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Paese di produzione: USA
Anno: 2016 Durata: 96 min Genere: drammatico Regia: David Frankel Sceneggiatura: Allan Loeb Distribuzione (Italia): Warner Bros. Fotografia: Maryse Alberti Musiche: Mycheal Danna, Theodore Shapiro Scenografia: Beth Mickle Interpreti e personaggi: Will Smith: Howard Inlet Edward Norton: Whit Yardshaw Kate Winslet: Claire Wilson Michael Peña: Simon Scott Keira Knightley: Aimee Moore / "Amore" Helen Mirren: Brigitte / "Morte" Jacob Latimore: Raffi / "Tempo" Naomie Harris: Madeleine Ann Dowd: Sally Price Kylie Rogers: Allison Yardshaw Mary Beth Peil: Madre di Whit Liza Colón-Zayas: Madre di Trevor Michael Cumpsty: Amministratore Delegato
Il dirigente pubblicitario Howard Inlet (Will Smith), dopo la tragica morte della figlia, è depresso e medita il suicidio. I suoi amici e partner commerciali Whit Yardshaw (Edward Norton), Claire Wilson (Kate Winslet) e Simon Scott (Michael Peña), che lui ha allontanato, temono per la sua salute mentale così come per il futuro dell’azienda: il comportamento di Howard li ha lasciati sull'orlo del fallimento e sono costretti a vendere l'azienda. A questo scopo i tre amici assumono un investigatore privato, Sally Price, per acquisire la prova che Howard è inadatto a gestire la società, l'unico modo per poter vendere, essendo lui socio di maggioranza.
I tre vengono a sapere che Howard ha scritto tre lettere al Tempo, all'Amore e alla Morte e decidono di assumere tre attori teatrali, Aimee (Keira Knightley), Raffi (Jacob Latimore) e Brigitte (Helen Mirren), perché impersonino queste entità astratte. Gli attori dialogheranno con Howard, spronandolo a ritornare a vivere, malgrado il lutto che lo ha colpito.
Collateral Beauty è un film con un grande cast hollywoodiano ma mette troppa carne sul fuoco: oltre alla tragica perdita di una figlia di 6 anni, affronta tanti temi drammatici (tra cui la disoccupazione, genitori afflitti da Alzheimer, divorzio e rapporto difficile con i figli, malattie terminali, impossibilità di avere figli) senza un tocco di leggerezza e spensieratezza, commuovendo lo spettatore per un'ora e mezza fino a raggiungere le lacrime. Oltre al dolore mostrato in modo marcato, il film lascia in sospeso molti concetti fondamentali, su tutti la Collateral Beauty da cui è tratto il titolo: vuole mostrare come una perdita dolorosa possa rivelare momenti di bellezza ma non viene specificato il concetto, tutto è narrato in modo vago. Inoltre la trama è troppo prevedibile (è la versione moderna di "A Christmas Carol" Il canto di Natale di Charles Dickens, con la stessa ambientazione natalizia e il passato, il presente e il futuro sostituiti da amore, tempo e morte) e solo il colpo di scena finale legato a Howard (Will Smith) e Madeleine (Naomie Harris) scuote lo spettatore. Anche gli attori sono prevedibili e non molto convincenti. Su tutti Will Smith, attore celebre per i suoi film scanzonati e allegri, che sfodera la faccia drammatica del film "Alla ricerca della felicità" di Gabriele Muccino e poche altre espressioni.
Gli unici degni di nota sono Helen Mirren, Edward Norton e Naomie Harris, forse l'attrice meno conosciuta ma apprezzata per la sua notevole performance nel film premio Oscar Moonlight. Con varie nomination ai Razzie Awards, il film vuole insegnare che si può tornare a vivere dopo aver percorso con passi faticosi i sentieri dell'esistenza, ma un po' di gioia di vivere presente negli altri protagonisti e meno dolore non avrebbe guastato il film.
