di Matelda Giachi
La recensione
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Genere: Drammatico
Anno: 2019 Regia: David Fincher, Andrew Dominik, Carl Franklin Cast: Jonathan Groff, Holt McCallany, Anna Torv, Stacey Roca, Joe Tuttle, Michael Cerveris, Lauren Glazier, Albert Jones, Sierra McClain Produzione: Denver and Delilah, Jen X Productions Inc. Distribuzione: Netflix Paese: Usa
Il termine “serial killer” nasce negli anni ’70; se ne attribuisce la paternità al detective dell’FBI Robert K. Ressler, che ha ispirato la figura di Bill Tench protagonista di Mindhunter. La stessa serie Netflix si ispira ad un libro scritto da due ex agenti del Bureau.
Nella prima stagione abbiamo visto come i detective Bill Tench e Holden Ford, rispettivamente interpretati da Holt McCallany e Jonhatan Groff, attore di Glee ma soprattutto di Broadway, abbiano con fatica dato origine ad una sezione dell’FBI che si occupa di studiare la mente di pluriomicidi tramite interviste ad individui già incarcerati, al fine di agevolarne la cattura tramite comprensione e anticipazione del comportamento.
La seconda stagione, rilasciata da Netflix il 16 agosto, ha il pregio di non essere solo un seguito, ma un’evoluzione della precedente. Sulla base dei primi 10 episodi costruisce ulteriori strutture narrative, prendendo una piega nuova. Prima di tutto, finalmente qualcuno inizia a credere nel progetto facendone il proprio investimento. Sarà un interesse reale o dettato dal possibile risvolto di immagine e di carriera che si legherebbe al suo successo? Mentre le interviste continuano portando all’incontro con criminali del calibro del figlio di Sam e di Charles Manson e seguaci, è giunto anche il momento di scendere sul campo e applicare quello che si è imparato finora, con tutti gli errori, le imprecisioni e lo scetticismo e l’ostruzionismo con cui ogni uscita dagli schemi prestabiliti è destinata a scontrarsi.
Un incrocio tra una sorta di documentario e la serie tv: forse è questo il vero punto di forza di Mindhunter che conquista lo spettatore. Personaggi fittizi ma ispirati a persone reali che si muovono all’interno di un pezzo di storia del crimine e della lotta ad esso. Con questo script a metà tra realtà e finzione, gli ideatori della serie portano i loro detective ad Atlanta. Qui, tra il 1979 e il 1981, si sono verificate almeno 28 uccisioni di bambini e adolescenti di colore. L’indagine finisce per essere il filo conduttore dei nuovi nove episodi, nel quale si inseriscono senza difficoltà momenti in cui si approfondiscono invece le vite dei tre protagonisti principali, le loro relazioni e problematiche personali.
Sembrava impossibile eguagliare la qualità della prima stagione, soprattutto perché, al di là della storyline centrale che unisce gli episodi, le serie di genere crime tendono a diventare ripetitive. Ma Mindhunter non cade nel tranello e anzi cresce e si conferma il migliore prodotto originale Netflix eguagliabile forse solo da Narcos.
Ogni cosa è portata avanti con scrupolo e intelligenza. Impressionante la somiglianza raggiunta nel riportare in più famosi criminali del tempo, almeno quanto l’eccellenza interpretativa di ogni membro del cast. Ad una struttura narrativa solida e capace di tenere col fiato sospeso, dove niente è scontato e prende la direzione immaginata, si aggiunge la genialità di un finale che lascia aperte tutte le domande. E con esse, non solo la curiosità dello spettatore, ma anche l’invito a un rinnovo quanto meno per una terza stagione, che sembra promettere di portare avanti le vicende di Bill e Holden ancora una volta in maniera diversa. Nel frattempo, il caso degli omicidi di Atlanta non è ancora stato chiuso. Voto: 9
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di Vanessa Varini
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Titolo: Il Re Leone
Paese di produzione: Stati Uniti d'America Anno: 2019 Durata: 118 minuti Genere: animazione, avventura, drammatico Regia: Jon Favreau Sceneggiatura: Jeff Nathanson Fotografia: Caleb Deschanel Effetti speciali: Robert Legato, Andrew R. Jones, Adam Valdez Musiche: Hans Zimmer Doppiatori originali e italiani: Donald Glover e Marco Mengoni (Simba adulto); Billy Eichner ed Edoardo Leo (Timon); Seth Rogen e Stefano Fresi (Pumbaa); Chiwetel Ejiofor e Massimo Popolizio (Scar); Beyoncé ed Elisa (Nala adulta); John Kani e Toni Garrani (Rafiki); James Earl Jones e Luca Ward (Mufasa)
In Africa gli animali festeggiano: è nato Simba il futuro Re Leone che succederà al padre Mufasa. Ma lo zio Scar vuole usurpare il trono e non esita ad uccidere il fratello e ad esiliare Simba, che s'incolpa della morte del padre. Simba scappa così dalla sua terra ed incontra il suricato Timon e il facocero Pumbaa, con i quali cresce spensierato, finché il suo destino non lo richiamerà a casa per reclamare le Terre del Branco.
