Questa notte, dopo ore di attesa, alle 00.01 le librerie italiane hanno messo in vendita "Harry Potter e la maledizione dell’erede" (Salani), l’ottava storia del maghetto con gli occhiali e la cicatrice a forma di saetta. Quelli che hanno iniziato a leggere Harry Potter da adolescenti e oggi sono adulti, cosa penseranno di questo nuovo romanzo? E soprattutto vi ricordate come tutto è iniziato? Era il 2001 quando venne adattato il primo romanzo scritto dalla britannica J.K. Rowling sul maghetto "Harry Potter", intitolato "Harry Potter e la pietra filosofale". Potter vive con gli zii e il cuginetto sin dalla più tenera età dopo la morte dei suoi genitori, ma è ignorato da tutti anche a causa di alcuni suoi poteri magici. Finché un giorno il gigantesco Hangrid gli recapita una lettera dove apprende di essere stato ammesso a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Gli zii a questo punto non possono far più nulla e Harry raggiunge la Scuola dove apprende che il suo nome è già conosciuto e di avere naturali doti magiche ereditate dai suoi genitori. Nella scuola affronterà molte avventure sempre accompagnato dai suoi migliori amici Hermione e Ron.
Nel ruolo di Harry Potter troviamo Daniel Radcliffe, ragazzino di undici anni, timido, occhialuto, un ragazzo normale che in poco tempo diventa un modello per tutti gli adolescenti incompresi. Hermione Granger, invece, è interpretata da Emma Watson, una ragazzina secchiona e dalla zazzera arruffata e dallo improbabile stile British, prima ancora di diventare nella vita vera, da adulta, un'icona di stile e un'icona femminista e Ron Weasley, Rupert Grint, dai capelli rossi e la faccia buffa che rappresenta il compagno dotato di molto senso dell'umorismo.
Insomma personaggi realistici, che affrontano problemi comuni a tutti nonostante loro vita si svolga tra pozioni magiche e strane creature, in un universo fantastico e per questo motivo sono diventati delle icone mondiali. E non dimentichiamoci Maggie Smith (Violet di "Downton Abbey) e Draco Malfoy (interpretato da Tom Felton) grandissimi attori che fanno parte del cast. "Harry Potter e la pietra filosofale" é un film piacevole e divertente, con degli effetti speciali semplici, non è stata usata una tecnologia strabiliante con cui siamo bombardati oggi e le due ore e mezza non annoiano mai. È un film coinvolgente, che fa tornare ragazzi e volare nel regno della fantasia anche gli adulti, perché non è mai troppo tardi per sognare. E poi il lieto fine è scontato e il tutto è accompagnato in modo lieto dalla colonna sonora, composta da John Williams. Per tutti questi motivi e la bravura dei protagonisti (anche il malvagio Voldermort é perfettamente
inquietante), la saga di "Harry Potter" ha avviato una grande produzione commerciale (peluche, videogiochi) e rimarrà per sempre nei cuori di tanti ragazzi che hanno passato l'adolescenza in compagnia del maghetto, affrontando cadute e rinascite come il loro beniamino.
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25/9/2016 Quattro film di velluto rosso - The Neon Demon, The Witch, It Follows, Man in the DarkRead Now
Alcuni dei film più interessanti e intriganti dell’anno sono stati all’insegna dell’horror e del thriller, generi classici che nelle mani dei cineasti dei seguenti film hanno assunto forme originali, personali e di alta qualità. The Neon Demon, The Witch, It Follows e Man in the Dark, tre dei quali opere di giovani registi, hanno saputo far ripiombare la tensione in sala, raccontando di storie morbose, personaggi complessi e di luoghi famigliari e nello stesso tempo oscuri.
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La pellicola più particolare delle quattro è indubbiamente The Neon Demon, decima opera del danese Nicolas Winding Refn, che sin dalla sua comparsa al Festival di Cannes ha suscitato scalpore e pareri altamente contrastanti. Non poteva essere altrimenti, visto che tutta la produzione del regista (che oggi si firma con la sigla NWR) è sempre stata controversa e altamente particolare, il riflesso di quella singolare fusione di arte e vita che ha fatto di Refn oramai uno dei cineasti più interessanti del secolo. Questa volta l’intento dichiarato del regista è stato quello di fare un film sulla bellezza, e per raggiungere questo scopo usa tutta la sua decennale esperienza creando un mix incredibile di immagini altamente estetiche e dettagliatamente curate, dove i dialoghi vengono completamente assorbiti e i pensieri dei personaggi si perdono. La diafana e innocente bellezza di Elle Fanning viene continuamente scrutata con gelido distacco dalla camera da presa, mentre il mondo della moda nel quale la ragazza si ritrova catapultata assume i contorni assurdi e surreali alla Alice nel paese delle meraviglie. Dietro alle passerelle, alle luci delle macchine fotografiche e a tutto questo mondo sgargiante si annida però una sete di bellezza costante, che farà emergere ossessioni e fantasie deviate dei vari personaggi che la protagonista incontrerà nel corso della vicenda. Refn tesse i contorni di un incubo ipnotico dove più che la trama sono i colori, i suoni e il non detto che dominano il film, invitando continuamente lo spettatore ad abbandonarsi ad essi per godere appieno del risultato. Alla fine, non si potrà rimanere indifferenti di fronte a The Neon Demon: lo si amerà o lo si odierà. E questa è una prerogativa soltanto dei grandi artisti con una visione forte della propria arte.
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Vera e propria rivelazione in campo horror è stato The Witch (o The VVitch secondo una dicitura più antica), opera prima dell’americano Robert Eggers dai trascorsi da scenografo teatrale e da sempre appassionato a tutto ciò che circonda la figura della strega. Non è un caso quindi che il giovane Eggers ambienti nel nativo New England la vicenda del film: nel 1630 una famiglia calvinista viene cacciata dalla sua comunità insediandosi al limite di un bosco, facendo così emergere tensioni fra i membri della famiglia stessa, mentre nello stesso tempo un’oscura figura emerge dalla profondità della natura. Eggers è abilissimo nel saper dare un tono ambiguo all’intera vicenda, portando lo spettatore a chiedersi se la strega sia reale o la proiezione dell’inconscio puritano della famiglia. La sua rappresentazione infatti ha un vago sapore antropologico, essendo anche storicamente molto accurata in ogni dettaglio, dagli abiti, all’ambientazione, sino alla lingua parlata, l’inglese dei coloni del XVII secolo: si ha quasi l’idea di essere di fronte ad un’opera di teatro. Completamente girato in luce naturale e con delle sequenze che sembrano dei veri e propri dipinti d’ispirazione dell’epoca, The Witch gioca tutto sull’atmosfera plumbea e sporca che rispecchia perfettamente l’animo dei personaggi, sui quali primeggia la figura della giovane Tomasin (Anya Taylor-Joy, incredibile se si considera che è un’esordiente), protagonista in continuo divenire sino al finale. In bilico fra fiaba gotica e realismo, l’opera riesce a rielaborare in maniera personale un topos della letteratura e del cinema senza ricorrere a particolari effetti o a scene sanguinolenti ma solo attraverso la forza dell’atmosfera, seminando dubbi e accennando al possibile orrore nascosto.