Immagini tratte da: https://mr.comingsoon.it/ http://diariodipensieripersi.it/ http://quinlan.it/ https://ewedit.files.wordpress.com/
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PAESE: Stati Uniti
ANNO: 2017 GENERE: azione, supereroi, crimine STAGIONE: 1 EPISODI: 8 DURATA: 44-55 min IDEATORE: Douglas Petrie, Marco Ramirez REGIA: S. J. Clarkson, Peter Hoar, Phil Abraham, Uta Briesewitz, Stephen Surjik, Felix Enriquez Alcala, Farren Blackburn SCENEGGIATURA: Douglas Petrie, Marco Ramirez, Lauren Schmidt Hissrich, Drew Goddard, ATTORI: Charlie Cox, Krysten Ritter, Mike Colter, Finn Jones, Eka Darville, Elden Henson, Jessica Henwick, Simone Missick, Ramon Rodriguez, Rosario Dawson, Elodie Yung, Sigourney Weaver MUSICHE: John Paesano PRODUZIONE: Marvel Television, ABC Studios
L’alba del Marvel Cinematic Universe si può far coincidere con il 1° maggio del 2008, giorno dell’uscita nelle sale cinematografiche di “Iron Man”, cine-comic destinato a cambiare la storia del genere e a segnare l’inizio di una nuova concezione di intrattenimento non solo nei cinema ma anche sul piccolo schermo. Proprio su quest’ultimo la Marvel ha trovato la sua piena affermazione nel 2015 con la serie Netflix Daredevil dopo tentativi più o meno riusciti su ABC. Nel corso degli anni non sono mancati alcuni passi falsi all’interno di questo sempre più vasto universo, intrigante sotto l’aspetto dei cross-over ma estremamente pericoloso per il rischio omologazione. In un meccanismo ormai collaudato come questo, è estremamente difficile riuscire a proporre un prodotto originale capace di distinguersi, mantenendo un segno in un multiverso interconnesso. Anche per questo motivo, sulle spalle di The Defenders, il primo serio esperimento di cross-over di serie tv targato Marvel, gravavano grandi aspettative e responsabilità.
Il Daredevil di Charlie Cox, coraggioso capostipite dei tv-comic Netfllix, conquistò tutti, riabilitando un personaggio quasi distrutto con il film del 2003 con Ben Affleck. Jessica Jones, con il volto di Krysten Ritter, ha incantato pubblico e critica con il suo tono burbero. Il Luke Cage di Mike Colter non è stato solido e resistente come la pelle dell’eroe di Harlem. Il misticismo di Ironfist, infine, non ha convinto, con un prodotto in cui i comprimari rubavano la scena a uno spento Finn Jones. Unire questi quattro personaggi sotto un unico nome è indubbiamente una scommessa. Come mescolare con rispetto e attenzione i tratti distintivi di ogni figura?
Registi e direttori alla fotografia, sin dal primo episodio, si divertono con i generi e i colori accesi che distinguono ogni personaggio. L’incontro fra i quattro, inaspettatamente, viene costruito con tempo e cura, dando libero sfogo alle atmosfere investigative della Jones quanto a quelle da blaxploitation di Cage, dimensioni distinte che troveranno il giusto equilibrio con quelle di un tormentato diavolo di Hell’s Kitchen e di un rivisitato Ironfist. Rosso, blu, giallo e verde si riflettono sull’asettico bianco che contraddistingue le scene in cui vedono protagonista Alexandra Reid, villain di stagione e capo della Mano, interpretato da un’ottima Sigourney Weaver che costruisce un personaggio temibile per la sua compostezza quanto disperato per la sua fragilità umana. In un mondo di colori e luci metropolitane non può mancare l’oscurità dei vicoli più bui con il personaggio di Elektra (Elodie Yung), di nuovo ambiguamente in azione all’ombra dei personaggi più influenti.