Il 21 agosto è uscito nelle sale cinematografiche italiane il nuovo "Il Re Leone" diretto da Jon Favreau. Il regista ancora una volta, come nel remake di "Il libro della giungla", decide di non modificare la sceneggiatura del film che rispecchia quasi totalmente quella dell'omonimo classico Disney e di utilizzare la tecnica dell'animazione computerizzata e del fotorealismo per creare i personaggi del film, ispirandosi ai documentari. In effetti Simba e tutti gli altri animali della savana sembrano veri e non creati con la tecnologia del CGI.
Così Scar, l'antagonista della storia, non ha più gli occhi verdi e la sua caratteristica criniera corvina che lo caratterizzava nel cartone e questa modifica non l'ho molto apprezzata.
A parte ciò, il realismo é uno dei punti di forza del film, insieme alla grande espressività degli animali.
Altre gradite novità sono le voci di Elisa e di Marco Mengoni, che non solo cantano canzoni cult del Re Leone come L'amore è nell'aria stasera, ma doppiano rispettivamente Nala e Simba: sono bravi, anche se é insolito sentirli doppiare un film d'animazione.
Su tutti i doppiatori, però, prevale la voce profonda di Luca Ward, perfetta per il ruolo di Mufasa e l'ottima sintonia vocale della divertente coppia formata da Edoardo Leo e Stefano Fresi (il suricato Timon e il facocero Pumbaa).
Anche se le scene sono quasi tutte identiche al classico Disney, come ad esempio Rafiki che presenta Simba, appena nato, agli altri animali, è impossibile non commuoversi davanti alla morte di Mufasa o divertirsi ascoltando Hakuna Matata e quando Timon accenna la canzone Stia con noi della Bella e la Bestia per distrarre le iene. Il film inoltre fa maggiormente risaltare alcuni personaggi femminili come Nala e Sarabi, la madre di Simba e affronta temi molto attuali come la salvaguardia dell'ambiente. Infatti la Walt Disney, per l'uscita del film, ha ha lanciato una campagna per proteggere i leoni, una specie purtroppo sempre più a rischio di estinzione. Questo nuovo Re Leone non eguaglia il capolavoro d'animazione del 1994 per quanto riguarda la tecnica (i disegni rimangono imbattibili), ma fa rivivere le stesse emozioni di quando si guarda per la prima volta il cartone Disney. Quindi ve lo consiglio!
Immagini tratte da:
https://pad.mymovies.it/ https://www.cinematographe.it/ (FOTO 2 E 3) https://movies.gamesource.it/ https://blog.screenweek.it/ Di Federica Gaspari Genere: drammatico, thriller Anno: 2019 Regia: Yorgos Lanthimos Attori: Matt Dillon, Daphné Patakia, Susan Elle, Sara Lee, Eugena Lee, Rowan Key Sceneggiatura: Efthimis Filippou, Yorgos Lanthimos Fotografia: Diego Garcia Montaggio: Dominic Leung, Yorgos Mavropsaridis Produzione: Rekorder, Superprime, Merman, Droga5 Durata: 11 min Pochi autori hanno saputo gli ultimi anni sul grande schermo come Yorgos Lanthimos. Il cineasta greco, trovando un suo riconoscibile stile tra tradizione e modernità, ha cercato un cinema scomodo, una narrazione fuori dal comune che coinvolge lo spettatore in riflessioni e questioni complesse. L’ultima sua fatica in formato di cortometraggio è approdata alla 72esima edizione del Locarno Film Festival. Tra i titoli fuori concorso, infatti, è stato presentato Nimic, corto della durata di 11 minuti diretto da Yorgos Lanthimos e con protagonista un ritrovato Matt Dillon. A 17 anni dal suo ultimo progetto in questo formato, il regista dimostra sempre la sua maestria su temi cardine del suo pensiero. La vita di un uomo senza nome sembra scorrere tranquilla seguendo una rigida e anonima routine: sveglia ad un’ora prefissata, colazione, viaggio verso l’opera per le usuali prove come violoncellista in un’orchestra. Il suo giornaliero viaggio da pendolare metropolitano, tuttavia, sembra improvvisamente cambiare percorso nel momento di una inquietante rivelazione: è se la vita che si sta vivendo fosse sempre stata di qualcun altro? Se il copione delle nostre giornate fosse stato scritto per un altro interprete? Questi interrogativi non lasceranno scampo né al protagonista né al pubblico. Crescendo musicali avvolgenti e sinistri, ambienti eleganti e sofisticati ma incredibilmente asettici e freddi resi ancora stranianti dal solito tocco di fish-eye: bastano pochi istanti al