di Federica Gaspari Il 2019 verrà probabilmente ricordato come l’annata cinematografica segnata dal maggior numero di serie TV concluse. L’addio più iconico e doloroso di quest’anno è senza dubbio quello di "Game of Thrones", cult del piccolo schermo e titolo che ha garantito le fortune del network HBO. L’emittente statunitense rimane quindi priva del suo prodotto più amato. Quale sarà lo show che raccoglierà questa eredità in casa HBO? La sfida è apertissima non solo a serie originali alla terza stagione come Westworld. Le produzioni più interessate a questo ambito titolo, infatti, sembrano essere le assolute novità della stagione televisiva. Largo quindi alla reinterpretazione Watchmen ma, soprattutto, a "Euphoria". Proprio quest’ultimo è la grande sorpresa della programmazione televisiva del 2019 statunitense e non solo. Dopo il debutto in seconda serata subito dopo la deludentissima seconda stagione di "Big Little Lies", Euphoria, settimana dopo settimana, ha conquistato, grazie soprattutto al passaparola sul web un ruolo di prestigio nel panorama internazionale. In pochi sanno, tuttavia, che lo show si ispira all’omonima mini-serie israeliana. Con l’ulteriore ma ingannevole aria da show originale, Euphoria dopo aver conquistato gli Stati Uniti si prepara ad appassionare il pubblico di italiano nel prossimo autunno su Sky. Perché, tuttavia, questa serie ha fatto parlare così tanto di sé? Il nuovo gioiellino HBO, che vanta la produzione tra gli altri di Sam Levinson e Drake, riesce a lasciare il segno negli occhi e nella mente del pubblico perché propone un ritratto crudo e provocatorio degli adolescenti di oggi. Cosa distingue però Euphoria dagli altri mille teen drama che negli ultimi mesi hanno spopolato tra gli appassionati? La differenza deve essere ricercata nei toni e nei colori con cui il team degli autori ha scelto di raffigurare errori e difficoltà, mostrandone spietatamente la radice. Non sarà, quindi, così difficile trovare una messa in scena senza filtri e spesso violenta che ha posto la serie al centro di accese discussioni. Gli otto episodi della serie con questo obiettivo seguiranno quindi le vicende che vedono protagonista la diciassettenne Rue (la promettente Zendaya). La sua storia, già segnata da dipendenza da sostanze stupefacenti e complesse relazioni interpersonali, sarà il filo conduttore di un viaggio attraverso rapporti che già possono essere considerati malati, primi timidi amori, discutibili e scioccanti esperienze. Euphoria promette, quindi, di osare dove molti altri predecessori non hanno avuto di colpire duramente. Per scoprirlo, però, bisognerà aspettare ufficialmente la distribuzione italiana. Immagini tratte da: www.newsbusters.org www.hbo.com
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Midsommar, che in Italia ha per sottotitolo Il villaggio dei dannati, è l’ambiziosa opera seconda di Ari Aster. Un delirante viaggio nell’incubo, horror emotivo privo di vie di fuga “logiche”, immerso nella luce nordica del sole di mezzanotte.
di Salvatore Amoroso
Dani e Christian sono una giovane coppia in crisi: lei si aggrappa a lui per paura della solitudine, lui vorrebbe lasciarla da tempo ma non riesce a farlo specialmente dopo che una tragedia familiare si è abbattuta sulla vita di Dani. Così anziché andare da solo in vacanza con gli amici, Christian porta con sé dagli Stati Uniti anche la fidanzata non proprio ben voluta dai suoi sodali: meta del viaggio è un remoto villaggio svedese dove si svolge un misterioso “festival”. Un lungo attacco di panico che inghiotte a ondate. Allucinazioni da depressione e ansia miste a un feroce e sempre meno represso desiderio di distruzione. Prima di ogni altra cosa Midsommar – Il villaggio dei dannati si distingue per il fatto di disinteressarsi al racconto “corretto” per esprimere invece visceralmente il profondo dolore di Dani (Florence Pugh, già apprezzata in Lady Macbeth) che ha perso la sua famiglia in modo orribile e si ritrova pure non amata da Christian (Jack Reynor), l’unica persona cui può aggrapparsi ma che non le è realmente legato. Essenzialmente sola, disperata e nonostante questo propensa a controllare le emozioni ragionevolmente, Dani lascerà fluire i propri stati d’animo soltanto a Hårga, immaginario villaggio della Svezia settentrionale che il regista Ari Aster (Hereditary – clicca qui per la recensione) ha creato assieme allo scenografo Henrik Svensson dopo studi e letture sui riti pagani dei popoli nordici e scandinavi e sul folklore delle hälsingegårds, le fattorie in cui vengono conservate memorie di usanze rurali, tribali e religiose.