Con questo nuovo prodotto, la Marvel sembra aver ritrovato la giusta via per i suoi show sul piccolo schermo. Il merito è da attribuire alla scelta di non creare subito il gruppo di supereroi ma di introdurlo gradualmente mostrando i legami tra di essi in modo naturale: tra Jessica e Devil si instaura così un rapporto basato sull’astuzia e sulla fiducia mentre Luke e Ironfist, con accurati tocchi di humour, formano una perfetta coppia da buddy movie. Dallo show, inoltre, emerge in modo molto chiaro e definito il forte legame dei protagonisti con New York, con i propri valori e con un inevitabile destino di responsabilità e sacrifici, caratteristica “urbana” non pervenuta nelle ultime produzioni cinematografiche di stampo fantasy. La grande pecca è da ricercare nella scarsa attenzione rivolta ai personaggi secondari, semplici figure di contorno sacrificate dalla breve durata di stagione (8 episodi contro i soliti 13). Le scene di combattimento, invece, non sono esaltanti ma sono senza dubbio di ottimo livello.
Una visione consigliata a chi ama le atmosfere più tetre dell’MCU per lasciarsi trascinare da un ritmo coinvolgente. Immagini tratte da: Immagine 1: www.staynerd.com Immagine 2: www.ign.com Immagine 3: www.anorgate.it
Il regista Jordan Peele al suo debutto dietro la macchina da presa decide di omaggiare Romero con un thriller/horror dotato di una satira graffiante e dall’alto tasso adrenalinico. ![]()
Titolo originale: GET OUT
Paese di produzione: USA Anno: 2017 Durata: 103 min. Genere: thriller/horror Regia: Jordan Peele Sceneggiatura: Jordan Peele Distribuzione: Universal Pictures Fotografia: Toby Oliver Cast: Daniel Kuluuya: Chris Washington; Zailand Adams: Chris (11 anni); Allison Williams: Rose Armitage; Bradley Whitfort: Dean Armitage; Catherine Keener: Missy Armitage.
“Sanno che sono nero?”. “No, dovrebbero?”. Inizia così, con qualche dubbio, il viaggio che porterà l’eclettico fotografo Chris Washington a incontrare la famiglia della bella fidanzata, Rose Armitage. Poco dopo il suo arrivo, il giovane comincia ad accorgersi che qualcosa non quadra, la servitù afro-americana è strana, quasi intorpidita, la famiglia cordiale ma elusiva, con la madre psichiatra che lo vuole ipnotizzare perché perda il vizio del fumo, senza contare che da lì a poco ci sarà la riunione-festa per la ricorrenza del nonno di Rose defunto, che si annuncia piuttosto stressante. Tanti ospiti, quasi tutti bianchi, tutti troppo cortesi e allegri. Cosa nasconde questa famiglia? Chris è davvero al sicuro?
GET OUT – SCAPPA è il lato horror di Indovina chi viene a cena?
Il debutto dietro la macchina da presa dell’attore (televisivo) e sceneggiatore Jordan Peele coniuga la messa in scena degli atteggiamenti razzisti, che si annidano anche dietro le migliori intenzioni (e non è questo il caso), con l’adrenalinica suspense dello psycho-thriller psicologico dalle più nobili origini, persino britanniche, nelle sue atmosfere perverse e senza ausilio di goffi effetti al computer.