regista greco per mettere una firma ben leggibile su ogni fotogramma. Basterà una manciata di secondi per entusiasmare i fan di questo stile di chiara influenza kubrickiana e per incuriosire il resto del pubblico con sguardi criptici e pochi ma cruciali dialoghi. L’incontro del protagonista con una donna che si comporta e agisce esattamente come lui innescherà una crisi d’identità ben rappresentata da giochi di riflessi e specchi che si basano sulla banalità delle interazioni umane, prive di meccanismi oltre la luccicante superficie. Una certezza nelle storie di Lanthimos non è mai così indistruttibile: lo spettatore sa che ad un certo punto del racconto riuscirà incredibilmente a crollare sprigionando tutte le possibili angosce del protagonista. Non bisogna stupirsi, quindi, se in breve tempo anche il pubblico non potrà rimanere impassibile davanti al dramma – sempre venato di surreale ironia – vissuto dallo sfortunato protagonista. Una forza maggiore esterna saprà sempre sconvolgere le carte. Questo è l’unico punto fermo. Immagini tratte da: www.locarnofestival.ch Di Federica Gaspari ![]() Genere: drammatico Anno: 2019 Regia: Koji Fukada Attori: Mariko Tsutsui, Mikako Ichikawa, Sosuke Ikematsu, Mitsuru Fukikoshi, Ren Sudo, Miyu Ogawa Sceneggiatura: Koji Fukada Fotografia: Kenichi Negishi Montaggio: Koji Fukada, Julia Gregory Produzione: Kadokawa Daiei Studio, Comme des cinemas Paese: Giappone, Francia Durata: 111 min Il Locarno Film Festival da sempre è un luogo di incontro di culture e prospettive. Il cinema europeo, sempre presente, non hai mai mancato di incontrarsi e confrontarsi quindi con quello asiatico. Anche alla 72esima edizione non è mancato questo aspetto con la presenza nel Concorso internazionale di titoli fortemente influenzati da entrambe le componenti. E’ il caso, infatti, del giapponese Yokogao – A girl missing, “thriller sociale” di Koji Fukada, vincitore nel 2016 dell’Un Certain Regard” a Cannes. Il titolo originale, traducibile con “profilo laterale”, suggerisce ben di più di un semplice thriller che si limita a seguire le regole di un amato genere: Fukada, infatti, chiarisce sin da subito che il suo obiettivo è avventurarsi tra le psicologie dei diversi personaggi e dell’intera società attuale. Ichiko (Mariko Tsutsui) è diventata parte integrante della famiglia per cui lavora come infermiera privata curando un’anziana donna. I suoi rapporti con ogni componente del nucleo sono leali e sinceri, senza filtri. Nel tempo libero, la donna aiuta anche le due figlie della famiglia a studiare e a fare i compiti. Sin da subito Ichiko diventa la confidente di Motoko (Mikako Ichikawa), la sorella maggiore. Quando la sorella minore Saki, tuttavia, scompare misteriosamente, tutti i legami creatisi vengono messi a dura prova da un comune segreto… Il regista Fukada sceglie toni ambigui e strutture narrative non lineari per raccontare il crollo umano della protagonista Ichiko, una donna semplice e sincera che, in breve tempo, si trova completamente isolata dalla società. Yokogao si sviluppa lungo i suoi 111 minuti di durata su due linee temporali, una contemporanea alla scomparsa di Saki e una successiva. Se il primo filone narrativo appare più semplice e lineare, il secondo è criptico ed enigmatico in modo tale da sostenere la tensione richiesta da un buon thriller, dettaglio non sempre presente nella prima linea. Il personaggio di Ichiko, splendidamente interpretato con sfumature da tragicommedia da un’ottima Mariko Tsutsui, viene così lentamente e dettagliatamente esplorato divenendo a tutti gli effetti fulcro della narrazione. La solitudine e l’abbandono di Ichiko, tuttavia, non si limita ad essere una critica verso la società giapponese, pronta a puntare il dito e a giudicare basandosi su confidenze e segreti. La donna stessa, infatti, è in parte artefice del suo destino. Nella seconda parte della pellicola emerge così anche una riflessione sull’egoismo da cui nessuno è immune, una sensazione che impedisce ogni possibile rapporto interpersonale sincero e ogni tentativo di riavvicinamento. Orgoglio oppure incapacità insuperabile? Su questo quesito il film purtroppo sembra vacillare, dando mezze risposte e mancando di colpire a fondo quando richiesto.