Ad Aster non interessa chiudere il discorso definitivamente, onorando verosimiglianza e razionalità narrativa. Gli interessa invece accompagnare lo spettatore in un percorso psicotico di lutto, angoscia e reattività. Così come gli interessa accompagnare la sua protagonista dal fondo della negazione al trionfo di un istinto omicida, costruendo in questo senso una traiettoria emozionale chiara e necessaria al superamento del conflitto interiore. Se non avete voglia di essere disturbati da un film, lasciate perdere questo lungo trip psichedelico e grottesco, reso abbagliante e a tratti insostenibile dalla felice scelta di girare un horror tutto alla luce del sole. Nel tremendo villaggio di Hårga, comunità endogamica dove ogni 90 anni la comunità sacrifica qualcuno per rinnovare la propria persistenza, il sole non tramonta infatti mai del tutto e il film è luminoso, stordente, lisergico e capace di mettere in difficoltà lo sguardo dello spettatore. A differenza del suo esordio, Hereditary, in Midsommar c’è tutto sommato poca trama e molta più visionarietà. Ben venga. In un periodo dominato dall’ossessione della storia, intesa serialmente come racconto ben (per)formato, Aster si prende la libertà di realizzare un gesto espressivo, ossessivo, splendido a livello figurativo, lasciando da parte l’irrisolutezza o la scarsa “credibilità” horror di quel che mostra. Come detto i percorsi emotivi dei protagonisti sono chiari e ben risolti, ed è solo attorno a quelli che si snoda la perturbante messa in scena che certamente deve qualcosa a The Wicker Man (Robin Hardy, 1973) e a Picnic a Hanging Rock (Peter Wier, 1975). Punteggiato, specie nell’incipit, da un umorismo nero che scaturisce dall’incongruità del rapporto tra Dani e Christian, Midsommar si trasferisce presto in Svezia, meta delle vacanze estive del gruppo di studenti di antropologia di cui Christian fa parte. Qui, immersi nella luce di un verde prato, il gruppo di giovani famigliarizza con alcuni membri della comunità mangiando dei funghi allucinogeni. Da questo momento la sospensione del principio di realtà è pressoché totale e il film devia persino dallo spiegare esaustivamente cosa sia la comunità in cui i ragazzi americani sono capitati. Non è infatti questo il punto. Se Midsommar si concentra su alcuni riti degli abitanti di Hårga è più per far emergere il rimosso, l’indicibile della vita e della morte in un gruppo di bulletti americani e in una giovane donna traumatizzata. Dalla magnifica scena della “roccia” a quella ancor più folgorante della danza per incoronare la Regina di Maggio, ovvero la fanciulla che riuscirà a ballare più di ogni altra, Aster gioca a figurare un inconscio sia cinematografico che umano e che pur innervando in profondità la vita è relegato ai margini dell’esistenza individuale e sociale. Dal punto di vista visivo, Midsommar è un film sontuoso che può rimandare persino al primo Greenaway e nel finale ai tableaux vivants del Von Trier di Melancholia. Questo dispendio non è per nulla asettico o fine a se stesso ma è capace di produrre una forte reazione emozionale, di essere immersivo e brutalmente coinvolgente. Dopo un esordio interessante, Aster fa un passo in avanti dal punto di vista artistico con un horror emotivo senza vie di fuga, senza rassicuranti spiegazioni interne al genere, sempre più privo di logica man mano che avanza nell’incessante luce. Un lavoro che, fortunatamente, si concentra sull’espressione e non sulla comunicazione, prendendosi perciò le necessarie libertà formali di cui il cinema ha sempre vitale bisogno. Immagini tratte da: Locandina: ImDb Immagine1: Esquire.com Immagine2: Cinematographe.it Immagine3: PopSugar.com Immagine4: IndieWire