Il talentuso londinese Daniel Kaluuya vanta già un discreto curriculum (40 titoli, tra cui Johnny English e Sicario), ma possiede ancora la freschezza e l’aria lievemente sprovveduta dell’attore emergente, così come Allison Williams che, con la sua aria moderna tutta acqua e sapone, riesce davvero a farci immedesimare nella coppia. Il più bell’horror della stagione? Assolutamente sì, anche se suona provocatorio, con tutti i suoi limiti: molto schematico (segue il compitino troppo alla lettera); la prudenza della mano del regista; un budget “modesto” di appena 5 milioni di dollari da film indipendente che non consente virtuosismi e ambizioni; la caratterizzazione troppo comedy dell’amico di Chris (senza dubbio il personaggio si sarebbe potuto sviluppare meglio). Azzardiamo volentieri e promuoviamo a pieni voti l’esordio alla regia di Jordan Peele, capace di stregarci con poco e per una buona volta senza spettri e telecamere (che francamente hanno stufato). GET OUT vince il confronto con i mosci colleghi della stagione e a quanto pare è in cantiere un seguito, nella speranza che il regista newyorkese riesca di nuovo a stupirci.
Immagini tratte da: locandina: FilmTv.it immagine 1: Vanity Fair.com immagine 2: Movie Magazine Italia.it immagine 3: TheInquisitr https://www.youtube.com/watch?v=6A-9yr8j2iE
Non è un paese per giovani è l’ultimo film di Giovanni Veronesi che lo scorso marzo è tornato al cinema, dopo Una donna per amica (2014), con una pellicola che parla di giovani. Lo riguardiamo, in questa pausa estiva, complici le atmosfere e la freschezza delle immagini dell’azzurrissimo mare cubano del film ambientato a L’Avana.
L’Italia è il Paese in cui ogni anno 100.000 giovani lasciano il proprio Paese per cercare lavoro all’estero. Da questo dato allarmante e dalle testimonianze radiofoniche che Veronesi ha raccolto nell’omonima trasmissione radiofonica Non è un paese per giovani (in onda su Radio 2), il regista coglie lo spunto, sulla scia di Che ne sarà di noi (2004) e Italians (2009), per costruire la storia di Sandro e Luciano (F. Scicchitano e G. Anzaldo), due giovani camerieri romani che sognano di far fortuna a Cuba con un progetto che ruota intorno la distribuzione del wifi sull’isola.
Ad accompagnare nell’avventura cubana i due, Nora, giovane italiana dal toccante passato nascosto tra le pieghe della malinconica stranezza che l’attrice Sara Serraiocco, con tanto di cranio rasato, interpreta con disarmante dolcezza poetica.
Un microcosmo sicuro lasciato alle spalle e il mondo davanti: un itinerario formativo che condurrà Sandro e Luciano a incontrare l’umanità varia e molteplice, dall’eroe pescatore altruista e generoso, alla simpatia facilona di un siciliano a Cuba (interpretato da Nino Frassica), fino agli imprenditori senza scrupoli e corrotti. Ciascuno, nel bene o nel male, ha qualcosa da dire in un percorso in cui tra sogni, aspirazioni, fallimenti e rimpianti, Sandro e Luciano daranno voce, in modi diversi al proprio Io. Partire dallo stesso luogo non assicura infatti la stessa riuscita progettuale: Sandro seguirà la propria indole e comincerà a scrivere, Luciano farà emergere un’energia trasgressiva e nera che lo condurrà alla perdizione.
Una pellicola che forza, perlomeno a inizio film (con le testimonianze documentaristiche di giovani italiani all’estero), il mito troppo entusiastico del “Vai all’estero e farai fortuna”, salvo poi redimersi nella narrazione di differenti exploit di giovani partiti dallo stesso Paese ma con divergenti itinerari. Ciò che tocca è l’inserimento in una commedia che non ha troppe pretese, di un personaggio autodistruttivo, di cui percepiamo solo superficialmente il tormento da cui è mosso. Luciano, interpretato da G. Anzaldo, rappresenta quel lato oscuro che è presente forse in ciascuno di noi ma che esplode violentemente nel personaggio che interpreta, in forza disumana e autodistruttiva.