Nel complesso, tuttavia, la visione si rivela interessante e curiosa, soprattutto nell’analizzare e nel mettere in scena repentini cambiamenti di atteggiamento, ben rappresentati da un cast valido e convincente che rappresenta il punto di forza dell’ultima fatica registica di Koji Fukada. Immagini tratte da: www.locarnofestival.ch di Federica Gaspari L’ambito Pardo d’Oro è stato assegnato al portoghese Pedro Costa, coronando un’edizione tra innovazione e tradizione. Si è conclusa oggi la 72esima edizione del prestigioso Locarno Film Festival, imprescindibile appuntamento estivo del calendario delle kermesse cinematografiche più importanti del mondo. Dieci giorni di cinema, tradizione e innovazione - sotto l’attento e brillante sguardo della direttrice artistica Lili Hinstin - hanno trasformato il Lago Maggiore ancora una volta in uno spumeggiante palcoscenico su cui hanno trovato spazio nuovi talenti e grandi maestri della settima arte. Concorso Internazionale La corsa per il Pardo d’oro ha visto scendere in campo cineasti navigati e registi quasi esordienti. La costante, però, è sempre stata una visione insolita e innovativa sul passato, sul presente e sul futuro, I 17 titoli in concorso quest’anno hanno saputo avventurarsi tra mille generi affrontando tematiche e problematiche di attualità. Il vincitore, anzi, il trionfatore alla fine, tuttavia, è stato solo uno. Vitalina Varela, storia del viaggio di una donna capoverdiana in Portogallo in cui aspettative e realtà si scontrano, ha conquistato non solo il Pardo d’oro, il titolo più ambito, bensì anche il premio per la migliore attrice protagonista. Non mancano anche riconoscimenti per l’ottimo Pa-go del coreano Park Jung-bum, il brillante Les Enfants d’Isadora e la sorpresa A Febre. Tra le menzioni d’onore trova spazio anche l’italiana Delpero con Maternal. Pardo d’oro (Gran Premio del Festival) Vitalina Varela - Pedro Costa Premio speciale della giuria (Comuni di Ascona e di Locarno) Pa-go - Park Jung-bum Pardo per la miglior regia (Città e Regione di Locarno) Les Enfants d’Isadora - Damien Manivel Pardo per la migliore interpretazione femminile Vitalina Varela - Vitalina Varela Pardo per la migliore interpretazione maschile A Febre - Regis Myrupu Menzioni speciali Hiruk-Pikuk Si Al-Kisah - Yosep Anggi Noen Maternal - Maura Delpero Cineasti del Presente Nella sezione Cineasti del Presente, dedicata agli autori emergenti oppure alla loro seconda o terza opera, la pellicola senegalese Baamum Nafi di Mamadou Dia si aggiudica il premio più importante grazie alla sua abilità di intrecciare quotidianità con estremismi e problematiche più ampie. Pardo d’Oro – Cineasti del Presente Baamum Nafi - Mamadou Dia Miglior regista emergente (Città e Regione di Locarno) 143 Rue Du Désert - Hassen Ferhani Premio special della giuria Ciné+ Ivana Cea Groaznica - Ivana Mladenovic Menzione speciale Here for Life - Andrea Luka Zimmerman, Adrian Jackson Moving Ahead Moving Ahead Award The Giverny Document (Single Channel) - Ja’Tovia M. Gary Menzioni speciali Those That, at a Distance, Resemble Another - Jessica Sarah Rinland Shan Zhi Bei - Zhou Tao Numeri e grandi ospiti Anche questa edizione è stata arricchita dalla presenza di grandi nomi del cinema del panorama internazionale. Il ruolo dell’eclettico John Waters, omaggiato con le proiezioni dei suoi film più iconici, è stato riconosciuto con la consegna del Pardo d’onore. L’attrice premio Oscar Hilary Swank ha ricevuto il Leopard Club Award, un riconoscimento che ha trovato grande entusiasmo anche tra il pubblico che ha partecipato agli eventi che hanno visto protagonista l’attrice. L’Excellence Award, invece, è finito tra le mani di Song Kang-ho, icona del cinema coreano e protagonista della Palma d’Oro Parasite di Bong Joon-ho, anch’egli presente alla kermesse. Piazza Grande per dieci giorni si è trasformata nel più grande cinema sotto le stelle e le star, quelle del cinema, non sono mancate sul grande schermo del fulcro cittadino di Locarno: da C’era una volta a…Hollywood di Quentin Tarantino a Instinct – film con Carice Von Houten premiato con il Variety Piazza Grande Award – senza dimenticate il thriller 7500 con Joseph Gordon-Levitt.
