GENERE: Drammatico ANNO: 1970 REGIA: Bernardo Bertolucci ATTORI: Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Pierre Clémenti, Enzo Tarascio, Gastone Moschin, José Quaglio, Milly , Christian Alegny, Yvonne Sanson, Benedetto Benedetti, Giuseppe Addobbati, Fosco Giachetti, Gino Vagni, Pierangelo Civera, Antonio Maestri, Alessandro Haber, Pasquale Fortunato, Christian Belegue, Claudio Cappelli, Carlo Gadda, Marta Lado, Franco Pellerani, Luciano Rossi, Umberto Silvestri SCENEGGIATURA: Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli FOTOGRAFIA: Vittorio Storaro MONTAGGIO: Franco Arcalli MUSICHE: Georges Delerue PRODUZIONE: MAURIZIO LODI FE' PER MARS FILM, MARIANNE PRODUCTIONS, MARAN FILM DISTRIBUZIONE: PARAMOUNT CIC PAESE: Francia, Germania Occidentale, Italia DURATA: 108 Min FORMATO: PANORAMICA, TECHNICOLOR <<E’ strano… tutti vorrebbero sembrare diversi dagli altri, invece lei vuole somigliare a tutti>>: è questo il ritratto appena accennato di Marcello Clerici, il conformista. Dall’omonimo romanzo di A. Moravia, la pellicola di B .Bertolucci (1970),(David di Donatello 1971, Premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale 1972, Golden Globe 1972 per il migliore film straniero in lingua straniera) ci conduce, sullo sfondo dell’Italia fascista, all’inquieto vivere di M. Clerici (J-L- Trintignant), docente di filosofia, che spinto dal desiderio di normalità, decide di entrare a far parte della polizia segreta OVRA e di intercettare il suo vecchio professore universitario Quadri, ormai esule in Francia, per ucciderlo. Il racconto procede agli inizi in modo quanto mai complesso e virtuosistico, con il montaggio di Franco Arcalli che privilegia la tecnica del flashback con l’effetto delle scatole cinesi: Clerici si trova a bordo di una vettura, guidata da un altro uomo mentre si inseriscono scene che ha vissuto giorni prima. Non sappiamo né chi sia, né dove stia andando, né cosa stia facendo. Soltanto prestando parecchia attenzione, riusciamo via via col passare dei minuti, a ricostruire l’ordine degli eventi e a discernere il presente dal passato. Le scene girate in Italia sono ambientate all’EUR, grandi e freddi spazi da cui emergono i simulacri del fascismo, altre scene sono girate in interni ed altre a Parigi, città simbolo del Fronte popolare. Abbiamo detto che Clerici ricerca la normalità. Ma cosa vuol dire essere normali? Ce lo dice Italo Montinari, amico cieco di Clerici, nonché conduttore del programma radiofonico “La mistica del fascismo”: << Un uomo normale è quello che si volta per guardare il sedere di una bella donna che passa e scopre che non è il solo ad essersi voltato, che ce ne sono almeno cinque o sei ed è contento se scopre gente uguale a lui, suoi simili. Gli piacciono le spiagge affollate, le partite di football, i bar del centro, le adunate oceaniche. Ama quelli che sono come lui e diffida da quelli che sente diversi. L’uomo normale è un vero fratello, un patriota, un vero cittadino. Un vero fascista.>> . La normalità è dunque tutta schiacciata sull’asse politico e per essere accettati, oltre che per essere qualcuno, è necessario credere –o perlomeno far finta!- in qualcosa, che nel 1938 risponde al nome del Duce e alla sua ideologia. Clerici è un uomo bisognoso non solo di normalità ma di una identità forte. Ha subìto infatti un abuso all’età di tredici anni e ha portato il peso dell’uccisione del suo aguzzino fino alla confessione prematrimoniale. Risente inoltre di una famiglia allo sbando, in cui la madre si droga e ha un amante cinese, mentre il padre è diventato pazzo, forse a causa della sifilide o forse a causa di crimini commessi. Se la famiglia non dà sicurezze all’ultratrentenne Marcello, egli decide di ripartire proprio da qui, costruendosi un nuovo nucleo famigliare, accanto a Giulia (S. Sandrelli), una donna che probabilmente non ama né stima, << una