Ore 15:17 - Attacco al treno
di Vanessa Varini
Paese: Stati Uniti d'America
Anno: 2018 Durata: 94 min Genere: biografico, drammatico, azione Regia: Clint Eastwood Soggetto: dal libro di Jeffrey E. Stern, Spencer Stone, Anthony Sadler e Alek Skarlatos Sceneggiatura: Dorothy Blyskal Produttore: Clint Eastwood, Tim Moore, Kristina Rivera, Jessica Meier Musiche: Christian Jacob Interpreti: Spencer Stone (se stesso); Anthony Sadler (se stesso); Alek Skarlatos (se stesso); Judy Greer (Joyce Eskel); Jenna Fischer (Heidi Skarlatos); Ray Corasani (Ayoub El-Khazzani)
Il 21 agosto 2015 il ventiseienne marocchino Ayoub El Khazzani mise in atto un attacco terroristico di matrice islamica sul treno Thalys numero 9364 che collegava Amsterdam a Parigi. L'attacco fu scongiurato da tre giovani cittadini statunitensi che stavano compiendo un viaggio turistico in Europa: Spencer Stone e Alek Skarlatos due membri delle forze armate statunitensi, in licenza e il loro amico Anthony Sadler. Grazie al loro eroico gesto i tre ricevettero la Legion d'onore, la più alta onorificenza francese, conferita dal presidente François Hollande.
Da questo fatto di cronaca e dal libro autobiografico dei tre ragazzi 15:17 to Paris: The True Story of a Terrorist, a Train, and Three American Heroes, nel 2018 è stata realizzato un film Ore 15:17 - Attacco al treno diretto dal regista Clint Eastwood, che ha per attori protagonisti coloro che realmente sventarono il tentativo di attacco, ma purtroppo il film soddisfa a metà perchè rappresenta in maniera breve l'attacco terroristico al treno e si compone prevalentemente di flashback sul passato dei tre ragazzi. Infatti il film si apre mostrando il carattere indisciplinato di Spencer, Alek e Anthony che sono in pianta stabile nell'ufficio della preside e invece di applicarsi nello studio, preferiscono sognare di combattere in guerra e servire un giorno gli Stati Uniti d’America.
I tre poi si dividono, inspiegabilmente si ritrovano e Spencer decide di arruolarsi nel corpo militare, sottoponendosi ad un duro addestramento fisico che richiama "Ufficiale Gentiluomo" e "Full Metal Jacket". I suoi sogni di gloria, però, s'infrangono e dovrà accontentarsi di fare il paramedico. A questo punto Spencer e Anthony, decidono di fare un viaggio lungo l' Europa e di raggiungere Alek che si è trasferito in Germania. Qui inizia la parte più noiosa e banale del film: Spencer e Anthony visitano Roma (con in sottofondo la canzone "Volare"),
poi Venezia (dove ordinano una pizza al Gritti Palace!!), si scattano tantissimi selfie e il film cambia drasticamente stile, sembra di guardare un film "turistico" come "To Rome with Love" di Woody Allen o "Mangia prega ama" con Julia Roberts. Successivamente i due amici si ricongiungono con Alek a Berlino, ma la vacanza non è ancora finita. Il trio raggiunge Amsterdam dove passano una lunga serata in discoteca. Il giorno decidono di andare a Parigi e salgono sul treno Thalys numero 9364 in seconda classe. Sarà il trasferimento in prima classe per cercare un vagone con il wi-fi più veloce, a condurli verso l’assaltatore marocchino, il quale armato con nove caricatori, una pistola e un mitra poi inceppato, intendeva uccidere i passeggeri.
Ore 15:17 - Attacco al treno è un film molto biografico, molto patriottico e purtroppo quasi privo di azione (è presente solo nei dieci minuti dell'attacco al treno). Però tutto sommato è un film carino, da guardare senza grandi aspettative.