Con la sua 72esima edizione, il Locarno Film Festival ha dimostrato di saper trovare uno sguardo sul panorama internazionale in grado di coniugare l’animo autoriale con quello più pop. Questa prospettiva ha rappresentato la mossa vincente per una kermesse che conferma e rinnova la sua grandissima qualità. Maggiori info su: (Immagini tratte da) www.locarnofestival.ch © Sabine Cattaneo / Locarno Film Festival di Federica Gaspari ![]() Genere: commedia, drammatico Anno: 2019 Regia: Tyler Taormina Attori: Haley Bodell, Cole Devine, Aaron Shwartz, Lori Beth Denberg, Danny Tamberelli, Clayton Sneyder Sceneggiatura: Tyler Taormina, Eric Berger Fotografia: Carson Lund Montaggio: Kevin Anton Produzione: Tago Clearing Film Studio, Omnes Films Paese: Stati Uniti Durata: 85 min Esordi, opere seconde o terze di registi emergenti provenienti da ogni parte del mondo: i primi passi caratterizzati da uno sguardo personale e unico sono in concorso nella sezione Cineasti del presente del 72esima edizione del Locarno Film Festival. Una selezione variegata e internazionale dona voce alle idee più originali spesso nella loro semplicità. E’ questo il caso di quello che può essere considerato un titolo perfettamente esemplificativo di tutte le intenzioni. Ham on Rye, primo lungometraggio curato dal regista classe 1990 Tyler Taormina, è un viaggio lineare ma non troppo in una realtà sospesa ma non per questo meno concreta. Girato con soli sedici giorni di riprese e un cast di oltre cento persone nella cornice della valle di San Fernando, questa pellicola è sorprendente e coinvolgente nonostante qualche perdonabile ingenuità nei ritmi narrativi. L’abito pronto per l’occasione, il dettaglio al posto giusto e la sveglia puntata sull’orario in cui ogni preparativo avrà inizio: il viaggio che porterà i ragazzi di una piccola cittadina ad un evento cruciale quasi con una processione rituale a cui non si può sfuggire. L’attesa si nutrirà di sogni e speranze che, tuttavia, potrebbero trasformarsi in disillusione e confusione. Tutto culminerà in una festa danzante, tra sorpresa, imbarazzo e decisioni che segneranno il futuro dei protagonisti. Un nutrito cast di giovanissimi attori e soleggiati paesaggi della provincia a stelle e strisce in una calda giornata che apre le porte delle agognate vacanze estive: ogni dettaglio lascia pensare all’ennesimo coming-of-age movie costruito da manuale senza troppa originalità o passione. Cosa può fare allora la differenza in un film di questo tipo? Schemi e strutture inevitabilmente si ripetono, non per questo, tuttavia, l’originalità nei toni e nelle atmosfere deve essere sacrificata. Il lungometraggio di Tyler Taormina, con invidiabile freschezza e surreale delicatezza, trova un’insolita e piacevole combinazione tra le narrazioni sulla giovinezza di Richard Linklater e le ambigue e le oniriche parabole di David Lynch. Lo sguardo di Taormina, nella triplice veste di regista, sceneggiatore e produttore, seguono i preparativi di un inevitabile rito di passaggio per i ragazzi della cittadina. C’è eccitazione, paura, curiosità e profonda inquietudine. Ogni sfumatura della vasta gamma di emozioni adolescenziali trova spazio sulla tela di Ham on Rye. La prima parte del film si concentra proprio su questo, avvolgendo con un’intrigante coltre di mistero l’atteso evento da Monty’s, piccolo locale e punto di ritrovo dell’intera comunità. Riti ironicamente ancestrali e aspettative si incontrano nel “giorno più importante della loro vita”, l’occasione che determinerà il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, cambiando destino ad ogni ragazzo. Dopo balli e feste, allora, ci saranno coloro che troveranno la loro strada, in netto contrasto, in uno straniante universo sospeso, con i ragazzi che, senza meta, rimarranno spaesati nella loro cittadina. Il film diventa così un originale e crudelmente ironico racconto di chi parte e chi resta, di ragazzi divisi tra realtà e desideri in una moderna e surreale versione dell’iconico American Graffiti di George Lucas.
