A distanza di tre anni dopo Viva la libertà, ritorna Roberto Andò con il suo nuovo film Le Confessioni. Un segreto inconfessabile, il potere, un morto, un monaco: questi gli elementi di un giallo dai toni sfuggenti e “metafisici”, in bilico fra silenzi rivelatori e parole che, al contrario, nascondono.
Nola foras ite, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas: “non uscire da te stesso, rientra in te: nell’intimo dell’uomo risiede la verità”. Così scriveva Sant’Agostino nell’opera La vera religione, incitando l’uomo a ricercare non tanto nel mondo ma piuttosto dentro di sé quella verità che si manifesta appieno nel rapporto intimo fra la persona e Dio. Un rapporto che assume i contorni di un segreto da custodire nel profondo, lontano dal mondo e da occhi indiscreti, come fanno i potenti ministri dell’economia nel nuovo film di Roberto Andò, Le Confessioni, nel tentativo di mantenere segreta una nuova pesante manovra economica che potrebbe cambiare per sempre gli assetti di alcuni paesi, varata a causa dell’ingerente influenza del Fondo Monetario Internazionale, il dio di questa epoca e da Andò messo sotto accusa nel corso della pellicola. Ma l’emendamento segreto rischia di essere compromesso proprio a causa della confessione che uno di questi uomini di potere fa ad un monaco, ospite del summit e da quel momento continuamente tampinato dai ministri stessi per estorcergli l’inconfessabile segreto. Un tragico evento, la morte di uno degli invitati, getterà ombre e dubbi sull’intera vicenda.
di sondare la psiche umana quando si trova a contatto con il peso della sua coscienza. È infatti la tematica del segreto quella che preme mettere in scena ad Andò, attraverso un plot narrativo che, seppur concepito ben prima dei recenti eventi drammatici della Grecia, inevitabilmente si riaggancia ad essi, costituendo così la base di partenza per il film. Com’è successo anche per Viva la libertà, Roberto Andò reinventa anche qui la realtà del nostro presente, superandola però in immaginazione e ponendola quindi sotto una luce capace di illuminarne zone oscure ed inedite: un processo che coinvolge un certo tipo di cinema dall’impronta civile ma che assume nella messa in scena toni surreali o iperreali, come Todo Modo di Elio Petri ha insegnato e al quale Le Confessioni si avvicina vagamente per ambientazione e personaggi. La differenza però risiede nel fatto che la pellicola di Andò cerca di barcamenarsi fra più generi e, soprattutto, differenti toni che come un mosaico costituiscono un’immagine più ampia: nella prima parte del film l’impianto è quello del giallo alla Agatha Christie e la suspance ricercata, e solo in parte ottenuta, quella alla Hitchcock (citando esplicitamente guarda caso Io Confesso in un dialogo) mentre nella seconda parte l’intento di denuncia e la volontà di scavare nei segreti e nei silenzi dei personaggi prende di gran lunga il sopravvento. In questa doppia caratterizzazione risiede certamente la particolarità della pellicola, alla quale va riconosciuto il coraggio nell’affrontare un tema attuale senza scadere in facili cliché che avrebbero banalizzato un argomento, come quello del rapporto fra politica ed economia, così complesso. Finché Le Confessioni scorre sui registri del giallo e di certo cinema dello stesso tipo riesce a compiere un ottimo lavoro: mantiene alta la tensione, semina dubbi e domande lungo la sua strada, allude senza mai chiarire completamente. Ogni elemento è al suo posto e reso ad arte: la regia molto personale, che si concentra sui particolari degli ambienti e dei corpi come occhi, mani e spalle creando il giusto grado di spaesamento; l’ambientazione chiusa, fredda e minimale accentuata dalla fotografia, un lussuoso hotel in Germania dove si è realmente svolto un G8 nel 2007 che sembra uscito da un’opera di De Chirico; gli attori, a cominciare dal monaco interpretato da Toni Servillo, che nonostante non convinca del tutto rispetto ad altre sue prove, è l’unico a mantenere in piedi il film; le musiche di Nicola Piovani (oltre a brani di Schubert e Walking on the wild side di Lou Reed) accentuano la tensione e riempiono i vuoti lasciati dai silenzi dei personaggi. Nonostante tutto ciò, man mano che il film si svela, la buona impalcatura di Andò inizia a perdere terreno, sino a sfaldarsi quasi completamente all’approssimarsi del finale. I toni da giallo e la carica di mistero che il segreto e la presenza del morto portano con sé vengono accantonati a favore di dialoghi sempre più carichi, e a volte