Un film dolceamaro, dal sapore poetico e delicato nel finale, che mostra le varie possibilità del diventare adulti, dal perdersi al ritrovarsi: poco importa che lo si diventi lontani o vicino casa. Immagini tratte da: http://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2017/02/18/news/giovanni_veronesi_e_l_avana_dream_abbiamo_fatto_fuori_un_intera_generazione_-158617749/ https://www.comingsoon.it/film/non-e-un-paese-per-giovani/53175/scheda/ http://www.spettacolomania.it/non-e-un-paese-per-giovani-videoincontro-con-giovanni-veronesi-e-i-suoi-attori/ https://www.ucicinemas.it/film/2017/non-e-un-paese-per-giovani/
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PAESE: Stati Uniti
ANNO: 2017 GENERE: drammatico STAGIONE: 1 EPISODI: 10 DURATA: 60 min IDEATORE: Bill Duburque, Mark Williams REGIA: Jason Bateman, Daniel Sackheim, Andrew Bernstein, Ellen Kuras SCENEGGIATURA: Bill Dubuque, Ryan Ferley, Paul Kolsby, Martin Zimmerman, Whit Anderson, Alyson Feltes, Chris Mundy ATTORI: Jason Bateman, Laura Linney, Sofia Hublitz, Skylar Gaertner, Julia Garner, Jordana Spiro, Jason Butler Harner, Esai Morales, Peter Mullan, Lisa Emery COLONNA SONORA: Danny Bensi, Saunder Jurriaans PRODUZIONE: Netflix, Aggerate Films, Media Right Capital, Zero Gravity Managsment, Headhunter Films Man, Woman & Child Production
Leggendo il nome di Jason Bateman tra quelli del cast, è inevitabile associare una serie tv al genere della commedia. Ozark, tuttavia, è una creatura ben diversa da quanto si potrebbe pensare. L’ultimo prodotto della scuderia Netflix è frutto della sinergia del duo composto dallo sceneggiatore Bill Duburque e dal produttore Mark Williams, due figure che nel loro curriculum vantano già titoli del grande schermo come The Accountant (2016), The Judge (2015) e Quando un padre (2016). Con il suo debutto internazionale in piena estate, lo scorso 21 luglio, questa serie tv in dieci episodi della durata di un’ora circa ha accettato una vera e propria sfida: riuscire, nel pieno della stagione più calda dell’anno, ad appassionare milioni di utenti della piattaforma streaming più popolare di sempre. Dopo una lunga serie di cancellazioni di amate produzioni del piccolo schermo, Ozark ha sulle sue spalle responsabilità importanti, aggravate da altrettante non trascurabili aspettative.
Marty Byrde (Jason Bateman) con il suo saldo lavoro nella finanza e la sua vita tranquilla in famiglia sembra non avere nessuna particolare caratteristica, nemmeno un controverso segreto da nascondere. All’ombra della sua attività di tutti i giorni, tuttavia, l’uomo ha intrecciato pericolosi rapporti lavorativi: egli, infatti, gestisce il patrimonio del boss messicano Del, capo di un impero costruito con la droga, per cui ricicla anche il denaro più sporco. La scomparsa nel nulla di diversi milioni di dollari, però, insospettisce il malavitoso che sospetta di alcuni suoi collaboratori esterni, tra cui figura anche Byrde. Quest’ultimo, affidandosi alla sua eloquenza, per provare la sua innocenza, assicura a Del che avvierà alcune attività ad Ozark, località ben lontana dall’affollata Chicago, con cui raccoglierà la somma mancante di denaro.
Un uomo normale, loschi e insospettabili affari e un luogo sperduto dell’entroterra a stelle e strisce: sono questi gli ingredienti alla base di Ozark, questa serie che prende il nome dal lago del Missouri in prossimità del quale la famiglia Byrde è costretta a trasferirsi in fretta. I richiami ad altri celebri prodotti televisivi sono ben distinguibili: facile accostare le vicende di Marty a quelle di Breaking Bad, impossibile non notare la somiglianza con le atmosfere e le tematiche di Bloodline. Episodio dopo episodio, si assiste, infatti, alla lenta trasformazione di un uomo ingenuo e innocente seppur brillante, in una figura astuta, abile con l’inganno e forgiata dalle esperienze negative. Questo cambiamento si ripercuote anche sulla moglie Wendy (Laura Linney) e sui due figli Charlotte e Jonah, non ignari spettatori della vicenda ma complici.