Immagini tratte da: www.locarnofestival.ch Foto scattata in occasione della 72esima edizione del Festival di Cannes Di Federica Gaspari ![]() Genere: commedia, drammatico Anno: 2019 Regia: Quentin Tarantino Attori: Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Emile Hirsch, Al Pacino, Dakota Fanning, Bruce Dern, Austin Butler Sceneggiatura: Quentin Tarantino Fotografia: Robert Richardson Montaggio: Fred Raskin Produzione: Heyday Films Paese: Stati Uniti Durata: 161 min Molte pellicole e altrettanti registi negli anni hanno cercato di catturare la vera essenza del cinema mostrandone dinamiche e retroscena. Da Kelly ai fratelli Coen passando per Hazanavicious e Chazelle, l’immaginario del grande schermo, con tutte le sue sfumature di genere - o quasi! -, in un appassionante gioco meta-cinematografico ha spesso raccontato e sognato se stesso. Alla mitologia del cinema che narra la propria leggenda si aggiunge un nuovo capitolo grazie all’ultima fatica del regista cinefilo per eccellenza: Quentin Tarantino. C’era una volta a… Hollywood, sin dalla diffusione delle prime immagini con Leonardo DiCaprio e Brad Pitt, ha saputo giocare con la curiosità degli appassionati della settima arte. Dopo l’anteprima in concorso a Cannes, il film approda in esclusiva alla 72esima edizione del Locarno Film Festival in una speciale proiezione sotto le stelle del cinema all’aperto della Piazza Grande, fulcro della dinamica kermesse che ogni anno illumina il Lago Maggiore. IlTermopolio ha conosciuto in anteprima tutte le eclettiche personalità che animano questa pellicola, in uscita in Italia il 18 settembre. Al tramonto degli anni Sessanta, Hollywood continua ad essere la luccicante fabbrica di sogni che per decenni ha dominato l’industria dell’intrattenimento. Il grande schermo, tuttavia, non sembra sorridere facilmente a tutti, nemmeno ad un navigato attore televisivo come Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), interprete alla ricerca di un posto tra le grandi star. Insieme alla sua controfigura nonché migliore amico (Brad Pitt), Dalton cercherà tra ironia e fortuna la strada per il successo. La rovente estate del 1969, tuttavia, sembra avere piani ben più drammatici per il futuro di Hollywood. L’efferato omicidio dell’attrice Sharon Tate (Margot Robbie) cambierà per sempre l’illusione del grande schermo. In un confuso ma dinamico periodo per l’industria dell’intrattenimento, Quentin Tarantino sceglie quello che è considerato il momento più turbolento e drammatico nella storia del cinema come fulcro della sua narrazione. Con toni costantemente in un irriverente equilibrio tra commedia e dramma, l’acclamato cineasta di Knoxville omaggia riferimenti e schemi della sua arte, giocando abilmente con icone e leggende. La scelta di un racconto basato su eventi realmente accaduti non frena assolutamente la creatività del regista anche se, forse, in parte ne influenza lo stile. Per buona parte della durata, infatti, il film inaspettatamente non punta sui caratteri più marcati di Tarantino, scegliendo un’insolita ma non meno appassionata narrazione lineare dai ritmi poco concitati. La voce di Tarantino, tuttavia, è inconfondibile, soprattutto in un fantastico finale che cambia le regole del gioco e aggiunge anche un’inconsueta e inedita venatura malinconica alla storia. Grazie a questa sensazione che emerge con tutto il suo potenziale nell’epilogo, C’era una volta a… Hollywood imprime su pellicola tutte le contraddizioni coniugate in sogni e disillusioni di un’intera epoca memorabile non solo per il suo lato più scintillante. Certamente non sarebbe stato possibile senza un’accuratissima colonna sonora – altro marchio di fabbrica tarantiniano – e soprattutto un dream team di attori che incarna archetipi e stereotipi di un’era cinematografica portandoli su un altro livello. DiCaprio, perfetto nella sua gigioneggiante ossessione per il successo, diventa