Titolo Originale: Saving Grace
Anno: 2000 UK Durata: 93 min Genere: Commedia Regia: Nigel Cole Soggetto: Mark Crowdy Sceneggiatura: Craig Ferguson Fotografia: John de Borman Cast: Brenda Brethlyn, Craig Ferguson, Martin Clunes, Tcheky Karyo, Jamie Foreman, Valerie Edmond
Commedia romantica e di tipico stampo anglosassone. Rimasta vedova, la dolce Grace scopre di aver ereditato solo i debiti del marito. Con la terribile ipoteca che minaccia di privarla della bellissima villa in cui vive, nella verde e tranquilla Cornovaglia, la vita di Grace sembra sull’orlo del baratro fino a quando non viene colpita da un’illuminazione a dir poco geniale: sfruttare le sue doti di provetta giardiniera per coltivare e vendere in grandi quantità piantine di Marijuana. Quest’ultima gli viene procurata dal suo aiutante combinaguai che decide di supportarla in quest’avventura.
Inutile dirvi che nella piccola comunità in cui vivono i nostri protagonisti: ‘’tutti sanno tutto’’ e come potrete immaginare ne vedrete di cotte e di crude. Film che sostanzialmente racconta il riscatto della nostra deliziosa protagonista, che fino alla morte dello scellerato e adultero marito, aveva perso la voglia di osare e nello stesso tempo di godersi a 360’ la propria vita. Il film è vivace e divertente e da subito saltano all’occhio le prove attoriali di Brenda Blethyn e Tcheky Karyo. La prima si cala perfettamente nei panni della matura Grace e ci regala un personaggio indimenticabile per dolcezza e un’ingenuità a dir poco affascinante.
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Il secondo invece è un veterano nel ruolo dei ‘’cattivi’’ cinematografici e dopo aver recitato in NIKITA e DOBERMAN torna a indossare i panni del villain nel ruolo del fascinoso e oscuro Jacques, ‘’pezzo grosso’’ della droga che farà girare la testa alla nostra eroina. Sostanzialmente chi ha visto il film non potrà non sorridere nel ricordare alcune scene assolutamente CULT, come quella del tè delle vecchiette amiche di Grace, che s’intrufolano furtivamente nella serra scambiando le foglie di cannabis per la loro bevanda preferita, il risultato è esilarante e ai tempi fu decisamente originale e unico nel suo genere.
Fino all’uscita di questa pellicola purtroppo l’argomento era un vero e proprio taboo, non essendo mai stato affrontato con leggerezza e tanta autoironia come ci ha mostrato il regista Nigel Cole. Purtroppo l’originalità del film non compensa gli innumerevoli limiti presenti. Il regista cerca di rifarsi a un tipo di cinema inglese d’alto livello come quello visto in ‘’Full Monty’’ e in ‘’Lucky Break’’, ma deve fare i conti con una sceneggiatura un pò troppo confusionaria e surreale, che troppo spesso gioca coi soliti luoghi comuni che la ‘’matta’’ e genuina provincia inglese può offrirci. Senza dubbio in diversi aspetti si potevano apportare dei miglioramenti ma L’erba di Grace rimane pur sempre una gradevolissima commedia che consigliamo senza alcun dubbio di vedere. Una storia semplice che ci vuole far capire che delle volte bisogna saper rischiare tutto per riuscire a riprendersi le redini della propria vita e spingersi verso confini mai esplorati, fidandosi del proprio istinto e come ci ha insegnato la buona Grace, senza mai dimenticarsi di usare le buone maniere, anche se di fronte a pericolose gang criminali londinesi.
ILTermopolio come sempre vi invita a recuperare immediatamente la pellicola se non l’avete ancora vista e vi da appuntamento alla prossima settimana, con la nuova recensione. A presto e buona lettura da tutta la redazione.
Immagini tratte da:
Locandina: http://www.imdb.com/title/tt0195234/ Immagine 1: notoriusmartagabriel.blogspot.com Immagine 2: film-cinema.it Immagine 3: www.filmtv.it Immagine 4: farefilm.it
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Ogni sabato per tutta l'estate Rai3 trasmetterà il ciclo dei film dell'agente segreto James Bond, protagonista di una serie di romanzi dello scrittore britannico Ian Fleming.
Il personaggio di James Bond, conosciuto anche come 007 ( il doppio zero significa che ha licenza di uccidere) é un elegante agente segreto dello spionaggio inglese. In realtà Ian Fleming per questo personaggio si è ispirato ad un ornitologo.
Infatti Fleming, era un bird watcher dilettante durante le vacanze e conosceva bene il libro "Birds of the West Indies" di James Bond, un ornitologo, così diede il nome dell'autore all'eroe della sua prima opera che scrisse nel 1953, "Casino Royale". Fleming cercava un nome che fosse 'il più ordinario possibile'. Da allora, con cadenza annuale, dedicherà il periodo del suo soggiorno nella villa GoldenEye (titolo del film del 1995 con Pierce Brosnan nei panni di 007) in Giamaica alla stesura di un nuovo romanzo della serie. Addirittura nel ventesimo film di James Bond, "Agente 007 - La morte può attendere" Pierce Brosnan si finge ornitologo e sfoglia il libro di Bond in una scena all'inizio del film ad Avana. Sebbene il personaggio
di James Bond sia una figura di fantasia, Ian Fleming ha scritto un'accurata biografia riguardo l'agente segreto che al cinema è stato interpretato finora da sei attori diversi! James nasce il 7 aprile del 1924 da genitori borghesi, Andrew Bond di Glencoe, scozzese, e Monique Delacroix, in svizzera. Il padre è rappresentante all'estero della ditta Vicker, viaggia spesso e per questo Bond sa perfettamente la lingua francese e quella tedesca. Bond rimane orfano (i suoi genitori vengono uccisi) e viene allevato da una zia, Charmian Bond nel Kent, dove durante l'adolescenza entra nel prestigioso collage di Eton. Dopo soli due anni Bond viene però espulso a causa di una relazione con una cameriera, fin da giovane Bond amava flirtare con le donne. La zia riesce allora a iscriverlo a Fettes, scuola del padre, dove il giovane raggiunge risultati eccellenti a scuola e nello sport! Nel film "Dalla Russia con amore", si può notare che Bond ha anche studiato per un certo tempo all'Università di Ginevra. Terminati gli studi, nel 1941 all'età di diciassette anni si dichiara più vecchio di due anni ed entra nel Ministero della Difesa. In seguito diventa Tenente del Servizio Speciale del Royal Naval Reserve e termina la guerra con il grado di Comandante. Classificato come 007, lavora a Hong Kong e in Giamaica (vi ricordate "Licenza di uccidere?"), prima della missione al Casino Royale. Qui Bond vince la partita contro l'agente sovietico Le Chiffre. Dopo anni di lotta contro il reparto eliminazioni del KGB, responsabile dell'aver indotto al suicidio l'amata Vesper Lynd (interpreta da Eva Green in "Casino Royale"), Bond vede nascere nuovi nemici, che nel gennaio 1969 gli uccidono la moglie, Tracy Di Vicenzo, il giorno stesso delle nozze. Sconvolto e depresso, Bond cerca vendetta e, durante una missione in Giappone, la ottiene. Rimane però vittima di un'amnesia e a Londra è dato per morto. Riappare dal suo capo un anno dopo e tenta di ucciderlo. Si scopre che era stato sottoposto a lavaggio del cervello dai sovietici. M, che si fida di lui, lotta per rimetterlo in forma e lo spedisce a uccidere "l'uomo dalla pistola d'oro" (film del 1974 con Roger Moore). Bond torna totalmente ristabilito, s'innamora di nuovo, affronta nuove missioni,nuovi nemici e nuovi alleati, come la nuova M.