Poco più di un anno fa, il mondo degli appassionati del piccolo schermo non faceva altro che parlare del fenomeno Stranger Things. L’uscita di Ozark, invece, non ha avuto un effetto immediato sugli appassionati del genere. Si tratta comunque di un prodotto solido, curato nei dialoghi, nei personaggi e nell’azzurrina fotografia che richiede crescente attenzione, con i suoi ritmi non esattamente incalzanti. Bateman è sorprendente in un ruolo distante da quello che l’hanno reso celebre tra risate e sketch prevedibili. L’insieme degli attori coinvolti nel progetto, inoltre, è più che convincente anche grazie a giovani interpreti, come Julia Garner, capaci di lasciare il segno.
Il vero tratto distintivo del prodotto? Sicuramente la prospettiva familiare su un mondo a tinte chiaro-scure in cui il confine tra giusto e sbagliato diventa sempre più sottile e discutibile. Immagini tratte da: Immagine 1: www.cinematographe.it Immagine 2: www.intrattenimento.eu Immagine 3: www.telefilm-central.org
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Paese di produzione: Regno Unito
Anno: 1997 Durata: 95 min Genere: commedia Regia: Peter Cattaneo Sceneggiatura: Simon Beaufoy Musiche: Anne Dudley Scenografia: Max Gottlieb Interpreti e personaggi: Robert Carlyle: Gaz Mark Addy: Dave William Snape: Nathan Steve Huison: Lomper Tom Wilkinson: Gerald Paul Barber: Barrington "Horse" Mitchell Hugo Speer: Guy Lesley Sharp: Jean Emily Woof: Mandy Paul Butterworth: Barry Deirdre Costello: Linda Dave Hill: Alan
Gaz (Robert Carlyle) e Dave (Mark Addy), due disoccupati inglesi di Sheffield, vivono di espedienti ma senza guadagnare molto, provando anche a rubare delle travi da una acciaieria chiusa per rivenderle. Gaz, è tormentato dai problemi familiari e dalla preoccupazione di perdere la custodia del figlio perché non riesce a pagare le spese di mantenimento all’ex moglie. Allora gli viene un'idea un po' azzardata, suggerita da una pubblicità che mostra un gruppo di spogliarellisti professionisti che si esibiscono in città. Decide, coinvolgendo altri disoccupati (Gerald, ex caposezione, sposato, senza figli, bravo a ballare e innamorato dei sette nani; Lomper, trombettista confuso; Cavallo, anziano di colore e Guy, il più carino del gruppo) di dar vita a uno spettacolo di striptease. Per richiamare il pubblico fa diffondere la voce che sulla scena daranno il servizio completo (full monty), cioè saranno completamente nudi. Non sarà facile però superare gli imbarazzi dei diversi compagni che hanno accettato di fare lo spettacolo.
Full Monty è un film cult della storia del cinema ma è molto attuale perché affronta il tema della precarietà economica e sociale e della disoccupazione, ma sempre con il sorriso sulle labbra. Infatti, i protagonisti hanno perso il lavoro ma non si perdono d'animo, sono inadatti allo striptease (sono troppo magri o troppo grassi) ma offrono il servizio completo, trovano sempre un modo per andare avanti e non mollare mai, dando vita a un film divertente e brillante. Full Montynon affronta solo la voglia di riscatto, affronta soprattutto situazioni scomode (lo spogliarello integrale) e temi difficili da trattare come l'omosessualità, il tradimento, il suicido e la depressione,senza scadere nella drammaticità forzata o nella volgarità. Merito della sceneggiatura scritta da Simon Beaufoy e del bravissimo team di attori perfettamente amalgamati fra loro.Su tutti spiccano Robert Carlyle (Begbie di "Trainspotting" e Tremotino/Mr.Gold in "Once Upon A Time", attore talentuoso dai mille volti) e Tom Wilkinson nel ruolo di Gerald.