autoreferenziali, sui destini del mondo, sulla carità e l’umanità, dando l’impressione che il film voglia dimostrare a tutti i costi la sua profondità di pensiero. Anche le trovate surreali e le scene potenzialmente spiazzanti vengono sacrificate all’altare di una certa moralità (forzata): esempio ne è la scena del cane nella stanza ovale, che vorrebbe essere forte ma manca del tutto il suo obiettivo. Questa sequenza può essere presa a simbolo degli aspetti deboli del film: una pellicola che è perennemente intenta a prepararsi a mordere, caricando di aspettative lo spettatore, ma che al momento dell’atto, fallisce. E tutta questa grande metafora si rivela, alla fine, vuota, o meglio, non perfettamente trasmessa e comunicata come solo il cinema saprebbe fare. Le Confessioni vuole avere entrambi i piedi in più scarpe e se all’inizio sembra avanzare, nel corso della vicenda si fa prendere la mano dalla sicurezza dei suoi mezzi e alla fine inciampa, e con il film lo spettatore. Non se ne uscirà sanguinanti e con le ossa rotte, per fortuna: ma doloranti si, e di certo la voglia di riprovare l’esperienza sarà scomparsa. Immagini tratte da:
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E’ nelle sale italiane in questi giorni Julieta, il nuovo film di P. Almodovar, uscito il 26 maggio. Il regista spagnolo, a distanza di tre anni dalla sua ultima pellicola Gli amanti passeggeri, torna al cinema con un film che parla di donne, raccontato da una donna. La pellicola, candidata alla Palma d’Oro al Festival di Cannes, si sviluppa attraverso l’espediente narrativo della lettera-flashback di una madre, Julieta (interpretata da Adriana Uguarte da giovane e da Emma Suàrez da adulta) alla figlia Antìa (Priscilla Delgado/ Blanca Parés), nella quale ripercorre la propria vicenda esistenziale che si intreccia via via con quella di altre donne. La intravediamo giovane e bella, appena venticinquenne, professoressa di filologia classica, quando a bordo di un treno incontra casualmente Xoann (Daniel Grao), un giovane pescatore, dalla relazione col quale nascerà Antìa. Julieta ricorda la vita felice insieme al compagno, il tradimento amaramente scoperto con l’amica scultrice di lui Ava (Inma Cuesta), la perdita dello stesso a seguito di un incidente in mare, la depressione, l’aiuto della figlia Antìa e la perdita di quest’ultima che decide di intraprendere un cammino spirituale. E’ proprio quest’ultima, assente da dodici anni, l’ideale destinataria dello scritto. Julieta è il racconto personale e toccante di una donna sola che sperimenta sulla propria pelle il dolore per la perdita prima del compagno,verso il quale matura il senso di colpa, avendo Xoann deciso di andare in barca, nonostante il tempo non promettesse bene, dopo la lite che con lei aveva avuto a causa dei tradimenti con Ava e, successivamente nei confronti della figlia, alla quale si era completamente appoggiata nel periodo successivo alla perdita, sebbene fosse poco più che una bambina. La donna, attraverso le tappe più significative della propria esistenza impresse nella memoria, che diventa una sorta di lente di ingrandimento su se stessa: si vede prima giovane, felice e innamorata, ora col volto segnato dalla vita e dai suoi inevitabili dolori, che porta con dignità, senza scadere nel vittimismo. Ad eccezione di Xoann, che di Julieta è il grande amore incontrato per caso e che le cambia il destino, gli uomini nel film hanno un ruolo marginale: lo vediamo attraverso figure che rimangono sullo sfondo, come il deludente padre di Julieta (anaffettivo nei confronti della moglie malata, nonché madre di Julieta,) e Lorenzo, il nuovo compagno verso il quale non nutre un sentimento intenso come quello provato in gioventù verso Xoann, ma forse una forma d’affetto che dell’amore è un pallido e sbiadito surrogato. Un universo popolato da donne, tremendamente sole, deboli, poi forti e di nuovo deboli, ma capaci- forse troppo ottimisticamente rispetto alla realtà- di solidarizzare e di fare scudo comune al dolore, esempio ne è l’amicizia nata tra la protagonista e Ava, amante del marito. Discorso a parte per un’altra protagonista della pellicola, questa volta incorporea: l’assenza, la perdita di Antìa, che aleggia in tutta la seconda parte della pellicola e che permette a tratti a Julieta - una donna, ma prima di tutto, una madre- di respirare e di rifarsi una vita. Julieta esprime attraverso le parole della lettera quanto possa essere umanamente difficile rassegnarsi ad un dolore, molto simile ad un lutto, ma