Ora che conoscete meglio la storia di Bond siete pronti a passare un'estate con 007?
BIBLIOGRAFIA:
wikipedia ita., pubblico dominio, voce: James Bond wikipedia ita., pubblico dominio, voce: James Bond (ornitologo)
Immagini tratte da:
- Immagine 1, http://biografieonline.it/biografia.htm - Immagine 2, wikipedia ita.,Jerry Freilich,CC BY-SA 3.0, voce: James Bond (ornitologo) - Immagine 3, http://www.lenews.eu/
Guerriglia urbana, molotov, macchine rovesciate, fiamme, sangue, spari, gente che corre. E’ primavera a Parigi, precisamente maggio ‘68 e un ragazzo è in fuga. Il suo nome è François Dervieux (Louis Garrel), è un poeta ventenne che ha disertato la leva obbligatoria ed è ricercato dalle autorità. Pochi mesi dopo la celebrazione del processo (siamo già nel ’69), si imbatte in un gruppo di giovani che tra hashish, feste, sesso e piccoli furti, vivono gli strascichi del sogno rivoluzionario studentesco. E’ durante una festa che François incontra una giovane scultrice, Lilie (Clotilde Hesme), già intravista nei giorni convulsi della rivolta. Tra sguardi timidi e impacciati, sorrisi e parole sussurrate i due ventenni si innamorano. L’idylle si conclude quando Lilie decide di andare a cercare fortuna negli USA al seguito di un pittore. La fine dell’amore coinciderà con la fine della vita di François che si suiciderà. Les amants réguliers (2005) di Philippe Garrel è un film di circa tre ore, che ha ricevuto numerose onorificenze: il Leone d’Argento alla Mostra Internazionale d’Arte di Venezia e il Premio Lumière 2006 al regista, il Premio Osella per il migliore contributo tecnico alla fotografia di W. Lubtchansky, il Premio Louis-Delluc 2005, il Premio César e l’ Étoile d’Or 2006 al migliore attore emergente L. Garrel, figlio del già citato regista. Il cinema di Garrel è un cinema per puristi, snob, da rive gaughe. E’ in bianco e nero e usa delle tecniche compositive stilisticamente impeccabili come i lunghi piani sequenza e una fotografia che illumina il volto del bel tenebroso François e dell’altrettanto bella e malinconica Lilie. Garrel gira il film due anni dopo l’uscita di The Dreamers (2003) di Bertolucci, con cui Gli amanti regolari condivide in parte le tematiche (che idealmente prosegue) e lo stesso attore protagonista, Louis Garrel (affiancato nel 2003 da Eva Green e da Michael Pitt). P. Garrel, discepolo di Godard e Truffaut, ricostruisce con sapienza uno scorcio post ’68, rievocando temi e stilemi della Nouvelle Vague: dalla ricerca del reale, ai bassi costi (il film è costato solo un milione e mezzo di euro), alla luminosità alla ricerca di maggiore realismo tramite l’uso mirato della macchina da presa. Dal punto di vita contenutistico, ad eccezione della prima parte, più dinamica, con la rappresentazione dei tumulti in città, la trama soffre di monotonia. Ci troviamo quasi sempre all’interno della casa di un giovane facoltoso che offre ospitalità e droghe leggere, di fronte ad una esclusione volontaria dalla società dopo il fallimento dei moti del ’68. L’attenta camera da presa indugia sullo stordimento dei volti dei giovani, sulla stagnazione e sull’abbandono, su di un’atmosfera che di rivoluzionario conserva solo il nome, rievocato in discorsi evanescenti e poco lucidi. I sognatori di Bertolucci diventano i disillusi di Garrel: la realtà è immutabile, è concesso solo di evitarla rinchiudendosi in un alternativo microcosmo per artisti annoiati e spiantati, febbrilmente attaccati alle pipe di hashish. E’ un cinema poco parlato, sussurrato e anche nei momenti di guerriglia urbana domina il silenzio, è come se i rumori provenissero da lontano, confusi. Capiamo più dai gesti e dagli sguardi che dai dialoghi che, a mano a mano che il film procede, si fanno sempre più brevi ed enigmatici. Ciò contribuisce alla sensazione che i personaggi ci siano in qualche modo distanti, estranei, che non riusciamo a capirli perché loro stessi non riescono ad esprimersi: è come se volessero dirsi/dirci qualcosa in più ma tacciono. C’è una sorta di patina di incomunicabilità che blocca le emozioni sul viso e non permette siano tradotte in parole. Così avviene quando Lilie comunica a François che vorrebbe andare a letto con un altro uomo e lui acconsente al desiderio, con poche parole, pure se il suo viso mostra tutt’altro o, anche quando, gli dirà che sta per partire per New York e François non potrà fare a meno di reagire stizzito, ma sarà una reazione contenuta, quasi anestetizzata, che non lascia presagire il tragico finale. Le emozioni di una generazione sconfitta sono sussurrate, inghiottite, inespresse. Nella testa e nel cuore corrono mondi che rimangono non detti, soprattutto in François che di certo non è un Baudelaire o un Rimbaud, ma che porta con sé una sensibilità maledetta che gli ha permesso di fare dell’amor fou per Lilie la linfa dei suoi giorni annoiati. Le aspirazioni della più concreta Lilie, che la portano a rinnegare persino di essere comunista nelle dichiarazioni all’ambasciata per poter entrare negli USA, sparigliano le carte e i due si trovano presto lontani. Che cos’è allora la regolarità a cui si allude nel titolo? Il perdurare di un’esistenza postrivoluzionaria alternativa ma rassicurante, cornice dell’incontro e dell’ amore dei due amanti, o l’ingresso prepotente della vita che, più irriverente dell’ “irregolarità su misura” che avevano cercato di imporle, scombina le fragili certezze con schemi imprevisti? Immagini tratte da: - mymovies.it - artinmovies.blogpot.it - film.thedigitalfix.com - glispietati.it - dvdtalk.com Il manifesto della beat generation diventa film. ![]() DATA USCITA: 27 agosto 2010 GENERE: Biografico , Drammatico ,Animazione ANNO: 2010 REGIA: Rob Epstein, Jeffrey Friedman ATTORI: James Franco, Todd Rotondi , Jon Prescott, Aaron Tveit, David Strathairn, Jon Hamm, Bob Balaban, Mary-Louise Parker,Treat Williams, Alessandro Nivola, Jeff Daniels, Allen Ginsberg SCENEGGIATURA: Rob Epstein, Jeffrey Friedman FOTOGRAFIA: Edward Lachman MONTAGGIO: Jake Pushinsky MUSICHE: Carter Burwell PRODUZIONE: Werc Werk Works, RabbitBandini Productions, Telling Pictures, Radiant Cool