Splendida la colonna sonora (ricordiamo Hot Stuff di Donna Summer e You can leave your hat on di Joe Cocker) che ha vinto il Premio Oscar come miglior Colonna sonora nel 1998. Inoltre Full Monty, diretto da Peter Cattaneo e prodotto dall'italiano Uberto Pasolini, è stato candidato agli Oscar 1998 per il miglior film, per la miglior regia e per la miglior sceneggiatura; ha vinto tre Bafta su undici nomination, incluso quello come miglior film, e in America ha incassato oltre 30 milioni di dollari. Questo film è la dimostrazione di come si può realizzare un prodotto di successo anche senza utilizzare effetti speciali, usando solo della buona musica, un cast ben assortito e un’ottima sceneggiatura.
Immagini tratte da: http://aforismi.meglio.it/ http://www.leiweb.it/celebrity/ http://i626.photobucket.com/
La vita dell'ex cattivo Gru è cambiata totalmente. Dopo aver messo da parte il crimine, si occupa soltanto delle tre dolci bambine che ha adottato e del laboratorio segreto che ha trasformato in un'impresa legale di produzione di marmellate e gelatine immangiabili. Ma un giorno Gru viene reclutato dalla vivace agente Lucy Wilde, della Lega Anti Cattivi, per fingersi il gestore di un negozio di dolci in un centro commerciale e smascherare così il criminale che ha rubato un siero e che vuole dominare il mondo. La storia di questo secondo capitolo di Cattivissimo Me è più semplice di quella del primo film ma è sempre ricca di scene di un'allegria contagiosa, merito dei Minions, gli aiutanti tuttofare di Gru.
Sono loro il motivo del successo di Cattivissimo me 2. Infatti le creaturine gialle sono irresistibili perché contradditorie (a volte come noi umani) e indecise tra la loro aspirazione a essere cattive e la loro natura primaria che li rende comunque buone, pasticcione e divertenti. Anche il loro linguaggio, un miscuglio di parole provenienti da lingue diverse, un inglese italianizzato, mixato con un po' di francese, spagnolo, indonesiano e giapponese, ideato dal regista Pierre Coffin, ha reso i Minions unici. Ovviamente ci si affeziona anche all'ex aspirante supercattivo Gru, ora fedele papà che ha scelto di dedicarsi a Margo, Edith e Agnes.
Cattivissimo Me 2 è un film perfetto per i bambini ma anche per gli adulti perché unisce una storia d'amore (il temibile Gru s'innamora della scatenata Lucy, doppiata nella versione italiana da Arisa), scene d'azione (c'é il cattivo di turno), momenti commoventi e dolci (la mancanza di una mamma che la bambina più piccola reclama e un papà apprensivo perché le bambine stanno crescendo troppo in fretta) e il divertimento con i Minions: impossibile annoiarsi. Altri pregi del film sono i colori vivaci, la grafica e le canzoni originali (torna la coppia Heitor Pereira e Pharrell Williams, si aggiunge il rapper Cee Lo Green e Pierre Coffin che presta le voci ai due brani interpretati dai Minions, tra cui una cover dei Village People). Ottima anche la colonna sonora che include anche due brani del film originale "Fun, Fun, Fun", "Despicable Me" e "Happy". E dopo aver visto Cattivissimo Me 2 non potete perdere il seguito che uscirà il 24 agosto, Cattivissimo Me 3. Qui Gru e Lucy continuano a dare la caccia ai supercriminali, ma questa volta dovranno lottare contro uno dei più bizzarri e pericolosi: Balthazar Bratt, un uomo rimasto sia negli atteggiamenti che nell'abbigliamento agli anni '80, Gru ritroverà anche il suo fratello gemello perduto, Dru, un supercattivo molto famoso e, ovviamente, non mancheranno i Minions. Banana!