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Terzo film dove per la terza volta ci si imbatte in una protagonista femminile, giovane e bella. Se in The Neon Demon e The Witch la bellezza è lo specchio dell’ambiguità dei personaggi (tratto fondamentale nel film di Refn, accennato ma comunque presente nella vicenda in quello di Eggers), in It Follows assume i contorni di un’assurda condanna. Condanna a morte, naturalmente, visto che la “cosa” del titolo viene trasmessa da persona a persona tramite il sesso, perseguitando in maniera inesorabile chiunque abbia avuto un rapporto sino ad ucciderlo. La giovane Jay ne viene a contatto e solo lei può vedere questa minaccia che si nasconde dietro corpi e visi di persone dall’aria zombesca, lenti ed implacabili. Dietro ad una storia del genere sarebbe troppo facile intravvedere lo spauracchio di qualche malattia sessualmente trasmissibile o quello del senso di colpa di cattolica memoria; queste possono essere alcune delle numerose chiavi di lettura del film, e la bellezza e lo scarto che rende It Follows unico rispetto ad altre pellicole del genere è la sua predisposizione a molteplici interpretazioni. A ciò contribuisce la messa in scena, atemporale e immersa in luoghi così tipici e comuni della periferia americana da essere completamente svuotati di qualsiasi caratterizzazione. Agli appassionati, questo dato, insieme al complesso della messa in scena, farà venire in mente classici come Halloween o Nightmare e tanti altri slasher anni ’80, ma la bravura di David Robert Mitchell (giovane talento al suo secondo film) è tale da occultare benissimo le sue influenze, rielaborandole grazie ad una regia molto particolare e dal sapore sperimentale. Pur con un occhio distaccato, It Follows riesce a calare completamente lo spettatore nella vicenda, sino ad immedesimarsi non tanto con i giovani personaggi ma con i luoghi, le strade e tanti altri piccoli particolari che, sapientemente gestiti, creano tensione e suspance continua. Come per The Neon Demon, anche It Follows è un’opera senza mezze misure, che si può amare od odiare. Ciò che è indubitabile però è l’altissima qualità che lo rende un film apprezzabile anche al di fuori del suo genere d’appartenenza.
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La periferia, classico non luogo per molti horror statunitensi, ritorna anche in Man in the Dark dell’uruguaiano Fede Alvarez, qui alla sua seconda opera dopo il remake di Evil Dead (La Casa, per chi non lo sapesse). E Sam Raimi (ideatore della saga della Casa, per chi non sapesse anche questo) lo ritroviamo anche fra i credits in veste di produttore, oltre che come nume tutelare per quanto riguarda lo stile generale del film di Alvarez. Una trama tanto semplice quanto efficace: tre ragazzi, Rocky, Alex e Money, sono specializzati in furtarelli in varie case di persone ricche e agiate. La giovane Rocky in particolare pensa solo a mettere da parte un po’ di grana per portare via la sorellina dal degrado in cui versa la sua famiglia, con una madre assente e un padre scomparso. Un giorno per tutti e tre si presenta l’occasione della vita: derubare un vecchio e cieco reduce del Vietnam che abita in una zona completamente isolata della città, possessore inoltre di un discreto gruzzolo. Niente di più facile quindi, ma naturalmente non è così. I predatori si trasformeranno ben presto in prede e la discesa verso l’inferno che Alvarez prepara lungo l’ora e mezza di film è implacabile e perfettamente orchestrata con un continuo crescendo di tensione che inchioda letteralmente lo spettatore sino alla fine. Ogni particolare viene abilmente calibrato per poter preparare il terreno all’esplosione successiva: prima di tutto dal fatto che i ragazzi non possono parlare fra loro (da qui il titolo originale Don’t Breathe rende molto più l’idea) e poi grazie ai tocchi registici che riescono a giocare con l’ambiente, trasformando una vecchia e fatiscente casa in un labirinto di stanze, con la camera che si aggira fra gli ambienti proprio come un ladro e soffermandosi furtivamente su alcuni particolari (un martello, delle foto, una campanella) che spingono lo spettatore a chiedersi quali siano i loro scopi. Il male, rappresentato dal vecchio cieco e interpretato da un’incredibile Stephen Lang, assume forme concrete ma non di meno implacabili, quasi soprannaturali, cosa che rende i protagonisti completamente in balia degli eventi e della violenza feroce e, letteralmente, cieca di questa oscura figura. Pur essendoci sangue, Alvarez lo usa il giusto senza mai soffersi a contemplarlo o scadendo nello splatter: il tono generale è quello di un thriller cupo e nero, che prende un’inaspettata piega horror quanto più il regista si addentra nella descrizione della vicenda del vecchio. Nessuna disamina sociologica sul degrado delle periferie, nessun sottotesto particolare, nessun messaggio di natura intellettuale: Man in the Dark va dritto al sodo raccontando una storia con piglio da film di genere, ma dei migliori. Una martellata in pieno volto, una rasoiata improvvisa alla gola che lascia senza respiro: questo è Man in the Dark, che saprà accontentare i fan della tensione o chi vuole provare un po’ di sani brividi lungo la schiena.
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Un film di Sharon Maguire. Con Renée Zellweger, Colin Firth, Patrick Dempsey, Jim Broadbent, Gemma Jones. Titolo originale Bridget Jones's Baby. Commedia, durata 125 min. – Gran Bretagna 2016. - Universal Pictures
Atteso, è uscito al box-office lo scorso 22 settembre Bridget Jones’s baby, terza pellicola che segue i fortunati Che pasticcio Bridget Jones (2004) e Il Diario di Bridget Jones (2001).
È il 9 maggio e Bridget si trova a spegnere le candeline nuovamente sola. La sua stessa voce narrante, tra un misto di ironia e malinconia, ci informa della svolta: dopo cinque anni di zitellaggio cronico ha messo da parte progetti a lungo termine con gli uomini e punta soltanto a godersi la vita, iniziando dal frequentare donne più giovani di lei, come l’esuberante collega trentenne Miranda. Qualcosa di buono c’è: ha raggiunto il peso forma e, nonostante i 43 anni appena compiuti, si sente ancora attraente e forse più sicura.