DISTRIBUZIONE: Fandango PAESE: USA DURATA: 90 Min ![]() “Il vero significato di profezia non è sapere se una bomba cadrà nel 1942 ma è capire e sentire qualcosa che qualcuno capirà e sentirà tra cento anni”. Queste sono le parole che il personaggio di Allen Ginsburg (1924-1977), interpretato dal talentuosissimo James Franco, pronuncia all’interno della pellicola L’urlo (2010), lungometraggio che deve il nome a The Howl (1956), celebre e omonimo poema ginsburghiano, nonché manifesto della beat generation. Si tratta di un film complesso, all’interno del quale dialogano sapientemente generi differenti che demarcano altrettante differenze contenutistiche: dal biografico al drammatico passando attraverso l’animazione. Tre sono i piani narrativi che si intrecciano continuamente fin dai primi minuti, rendendone la visione mai scontata : l’intervista al poeta, la lettura del testo del poema e il processo per oscenità all’editore L. Ferlinghetti (A. Rogers) nel 1957. E’ attraverso l’intervista che il poeta rilascia ad un giornalista (che non vediamo né sentiamo mai e che avviene dentro le mura della casa di Allen), che riusciamo a ricostruire le tappe più significative della sua esistenza: la giovinezza, gli incontri, uno tra tutti quello con Kerouac, l’omosessualità, gli amori corrisposti e non, la lobotomia della madre e la successiva morte in manicomio, il soggiorno dello stesso poeta in manicomio e la sua amicizia con lo scrittore dadaista C. Solomon, fino ai fatti più recenti del processo all’editore. Ginsburg. ha poco più di 30 anni e vede scorrere nella sua memoria volti e situazioni che hanno caratterizzato gli anni precedenti, individuando nell’omosessualità una sorta di catalizzatore che gli ha permesso di meditare su stesso e sul mondo e di dare forma poetica ai suoi pensieri e ai suoi amori, spesso infelici, come quello per Neal Cassady. L’immaginifica e vibrante rilettura del testo de L’Urlo, tramite l’ausilio dell’animazione, meglio ci trasporta nello stream of consciousnes poetico, in quel trip psichedelico da peyote dai versi e dalle parole criptiche, visionarie, allucinate, delle quali è possibile evocare appena i significati che forse le immagini colorate riescono a rendere più chiari. Il ritmo del testo è sincopato, dal ritmo jazz e produce un effetto di incantamento e stordimento e a tratti di cupa disperazione: "[…] Ho visto le migliori menti della mia generazione che mangiavano fuoco in hotel ridipinti/ o bevevano trementina in Paradise Alley, morte, o si purgatoriavano il torace/ notte dopo notte con sogni, con droghe, con incubi a occhi aperti, alcol e cazzo e balle-sballi senza fine,/che vagavan su e giù a mezzanotte per depositi ferroviari chiedendosi dove andare, e andavano, senza/ lasciare cuori spezzati,/ Ho visto le migliori menti della mia generazione/ che trombavano in limousine col cinese di Oklahoma su impulso invernale mezzonotturno illampionata/ pioggia di provincia,/ che ciondolavano affamate e sole per Houston cercando jazz o sesso o zuppa[…]". Cogliamo, lungo il corso del lungo poema, parole ritenute oscene, riferimenti a droghe, alcool, sesso,elettroshock, morte, a terribili mostri come il Moloch: alle esperienze soggettive si mescola un urlo di protesta dell’intera generazione postbellica alla società capitalista americana, di cui il Moloch è esemplificazione. ![]() Contro quest’urlo si leva prepotentemente l’ingiunzione al silenzio censorio della benpensante e bacchettona società americana di fine anni Cinquanta: l’Urlo contiene riferimenti espliciti al sesso e alla droga e deve essere dichiarato osceno, in quanto tendente alla corruzione e ai desideri lascivi. Eccoci nel terzo livello di lettura, che indaga la liceità delle scelte contenutistiche e stilistiche del poeta. I registi Epsten e Friedman hanno realizzato un film più concettuale che biografico, in cui la figura di Ginsburg, sebbene sia tratteggiata attraverso le sue stesse parole e il racconto degli eventi vissuti, risulta essere più un’occasione per trattare le tematiche beat che per realizzare un vero e proprio affresco del personaggio. Di ciò paghiamo leggermente lo scotto, perdendo l’inquietudine e avendo in cambio il ricordo di uno spettatore/protagonista che per quanto ripartecipi alle vicende emotivamente, ne è esterno, comodamente seduto sul suo sofà, con una visione forse più lucida ma sicuramente meno intensa perché si guarda da fuori. L’urlo diventa l’occasione per una riflessione sulla condizione dell’intellettuale in generale, sulla possibilità di essere franco con se stesso e verso i propri uditori. Non è osceno chi utilizza parole che sono adatte alle situazioni che descrive, che sono forti, crude, ma che rendono giustizia a cosa sente e a cosa vuole comunicare, osceno -naturalmente in un'altra accezione- è chi rinuncia ad essere veritiero e franco, chi mente o tace, chi in altre parole, edulcora la realtà che vive, ingabbiandola in uno schema precostituito, espungendo dall’arte il valore sociale che riscatta l’apparente inconcludente brutalità fino a se stessa dei temi e della forma. Del resto, cosa è osceno e chi dovrebbe deciderlo? Chi dice il vero è libero e chi è libero dice il vero. Solo facendo vincere l’onesta intelligenza sul nostro conformismo, così come Allen, riusciremo ad essere ciò che siamo, aprendo una breccia che contribuirà alla libertà altrui. Al termine della pellicola, scorrono delle foto in bianco e nero con delle indicazioni relative alle vite di Ginsburg, dei suoi amici e del suo compagno di vita Peter Orlovsky . Fuoriusciamo dal piano della finzione narrativa immergendoci nella realtà con un sorriso. La sua poesia conserva un serbatoio di significati, un sentire e un capire che lo rendono attuale anche oggi. Allen non era e non è solo un poeta ma un profeta di libertà. Immagini tratte da:
nuovocinemalocatelli.com
Nel Marzo scorso nelle sale italiane è arrivato "La macchinazione", film per la regia di David Grieco che ha riportato ancora a galla i tanti, troppi misteri che ancora circondano la scomparsa del grande intellettuale italiano avvenuta la notte del 2 Novembre 1975.