TRAILER YOUTUBE:
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https://st.ilfattoquotidiano.it/ https://pad.mymovies.it/ https://mr.comingsoon.it/ https://static.movietele.it/ Di Federica Gaspari Paese: Spagna Anno: 2019 Formato: serie TV Genere: drammatico, thriller, azione Puntate: 8 Regia: Jesus Colmenar, Koldo Serra, Alex Rodrigo Sceneggiatura: Alex Pina, Javier Gomez Santander, Juan Salvador Lopez, Luis Moya, Alberto Ucar, David Barrocal Produzione: Vancouver Media, Atres Media Cast: Ursula Corbero, Itziar Ituno, Alvaro Morte, Paco Tous, Pedro Alonso, Alba Flores, Miguel Herran, Jaime Lorente Il fascino criminale sul grande schermo ha una lunghissima storia. Si parte senza dubbio con la leggenda di Robin Hood, così ammaliante da trovare più forme sul grande schermo. Agli albori del terzo millennio, Steven Soderbergh ha poi deciso di dare una veste ulteriormente chic ai più brillanti ladri e truffatori. Nasce così – dalle ceneri dell’originale "Colpo Grosso" degli anni Cinquanta – la fortunata serie di "Ocean’s". Non mancano, però, anche cult solitari come "Point Break" oppure "Inside Man". Proprio a quest’ultimo, senza nascondere troppo le proprie intenzioni, si ispira "La casa di carta", l’inaspettato successo internazionale di produzione spagnola ora entrato definitivamente nella scintillante scuderia Netflix. Lo scorso 19 luglio sono stati rilasciati sulla piattaforma di streaming gli otto nuovi episodi della terza parte della serie. Il rinnovo, giunto inaspettato dopo il grande successo delle due parti precedenti, ha lasciato perplessa buona parte del pubblico. La storia sembrava conclusa avendo esaurito il suo potenziale. Cosa potrebbero aggiungere nuovi episodi? Gli appassionati più fedeli non aspettavano altro che nuove avventure al fianco di Rio, Tokyo o Denver ma la vera sfida della serie ora rimane quella di convincere anche il popolo degli scettici. La strepitosa rapina alla zecca nazionale di Spagna ha reso celebre la banda delle maschere di Dalì guidata dal misterioso Professore. Ogni componente, dopo la fuga, si è rifugiato in angoli remoti del mondo, meglio se paradisi esotici, godendosi la propria parte di bottino in solitaria oppure in coppia. Uno di loro, Rio (Miguel Herran), compirà tuttavia un passo falso che costringerà l’intera banda a riunirsi. La soluzione ai nuovi complessi problemi sembra essere, ancora una volta, una grande rapina. Pronti a indossare nuovamente la tuta rossa e la maschera? La strategia adottata per il nuovo colpa al piccolo schermo è chiarissima sin dal primo episodio: riproporre la formula vincente delle puntate precedenti enfatizzandone le caratteristiche più apprezzate dal pubblico. La struttura narrativa, infatti, si ripete e, pur reggendo il gioco fino all’ultimo episodio che apre le porte alla quarta parte, in diverse situazioni sembra scricchiolare. Un budget decisamente più importante sicuramente garantisce una messa in scena più spettacolare, letteralmente esplosiva. Tra humour e nuovi intriganti personaggi ancora completamente da smascherare, il divertimento e la leggerezza sono assicurati. La casa di carta, tuttavia, deve stare attenta ad una pericolosissima tendenza, quella di trascurare il naturale sviluppo narrativo in favore di un racconto che risponda alle richieste dei fan più politicizzati. La serie nasce dal più puro intrattenimento e, pur coinvolgendo e appassionando, per natura e fattura non è la candidata più idonea per provocatorie analisi dell’attualità. Vaghi riferimenti e pungenti battute sono perfette. L’importante, però, è davvero mantenere questo fragilissimo equilibrio senza cadere nell’invitante tentazione. Immagini tratte da: www.netflix.com www.it.blastingnews.com
Dopo il colossale Avengers: Endgame, l’amichevole supereroe di quartiere torna al cinema con un film decisamente più rilassato: la recensione di Spider-Man: Far From Home.