Bridget verrà affiancata, come la tradizione vuole, da due prestanti figure maschili: l’inossidabile Mark (Colin Firth), affascinante avvocato di successo e l’aitante Jack (Patrick Demsey, il dottor Derek di Grey’s Anatomy che sostituisce egregiamente il donnaiolo Daniel, interpretato da Hugh Grant nelle passate pellicole), conduttore di un programma su di un presunto algoritmo dell’amore. Circostanze fortuite la condurranno ad incontrare entrambi a distanza di breve tempo. Prima sarà la volta del bel Jack, al quale mostrerà l’ amabile lato di goffa pasticciona, poi del tenebroso Mark, forse mai veramente dimenticato. Per spiegare un incomprensibile aumento di peso, Bridget si sottopone al test di gravidanza e si scopre incinta. Di chi sarà il bimbo? Lo scopriremo soltanto a fine pellicola. Nel frattempo i due uomini- dopo un iniziale smarrimento circa l’impossibilità di accertarsi della paternità (Bridget è contraria infatti a sottoporsi all’ amniocentesi) - faranno a gara per darle attenzioni e seguirla durante la gestazione, in una agguerrita competizione. Equivoci e qualche bugia di troppo determineranno l’allontanamento di uno dei due aspiranti papà, ma le cose si aggiusteranno in breve tempo.
Divertenti ed entusiasmanti le atmosfere di inizio film, con una Bridget lanciatissima che balla divertita le canzoni di Ed Sheeran, da lei comicamente scambiato per il commesso del Mc Donald; per lasciare spazio, nella seconda parte, ad atmosfere più introspettive e legate alla gravidanza, come i deliziosi siparietti con la ginecologa Emma Thomson.
Il plot su cui la pellicola ruota, che probabilmente ne garantisce il successo, è la classica formula del triangolo amoroso, infarcito da divertenti equivoci e dall’ironia dolcemente malinconica della alquanto pasticciona protagonista. Viene anche sfiorato il tema sociale della gravidanza delle ragazze madri, viste con pregiudizio da certa parte della middle class inglese, di cui la famiglia della Jones fa parte. La comunità si aprirà alle diversità e la stessa madre di Bridget, candidata alle elezioni, vincerà con uno slogan che inneggia all’integrazione nei confronti di immigrati, omosessuali e ragazze madri. Commedia romantica che regala risate ed emozioni. Bridget uscirà trionfante dallo zitellaggio cronico delle non rosee premesse di inizio film. Esilarante, comica, goffa e sicuramente più attempata, ma sempre incantevole. Film godibile e che non annoia, consigliato!
Immagini tratte da:
mamme.it bridgetjonesmovie.com eonline.com
Intervista agli eclettici e intraprendenti ragazzi di Cinematica Film, un gruppo di amici che mastica Cinema 24 ore su 24 e non smetterebbe mai di parlarne...
É sempre bello poter parlare di arte con persone che non solo cercano di farla, ma che la vivono quotidianamente, la percepiscono in tutte le sue sfumature e la vogliono condividere con grande entusiasmo con tutti gli altri esseri umani che popolano questo folle e troppo frettoloso mondo. Già, perchè la frenesia del vivere quotidiano non ci permette mai di rilassarci né di cogliere l’infinita bellezza di alcune piccole opere che scavano dentro le nostre emozioni per cercare di regalarci un sorriso o magari più semplicemente di farci innamorare. Ecco è proprio questo che ho colto quando ho visto l’Amore é Tutto Qui, corto cinematografico realizzato da Cinematica Film, un progetto ideato da Marco Fiorentini, Cristiano Bacci, Federica Fiorentini e Marco Cioni. L’affiatato gruppo toscano ha già prodotto quattro corti e si distingue soprattutto per le accurate sceneggiature e le belle inquadrature che colgono l’essenza dei vari posti in cui hanno girato. Li abbiamo incontrati al Cinema Arsenale di Pisa durante la loro presentazione per l’ultimo progetto uscito. Prima di goderci il loro emozionante corto abbiamo assistito inoltre a una performance live del trio musicale composto da Ernesto Fontanella, Bernardo Sommani e Gianni Valenti, altri tre grandi artisti toscani che sanno regalare allo spettatore sincere emozioni. Non voglio rubarvi altro tempo e prima di lasciarvi all’intervista vi invito a guardare l’Amore è Tutto qui e a sostenere i progetti futuri di questi ragazzi, grande esempio di lavoro e abnegazione che smentiscono l’etichetta di fannulloni che ci ha affibbiato negli anni, troppo frettolosamente, la società di oggi. Un saluto e una buona lettura da tutta la redazione del IlTermopolio.
Ragazzi è un piacere potervi intervistare dopo la visione del vostro bel corto, parlateci un pò del vostro progetto, cos’è Cinematica Film?
Il piacere è tutto nostro e vi ringraziamo per i complimenti ricevuti. Io (Marco Fiorentini) e Cristiano (Cristiano Bacci) siamo due ragazzi pisani che lavorano insieme dal 2013 e da allora abbiamo realizzato ben quattro cortometraggi. La nostra prima opera è stata Il Grido, un corto surreale che abbiamo girato in co-regia. Ci siamo rifatti al cinema surrealista e dadaista francese come quello di Renè Clair. Per lo più il nostro primo corto è frutto delle esperienze accademiche e della forte passione di voler far cinema. Il Grido in realtà nacque nelle nostre menti dapprima di vedere la più importante pellicola di Clair, ovvero Entr’Acte (Intervallo, 1924), ma dopo averla vista ha poi preso la sua forma definitiva, rendendoci molto soddisfatti del lavoro svolto. Dopo il nostro primo progetto abbiamo deciso di suddividerci i compiti, Cristiano si occupa tutt’oggi di curare la fotografia, mentre Marco la regia. L’amore è Tutto qui è l’ultima nostra fatica e si differenzia molto dai primi tre corti girati. Oltre a quest’ultimo appena citato e Il Grido abbiamo girato pure Sul Confine del Mare e A Fior di Pelle. Tutti i nostri corti sono molto diversi fra loro, ad esempio Sul Confine del Mare è un corto molto sperimentale, il soggetto si basa su una poesia che ha scritto Marco e la nostra intenzione è stato quella di dare un immagine a quelle parole, volevamo realizzare una sorta di video-poesia, un progetto che ci ha permesso di sperimentare parecchio. Mentre con a Fior di Pelle avevamo intenzione di lavorare molto sulla regia dato che avevamo una trama a disposizione molto lineare. Dopo le esperienze accumulate con i primi tre corti abbiamo deciso di scrivere questa sceneggiatura, molto matura per certi versi. Marco collabora da sei anni ormai con uno dei due attori protagonisti del corto,nonché fondatore di Guascone Teatro, ovvero Andrea Kaemmerle, alias Dante e da tre anni conosce Riccardo Goretti, ovvero Ugo (da quando Riccardo è entrato a far parte di un paio di produzioni di Guascone Teatro). É la prima volta che lavoriamo con attori professionisti e questo ha agevolato non di poco la regia, bastava dare una semplice direzione agli interpreti e poi il fatto di lavorarci insieme, di averli visti innumerevoli volte in azione ci ha permesso di lavorare in perfetta sintonia, difatti la sceneggiatura l’abbiamo scritta su di loro.