Un piano bianco. Nessun altro colore. Vuoti sonori. Una lenta melodia pseudo-religiosa. Partono cori femminili. Si issano sempre più su. In diagonale si appropinqua David Gilmour. Nel frattempo il campo visivo si allarga in concomitanza con l'ampliarsi delle voci. Lo spettatore affronta il disegno elaborato di alcune figure scolpite, in lotta tra loro. La Suite di Atom Heart Mother, 1970, Pink Floyd si svela nella gloria dei 23:44 in cui viene al mondo, ha le sue prime pulsioni erotiche, gode. Viene uccisa, muore, resuscita, ammazza, sale in cielo. Il disegno con le sculture in realtà rappresentava un bassorilievo. Della fine di Pier Paolo Pasolini, tirato per i capelli con lancinante odio. Un Pasolini gigantesco e formidabile immobilizzato da cinque, dieci omuncoli che gli succhiano il sangue come dei piccoli demoni. Ma per levargli la vita avranno bisogno di un'automobile. Sembra di rivedere la morte di Laocoonte ad un certo punto. Comincia così "La macchinazione".
David Grieco, romano classe 1951, ha conosciuto Pasolini a soli dieci anni, a diciassette ne è diventato aiuto - regista e attore per "Teorema", l'ha sempre considerato una guida fondamentale per la sua formazione di uomo oltrechè di scrittore e operatore. Di spot pubblicitari e documentari sul cinema ne ha fatti tanti. Di film 2. Entrambi tratti da due suoi libri. Da "Il comunista che mangiava i bambini" edito da Bompiani nel 1994 e ispirato alla vita del mostro di Rostov, il pedofilo russo Andrej Romanovic Cikatilo, ha tratto dieci anni dopo l'acclamato "Evilenko" con protagonista un sontuoso Malcom Mcdowell. Nel Novembre scorso per Rizzoli nelle librerie è giunto il volume "La macchinazione". Il Marzo di quest'anno ha conosciuto anche la versione filmica di una battaglia condotta assieme al regista da oltre 40 anni, una coltre diffusa di imbrogli e inesattezze, che grazie alla tenacia sua e di numerosi altri veri intellettuali (Carlo Lucarelli con il suo "PPP" e Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti con "Frocio e Basta" di cui potete leggere qui la nostra intervista) diventera a breve un'interrogazione parlamentare.
41 anni quasi dopo che Pasolini perse la vita nella concitata notte tra il 1 e il 2 Novembre del 1975, all'Idroscalo di Ostia, in mezzo a baracche e impronte di pneumatici che non potevano solo appartenere all'Alfa del poeta friuliano. Così come allo sfinimento è stato detto, ma vale la pena ripeterlo per chi non lo sa, che il "marchettaro" diciassettenne Pino Pelosi auto-accusatosi e condannato come assassino di Pasolini non possedeva nè le condizioni fisiche (alto un metro e mezzo ed esile, da qui il soprannome di Pino "La Rana") nè tantomeno motivazioni e astuzia (Pelosi non ha proprio tutte le rotelle a posto, ad intervalli ha provato con scarso successo a fare il ladro ma l'hanno riportato tra le sbarre ogni volta) per compiere il tutto da solo. L'avvicente conclusione della pellicola di Grieco mette in scena difatti l'epilogo probabilmente più realistico di una morte che come Lucarelli afferma nel suo libro appartiene alla schiera dei "segreti oscuri" della Storia italiana, e non ai misteri, dal momento che palese si è dimostrata sin dalla pecoreccia scena del crimine della mattina del 2 Novembre 1975 la volontà da parte delle forze della giustizia di insabbiare il caso in fretta a furia con una sigla che suppergiù reciterebbe "Pier Paolo Pasolini ha tentato di sodomizzare con violenza e minacce di morte il Pino Pelosi e per questo è stato ucciso". Come se quasi se la fosse cercata.
E' riuscito laddove Kubrick non ce l'aveva fatta David Grieco. Per "Arancia meccanica" il maestro Stanley intendeva utilizzare alcune musiche dei Pink Floyd ma non gli fu possibile. Per "La macchinazione" invece Grieco è riuscito ad ottenere i diritti per riproporre un album, "Atom Heart Mother" conosciuto ed apprezzato dallo stesso Pasolini, riproponendo i vari stati d'animo di cui si compone la Suite iniziale (solennità, archi da da parata, rock progressive allo stato puro) all'interno di diversi momenti descritti. Dall'apertura già citata all'ascolto proveniente dallo stereo dell'auto guidata dall'autore degli "Scritti corsari" tra le vie buie di Roma, alla magnifica scena onirica in cui profeticamente egli immagina il presente tecnologico, alla suspence vorticosa che conduce all'omicidio.
E Pasolini soprattutto chi lo interpreta? Chi ha avuto il fegato, la tensione e la faccia per impersonarlo? La risposta a Grieco sembra averla suggerita Pasolini in carne ed ossa, quando dopo una partita di calcetto nell'unica occasione in cui lo incontrò, a Massimo Ranieri sorridendo gli confessò che loro due si assomigliavano sul serio. Ebbene l'attore napoletano restituisce ne "La macchinazione" l'immagine sentita e importante di un Pasolini dai molti volti e raccontato a tuttotondo negli ultimi giorni della sua vita. Un Pasolini galantuomo con Pelosi (un eccellente Alessandro Sardelli), Antonio Pinna (interpretato da Libero De Rienzo, egli era un piccolo criminale scomparso poco tempo dopo l'assassinio e di cui fu ritrovata un'Allfa Romeo molto simile a quella di Pasolini) e altri giovani delle Borgate della Capitale. Un Pasolini dolce ed innamorato della propria madre (ruolo ricoperto da Milena Vukotic). Un Pasolini determinato nella realizzazione del suo ultimo film "Salò" e nella ricerca del materiale per la scrittura del romanzo "Petrolio". Ma in altri frangenti anche un Pasolini stanco della situazione italiana contemporanea. Sì, perchè la trama del film non insegue a differenza della versione non esaltante "Pasolini" firmata da Abel Ferrara nel 2014 l'obiettivo di descrivere un delitto puramente sessuale. Gli sceneggiatori (Grieco e Guido Bulla, compianto Professore di Lingua e Letteratura inglese all'Universita' "La Sapienza" di Roma) partono da ben altre basi, fatti ulteriori per strutturare la loro tesi centrale secondo cui dietro all'omicidio Pasolini si celano ragioni e personaggi di elevato rango e potere riportati sullo schermo con trasparenza e intelligenza.