piccolo- borghese, con piccole e meschine ambizioni, tutta cucina e letto >>, ma che risulta essere congeniale al suo bisogno di identità e normalità. Il viaggio di nozze a Parigi è in realtà un escamotage per avvicinare Quadri, il vecchio docente di filosofia. Quest’ultimo è un padre simbolico che Clerici apprezza, non fosse altro perché chiese al lui la tesi di laurea. Il progetto, che verteva sul mito della caverna di Platone, non vide mai la luce perché il professore emigrò. Così come il progetto non vide mai la luce, anche i prigionieri in seno alla caverna non la videro, scambiando le ombre delle cose per la vera realtà. Il mito per Quadri è metafora della cecità degli italiani, prigionieri di errate e distorte visioni della realtà politica. Dall’incontro con il docente, in un gioco sapiente di luci, Clerici non può che essere scosso, come lo sarà in altre occasioni, ma la perseveranza e l’ambizione nel portare al termine il progetto avranno la meglio sulle sue flebili incertezze. Il motivo della cecità torna più volte nel corso del film, anche Italo Montinari -lo abbiamo detto- è cieco. Ad un perplesso Marcello dirà di non sbagliarsi mai, anche sul loro essere diversi dagli altri e per questo così simili. La telecamera indugerà sulle sue scarpe, di colore l’una diversa dall’altra, sottolineando la cecità non tanto fisica, quanto intellettuale dell’uomo, che verrà brutalmente tradito dal tanto caro amico, dopo averlo peraltro introdotto alle gerarchie OVRA. Un capitolo a parte è costituito dallo strano e ambiguo binomio Giulia – Anna (D. Sanda), le rispettive mogli di Clerici e Quadri. Giulia, ingenua e civettuola; Anna, bisessuale e furba, alimenta un contraddittorio rapporto con Giulia, accettando anche le avances di Marcello. Particolarmente affascinanti le scene di ballo, quella tra le due donne (che desta qualche perplessità tra gli astanti e su Marcello, smorzata dal gaudente professore, per il quale <<La gente davvero seria non è mai seria>>) e subito dopo la spirale danzante di persone che circonda Clerici, metaforicamente stritolato dalle spinte più profonde ed eterogenee del proprio Io. Le coppie Anna-Quadri/Giulia-Clerici appartengono a poli opposti: il pensiero libertario, la modernità,la bisessualità non nascosta da un lato, dall’altro il conservatorismo, l’apparente moralità travestita da bigottismo e forse una omosessualità latente.
Ritratto di un uomo senza pietà e senza morale, che indossa la maschera del moralista ma è pronto ad indossare una nuova casacca non appena il fascismo ha fatto il suo tempo. Marcello Clerici è un personaggio che non trova alcun riscatto dall’impietosa descrizione che ne fa Bertolucci, che ha modificato il soggetto moraviano nel finale, rendendolo ancora più torbido. Non esistono le persone, esse sono soltanto mezzi per il raggiungimento di un certo fine: l’apparenza della normalità, un amore di patria e di famiglia che nascondono sensi di colpa e falsi moralismi, il desiderio di appiattirsi su una rassicurante convenzionalità legittimata dalla forza del Fascio o da qualche altra ideologia dopo la sua caduta. La normalità tranquillizza anche se vuol dire uccidere, dopotutto <<chi non fotte è fottuto>>. E che importa, ieri come oggi, se uccidi un’idea, un uomo o se uccidi te stesso? Immagini tratte da: Immagine 0: locandina, pinterest.com Immagine 1: retrografix.blogspot.com Immagine 2: phippsfilm.com Immagine 3: filez.ge Immagine 4: filmtv.it
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Presentato in anteprima al Biografilm Festival 2016, arriva nelle sale italiane “Porno e libertà”, documentario indipendente realizzato tramite crowdfunding che con coraggio e tanta passione prova a dare una fotografia di una stagione controculturale unica a cavallo degli anni ’60 e ‘70 attraverso lo sviluppo della pornografia in Italia e del suo dirompente impatto sulla società.