Mentre Avengers: Endgame continua a veleggiare al botteghino internazionale (2,772.5 dollari), insidiando il primato di sempre di Avatar (2,788 dollari), l'universo di supereroi della Marvel torna. E dopo tanti lutti pesanti, battaglie epiche e sacrifici sovrumani, forse non c'era scelta migliore della freschezza e dell'umanità così terrena dello Spider-Man adolescente di Tom Holland per ripartire. Dal 10 luglio al cinema, Spider-Man: Far From Home di Jon Watts è un film brioso e accattivante, non privo di riferimenti nostalgici, ma capace di chiudere tutto quello che è stato, per poi ripartire. Ventitreesimo film del Marvel Cinematic Universe e ultimo della cosiddetta "Fase Tre", Spider-Man: Far From Home mantiene i toni scanzonati e puberali di Spider-Man: Homecoming. Alla regia conferma il regista di quel primo capitolo dedicato all'Uomo Ragno, Jon Watts. L"In Memoriam" che lo apre e che omaggia Iron Man, Vedova Nera, Captain America e Visione, è emozionante e burlesco allo stesso tempo. Peter Parker è stato riportato in vita, insieme a miliardi di persone, dal gesto eroico del suo mentore Tony Stark, alias Iron Man. Peter si sforza di togliersi di dosso gli echi dolorosi dell'epocale scontro tra bene e male di Avengers: Endgame. Vuole viversi la sua vita da adolescente e fare le cose che fa ogni adolescente: la gita scolastica e la corte alla sua bella, la scontrosa Michelle "MJ" Jones (Zendaya). Ed è su questo semplice umanissimo obiettivo che focalizza le sue energie. Non fosse che Nick Fury (Samuel L. Jackson), però, lo cerca con insistenza. L'amichevole Spider-Man di quartiere si allontana dal suo ambiente familiare e dalla sua casa nel Queens, a New York, e con l'amico Ned (Jacob Batalon) e i compagni di classe arriva in Europa. Prima tappa: Venezia! È divertente, qui, abbandonarsi alle note italiane allegre di Bongo Cha Cha Cha di Caterina Valente, fine anni Cinquanta. Costretto a ricacciarsi la tuta da Uomo Ragno, ecco che Peter trascinerà poi, involontariamente, tutta la scolaresca anche a Praga, Berlino e Londra. Non ci sono più salti temporali alla Avengers, indietro nel tempo, ma solo un balenare da una città europea all'altra. Spider-Man, suo malgrado, questa volta deve vedersela con delle massicce Creature Elementali, ognuna delle quali rappresenta uno dei quattro elementi, Terra, Aria, Acqua e Fuoco. Ad spalleggiarlo in questa missione c'è una new entry dal verde alone, tal Quentin Beck, ribattezzato Mysterio, interpretato da niente meno che Jake Gyllenhaal. Luogo d'origine? Una Terra parallela. E in fondo, per certi versi, così è. Spider-Man: Far From Home riporta tutti sulla Terra. La posta in gioco è molto più bassa che in Avengers: Endgame. Riporta a sentimenti basici e così essenziali: la prima cotta e quegli occhi che ci fanno battere il cuore. Quelle frasi semplici e quel sentire forte che le rende speciali, come: "Dove vuoi andare?", "Che importa, basta che sia insieme’’. Riporta a supereroi così umani. E a un concetto così d'attualità, oggi, sulla Terra: per accalappiare le masse, la cosa più facile è confondere la verità. Una frase topica del film: "La gente ha bisogno di credere, di questi tempi credi a ogni cosa". Spider-Man: Far From Home sta valutamente alla larga da profondità e complesse letture. Preferisce dare spruzzate di leggerezza, più che necessarie dopo Avengers: Endgame. Buone dosi di umorismo e cuore quanto basta, con le vicende di Peter e MJ che diventano non meno importanti e interessanti della battaglia contro il cattivo di turno. Accanto a Peter, sono motori comici l'amico di sempre Ned, nella sua pacata simpatica incoerenza, e la storia d'amore tra Happy (Jon Favreau) e zia May (Marisa Tomei). Molte scene sono state girate agli studios Warner Bros. di Leavesden, vicino Londra. Lì è stata ricreata Venezia, con il ponte di Rialto e un mercato del pesce, in uno dei backslot dello studio. Stesso discorso per le location di Berlino, la zona rurale messicana e diversi angoli di New York.