C'è in primis l'Eni, e il suo presidente Eugenio Cefis, una tra le figure più oscure dell'epoca, da Pasolini individuato nel suo romanzo incompiuto "Petrolio" quale mandante diretto dell'attentato ad Enrico Mattei, suo predecessore alla guida dell'azienda nazionale dell'energia. In lui (presentato nel romanzo sotto lo pseudonimo di Troya) lo scrittore friuliano identifica un cancro estremamente potente nell'ambito dello sviluppo della realtà politico - economica italiana, ascrivendolo a fondatore della Loggia Massonica P2 e ponendolo al centro di vicende future che avrebbero caratterizzato effettivamente la storia del nostro Paese (la strage alla stazione di Bologna del 2 Agosto 1980 ad esempio). E in relazione alla messa a punto di "Petrolio" Grieco inscena una serie di incontri, nella realtà dei fatti mai avvenuti, tra Pasolini e Giorgio Steimetz (interpretato da Roberto Citran), nome verosimilmente inventato dell'autore del libro "Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente", documento contenente informazioni esclusive sul Presidente dell'Eni pubblicato nel 1972 dall'Agenzia Milano Informazioni e poi fatto sparire, ma posseduto da Pasolini in un fotocopia.
Gran parte del film è dunque fondata sulla fastidiosa indagine portata avanti da un Pasolini che come afferma lui stesso durante un incontro con Steimetz "non aveva nulla da perdere", e in parallelo sulla reralizzazione finale di "Salò", che subì pochi giorni prima del 2 Novembre un furto da parte di borgatari romani, intenzionati a restituire "le pizze" (ossia scatole discoidali contenenti i rulli della pellicola filmica) al regista dopo non essere riusciti a ricavarci denaro. Ne "La macchinazione" il furto delle pizze è ricollegato precisamente all'assassinio, e soprattutto grande spazio accanto alla vita "familiare ed intellettuale" di Pasolini è concesso al rapporto da lui instaurato con i "Ragazzi di Vita" da lui resi protagonisti dei romanzi come delle opere cinematografiche. I personaggi di Pelosi, di Antonio Pinna, del Boss di quartiere Sergio (nei cui panni c'è un ottimo Matteo Taranto) sono approfonditamente tratteggiati dal punto di vista umano esattamente come Pasolini e Steimetz. Alcun dettaglio è d'altro canto riservato al cameo di Cefis, al misterioso avvocato di Pelosi e agli aguzzini autentici del registra friuliano, aguzzini di cui Pino "La Rana" si è per magia ricordato trent'anni dopo i tragici fatti del 1975. Ringraziamo il Cinema Arsenale di Pisa che ci ha permesso di assistere alla proiezione del Film, oltrechè all'incontro con Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti di Lunedi 23 Maggio scorso. Immagini tratte da: - Locandina da www.comingsoon.it - David Grieco da www.ilcaffe.tv
Il maestro dell'horror e del low budget John Carpenter nel'86 ci regala un fantasy a tinte orientali davvero avventuroso in cui ritmo, azione e spasso sono assicurati, grazie a un riuscitissimo mix di arti marziali, magia, azione e commedia. Nell'idea originale del regista la pellicola doveva essere ambientata nel selvaggio far west ma alla fine lo riportò ai giorni nostri, condendolo con elementi orientaleggianti, inediti per il tipo di cinema del periodo.
Il ritmo del film è davvero indiavolato e la trama non è affatto pretenziosa né inutilmente intricata: il rozzo camionista made in USA Jack Burton, interpretato dall'ottimo Kurt Russel deve salvare la sposa del migliore amico Wang Chi, una meravigliosa ragazza dagli occhi verdi. Il rapimento della ragazza avvenuto per mano della famigerata banda dei ''signori della morte'' catapulta i nostri due protagonisti tra i quartieri più oscuri di Chinatown, dove verranno coinvolti nella battaglia tra due storiche bande locali, i ''Chang Sing'' e i ''Wing kong''. Qui i nostri eroi incontreranno per la prima volta i tre personaggi cult del film, ovvero le ''tre bufere'', tre potenti stregoni: tuono, pioggia e fulmine che ispireranno il personaggio della serie Mortal Kombat: Raiden.
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In aiuto del duo arrivano lo stregone buono Egg Shen, interpretato dall'attore cult Victor Wong, e l'avvocatessa Gracie Law, Kim Kattral di “Sex and The City''. Il saggio Egg metterà in atto un piano di salvataggio pirotecnico e coglierà l'occasione per sfidare l'antico spirito maligno chiamato ''Ghoul'' (anima malvagia nella tradizione musulmana) Jack Lo Pan, deciso a sposare la ragazza di Wang per liberarsi dalla sua maledizione e conquistare il mondo. Spetterà inevitabilmente ai nostri protagonisti dover sventare i piani del perfido Lo Pan, fronteggiando il suo temibile esercito fatto da: malviventi, maghi, mostri e potenti stregoni che riaffiorano dalla tradizione dell'antica Cina e liberare la bella sposa dall'inespugnabile fortezza del terribile Villain.
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Ciò che rende davvero unico e speciale ''Big Trouble in Little China'' sono gli elementi di contorno e la perfetta caratterizzazione dei personaggi. Indimenticabile il divertente personaggio Burton (Kurt Russel), una sorta di caricatura di Jena Plissken, tipico anti-eroe disinteressato a tratti egoista e pragmatico, che ben si incontra e scontra con il mistico e il sovrumano. Ma di certo non potremmo affatto dimenticare le mitiche ''Tre Bufere'', ovvero i potenti luogotenenti di Lo Pan, dotati di poteri sovrannaturali che lasciano a bocca aperta. Si discosta dai lavori precedenti di Carpenter, tuttavia il film coinvolge e diverte per la sua ironia e il suo essere volutamente illogico, creando atmosfere coinvolgenti e quasi oniriche.
La colonna sonora inoltre è stata magistralmente creata dallo stesso regista, che è uno dei pochi registi-compositori del nostro secolo. Questo vero e proprio cult può essere visto più volte, senza mai risultare banale e scontato. Personalmente provo molta nostalgia per i film come questo, capaci di rimanere impressi nella mente degli spettatori nonostante l'assenza di costosissimi effetti digitali e ''attorucoli'' bellocci che fanno impazzire le teen-ager. Film con atmosfere di altri tempi, che con budget modesti e sceneggiature ben delineate erano capaci di scaldarti il cuore e farti venire la famosa ''pelle d'oca''. Se non l'avete ancora visto o semplicemente vi è sfuggito allora dovete assolutamente recuperarlo e per un'oretta e mezza vivrete un'avventura fantastica e ricca di colpi di scena, senza mai dimenticare che questa pellicola offre più che il solito ''intrattenimento'', ragion per cui resta un vero e proprio capolavoro anche a distanza di quasi 30 anni dalla sua uscita, esercitando un fascino particolare e conquistandosi di diritto l'etichetta di assoluto capolavoro. IlTermopolio anche questa settimana vi saluta e come sempre la redazione intera vi invita a riempire le sale cinematografiche in tutta Italia, buon cinema cari lettori, continuate a supportarci e ci rivedremo presto con la prossima recensione CULT, offerta solo per voi dal vostro IlTermopolio.