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“In Italia, ci sono stati solo due veri fronti di opposizione allo strapotere del Vaticano: uno è stato il Partito Radicale e l’altro Riccardo Schicchi”. È con questa semplice ed illuminante affermazione di Helena Velena, una degli ospiti intervistati, che si potrebbe interpretare ed inquadrare ciò che è stata la nascita e lo sviluppo della pornografia in Italia: una vera e propria lotta di liberazione dalla censura e dal bigottismo imperante per raggiungere un unico obiettivo, la felicità attraverso il piacere. “Porno e libertà” è il testamento scritto e diretto da Carmine Amoroso che prova a guidare lo spettatore attraverso un piccolo ma avvincente viaggio in uno degli argomenti tabù per antonomasia, la pornografia, in un paese come l’Italia che ha faticato e continua a faticare per liberarsi dalle ristrette visioni di pensiero che le istituzioni cattoliche, politiche e culturali in generale perpetuano nello stigmatizzare il mondo dell’hard e i suoi protagonisti. Un fenomeno, a differenza di tanti altri, intrinsecamente dirompente perché nato da urgenti e reali istanze sociali, e destinato quindi ad essere libero: “Porn to be free”, quindi, come recita il titolo originale internazionale.
Era la fine degli anni ’60 quando la Danimarca decise, con una sentenza del tutto inaspettata, di legalizzare la pornografia entro i suoi confini. Da quel momento in poi il paese nord europeo è stato preso a modello divenendo paladino della liberazione sessuale per il mondo intero. Non fece eccezione l’Italia, per fortuna, che grazie alla coraggiosa e clandestina opera di un manipolo di operatori di un settore ancora nascente si vide lentamente ma inesorabilmente invadere di film, giornali, fumetti ed opere a tema prettamente pornografico. Da questa premessa storica, introdotta dal grande cineasta Lasse Braun, uno che senza tanti giri di parole si può dire che abbia inventato il porno ben prima di “Gola Profonda”, prende le mosse “Porno e libertà”, inoltrandosi sino agli anni ’70, quando il boom del mercato pornografico raggiunge il suo picco e inizia soprattutto a gettare le basi per un nuovo immaginario mediatico e di massa. ![]()
L’opera di Amoroso infatti si concentra intelligentemente proprio su quest’aspetto, facendo intendere quanto il mondo del porno non sia stato solo un fenomeno commerciale e di costume, ma abbia saputo innescare meccanismi di natura sociale e politica, agganciandosi quindi alla lotta di classe tramandata dal ’68, al femminismo, alla critica dell’ideologia borghese, cattolica e comunista, questi ultimi colpevoli di essere stati nel migliore dei casi poco lungimiranti, nel peggiore dei veri e propri freni alla liberazione della riappropriazione del corpo, simbolo identitario per eccellenza. Anche se a volte il ritratto politico e sociale del contesto italiano diventa abbastanza didascalico e poco approfondito, l’alternanza fra le interviste e i filmati dell’epoca, sia in bianco e nero che a colori, crea un buon ritmo e riesce a catapultare lo spettatore nell’atmosfera di quegli anni: esemplari, ad esempio, i filmati meravigliosi girati al Parco Lambro di Milano nel ’76. Se da una parte le testimonianze di personaggi come Giampiero Mughini, Porpora Marcasciano, Marco Pannella, Helena Velena, artista e figura chiave della controcultura della fine degli anni ’70, e Lidia Ravera, autrice dello storico “Porci con le ali”, aiutano a tratteggiare il contesto politico, dall’altra ritroviamo figure chiave dell’ambiente artistico e pornografico italiano, con gli interventi del già citato Lasse Braun, della regista Giuliana Gamba e soprattutto di Riccardo Schicchi e dell’icona dell’hard Ilona Staller, meglio conosciuta come Cicciolina. È proprio su questi ultimi due personaggi che “Porno e libertà” si concentra maggiormente, occupando una buona parte del documentario con un repertorio video che mischia i primi provini della Staller ai suoi spettacoli più famosi, sia dentro che fuori la tv, sino alla sua celebrazione di icona di massa nel momento in cui venne eletta a parlamentare italiana. La figura di Schicchi è il trait d’union fra le varie parti del documentario, personaggio chiave intorno al quale ruota tutto un mondo sfaccettato a cavallo fra arte, business, porno e trasgressione, assurdo e incomprensibile solo per chi lo osserva dall’esterno ma altamente creativo e realmente d’opposizione per chi invece l’ha vissuto direttamente e sulla propria pelle, in tutti i sensi.