Quanto è stato difficile scrivere la sceneggiatura?
Non è stato complicato, l’ho scritta (Marco) insieme a Rosa Iacopini, mia cara amica con la quale faccio teatro da ormai diversi anni. L’ho chiamata perchè mi piace molto come scrive e sapevo che non avrei corso troppi rischi insieme a lei. Un ruolo fondamentale lo hanno avuto pure gli attori, fondamentali nella realizzazione dei dialoghi e nel caratterizzare i personaggi. Hanno sfruttato al meglio che potevano tutta la loro esperienza teatrale e lasciami dire che lavorare con persone del genere è sempre un piacere. Ripensando agli stretti tempi che avevamo per girare e le difficoltà di produzione, ce la siamo cavata abbastanza bene.
Quanto sono durate le riprese di l’Amore è tutto qui?
Abbiamo iniziato il 3 Ottobre del 2015 e le abbiamo terminate il 3 Dicembre. Lo abbiamo girato in 7 giorni ripartiti in due mesi di duro lavoro. Per le sequenze del bar avevamo previsto una serie di riprese un po più lunghe, ma purtroppo per diverse ragioni abbiamo dovuto stringere, prendendoci un po più di tempo per curare gli esterni. Il corto è strutturato per lo più all’interno del bar quindi ci siamo presi circa due giorni e mezzo. Non sono mancati gli imprevisti ovviamente e l’ultimo giorno di riprese è stato faticosissimo. Durante quella giornata abbiamo dovuto fare dei salti mortali pazzeschi, dovevamo curare la parte tecnica di uno spettacolo teatrale e abbiamo dovuto compiere diversi spostamenti. Alla fine siamo riusciti a ultimare tutto e solo durante le riprese notturne abbiamo ripreso fiato.
Quanto è stato importante aver girato all’interno di casa vostra, quanto è importante per voi Pisa?
Molto importante, (Cristiano) siamo due pisani che hanno passato nella loro città gli anni più importanti della loro vita. Io sono nato a Vicopisano mentre Marco è nato a Bientina. Per noi di Cinematica il territorio è essenziale, il contesto che abbiamo voluto mostrare con il nostro corto è quello della cultura toscana, racconta del nostro modo di vivere la vita, un contesto che per capire a fondo dev’essere vissuto a 360 gradi. I nostri personaggi sono parte stessa del territorio, sono legati indissolubilmente. Le loro radici sono qui, come le nostre e quindi ci tenevamo particolarmente a raccontare le nostre origini. Ci ispiriamo molto alla commedia toscana, a partire dalle pellicole di Nuti, Benvenuti, Benigni fino ad arrivare a mosti sacri come il maestro Monicelli, ovviamente questo è solo il nostro background di partenza, è ovvio che non ci sia finito tutto nella nostra cinematografia. Ci teniamo a dire però che per noi Amici Miei è assolutamente illuminante, un film unico nel modo in cui è stato girato, adorabile e che mette d’accordo diverse generazioni di spettatori.
Cosa vi augurate per questo vostro corto?
Abbiamo grandi aspettative, abbiamo lavorato duramente e aver visto le persone in sala piacevolmente coinvolte e divertite dalla nostra opera è stato importantissimo e grande motivo di orgoglio, una grande soddisfazione per noi che amiamo questa professione. É stato selezionato da diversi festival cinematografici come il Prato Film Festival, il Salento Finibus Terrae, i Corti di Sabbia e dal Montecatini Short Film Festival, a cui parteciperemo proprio a inizi Ottobre. Siamo molto entusiasti di partecipare a queste manifestazioni, è sempre bello potersi confrontare con altri colleghi e con altre giovani realtà come la nostra. Siamo in contatto pure con la Fedic di Firenze, che ci sta dando una grossa mano per la distribuzione del corto.
Che progetti ha Cinematica per il futuro?
L’idea alla base dei nostri cortometraggi è stata sempre quella di alzare l’asticella e ce ne siamo resi conto guardando i nostri lavori passati, dal Grido ad ora ci siamo resi conto della nostra crescita professionale, un miglioramento evidente. Con un gruppo di ragazzi, che ha sede a Livorno, I Ratto Robot stiamo pensando di portare avanti un interessante progetto. Per le prossime collaborazioni vorremmo lavorare con dei coetanei, magari delle realtà emergenti come la nostra per poter sviluppare progetti e idee innovative. Abbiamo tanta, tantissima voglia di fare e vogliamo creare un ambiente dove la comunicazione sia alla base di tutto. Il prossimo corto lo girerà Marco Cioni, altro importante componente di Cinematica. Era da tempo che Marco ci parlava del suo desiderio di girare un horror, abbiamo accontentato il suo desiderio e siamo attualmente a lavoro, grazie anche alla collaborazione di Mattia Querci dei Ratto robot, che ha scritto il soggetto. Al momento stiamo lavorando anche ad un altro cortometraggio, molto buffo, che parla di due soldati nemici naufraghi sulla stessa isola deserta, una riflessione sull'uomo, sui suoi istinti, paure e necessità. La nostra forza è quella di essere uniti, quella di esser riusciti a creare un gruppo affiatato in cui tutti possono dire tranquillamente dire la propria opinione, dove non c’è solo un regista, un direttore della fotografia o un segretario di dizione. Siamo giovani e ci rendiamo conto che abbiamo tanto da imparare ma ci auguriamo di poter realizzare il nostro primo lungometraggio prima dei 40 anni, in controtendenza con la nostra industria cinematografica che sembra, troppo spesso, non accorgersi abbastanza dei giovani che vogliono ardentemente intraprendere questa strada.
Prima di lasciarci avete qualche consiglio da dare ai vostri coetanei che si approcciano al cinema?