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- Locandina: www.nerds-it.com - Immagine 1: www.cineblog.it - Immagine 2: www.cinefatti.it - Immagine 3: blog.screenweek.it - Immagine 4: www.marcozanetti.it - Immagine 5: Ilsotterraneodelretronauta.wordpress.com ![]() ANNO: 2016 DURATA: 108 REGISTA: James Bobin CAST Mia Wasikowska: Alice Kingsleigh Johnny Depp: Tarrant Altocilindro, il Cappellaio Matto Anne Hathaway: Mirana, la Regina Bianca Helena Bonham Carter: Iracebeth, la Regina Rossa Sacha Baron Cohen: il Tempo Rhys Ifans: Zanik Altocilindro, padre del Cappellaio Matt Lucas: Pincopanco e Pancopinco GENERE: fantasy ed avventura Sei anni dopo "Alice in Wonderland" di Tim Burton, esce nelle nostre sale il sequel "Alice attraverso lo pecchio" di James Bobin, con Tim Burton solo nelle vesti di produttore e quasi tutto il grande cast del primo film riconfermato (tra cui Alan Rickman voce del Brucaliffo, scomparso pochi mesi prima dell'uscita del film, a cui è dedicato "Alice attraverso lo specchio".). Il film è scritto da Linda Woolverton (come "Alice in Wonderland") ed è basato sul romanzo "Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò" di Lewis Carroll, scritto nel 1871. Questa volta Alice Kingsleigh (Mia Wasikowska) ha trascorso gli ultimi anni seguendo le impronte paterne e navigando per il mare aperto diventando addirittura un capitano. In seguito torna sulla terra ferma londinese, ma abbandona presto il suo mondo aristocratico per una nuova avventura. Seguendo il Brucaliffo e attraversando uno specchio magico, torna dai suoi amici del Sottomondo, nel Paese delle Meraviglie. Dovrà salvare il Cappellaio Matto (Johnny Depp) che ha perso la sua moltezza ed è più matto del solito perché crede che i suoi genitori siano ancora vivi, viaggiando nel tempo: Alice deve cercare la Chronosfera, un oggetto metallico dalla forma sferica custodito nella stanza del Grand Clock (Sacha Baron Cohen) che la farà tornare indietro nel tempo. È proprio lui il nemico\amico di questo film, interpretato magistralmente da Sacha Baron Cohen, un personaggio dalla doppia natura buona e malvagia, è lui che scandisce il tempo dei personaggi del sottomondo. Una buffa interpretazione che ricorda quella di un altro personaggio interpretato dall'attore, il capostazione nel film "Hugo Cabret" un altro film basato su un orologio. Con la Chronosfera rubata Alice parte per uno strampalato viaggio nel tempo, ma le cose non vanno come previsto: scopre anche che la Regina Bianca Mirana (Anna Hathaway) ha problemi con sua sorella, la Regina Rossa (Helena Bonham Carter) e quindi decide di risolvere questa situazione e non solo quella tra il Cappellaio e la sua famiglia in una e vera e propria "corsa contro il Tempo" che la insegue! Questo capitolo di "Alice attraverso lo specchio" scava nelle origini dei personaggi di "Alice nel paese delle meraviglie" mostrando il loro passato e le loro famiglie. È proprio lì, nell'ambiente famigliare, che nascono i dolori causati da genitori troppo severi, figli che non si sentono alla loro altezza o bugie tra sorelle, ma resta in ogni caso un punto d'appoggio. Si scopre che Mirana non è la Regina angelica e tutta moine che tutti ci aspettavamo e la Regina Rossa dalla testa spropositata, non è poi così perfida, svitata (con la fissa di tagliare la testa a tutti) e con la capoccia gigante, ma è diventata così. Il film usa le stesse dinamiche della serie tv sulle fiabe "Once Upon A Time" dove i cattivi non sono nati così ma ci sono diventati e i buoni nascondono qualche scheletro nell'armadio. Va ad Alice il compito di ricomporre i pezzi e ad aggiustare il passato. É un'Alice moderna, ribelle e vivace, eccentrica quella che viene presentata in questo film, e non solo perché si veste con un abito variopinto come una farfalla, è proprio "matta" in un'epoca in cui le donne non potevano essere libere e dipendevano dai maschi. Non sfigura affatto in confronto alle recenti eroine fiabesche che sfoderano la spada in molti film Disney. Alla fine, però, capisce che si può imparare dal tempo, dagli errori commessi in passato! Nonostante si parla di viaggi nel tempo, epoche passate e spazi temporali, il tema originale non basta a ricreare l'atmosfera dark del film di Burton, rimane una film Disney, con paesaggi incantati, strani, coloratissimi, una storia fantasiosa ma diversa anche dal libro, incentrato sul gioco degli scacchi. Immagini tratte da:
locandina, da mymovies.it
Titolo: IT
Anno: 1990, Usa-Canada Genere: Horror Durata: 179' minuti Regia: Tommy Lee Wallace Sceneggiatura: Lawrence D Cohen, Tommy Lee Wallace Soggetto: Stephen King Fotografia: Richard Leiterman Musiche: Richard Bellis Produzione: Green/Epstein productions, Warner Bros television
Correva l'anno 1996, un caldo afoso aveva invaso la Sicilia e io e mia Mamma facevamo fatica a prendere sonno. Decidemmo di alzarci e immediatamente pensai di accendere la Tv, non prima di aver controllato l'immancabile ''guida TV'' cartacea per vedere cosa ci offrisse il palinsesto notturno. Su Italia 1 vidi ''It 1960'' e ''It 1990'', in rapida successione. Mia mamma aveva capito di cosa si trattasse ma la mia curiosità era tanta e dopo un serrato confronto decidemmo di guardarlo insieme, per farci coraggio a vicenda. Mai mi sarei aspettato di trovarmi davanti a una pellicola così paurosa ma nello stesso tempo così avvincente.