così l’attore incapace di reinventarsi ed entrare nella leggenda, in grado di conoscere solo la vera fama con un surreale e sfuggente incontro con Sharon Tate, una divina Margot Robbie capace di lasciare il segno nonostante le discusse battute centellinate che scolpiscono nel mito un personaggio e un astro nascente. L’ultimo lungometraggio di Quentin Tarantino nei suoi 161 minuti dell’ultima versione racchiude infiniti livelli e generi in grado di stuzzicare i più appassionati cinefili. La carta vincente di questo film, tuttavia, rimane il suo animo squisitamente dolce-amaro che, mantenendo intatta la cifra del regista, trova nuove sfumature e varietà. Sarà proprio questo a stupire soprattutto il pubblico che ha meno familiarità con il mondo acceso e travolgente di Tarantino. Immagini tratte da: www.locarnofestival.ch Foto scattata in occasione della 72esima edizione del Festival di Cannes
di Matelda Giachi
Anno: 2019 Paese: USA Ideatori: Darren Star, Jennie Garth, Tori Spelling, Chris Alberghini e Mike Chessler Cast: Gabrielle Carteris, Shannen Doherty, Jennie Garth, Brian Austin Green, Jason Priestley, Tori Spelling e Ian Ziering Episodi: 6 Produzione: FOX Prima di Glee, Gossip Girl, di The OC, anche di Dawson’s Creek. E’ stato Beverly Hills 90210 a ufficializzare il teen drama come genere. Prima di Dawson, Joey e Pacey, c’erano Brandon, Kelly e Dylan. 10 stagioni andate in onda tra il 1990 e il 2000; hanno dominato gli anni ’90 e la vita televisiva di chi cresceva in quel periodo cantando le Spice Girls e i Backstreet Boys. Recentemente cinema e televisione ondeggiano tra il rilascio continuo di prodotti nuovi, soprattutto per ciò che concerne le serie tv, ormai strutturate come un insieme di piccoli film che del cinema vantano anche sceneggiatori, registi e cast e un forte richiamo nostalgico che ci porta a essere sommersi di reboot BH90210 nasce da un’idea di Tori Spelling e Jennie Garth, rispettivamente Donna e Kelly della serie, rimaste grandi amiche. Dopo aver consultato gli altri ex protagonisti, la decisione è stata quella di non dare vita ad un reboot propriamente detto; nessuno se la sentiva di rientrare direttamente in panni chiusi nell’armadio quasi venti anni fa. E’ stato così sviluppato un finto documentario di 6 puntate, una specie di dietro le quinte (il più grande esempio di una struttura simile si è visto in teatro e al cinema con Rumori Fuori Scena) in cui gli attori portano in scena se stessi alle prese con l’idea di un reboot della serie che li ha resi famosi. Uno spettacolo nello spettacolo. La sceneggiatura riunisce episodi di vita reali dei vari attori insieme a speculazioni giornalistiche e di puro gossip, assemblate insieme così da rendere lo spettatore incapace di distinguere cosa sia vero e cosa no. Questo primo episodio andato in onda in data 7 agosto 2019 si apre quindi con i membri del cast principale costretti a ritrovarsi in occasione di una convention per il trentennale dall’inizio della serie. Jason Priestly, Ian Ziering e compagnia sono una versione estrema e autoironica di loro stessi. Appaiono tutti un po’ infelici, bloccati in un momento di vita di passaggio. Carichi delle proprie frustrazioni e dei non detti, preda delle domande insinuanti dei fan e col peso della morte dell’amico e collega Luke Perry ancora da metabolizzare, è forse proprio in questo ritrovarsi forzato che intravedono la svolta di cui avevano bisogno ma non riuscivano a trovare. Il passato è ciò da cui occorre ripartire per andare avanti, ipotizza Tori Spelling a fine episodio quando propone a Jennie Garth di scrivere con lei un reboot di Bevely Hills 90210. Come già detto, loro due sono poi effettivamente le creatrici di questo prodotto. La 1x01 ha tutte le caratteristiche di un pilot, una funzione puramente introduttiva. Riunisce il cast, crea l’effetto nostalgia, lancia l’idea ma conserva tutti gli assi nella manica