Immagini tratte da:
http://pad.mymovies.it/ http://images.movieplayer.it/
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GENERE: azione, noir, drammatico
ANNO: 2016 REGIA: Paul Schrader ATTORI: Nicolas Cage, Willem Dafoe, Christopher Matthew Cook, Omar J. Dorsey, Louisa Krause SCENEGGIATURA: Matthew Wilder FOTOGRAFIA: Alexander Dynan MONTAGGIO: Benjamin Rodriguez Jr. PRODUZIONE: Arclight Films, Blue Budgie Films Limited, Pure Dopamine DISTRIBUZIONE: Altre Storie DURATA: 93 minuti
Troy (Nicolas Cage), Mad Dog (Willem Dafoe) e Diesel sono tre delinquenti dediti alla violenza e alla dissolutezza che tentano di tirare avanti mettendo a sesto piccoli colpi per racimolare qualche dollaro. Conosciutisi in carcere, i tre hanno stretto un’intesa professionale ed esistenziale che dura anche al di là delle sbarre. A un certo punto un boss affida loro un ultimo colpo, dopo il quale potranno finalmente ritirarsi dalla vita da gangster: rapire un bambino. Come prevedibile però durante quest’ultimo lavoro non tutto fila liscio, le cose iniziano a mettersi male facendo crescere le tensioni interne al gruppo.Paul Schrader, già sceneggiatore e regista tra i più autorevoli e profondi della New Hollywod (ha sceneggiato Taxi Driver e Toro scatenato, entrambi diretti da Scorsese, tanto per citare qualche opera), si mette dietro la macchina da presa per dirigere un film atipico, che alterna scene di impianto naturalistico ad altre sfigurate da una visionarietà ipnotica sfumata (come l’incipit, che vede protagonista Mad Dog alle prese con diverse sostanze e con un duplice omicidio).
Tratto dal romanzo omonimo di Edward Bunker, scrittore di culto ed ex carcerato, Dog eat dog è un film violento, viscerale, nichilista e ironico che osa molto nel comparto formale, utilizzando numerose soluzioni stilistiche: il bianco e nero, gli effetti distorcenti, una fotografia melodrammatica e un grande uso dell’illuminazione non naturalista, come il ricorso alla luce rossa, soluzione che in alcuni momenti del film carica l’immagine di una notevole dose di dramma.Uno dei temi principali del film è quello della colpa e della redenzione: i tre protagonisti, e in particolare Mad Dog, sono ossessionati dalle colpe e dagli errori commessi ma al tempo stesso non riescono minimamente a uscire dalla spirale di violenza e sopraffazione nella quale si sono cacciati. Sono ridotti a pedine di un gioco più grande di loro, animali rabbiosi pronti a sbranarsi a vicenda se le cose non vanno come devono andare.
Nel complesso il film scorre piacevolmente, poiché gli attori sono tutti calati nella parte (in particolare Willem Dafoe che dona il suo corpo scarnificato al tossicomane Mad Dog, uno schizzato, brutale coi nemici eppure estremamente fedele con gli amici, proprio come un cane, appunto) e perché l’alternanza stilistica fra le scene non annoia, ma anzi spiazza lo spettatore. Resta un piccolo dubbio se questo vagare eterogeneo e fumoso sia totalmente una scelta autoriale oppure denota una mancata coerenza sul piano esecutivo, in ogni caso Schrader non ha perso il tocco e regala alcune scene dalla forza filmica notevole.
Immagini tratte da: www.indiewire.com www.thenewyorktimes.com www.cinequanon.it |
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Maggio 2023
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