It è una mini serie divisa in due parti diretta da Tommy Lee Wallace, che s'ispira al romanzo pubblicato nel'86, noto capolavoro del famosissimo scrittore horror, Stephen King. La prima parte è ambientata negli anni '60 nella cittadina di ''Derry'' situata nei pressi del Maine. Un gruppo di 7 ragazzi viene perseguitato da una strana creatura di origine aliena, che si diverte a uccidere i bambini della piccola cittadina. Il mostro non ha una forma ben precisa ma assume l'aspetto delle paure più oscure di ogni individuo, anche se di solito assume la forma del grottesco pagliaccio Pennywise, che porta con se l'inseparabile palloncino giallo. Nessuno sospetta dell'esistenza della spaventosa creatura, tranne i 7 malcapitati che decisi a vendicare la morte di uno dei fratelli dei protagonisti, il piccolo Georgie, formano una vera e propria ''alleanza'' e tutti insieme riescono a sconfiggere It, dopo varie peripezie e scontri al cardiopalma.
Indimenticabili sono alcune scene della prima parte della mini serie. Sono sicuro che ricorderete tutti la famosa scena della ''barchetta'' dello sfortunato Georgie in impermeabile giallo. Il pagliaccio compare dalle fogne, luogo in cui vive e accompagnato dalle note snervanti e macabre del suo jingle, rapisce il bambino, facendolo ''galleggiare''. Nessuno dei 7 eroi sapeva però che la creatura riappare in maniera ciclica e misteriosa, ogni 30 anni per l'esattezza. Ecco perché la seconda parte della mini serie è ambientata nel 1990, sempre nella stessa cittadina americana. Nel finale del precedente capitolo vediamo i ragazzi fare un giuramento solenne: ovvero respingere It tutti insieme, semmai un giorno fosse tornato. Quel giorno si avvera e il crudele pagliaccio torna a Derry per richiedere il suo tributo di sangue. I ragazzi sono adulti e nessuno di loro disgraziatamente ha avuto figli, colpa di una delle maledizioni di It.
Li accomuna inoltre un senso di inadeguatezza nei confronti della vita e la terribile sensazione che qualcosa di ''brutto'' sta per accadere. Il primo ad accorgersi dell'imminente minaccia è Mike, l'unico ad essere rimasto nella città e l'unico a capire l'enorme gravità del pericolo. It è deciso a vendicarsi e allora Mike decide di richiamare tutta la storica squadra a rispettare l'antico patto, fatto 30 anni prima. Lo scontro sarà inevitabile e vedrà numerose vittime ma non voglio aggiungere altro, magari qualcuno di voi deve recuperare questo capolavoro e non voglio sciuparvi l'incredibile finale della saga di King.
Senza dubbio è il film più riuscito nella trasportazione televisiva di un'opera del maestro dei romanzi horror. It per anni è stato il simbolo di diversi bambini ed adolescenti, che qualsiasi cosa vedano nel mondo dei grandi, viene percepita immediatamente come un pericolo o un disagio subdolo, sempre pronto a perseguitarti nei meandri più oscuri della propria mente. Un magistrale Tim Curry interpreta il cattivo protagonista e ci regala una delle interpretazioni cult nella storia del cinema. Inutile dirvi che se non l'avete ancora visto dovete immediatamente rimediare, non è solo un semplice film dell'orrore ma uno di quei racconti che ci fa crescere e ci fa riflettere sul potere inimmaginabile della fantasia, che deve essere sempre il nostro assoluto punto di forza, per affrontare tutte le difficoltà della vita. IlTermopolio vi invita come sempre a riempire le sale di tutti i cinema d'Italia e vi ringrazia per l'enorme supporto che settimanalmente ci offrite. Grazie ancora e al prossimo appuntamento con le recensioni ''Classiche'' del IlTermopolio.
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Locandina: Guardarefilm.Tv 1- Movieplayer.it 2- Earofnewt.com 3- Cineblog.it 4- Onedio.com L’ipotesi di un’utopia negativa in cui l’amore diventa un dovere. ATTORI: Colin Farrell, Rachel Weisz, Léa Seydoux, Ben Whishaw, John C. Reilly, Olivia Colman, Ashley Jensen, Michael Smiley,Ariane Labed, Aggeliki Papoulia, Jessica Barden SCENEGGIATURA: Yorgos Lanthimos FOTOGRAFIA: Thimios Bakatakis MONTAGGIO: Yorgos Mavropsaridis PRODUZIONE: BFI Film Fund, Bord Scannan na hEireann / Irish Film Board, Centre National du Cinéma et de L'image Animée (CNC) DISTRIBUZIONE: Good Film PAESE: Grecia, Gran Bretagna, Irlanda, Olanda, Francia DURATA: 118 Min Abbiamo quarantacinque giorni di tempo per scegliere la nostra anima gemella e, se non la troviamo, siamo trasformati in animali. E’ questa, in estrema sintesi, la trama di The lobster (2015), pellicola fantascientifica del regista greco Yorgos Lanthimos, vincitrice di diversi riconoscimenti tra i quali: Premio della giuria al regista al Festival di Cannes 2015, Migliore sceneggiatura e Migliori costumi all’European Film Awards 2015, Premio best CineMart all’International Film Festival Rotterdam, oltre ad essere tra i migliori 10 film stranieri per la Online Film Critic Society. Siamo all’interno di un lussuoso hotel nel quale David (Colin Farrell), abbandonato dalla moglie dopo undici anni di matrimonio, viene condotto per trovare una nuova compagna. Ha solo quarantacinque giorni di tempo, scaduti i quali, se non si sarà innamorato di qualcuno, ha espresso la volontà di essere trasformato in un’aragosta. David, tra punizioni corporali, intimidazioni di vario genere, preoccupato di fare la stessa fine del fratello-cane dal quale è accompagnato, si decide ad intraprendere una relazione con una donna senza cuore, proclamando di esserne anche lui privo. L’inganno dura poco, giusto il tempo che la donna uccida barbaramente il fratello-cane, accorgendosi delle lacrime di David. A questo punto inizia la seconda parte della pellicola, in cui vediamo l’uomo fuggire verso il bosco e venire accolto dalla comunità dei Solitari, ribelli insofferenti a qualsiasi forma di relazione, sia essa sessuale e/o sentimentale. Il gruppo è oggetto di continue battute di caccia da parte degli ospiti dell’albergo, in quanto la singola vita di un Solitario vale un giorno in più di permanenza all’interno della struttura alberghiera. Ed è proprio in occasione dell’incursione dei cacciatori di Solitari che David viene salvato dall’intervento di una donna che del gruppo fa parte. Pian piano i due si innamorano, elaborando un linguaggio gestuale per non essere scoperti. L’amore rimane segreto per poco tempo e la punizione inflitta alla donna sarà terribilmente crudele: sarà infatti accecata. Fin dalle prime scene, attraverso le quali siamo condotti all’interno dell’hotel, l’atmosfera e i colori sono cupi ed asettici. L’albergo, seppure nello sfarzo e nel lusso del mobilio, è un luogo freddo, senza identità. Non è appena, come nella realtà, un luogo e una dimora di passaggio, ma diventa il ponte per due alternative condizioni esistenziali: la vita di coppia, scrupolosamente e rigidamente monitorata dallo staff , o la retrocessione alla condizione