Schicchi apre e chiude il documentario con uno sguardo malinconico incorniciato da una folta barba, mentre sotto il cielo plumbeo di Roma riflette sulla massificazione dell’immaginario pornografico e della conseguente perdita della sua carica dirompente per la società. Amoroso si concentra molto poco su questo punto che sarebbe stato molto interessante approfondire ma, visto la mole dell’argomento, avrebbe richiesto un lavoro aggiuntivo che forse una produzione indipendente di questo tipo non poteva e voleva accollarsi. “Porno e libertà” infatti nonostante i pochi mezzi a disposizione riesce a dare un buon quadro generale e a fare ciò per cui è stato creato, ovvero documentare in maniera oggettiva un fenomeno. Il suo merito più rilevante sta nel saper stimolare adeguatamente la curiosità ad un livello più intellettuale, evitando stupide morbosità e sguardi voyeuristici che avrebbero invece appiattito un tema delicato come quello della sessualità tramite la pornografia, ancora oggi vista, soprattutto in Italia, come un sottoprodotto per maniaci e non invece come forma d’arte. Ma i tempi sono radicalmente cambiati sotto i profili artistici, politici e culturali ma non per la censura: è di questi giorni infatti la notizia che Facebook avrebbe oscurato la pagina ufficiale del documentario per oscenità, un danno enorme per una produzione indipendente che vive di passa parola sul web. Casi del genere avvengono ancora nel 2016 e dimostra quanto opere come “Porno e libertà” siano quanto mai ancora necessarie.
Immagini tratte da:
- cinematographe.it
Un lussuosissimo yacht solca le acque azzurre e cristalline del Mediterraneo: a bordo, con il marito e un gruppo di amici, la ricchissima signora Raffaella Pavoni Lanzetti (M. Melato) movimenta l’atmosfera vacanziera e a tratti sonnolenta del gruppo, con insopportabili prese di posizione anticomuniste e con il rigore preteso dai marinai nell’essere servita e riverita. Gennarino Carunchio (G.Giannini) appartiene alla servitù, è un rozzo marinaio comunista che malvolentieri sopporta l’arroganza della signora, verso la quale borbotta nervosamente improperi ed insulti, rigorosamente in dialetto. Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto è un film del 1974, con regia, soggetto e sceneggiatura di Lina Wertmüller, che appartiene al genere drammatico, ma anche alla commedia e al grottesco. La pellicola è stata oggetto di un remake, Travolti dal destino (Swept Away), nel 2002, per la regia di Guy Ritchie, con protagonisti Madonna e il figlio di Giannini, Adriano, che non ha però avuto lo stesso successo dell’originale. Sotto l’occhio attento della camera da presa, che regala scorci e paesaggi mozzafiato di una Sardegna soleggiata e incontaminata, sono a confronto classi sociali antitetiche, con i loro pregiudizi e clichè: l’alta borghesia da un lato, rappresentata dall’industriale e milanese Lanzetti, che taccia di approssimazione i marinai meridionali e, dall’altro lato, la classe subalterna della servitù, rappresentata da Carunchio, maschilista, retrograda e siciliano, che dissente dal modus vivendi dei ricchi, trovandone disonorevoli le abitudini. La netta separazione sociale che ritroviamo sull’imbarcazione si interrompe e, di fatto, si capovolge in occasione dell’ennesimo capriccio della signora, che decide di uscire alle sette di sera: il gommone guidato da Gennarino subisce un’avaria e i due sono costretti a fermarsi su di un isolotto deserto. Sullo sfondo di uno scenario naturale aspro e selvaggio, Gennarino decide di vendicarsi delle vessazioni subite dalla