Certo, sentiamo di consigliare il nostro stesso metodo, ovvero di uscire in strada, telecamera alla mano, non importa con che qualità ma è essenziale provare, mettersi d’impegno e gettarsi nella mischia. Girate e continuate a farlo senza troppi preconcetti, sentitevi libere di dare sfogo alla vostre idee. Leggete e non smettete mai di farlo, divorate più libri possibili e andate al cinema e al teatro, è molto importante non smettere mai di guardare film e di assistere a spettacoli teatrali, vi sarà sicuramente d’aiuto per crescere professionalmente o magari per offrirvi degli spunti da cui poter partire per dare vita ai vostri progetti. Immagini gentilmente concesse da Cinematica Film
IlTermopolio oggi è lieta di offrirvi l’interessante intervista con il regista, sceneggiatore e scrittore Ivan Cotroneo, certezza assoluta del panorama nazionale...
Quando parli con una persona di spessore e dotata di grande intelligenza te ne accorgi subito. Oggi il sottoscritto e tutta la redazione è felice di regalarvi l’interessante incontro con Ivan Cotroneo, regista di capolavori come La Kriptonite nella Borsa e sceneggiatore di film insieme a importanti registi italiani, giusto per citarne un paio: Paz, l’Ultimo giorno, l’Uomo che ama, La prima Linea, Io sono l’Amore e tanti altri ancora. Lo abbiamo intervistato grazie all’incontro che ha organizzato il Cinema Arsenale con un liceo di Pisa, nel quale Cotroneo ha presentato la sua ultima fatica da regista: Un bacio. Le pellicole di Ivan sono sempre molto attuali e affrontano problematiche che possiamo riscontrare nel quotidiano. Con un Bacio poi è riuscito a mettere d’accordo sia pubblico che critica, impresa non da poco direi. Nella sua opera parla di bullismo, omofobia, adolescenza e di come i ragazzi non debbano aver paura della vita. Vi consigliamo caldamente di guardarlo e di leggere il romanzo, perchè c’è molto da imparare osservando il mondo con gli occhi di Cotroneo. Non voglio trattenervi molto e vi lascio alla nostra intervista, ringraziando come sempre per la generosa collaborazione il Cinema Arsenale di Pisa, anche loro sempre attenti a selezionare importanti personaggi che ci fanno crescere dal punto di vista non solo culturale ma anche umano. Buona lettura e presto con il nostro consueto appuntamento domenicale.
Ivan inanzitutto grazie per averci concesso quest’incontro, parlaci di Un Bacio, tua ultima fatica letteraria e cinematografica...
Grazie a voi ragazzi. Un bacio nasce da un articolo di giornale che lessi durante il mio soggiorno negli Stati Uniti nel 2008, un tragico fatto di cronaca ovvero l’omicidio di Larry King, un ragazzino di quindici anni ucciso a scuola il 12 Febbraio del 2008. Larry era un ragazzo adottato che aveva cambiato scuola e si era traferito da poco in questo liceo californiano. Arrivò portando con sè un’anima piena di vita e con un’incredibile energia, non nascondendo le sue unghia smaltate e le camicie da donna, che generalmente indossava. Si venne a creare, com’era prevedibile, un contrasto con gli altri liceali e in particolar modo con un gruppo di bulli che lo prese subito di mira. Lui nel frattempo si era innamorato di un ragazzo di un anno più grande, tale Brandon Mclnerney. Il giorno di San Valentino Larry decise di dichiararsi portando come dono al ragazzo un cuore ritagliato su un cartoncino rosa, infischiandosene dei pregiudizi e delle malelingue. Ovviamente questa mossa puntò i riflettori del ‘’branco’’ di bulli su Brandon, che venne accusato di non emarginare abbastanza Larry. In seguito alle pressioni il ragazzo si presentò a scuola con un’arma e con due colpi alla tempia uccise il giovane e pieno di vita Larry. Di questo terribile fatto di cronaca io ne venni a conoscenza quando in Italia si discuteva per l’ennesima volta dell’introduzione dell’aggravante omofoba nel caso dei reati di violenza, che purtroppo noi ancora non possediamo a differenza della stessa America e di tutti gli altri stati europei. Decisi di scrivere questo libro trasportato da questo fatto di cronaca, che non mi lasciò affatto indifferente e smisi di fare ricerche sulla storia originale, inventandone una tutta mia. Nacque un Bacio con protagonisti due ragazzi, Lorenzo e Antonio, con elementi che ovviamente appartengono alla storia vera, come il delitto a scuola e la giovane età dei protagonisti. Con questo libro sono andato in giro per le scuole a parlare di bullismo e omofobia soprattutto con i ragazzi e non mi aspettavo di incrociare moltissime altre storie, rendendomi conto che il bullismo è una grandissima piaga, non soltanto nella sua forma omofoba ma anche nei confronti delle ragazze, additate con appellativi che circolano con scritte sui bagni e esternazioni molto pesanti sui Social. Spinto da tutti questi incontri e da tutte queste storie ho sentito l’urgenza di continuare questo percorso e decisi di realizzare un film. Con Monica Lametta scrissi la sceneggiatura, che è piuttosto differente dal libro. Ad esempio ho inserito il personaggio di Blu, una ragazzina di 16 anni che ha la nomea a scuola di essere una ‘’troia’’ e la sua storia si sviluppa in parallelo con quella di Lorenzo e Antonio, affiancandone il tema principale. Spesso i temi dei film si capiscono meglio proprio dai fatti, la mia pellicola racconta molto della fragilità dell’adolescenza e di quanto si è esposti alla violenza, in tutte le sue forme, in quel delicato periodo della nostra vita. É stato difficile essere autore, sceneggiatore e poi regista della stessa opera? Come hai fatto a conciliare questi tre ruoli? Tra l’altro non è la prima volta che lo fai, già in precedenza avevi rivestito, ottimamente, questi tre ruoli con la Kriptonite nella Borsa... Io sono molto curioso e quindi mi piace molto lavorare con gli altri. Ho lavorato con molti registi e l’ho fatto principalmente perchè ho molta stima e curiosità del lavoro altrui, mi piace conoscere nuovi autori e cimentarmi in nuove sfide, mi auguro di continuare a collaborare sempre con i registi eclettici con cui ho già realizzato diverse opere come Maria Sole Tognazzi, Ferzan Ozpetek, Renato de Maria e Riccardo Milani. Ogni volta, durante la mia carriera, ho capito che lavorare da sceneggiatore significa entrare in un mondo nuovo e cercare di fare il meglio che si può per realizzare l’opera che ha in mente il regista. É vero, mi sono ritrovato due volte a vestire i triplici panni dell’autore del romanzo, sceneggiatore e poi regista ma fuori da ogni retorica, credo fortemente che per quanto possa assommare questi ruoli il film è assolutamente un’opera collettiva. Ho lavorato tanto come sceneggiatore e anche come assistente alla regia e posso dirti che una buona pellicola nasce grazie all’apporto di tutti, dagli attori ai costumisti, passando dagli scenografi, la produzione e il direttore della fotografia, io ad esempio lavoro sempre con Luca Bigazzi, con il quale ho uno splendido rapporto. Il film è un’entità che viene prima di tutto, per realizzarlo mi son sempre detto che ha bisogno di un capitano, di una guida ma sono molto convinto che senza il prezioso aiuto e la meravigliosa creatività di tutti i collaboratori sul set, non si riuscirà mai ad ottenere un grande risultato. Questo è sempre quello che ho fatto con le mie pellicole, che hanno sempre preso vita grazie al contributo artistico di tutti i miei collaboratori.