bestiale. Tanto più le sale ostentano bellezza e ricchezza, tanto più è forte il contrasto con la povertà e lo scadimento di ciò che accade dentro le mura, dove la stessa identità degli ospiti è soppressa da abiti perfettamente uguali in base al sesso. Il clima di terrore e violenza che si respira all’interno della struttura, rende praticamente impossibile lo sbocciare di relazioni umane: sugli ospiti agisce non soltanto il peso di punizioni corporali, suicidi, vincoli e regole ma soprattutto il limite temporale imposto che rende la ricerca dell’amore un’angosciante e molto poco disinteressata corsa contro il tempo, nella speranza di salvare le proprie fattezze umane. Ma se le fattezze sono conservate, che ne è della propria umanità piegata ad un disegno assurdo quanto inquietante? Sono forse gli uomini più controllabili se imbrigliati entro le maglie dell’istituto coniugale accuratamente predisposto dalla società immaginata da Lanthimos? Utilitaristica è la concezione del sentimento dell’amore: una moglie aiuta il marito se si affoga mentre mangia così come la presenza del coniuge al suo fianco le evita di essere infastidita dagli sconosciuti per la strada, entrambe esemplificazioni contenute all’interno della pellicola, volte ad esaltare il valore della vita di coppia. In questo orizzonte, le unioni che nascono sono relazioni di comodo, di facciata, in cui stare insieme non corrisponde ad un reale sentimento, ma risponde alla logica di autoconservazione. Diverse le considerazioni per il bosco, luogo entro cui si svolge la seconda parte del film. Non ci sono mura che delimitano il perimetro di azione dei Solitari, sebbene anche questi ultimi debbano sottostare a delle rigide regole, prima fra tutte il divieto di stringere relazioni. Lì - nell’hotel- dove le unioni sono incentivate, ma allo stesso tempo monitorate, gestite, esemplificate, mortificate, non si dà né potrebbe darsi alcun sentimento, ogni impulso alla vita è bloccato dall’irrespirabile controllo. Qui - nel bosco- dove invece le unioni sono proibite, l’amore sboccia. David e la solitaria, sfidando terribili punizioni, piano piano e, soprattutto spontaneamente, imparano a conoscersi e a volersi bene. Abbiamo già detto che la donna pagherà a caro prezzo l’aver trasgredito le regole del clan, ma forse non tutto è perduto nella terribile società futuribile se David, dopo averle chiesto di mostrargli per l’ultima volta il disarmante sorriso, deciderà di accecarsi a sua volta, dimostrando in tal modo la forza e la gratuità del proprio amore. Distopia fantascientifica ai limiti del grottesco, che fa riflettere sulla libertà, sul tempo, sui sentimenti e sulla gestione che di essi vogliamo e possiamo fare in ragione della società in cui viviamo, che commuove e si riscatta nel finale, regalandoci a sorpresa uno spiraglio di luce, proprio quando il buio calerà per sempre sugli occhi innamorati di David, che avrà però imparato, dopo tanto dolore e solitudine, a guardare ma in modo diverso, col cuore di un ribelle, oltre lo steccato. Immagini tratte da:
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Cassino è un piccolo comune italiano situato nella provincia del Lazio. Ehm beh direte voi? Cosa nasconde questo piccolo e caratteristico paese? Grazie al lavoro meticoloso del regista Alex Infascelli, scopriamo che in questo piccolo paesino si nasconde un vero e proprio reliquiario dedicato al regista più amato e studiato del nostro ultimo secolo: ovvero Stanley Kubrick! Questo tempio che conserva oggetti di inestimabile valore, si trova esattamente nel garage di Emilio d'Alessandro, un italiano emigrato a Londra negli anni sessanta a soli diciotto anni e tornato nella sua terra d'origine nel novantanove, solo dopo la morte del regista statunitense naturalizzato britannico.
Il viaggio di questo struggente e ben strutturato documentario inizia nel duemilaotto, quando il regista romano incontra la moglie del maestro, la signora Christiane Kubrick, per un'intervista legata a un programma televisivo. Proprio in quell'occasione Infascelli apprende da lei che per quasi trent'anni il factotum del marito è stato proprio un ex pilota automobilistico italiano, il nostro Emilio appunto, protagonista puro e umile di questa storia. Il documentario S is For Stanley, il regista amava farsi chiamare semplicemente Stanley dai suoi più fidati collaboratori, si snoda in parallelo ai quattro film che segnano il legame quasi coniugale dei due protagonisti: Barry Lyndon, Shining, Full Metal Jacket e Eyes Wide Shut. I racconti così spontanei e disincantati di Emilio non possono che strappare solo enormi sorrisi; il primo incarico che gli commissionò ad esempio l'eclettico cineasta inglese fu trasportare per tutta Londra l'enorme mega-fallo in ceramica visto in Arancia Meccanica e non è l'unica cosa stravagante che apprenderete! Kubrick era un vero e proprio amante delle macchine veloci ma paradosso dei paradossi, odiava la velocità e aveva una tremenda paura degli incidenti. Chi pensate lo accompagnasse in giro per il mondo senza sbatter ciglio? Sempre il nostro Emilio, collaboratore stimato all'inizio, fedele autista e in seguito caro, miglior amico di Mr.S. Non voglio assolutamente svelarvi le molteplici curiosità e i divertenti aneddoti che narra la pellicola ma con grande piacere non posso che fare i complimenti al grande lavoro svolto dal regista nel realizzare questa documentario.
Infascelli non lascia nulla al caso e da ammiratore di Kubrick ci racconta servendosi di foto, reperti di scena e biglietti personali una storia d'amicizia vera, un legame professionale e di vita che unisce due persone completamente diverse, ma solo all'apparenza. Le inquadrature offerte, i paesaggi a rallentatore, la scelta di abbinare alle parole del protagonista i suoi occhioni lucidi e quasi brillanti non possono che emozionare lo spettatore, che si vede coinvolto fin dal primo minuto del docu-film. Ovviamente la qualità del prodotto non è passata inosservata, quest'anno infatti si è aggiudicato il David di Donatello duemilasedici come Miglior Documentario e si appresta a gareggiare in numerosi concorsi, con la speranza di poter fare incetta di premi! Vi invito caldamente a vedere in sala questo piccolo capolavoro, non è affatto semplice potervi descrivere le forti emozioni che suscita ma posso garantirvi che non rimarrete affatto delusi, anzi godrete nel vedere come un uomo semplice e buono divenne amico di uno dei più grandi artisti della storia cinematografica mondiale! IlTermopolio vi saluta e vi da appuntamento alla prossima settimana, ma come sempre vi invita a supportare il buon cinema!
Fonti tartte da:
- www.mondofox.it - www.makemefeed.com - www.masedomani.com - www.crushsite.it |
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Marzo 2023
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