti distintivi. Hollywood ha, nel suo episodio pilota, una leggerezza insolente, facilmente male interpretabile come superficialità. Ma chi conosce già la mente dietro Nip & Tuc, Glee, American Horror Story e innumerevoli altre serie, sa già non essere altro che un veicolo di drammi umani profondi. Ed è così che episodio dopo episodio, i protagonisti si svelano in tutta la loro complessità e nel loro ruolo di latori di messaggi importanti. Come ogni artista, Murphy mette qualcosa di sé in ogni suo lavoro. Nel condurre i casting, attinge sempre alla propria scuderia di attori, divenuta una sorta di famiglia, a cui, di volta in volta, aggiunge qualche volto nuovo. Quest’ambiente familiare fatto non di legami di sangue ma di emozioni condivise, tende a ripresentarsi nelle serie che produce. E questo vale anche per Hollywood.
A tutto questo si aggiungono un’intro che è già un capolavoro, dialoghi brillanti e un cast che va oltre l’eccezionale.
Hollywood è una serie destinata a scatenare le critiche dei puristi della realtà e ad appassionare i sognatori. Torna indietro nel tempo e ci racconta non come è stato ma come avrebbe potuto essere. E’ carica di una positività ai limiti del buonismo e di un’umanità dimenticata ma in cui Ryan Murphy sembra continuare a credere e a voler instillare nelle persone attraverso le sue opere.
I suoi protagonisti sono, ancora una volta, un gruppo di emarginati: omosessuali, donne, persone di colore, artisti e sognatori. Sono derisi, bistrattati ma pieni di talento e ambizione. Ancora una volta al centro non vi è l’uguaglianza ma la parità di opportunità e diritti, mentre la diversità viene incoraggiata e celebrata come un valore. E la somma di questi multisfaccettati valori può portare a grandi cose. Una realtà non come è ma come potrebbe essere; come dovrebbe essere. Perché in fondo la vita è fatta di scelte. E, anche davanti a questa serie, si può scegliere se storcere il naso di fronte al suo essere totalmente inverosimile, oppure farsi conquistare (ma anche contagiare) dal lato più bello dell’essere umano, che nessuno sa raccontare bene quanto Ryan Murphy. 3/5/2020 "La freccia nera" e "Il falco e la colomba" : due serie da recuperare su Mediaset PlayRead Nowdi Vanessa Varini Oggi "rispolveriamo" due serie Tv d'epoca, "La freccia nera" e "Il falco e la colomba", andate in onda su Canale 5 rispettivamente nel 2006 e nel 2009 e che si possono guardare su Mediaset Play. Titolo: "La freccia nera" Paese: Italia Anno: 2006 Genere: avventura, drammatico, guerra, sentimentale Puntate: 6 Durata: 540 min (totale) Regia: Fabrizio Costa Soggetto: romanzo di Robert Louis Stevenson Sceneggiatura: Maria Carmela Cicinnati, Nicola Lusuardi, Riccardo Mazza, Giuseppe Zironi Interpreti e personaggi: Riccardo Scamarcio (Marco di Monforte); Martina Stella (Giovanna Bentivoglio di Fanes/Luca di Torrealta); Ennio Fantastichini (Raniero di Rottenburg); Jane Alexander (Magdalia di Toblach) Marco (Riccardo Scamarcio) è un orfano allevato a sua insaputa dall'assassino di suo padre, Raniero (Ennio Fantastichini). Giovanna (Martina Stella) è una giovane nobile, nipote del vescovo di Cusano, vissuta in convento, che fuggirà travestita da uomo per evitare un matrimonio combinato (il suo promesso sposo, che non ha mai visto, è proprio Marco) e per difendere la sua eredità. I due ragazzi decideranno di arruolarsi nella Freccia Nera, una banda di giustizieri e Giovanna farà proprio amicizia con Marco, ignorando