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Locandina: Comingsoon.it Immagine1: tvZap.kataweb.it Immagine2: BestMovie Immagine3: Polygon.it Immagine4: Empire.com Di Federica Gaspari ![]() Paese: Stati Uniti Anno: 2019 Formato: serie TV Genere: fantascienza, drammatico, avventura, thriller Puntate: 8 Regia: Matt e Ross Duffer, Shawn Levy, Uta Briesewitz, Sceneggiatura: Matt e Ross Duffer, William Bridges, Kate Trefey, Paul Dichter, Curtis Gwinn Produzione: Camp Hero Production, 21 Laps Entertainment, Monkey Massacre Cast: Winona Rider, David Harbour, Finn Wolfhard, Millie Bobby Brown, Gaten Matarazzo, Caleb McLaughlin, Noah Schnapp Fantasia, piccole cittadine popolate da creature immaginarie, avventure terrificanti ma estremamente affascinanti: l’immaginario dell’intrattenimento anni Ottanta è sempre stato lontanissimo dalla realtà ma paradossalmente ha rappresentato il genere più in grado di catturare l’essenza più genuina dei rapporti come l’amicizia, i primi amori e anche le rivalità. Stranger Things ha saputo riportare sul piccolo schermo di Netflix questo peculiare spirito senza rinnegare la sua natura figlia del terzo millennio. Lo show paladino di quella che, spesso con disprezzo, viene definita retro-nostalgia torna in scena su Netflix con i nuovi episodi della sua terza stagione. Se la stagione precedente aveva saputo trasmettere quella sensazione di transizione, passaggio rappresentando a tutti gli effetti il concetto di “sequel”, il terzo capitolo prosegue il percorso di crescita completando il suo cambio di registro. Demogorgoni e pericoli fuori dall’ordinario sembrano essere un lontano ricordo per i ragazzi di Hawkins. Nell’estate del 1985, Mike, Eleven e tutti gli altri amici assaporano al meglio il divertimento delle vacanze scolastiche tra giornate in compagnia e pomeriggio di shopping nel luccicante centro commerciale della cittadina. Sotto i loro piedi, tuttavia, si cela una minaccia che arriva dal gelido e lontano Est e che potrebbe riportare oscure minacce nelle giovani vite dei protagonisti. Ogni nuova stagione ha il gusto di un gradito e accogliente ritorno a casa. Questa volta, però, è diversa. Era chiaro sin dal trailer, dalle locandine più cupe del solito e da una sequenza d’apertura che chiarisce ogni intenzione dei fratelli Duffer, ancora al timone del fortunato progetto televisivo. E’ semplice, infatti, immedesimarsi nei panni del simpatico Gaten Matarazzo e del suo Dustin di ritorno a Hawkins dopo un mese trascorso ad un campo estivo: tutto all’apparenza è uguale ma qualcosa di quasi impercettibile, silenzioso si è fatto strada cambiando per sempre la storia dei ragazzini protagonisti. Non si tratta di aspetti soprannaturali o simili: semplicemente, si entra nel mondo dell’adolescenza fatto di screzi con gli amici per piccolezze, discussioni con i genitori culminanti in porte sbattute con stizza e piccoli assaggi del mondo degli adulti. E’ un periodo complesso e indecifrabile proprio come i primi episodi della terza stagione, convincenti e volutamente fumosi. L’adolescenza con le sue gioie e dolori influenza soprattutto i toni della serie. Le atmosfere dark prendono il controllo insieme a inquietudini e timori che si insinuano letteralmente sottopelle puntata dopo puntata. L’omaggio al genere cult del body-horror degli anni Ottanta come La mosca è allora d’obbligo. Trovano spazio, però, anche altri cult dell’epoca più cupi nelle loro intenzioni d’intrattenimento: da Terminator a Jurassic Park – incursione negli anni Novanta che viene serenamente perdonata - passando per Il giorno degli zombi e la pellicola principe del 1985, Ritorno al futuro. Non mancano senza dubbio le emozioni ma emerge chiaramente l’intenzione di omaggiare senza troppi giri di parole la cultura pop a stelle e strisce. La scelta del 4 luglio non è così casuale allora. Ironia, uso voluto di stereotipi narrativi e specifica ambientazione evidenziano questo piacevole omaggio tutto americano ma, proprio quando qualche malizioso potrebbe giudicare frettolosamente questa stagione come un solo contenitore di riferimenti, Stranger Things stupisce. Si giocano carte inaspettate e si rimane inevitabilmente scioccati davanti a scelte oggettivamente coraggiose. E’ allora semplicissimo rimanere “sottosopra” per i prossimi lunghi mesi in attesa delle nuove puntate!