signora e di riversare su di lei colpe e frustrazioni politiche e sessuali, riducendola in poco tempo, tra botte e spintoni, nella sua schiava. Sono diventate famosissime le scene degli inseguimenti tra le dune, dove il crudele e più che mai “ncazzusu” Gennarino, picchia selvaggiamente la “bottana industriale”. Carunchio nell’orizzonte isolano, in virtù del vantaggio fisico, riesce a realizzare concretamente una sorta di “dittatura del proletario”, capovolgendo l’opposizione servo-signore tipica della società capitalista e instaurando una nuova relazione di potere, dalle forti tinte erotiche e sadomasochiste. L’isola assume i contorni di una dimensione irreale, grottesca e assoluta, in quanto scevra da sovrastrutture: è per questo che è possibile realizzare il sovvertimento degli abituali rapporti di potere. Non ci sono più un marinaio e una industriale, ma un uomo e una donna, bisognosi l’uno dell’altra: la violenza ed il sopruso si trasformano presto in passione e tra i due sboccia un sensualissimo amore, sulle note delle musiche di Piero Piccioni, vincitore del David di Donatello 1975. Gennarino è feroce, maschio, è un moderno Crusoe che si occupa della caccia e della pesca; la Lanzetti, dolce e illanguidita, ha abbandonato l’arroganza e le convinzioni politiche socialdemocratiche, diventando l’amante che il signor Carunchio - come da lei si fa chiamare- si è costruito su misura. Gli è devota, è dedita alle faccende che lui ritiene consone ad una “femmina”, è dolce, tenera e passionale e soprattutto è felice, tanto da non desiderare che di rimanere accanto a lui.
Tornare alla realtà o vivere ancora nell’incanto dell’isola? Gennarino vuole la prova del nove, desidera sapere se la relazione è frutto esclusivamente delle circostanze fortuite o se Raffaella desidera rimanere con lui anche al di fuori di quel contesto. Nonostante le resistenze di quest’ultima, i due abbandonano l’isola. E’ facilmente intuibile quale sarà l’epilogo della vicenda: la realtà ristabilisce le differenze che l’isoletta sperduta nel mare aveva livellato e la Lanzetti, pur nutrendo amore, non se la sente di cambiare vita, di rinunciare al benestare e agli agi. E’ amaro l’urlo di dolore che Gennarino lancia, disperato, alla Lanzetti sull’elicottero del marito: <<Traditrice, lo sapevo che non dovevo fidarmi di una ricca!>>. Il quadro che Wertmüller traccia è pessimistico. A Gennarino, abbandonate le illusioni dell’amore con la ricca signora, non resta che tornare da moglie e figli. La breve parentesi lo ha fatto sognare e ha fatto conoscere la vera passione alla Lanzetti, ma la realtà è più forte di un breve soggiorno felice. Da un punto di vista linguistico, è interessante notare come il linguaggio sia carico di espressività e sia stato strategicamente usato come tratto caratterizzante: Gennarino, incolto, si esprime quasi sempre in dialetto, al contrario, la Lanzetti è istruita e parla un ottimo italiano con cadenza milanese e una molto snob R ovulare. I personaggi non sono però delle parodistiche tipizzazioni del proletario e della borghese, nonostante ne esemplifichino molti luoghi comuni, ma hanno dignità e spessore, grazie alle sapienti interpretazioni degli affiatatissimi G. Giannini e M. Melato. Immagini tratte da: Immagine 0: locandina, sceglilfilm.it Immagine 1: chroniqueducinephilestakhanoviste.blogspot.com Immagine 2: p-pcc.blogspot.com Immagine 3: cineclubedetomar.wordpress.com Immagine 4: cinematek.be Immagine5: ladridivhs.blogspot.com Immagine 6: bestmoviesbyfarr.com |
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