la sua reale identità... "La freccia nera" è un romanzo di avventura scritto da Robert Louis Stevenson, diventato poi nel 1968 uno sceneggiato in bianco e nero con protagonista Loretta Goggi. Anticipando i tempi, perchè non era ancora "scoppiata" l'invasione dei remake cinematografici e televisivi, nel 2006 il regista Fabrizio Costa ha deciso di realizzare una rilettura del celebre romanzo, con protagonisti il sex symbol Riccardo Scamarcio, all'epoca popolare grazie al film adolescenziale "Tre metri sopra il cielo" e a "Romanzo Criminale" e Martina Stella, famosa grazie al film di Muccino "L'ultimo bacio", ambientandolo in Trentino invece che in Inghilterra e al tempo delle lotte tra il papato e l'Impero asburgico e non durante la Guerra delle due Rose. La trama, invece, rispecchia quella libro. Consiglio questa serie a chi ama le storie rivisitate e avventurose. LA SERIE SI PUÒ GUARDARE SU MEDIASET PLAY: https://www.mediasetplay.mediaset.it/fiction/lafreccianera_b2990852 Titolo: Il falco e la colomba Paese: Italia Anno: 2009 Genere: sentimentale Puntate: 6 Durata: 600 min Regia: Giorgio Serafini Sceneggiatura: Giorgio Serafini Interpreti e personaggi: Cosima Coppola (Elena Campireali); Giulio Berruti (Giulio Branciforte); Anna Safroncik (Lisetta); Enrico Lo Verso (Armido); Adriano Pappalardo (Ugone); Davide Paganini (Fabio Campireali); Alessandra Barzaghi (Marietta); Fabio Testi (Principe Savelli); Anna Galiena (Vittoria Colonna) Giulio Branciforte (Giulio Berruti), è un capitano di umili origini al soldo del Cardinale Pompeo Colonna, che mira a scalzare Papa Clemente VII dal soglio pontificio ed è corteggiato dalla popolana Lisetta (Anna Safroncik). Elena Campireali (Cosima Coppola), invece, è una ragazza che è stata educata nel convento di Castro, appartiene ad una ricca famiglia di Albano, fedele a Clemente VII ed è promessa sposa con il Principe Savelli (Fabio Testi), un potente banchiere. Giulio ed Elena sono due opposti che si attraggono, ma la loro unione sembra impossibile. Riusciranno a coronare il loro sogno d'amore? Liberamente ispirato al racconto “La Badessa di Castro” di Stendhal, i protagonisti sono due giovani innamorati perseguitati da un destino avverso: lei viene più volte rinchiusa, prima in convento, poi in carcere con l'accusa di eresia e nell'ultima puntata viene persino murata viva in una delle stanze del suo palazzo. Anche lui non se la passa meglio, Giulio infatti viene ferito più volte, rapito e considerato morto. Ma non preoccupatevi, non faranno la tragica fine di altre coppie di amanti famose come Giulietta e Romeo o Tristano ed Isotta, il lieto fine è assicurato, anche se da quello che ho scritto non sembra. "Il falco e la colomba" merita di essere vista anche solo per la bellezza di Giulio Berruti, Thomas nella "Freccia Nera" e famoso per "La figlia di Elisa - Ritorno a Rivombrosa" e di Cosima Coppola, protagonista della miniserie "L'onore e il rispetto" e per i meravigliosi costumi d'epoca. Se avete amato "Elisa di Rivombrosa" o "Terra Ribelle" vi piacerà questa serie. LA SERIE SI PUÒ GUARDARE SU MEDIASET PLAY: https://www.mediasetplay.mediaset.it/fiction/ilfalcoelacolomba_b2900840 Immagini tratte da: https://i.skyrock.net/ https://www.okino.ua/ https://cdn.gelestatic.it/ http://www.digitalrecords.it https://movieplayer.net-cdn.it/ https://moovie.cc/ |
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Marzo 2023
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