Che differenze hai colto lavorando come sceneggiatore sia nel mondo televisivo che in quello cinematografico? In cosa si differenziano secondo la tua esperienza?
Io ho cominciato a lavorare come sceneggiatore in televisione quando nessuno voleva lavorarci. Venivi considerato in quegli anni di serie B se decidevi d’intraprendere la strada dello sceneggiatore televisivo rispetto a quella del cinema. Adesso non è più così, non solo in Italia ma nel mondo, visto che abbiamo potuto ammirare alcune serie televisive capaci di raccontare periodi storici o del nostro contemporaneo con una forza e una ricchezza che alcuni film non hanno. Credo che ci sia uno specifico televisivo che ha a che fare tanto con l’idea della serialità, io associo la televisione alla serialità, cioè all’idea di poter costruire qualcosa con delle lunghe narrazioni e con personaggi che vanno avanti per intere stagioni. Ad esempio ho ideato Tutti Pazzi per Amore, che è andato avanti per 78 puntate di circa 50 minuti. Questa è una possibilità diversa da quella del cinema, perchè ti permette di dare voce a un racconto completo, che possiede uno sviluppo ben dettagliato dei personaggi che racconti, con un’articolazione chiara e degna, diversa dal tipo di racconto cinematografico. Ci sono semplicemente delle differenze e fortunatamente si è capito che non esiste una serie A e una serie B per gli sceneggiatori, cosa che ho sempre sostenuto, sono solo due modi diversi e attraverso le due modalità cerco di raccontare personalmente cosa vedo nel presente. A proposito di Tutti Pazzi per Amore, non è stato solo un grande successo di pubblico ma una vera è propria serie di rottura, è stato difficile idearla? Intanto devo dire che è vero, Tutti Pazzi per Amore è stata una serie di rottura, capisco lo stupore delle persone, anche perchè andava in onda su Rai1, la rete generalista per eccellenza, ma devo essere sincero, noi non abbiamo assolutamente dovuto lottare per portare avanti degli elementi di novità nè dal punto narrativo nè stilistico. Nel family di Rai1, la domenica sera, una serie televisiva come questa mancava e ripeto per portare avanti questo progetto non abbiamo riscontrato difficoltà, anche perchè la nostra idea era condivisa e in qualche maniera spronata sia dai broadcaster sia dal produttore. L’idea consisteva nel cercare di fare qualcosa che stilisticamente fosse nuovo, cosa che stiamo cercando di fare anche con é Arrivata la Felicità, altro serial in onda con Claudio Santamaria, Claudia Pandolfi e un’altra serie di attori. Poi è chiaro che una volta che ti viene data questa libertà cerchi di realizzare il progetto nel migliore dei modi, scoprendo insieme ai miei colleghi sceneggiatori Monica Rametta e Stefano Bises che il vero pericolo da cui bisogna guardarsi non è tanto la censura esterna, ma piuttosto l’auto censura. Ovvero l’idea che solo per il semplice fatto c he hai sempre visto fare le cose in un certo modo, provi quasi pudore nel proporle, come per Tutti Pazzi per Amore appunto. In realtà guardandomi attorno vedo che c’è molta voglia di novità. Ho tenuto un laboratorio di sceneggiatura per 10 anni al dams e molto spesso mi è capitato di discutere con diversi giovani che vogliono intraprendere il mio stesso mestiere, quello che cerco sempre di ricordargli è di non aver assolutamente paura del rifiuto. Molto spesso i broadcaster o i produttori non sanno di volere una cosa prima di leggerla ed è proprio per questo che invito i ragazzi a conservare la propria originalità, a spingerla a non porsi freni, perchè molto spesso la vera richiesta è quella di essere sorpresi. I produttori vogliono essere stupiti e nonostante si pensi che ci sia una continua ricerca della ‘’minestra riscaldata’’, il produttore va alla ricerca di quell’idea innovativa che gli faccia esclamare, concedimi il simpatico aggettivo: ‘’E’ bono!”. E quando capiscono di volervo, quando hai catturato la loro attenzione allora seguiranno il progetto dell’autore.
Altro tuo capolavoro, un esordio alla regia che si è rivelato un successo di pubblico e critica clamoroso è la Kriptonite nella Borsa, te lo aspettavi? Hai sorpreso tutti...
(ride)Sono molto contento. É succeso anche con altri film, come Paz, diretto da Renato de Maria. Al di là dei risultati del botteghino, buoni ma senza essere eccezionali, sono quei film di cui poi ci ritroviamo molto spesso a parlare con i ragazzi. No, credimi non me l’aspettavo per niente tutto questo successo e sono molto fiero della Kriptonite nella Borsa. Ovviamente ho cercato di curare tutto nel migliore dei modi, secondo il mio modo di vedere, dalla regia alla messa in scena sino ad arrivare alla recitazione, aspetto a cui tengo molto nei miei film. É molto salvifico il fatto di non poter prevedere prima le cose come andranno, io trovo molto dannoso cercare di studiare i film a tavolino, ognuno di noi deve fare ciò che si sente, mosso sempre da un’urgenza e sperare che incontri il pubblico. Questo non lo dico da un punto di vista commerciale, io scrivo storie e le metto in scena, faccio il regista per poter parlare con gli altri e la soddisfazione più grande è quella di poter raggiungere le persone, anche poche, ma sapere di avergli trasmesso qualcosa è davvero bello. Ci tengo a dirtelo personalmente: Paz è un vero cult! (ridiamo) Ti faccio i miei complimenti, è un film che ha toccato diverse generazioni e la genialità per me sta nell’aver portato sul grande schermo le opere di Pazienza... Sì hai ragione ma è stata un’idea di Renato de Maria, un vero appassionato dei fumetti di Pazienza che tra l’altro mi ha fatto scoprire lui. Devo dire che gli sono molto grato a Renato e a Francesco Piccolo per il lavoro svolto, è stato molto ma molto interessante. Io considero Pazienza un vero romanziere di quegli anni, è riuscito a fare col fumetto, troppo sottovalutato in Italia, quello che molti scrittori non sono riusciti mai a fare, ovvero raccontare un’epoca e anche un veloce e violento cambiamento. Porterò sempre nel cuore l’esperienza di Paz.