forse ancora peggiore: non ci si dà pace di fronte all’impossibilità di poter vedere la propria figlia, che è viva e lo si sa, maturando ancora una volta sensi di colpa, di rifiuto, di abbandono. Nel film il mare diventa in alcune scene il corrispettivo dell’animo della donna, legato alle vicende con il compagno. Sereno e placido panorama che Julieta gode dalla propria casa durante la giovinezza, in tempesta come presagio e causa dell’imminente morte di Xoann. Nel finale scopriremo il motivo dell’allontanamento di Antìa dalla madre e capiremo se si rincontreranno. Non vogliamo svelarvi tutto, ma vi consigliamo di andare nelle sale a conoscere e ad ascoltare Julieta! Immagini tratte da:
Immagine 1: da www.stampacritica.org Immagine 2: Il regista Pedro Almodovar alla mostra del cinema di Venezia nel 1988, da Wikipedia Italia, autore Gorupdebeanez, Opera propria, 1988, Pubblico dominio, voce “Pedro Almodovar”
Da servo di casa nero che vive tra le piantagioni di cotone in Georgia, con alle spalle una tragica vicenda famigliare, a maggiordomo della Casa Bianca. Questo è il destino di Cecile Gaines (Forest Whitaker). Attraverso lui e la sua famiglia, Gloria (Oprah Winfrey) e i suoi due figli, Louis (David Oyelowo) e Charlie (Elijah Kelly), assistiamo a quarant'anni di storia americana: dall'insediamento dei nuovi presidenti, fra cui John F. Kennedy, Nixon, Reagan, alle questioni razziali. Il maggiordomo, però, resta neutrale perché soddisfatto di quello che ha ottenuto finora. Finché alla fine si trova a sostenere la lotta della sua gente, come aveva sempre fatto suo figlio. Lotte non inutili perché nel 2008, finalmente, Cecil vede entrare nella Casa Bianca un Presidente afroamericano: Barack Obama.
"The butler -Un maggiordomo alla casa bianca" è un film drammatico e storico, che prende ispirazione da un articolo di giornale, pubblicato sul Washington Post, che racconta la vicenda realmente accaduta di Eugene Allen (Cecil nel film), maggiordomo della Casa Bianca. Nel film le sue vicende personali si intrecciano con quelle della storia americana (il Ku Klux Klan, l'assassinio del Presidente Kennedy, la Guerra del Vietnam e la marcia per i diritti civili di Selma). Nonostante la pellicola sia uscita quasi in contemporanea con "Django" di Quentin Tarantino, il film affronta le tematiche del razzismo dal punto di vista di Cecil con moderazione, gli episodi sono forti e drammatici ma non pulp, violenti con annesse torture come nel film tarantiniano. Le tematiche sono vicine a "The Help" un altro film che affronta il tema delle questioni razziali e la discriminazione degli afroamericani, anche se la protagonista (Emma Stone) è una donna bianca che scrive un libro sulle vicende delle domestiche di colore, rivendicando i loro diritti. I temi forti di "The Butler" ne fanno film commovente ma soprattutto un'interessante lezione di storia condita anche da immagini di repertorio, che scorrono veloci sullo sfondo. Fulcro della vicenda e cuore della storia è il conflitto padre-figlio che rispecchia due modi completamente diversi di rapportarsi alla segregazione razziale negli Stati Uniti. Il maggiordomo passa la sua vita al servizio dei bianchi ma contribuisce in qualche in modo, modificando le condizioni in cui vive il suo popolo, discutendo con i presidenti e pretendendo un salario pari a quello dei bianchi. Il figlio (David Oyelowo) è invece un rivoluzionario, uno studente universitario libero, una Black Panther, uno che si ribella alla società trascinato anche dalla fidanzata (Yaya DaCosta) battagliera contro le ingiustizie. Grazie alla grandissima storia e al cast di notevole livello, compaiono Jane Fonda, Vanessa Redgrave, Robin William, la pellicola ha vinto diversi premi, Bafta, Satellite Awards, SAG, NAACP Image Award grazie alle interpretazioni di Forest Whitaker e di Oprah Winfrey, famosissima conduttrice Americana che mostra anche ottime capacità sceniche! Nessuno Oscar e Golden Globe, però, nonostante il film sia diretto da Lee Daniels il regista del clamoroso successo di ''Precious'' film del 2009 e di ''The Paperboy'' del 2012, con Matthew McConaughey, Nicole Kidman e Zac Efron. Grande vincitore però resta il protagonista assoluto del film, Forest Whitaker, che presto vedremo anche nel nuovo capitolo di "Star Wars", che uscirà in Italia a dicembre 2016!
Immagini tratte da:
locandina, da 4.bp.blogspot.com scena, da mymovies.it |
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Dicembre 2022
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