Immagini tratte da: www.mymovies.it www.rollingstone.com www.hollywoodreporter.com
di Vanessa Varini
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Titolo: Manifest
Paese: Stati Uniti d'America Anno: 2018 – in produzione Genere: avventura, fantascienza, drammatico, mistero Stagioni: 1 Episodi: 16 Durata: 42 min (episodio) Ideatore: Jeff Rake Produttore esecutivo: Jeff Rake, Robert Zemeckis, Jack Rapke Interpreti e personaggi: Melissa Roxburgh (Michaela Beth Stone); Josh Dallas (Ben Stone); Athena Karkanis (Grace Stone); J. R. Ramirez (Detective Jared Vasquez); Luna Blaise (Olive Stone); Jack Messina (Cal Stone); Parveen Kaur (Saanvi Bahl).
Il 3 luglio su Canale 5 alle 21:10 sono andati in onda i primi tre episodi della serie tv fantascientifica e mistery Manifest, ideata da Jeff Rake e prodotta da Robert Zemeckis, regista di Forrest Gump e definita da molti un Lost al contrario. Manifest intriga fin dal primo episodio intitolato È solo l'inizio, con la voce narrante di Michaela Stone (Melissa Roxburgh) che racconta la situazione della sua famiglia. La ragazza ha dei sensi di colpa a causa di un incidente, infatti mentre lei guidava l'auto ha causato la morte della sua amica Evie, mentre suo fratello Ben (Josh Dallas) ha un figlio, Cal (Jack Messina), malato terminale. Dopo una vacanza in Giamaica, Michaela si imbarca con il fratello Ben e Cal, sul volo 828 della Montego Air con destinazione New York, dopo aver accettato di prendere un altro aereo e separarsi dai familiari che sono partiti sul volo che avevano prenotato all'inizio, perchè la compagnia aerea ha venduto più biglietti rispetto ai posti presenti. Durante il viaggio si verifica una paurosa turbolenza, ma alla fine l'aereo riesce ad atterrare.
Una volta sbarcati, i viaggiatori, le hostess e i piloti scoprono che non sono passati solo due giorni ma ben cinque anni e mezzo dalla loro partenza e tutti pensavano fossero morti.
Così i protagonisti scoprono che le loro vite sono completamente cambiate: la mamma di Michaela e Ben è morta, il fidanzato di Michaela, il detective Jared Vasquez (J.R. Ramirez), si è sposato con la sua migliore amica Lourdes, Cal soffre per il confronto con i suoi coetanei cresciuti (tra cui la sua sorella gemella), ma è in lista per un trattamento che ha salvato la vita a tanti malati e Ben ritrova improvvisamente sua figlia già adolescente (Josh Dallas è abbonato a ruoli in cui è destinato a non assistere alla crescita delle sue figlie, infatti anche in Once Upon A Time, dove interpretava il Principe Azzurro, ritrovava sua figlia Emma già adulta). La moglie di Ben, Grace (Athena Karkanis) invece, non riesce a rivelargli che è presente un altro uomo nella sua vita. Oltre ai problemi familiari, iniziano a verificarsi strani fenomeni: Michaela e Ben sentono delle voci, hanno delle visioni e nel primo episodio riescono a salvare due sorelline scomparse. Poi nell'episodio Il rientro Ben aiuta a scagionare il figlio, ingiustamente accusato di rapina, di un passeggero dell'aereo e in Turbolenza risolvono l'omicidio di Kelly, una dei passeggeri del Volo 828.
È proprio questo mix di dramma familiare e poliziesco\soprannaturale, che sicuramente sarà presente in tutti gli episodi, il punto di forza della serie: grazie alle voci Ben e Michaela vengono spinti a fare le cose giuste e aiutano a risolvere i vari casi che coinvolgono i passeggeri dell'aereo e al tempo stesso indagano sul mistero della scomparsa del volo.
Tra strani esperimenti, Cal che parla in bulgaro e visioni di un angelo le prossime puntate sembrano molto coinvolgenti, quindi sintonizziamoci tutti giovedì 10 luglio alle 21:10 su Canale 5 per non perdere i tre nuovi episodi di Manifest.
Immagini tratte da:
https://mr.comingsoon.it/ https://www.dituttounpop.it/ https://mr.comingsoon.it/ http://soimwatching.com/ |
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Maggio 2023
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