per le puntate successive, prima fra tutti Shannen Doherty, che qui appare solo di sfuggita quel tanto che basta per far capire che tornerà a creare scompiglio come ai vecchi tempi. Si prende lo spazio per onorare Luke Perry, considerato all’unanimità il cuore dello show e scomparso a marzo di questo stesso anno, negli unici momenti totalmente autentici dell’episodio. Manca a loro e manca a noi. Una partenza atipica e che lascia un po’ perplessi ma che si è rivelata meglio del previsto e muta parte dello scetticismo in speranza e perfino curiosità per gli episodi a venire. L’idea di richiamare il passato senza però intaccarlo direttamente potrebbe non rivelarsi poi così male. Voto: 6,5 Trailer 1x02: Di Federica Gaspari La stagione estiva dei festival di cinema non sarebbe la stessa senza il prestigioso appuntamento del Locarno Film Festival. Dal 7 al 17 Agosto la città svizzera ospiterà nell’affascinante cornice del Lago Maggiore dieci giorni di anteprime e proiezioni. Il Termopolio per la prima volta avrà l’onore di potervi raccontare questo evento, aggiungendo un altro importante festival al ricco calendario di appuntamenti di questa stagione cinematografica che non smette di stupire. Il concorso internazionale La settantaduesima edizione del Locarno Film Festival sarà la prima sotto la guida della nuova direttrice artistica Lili Hinstin. I film in concorso proposti dal ricco programma coniugano uno sguardo ricercato con l’attenzione per il grande pubblico, mantenendo sempre la cura per la qualità che da sempre contraddistingue questo appuntamento. Parafrasando le parole della direttrice artistica, il Locarno Film Festival è un evento internazionale che prende rischi, osa e scommette su nuove idee e prospettive. Questa filosofia rimane il filo conduttore di una selezione di film che spazia tra diversi generi, culture e storie. Le pellicole in gara nel concorso internazionale rispecchiano lo spirito del festival e comprendono nomi del calibro di Pedro Costa, Koji Fukada Joao Nicolau e Park Jung-bum e promettenti esordi tra cui Joe Talbot, Maura Delpero e Basil da Cunha. Chi si aggiudicherà l’ambito Pardo d’Oro? A Febre, regia di Maya Da-Rin Bergmal, regia di Runar Runarsson Cat in the wall, regia di Mina Mileva e Vesela Kazakova Das Freiwillige Jahr, regia di Ulrich Kohler e Henner Winckler Douze Mille, regia di Nadege Trebal Fi Al-Thawra, regia di Maya Khoury Hiruk-Pikuk Si Al-Kisah, regia di Yosep Anggi Noen Les enfants d’Isadora, regia di Damien Manivel Longa Noite, regia di Eloy Enciso Maternal, regia di Maura Delpero O Film Do Mundo, regia di Basil Da Cunha Pa-Go, regia di Park Jung-bum Technoboss, regia di Joao Nicolau Terminal Sud, regia di Rabah Ameur-Zaimeche The Last Black Man in San Francisco, regia di Joe Talbot Vitalina Varela, regia di Pedro Costa Yokogao, regia di Koji Fukada Proiezioni sotto le stelle e ospiti d’eccellenza Non solo Concorso Internazionale: decine di film verranno proiettati in anteprima nelle categorie Concorso Cineasti del Presente, Pardi di domani e Piazza Grande. Quest’ultimo, in particolare, comprende una serie di film proiettati al cinema all’aperto allestito nell’omonima piazza nel centro di Locarno con una platea di 8000 spettatori. Tra i film al centro di questa selezioni ci saranno anche C’era una volta a… Hollywood! di Quentin Tarantino e 7500, thriller d’esordio di Patrick Vollrath con Joseph Gordon-Levitt. Tra gli ospiti speciali di questa edizione: il vincitore della Palma d’Oro di Cannes Bong Joon-ho insieme al suo attore di riferimento Song Kang-ho e l’attrice premio Oscar Hilary Swank. Seguiteci su Facebook e Instagram per non perdere nemmeno un attimo della nostra grande avventura al Locarno Film Festival 2019!
Immagini tratte da: https://www.locarnofestival.ch/ |
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Giugno 2023
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