Hai qualche sceneggiatura cinematografica a cui sei particolarmente legato? Qualche aneddoto legato ai tuoi lavori?
Spero sia degli altri, non mia(ride), perchè per me è molto difficile dirlo. Ogni sceneggiatura è legata alla storia di quel film, quindi al rapporto che ho avuto col regista, alla presenza sul set. Ci sono davvero troppi film a cui sono affezionato, per quello che hanno significato nella mia vita. Paz, Mine Vaganti, Viaggio Sola, Io sono l’Amore e adesso Io e Lei, ciascuna di queste pellicole per me è stata un viaggio e un incontro col regista. Posso dirti che Mine Vaganti è stato un film molto importante per la mia carriera di regista, l’ultimo film da sceneggiatore poco prima di esordire alla regia con la Kriptonite nella Borsa, un lavoro bello, faticoso ma molto importante per me condotto sul set insieme all’amico Ferzan, che subito aveva intuito che presto avrei debuttato alla regia, se lo aspettava e mi ripeteva in continuazione di stare affianco a lui sul set, mi diceva che mi sarebbe servito molto e aveva assolutamente ragione. Un altro viaggio stupendo l’ho vissuto con Maria Sole Tognazzi. Il mio rapporto con lei si è articolato in tre film, un rapporto di fratellanza o ‘’sorellanza’’ ed è per questo che sono molto legato a tutti i lavori che ho svolto con lei, in particolare con Viaggio Sola, un film difficile da montare che è diventato contro le aspettative di tutti un vero caso. Sono legato anche a Io Sono l’Amore perchè per me ha significato il mio personale ed eccezionale contributo visivo da sceneggiatore alla pellicola. Potrei citarne diversi credimi e me ne vengono in mente tantissimi, quello che ho fatto con Luca Guadagnino, Piano Solo girato con Riccardo Milani e come dimenticare il faticoso lavoro condotto con Renato de Maria per La Prima Linea. Ecco quest’ultimo è stato un film molto difficile da girare ed è complicato descrivere tutte le sensazioni contrastanti che ho provato, ciascuna delle due pellicole ha significato molto per me, raccontare la storia della Prima Linea è stata molto pesante emotivamente. Non dimenticherò mai l’incontro con la famiglia di Luca Flores, ha cambiato moltissimo le mie idee sulla vita. Insomma come avrai capito è davvero molto dura per me trovare una sceneggiatura in particolare, sono tutte importanti e devo molto a tutti i registi con cui ho lavorato.
Sappiamo anche che hai fondato una casa di produzione, la 21, che tipo di pellicole avete prodotto? Verso cosa si orienta?
La 21 è una casa di produzione soprattutto di ricerca. Il primo progetto che abbiamo prodotto è stato un bellissimo documentario, esordio alla regia di Abele Tulli che si chiama: 365 Without 377 e racconta il primo anno di vita a Bombay della comunità Gay-Lesbica senza la 377, la legge coloniale che mandava in carcere gli omosessuali. A mio parere un bellissimo documentario distribuito in tutto il mondo. Poi acquistammo i diritti del Romanzo Rosa, scritto da Stefania Bertola e un blog che spero diventi una serie Tv, scritto in maniera brillante da Giulia Gianni che s’intitola: Stiamo Tutti Bene. Parla di queste due ragazze che a bordo di una fiesta girano i paesi in Europa alla ricerca di un figlio da adottare, vivendo delle tragicomiche avventure.
Quest’anno per il cinema italiano è stato un anno molto florido, quasi una anno di svolta, hai visto alcune delle pellicole premiate al David di Donatello? E cosa ne pensi delle sorprese come quella di Lo chiamavano Jeeg Robot di Mainetti?
Per quanto riguarda quello che ho visto sono molto soddisfatto e piacevolmente contento per il nostro cinema. Devo recuperare Veloce Come il Vento e sono rimasto molto colpito da Perfetti Sconosciuti, del quale soprattutto ho apprezzato molto la sceneggiatura, scritta bene e a mio parere molto innovativa. Ho amato molto Lo chiamavano Jeeg Robot e sono contento dell’esistenza di pellicole come Non Essere Cattivo di Caligari, un film che ho visto e che mi ha davvero emozionato. Per il nostro cinema è sicuramente una svolta positiva, nonostante alcune delle pellicole citate non abbiano raggiunto cifre eccelse al botteghino, questo è un segnale che deve far riflettere. Purtroppo il nostro cinema o meglio la nostra distribuzione commerciale è schiacciata da un’invasione aggressiva da parte delle pellicole americane e questo non fa che danneggiare i piccoli film del nostro paese. I nostri film non vengono tutelati abbastanza come invece accade in Francia, dovremmo prendere esempio da loro. La storia tormentata, anche a detta del regista, di Jeeg Robot, che non ha subito trovato un produttore deve esserci d’esempio. Torniamo al discorso che ho fatto all’inizio, la sperimentazione, il cercare strade nuove è molto importante. Queste pellicole come Un Bacio d’altronde sono tutte dei prototipi, che cercano di battere sentieri diversi e avviciniare il pubblico giovane al cinema italiano, che normalmente va al cinema per seguire solo i blockbuster americani.
Prima di lasciarti ci tengo a dirti che raramente mi è capitato di vedere un film come Un Bacio che metta d’accordo pubblico e critica, significa che hai fatto un ottimo lavoro e ci tengo a farti i miei complimenti...
Ti ringrazio e sono molto contento del lavoro svolto con Un bacio. Contento soprattutto che la mia pellicola sia riuscita a tirarsi fuori dalle maglie della distribuzione veloce e raffazzona. Sto vedendo una seconda vita della mia opera, al di là delle prime due settimane al botteghino e questo è molto importante. Ripaga il duro lavoro che c’è dietro vedere anche i numerosi Licei italiani che chiedono a gran voce di poterlo guardare durante le loro assemblee d’istituto, o i genitori che chiedono di vedere il film con i loro figli, dopo aver letto il romanzo. Per molte pellicole italiane dovrebbe essere sempre così, il cinema dovrebbe sempre coinvolgere dal basso gli spettatori ma soprattutto deve far riflettere le nuove generazioni.
Link Immagini utilizzate:
-Un Bacio 1 www.tablettv.it -Cotroneo 3 www.archivio.panorama.it -La Krip nella Borsa1 www.mymovies.it -Un Bacio 5 www.Repubblica.it -Cotroneo all’opera www.Mtv.it -Immagine 365 www.haivistomai.it Altre due immagini diritti riservati al Termopolio
TITOLO: "Il ponte delle spie"
ANNO: 2015 DURATA: 142 minuti GENERE: thriller, spionaggio, storico, drammatico REGIA: Steven Spielberg CAST: Tom Hanks: James Donovan Mark Rylance: Rudolf Abel Amy Ryan: Mary McKenna Donovan Alan Alda: Thomas Watters Austin Stowell: Francis Gary Powers Scott Shepherd: agente Hoffman Jesse Plemons: Murphy Domenick Lombardozzi: agente Blasco Sebastian Koch: Wolfgang Vogel Eve Hewson: Carol Donovan
Brooklyn 1957. Rudolf Abel (Mark Rylance) pittore di ritratti e di paesaggi, viene arrestato con l'accusa di essere una spia sovietica e deve subire un processo, nonostante venga considerato dal regime di guerra fredda un grande nemico e perciò merita la condanna a morte. Il processo deve essere breve e veloce secondo i principi costituzionali americani, e la scelta dell'avvocato cade su James B. Donovan (Tom Hanks), che si occupa di assicurazioni. Donovan si impegna sul serio per difendere Abel, che non considera una spia russa ma solo un uomo, ma nessuno lo capisce, dal giudice all'opinione pubblica intera. Intanto un aereo spia americano che ha sconfinato in Russia, viene abbattuto dai sovietici e il tenente Francis Gary Powers (Austin Stowell) viene fatto prigioniero in Russia. Dopo quel fatto nasce la possibilità di uno scambio e la CIA incarica Donovan di gestire il delicatissimo negoziato tra la spia Abel e il pilota Powers. "Il ponte delle spie" è il ponte di Glienicke, un ponte stradale che collega le città di Potsdam e Berlino. Il ponte esiste ancora oggi e sin dai tempi della Guerra fredda collegava una parte di Berlino controllata dall’occidente a una città controllata dai sovietici dove agenti, spie dei due blocchi si incontravano per trattare. Da questa vicenda e dalla storia vera dell'avvocato Donovan, Spielberg ne ha tratto un film elegante, dall'altri tempi, ricostruito nei minimi dettagli sia nelle ambientazioni (una Berlino piuttosto cupa e nevosa) che nei costumi (perfetti per l'epoca), un film tranquillo, (nonostante sia diretto dal regista di film movimentati come "Salvate il soldato Ryan" e "War horse", entrambi incentrati sulla Guerra) ma sono presenti comunque delle scene concitate, come quando i soldati sparano ed arrestano tutti quelli che cercano di attraversare la zona di confine.
Nel film si nota lo zampino dei fratelli Coen, che hanno scritto la sceneggiatura, la trama è lunga ma coinvolgente, grazie anche alla bravura di Tom Hanks e della spia sovietica Abel (Mark Rylance). Quest'ultimo all'edizione numero ottantotto dei premi Oscar ha vinto una statuetta come miglior attore non protagonista. Grande personaggio anche l'avvocato Donovan (Tom Hanks, un uomo a cui non importa se il suo assistito che deve difendere sia in realtà una spia, un nemico pericoloso che mette in rischio la sicurezza degli Stati Uniti o uomo innocente). A lui importa l'umanità di Abel e non si arrende di fronte a nulla seguendo sempre il senso della giustizia. Nel film sono presenti anche situazioni più leggere come quando Donovan prende anche a cuore la vicenda di uno studente americano arrestato a Berlino Est mentre cerca di oltre passare il muro. Così decide di negoziare anche per il suo rilascio (perdendo anche il cappotto per colpa di alcuni ragazzi tedeschi in pieno inverno, una delle scene più divertenti del film). Candidato a sei premi Oscar "Il ponte delle spie è un film per tutti, non solo a quelle persone appassionate di film e libri di spionaggio e poi di fronte all'inossidabile Spielberg- Hanks non potete resistere, perché sono due campioni di bravura.
Immagini tratte da: http://mr.comingsoon.it/ http://images.movieplayer.it/ http://static.panorama.it/ ![]()
DATA USCITA: 09 novembre 2001
GENERE: Drammatico ANNO: 2000 REGIA: Alfonso Cuarón ATTORI: Gael Garcia Bernal, Diego Luna, Diana Bracho, Emilio Echevarria, Ana Lopez Mercado, Maria Aura, Andrés Almeida, Verónica Langer, Arturo Rios, Marta Aura, Juan Carlos Remolina, Silverio Palacios, Amaury Serbulo, Griselle Audriac, Nathan Grinberg, Andrea Lopez, Liboria Rodriguez, Mayra Serbulo, Maribel Verdù SCENEGGIATURA: Alfonso Cuarón, Carlos Cuarón FOTOGRAFIA: Emmanuel Lubezki MONTAGGIO: Alex Rodríguez, Alfonso Cuarón MUSICHE: Liza Richardson, Annette Fradera PRODUZIONE: PRODUCCIONES ANHELO; JORGE VERGARA DISTRIBUZIONE: 20TH CENTURY FOX (2001); DVD 20TH CENTURY FOX (2002). PAESE: Messico DURATA: 105 Min
Louisa (Maribel Verdù) ha 28 anni ed è sposata con uno scrittore, Ano. Alla festa di matrimonio di una parente del marito incontra Tenoch (Diego Luna) e Julio (Gael Garcia Bernal), due benestanti diciassettenni che le propongono una gita al mare, in una fantomatica località, Boca del Cielo. Y tu mama tambien (2001), roadmovie per la regia di A.Cuarón, è un film la cui trama si snoda attraverso le aspre e selvagge strade del Messico, a bordo di una vettura guidata alternativamente dai due ragazzi, all’interno della quale inizia un percorso introspettivo che, pur conservando toni goliardici, condurrà i due amici a conoscersi l’un l’altro senza alcun filtro.
L’abbassamento totale del volume e qualche frazione di secondo di silenzio totale segnalano l’entrata in scena della voce acusmatica del narratore. Essa spiega eventi -passati o futuri- spesso non indispensabili alla comprensione della vicenda; chiarisce inoltre il “non-detto emotivo”; insiste sull’ unicità delle esperienze che i protagonisti stanno vivendo, sottolineandone il carattere transitorio ed irripetibile. Mariachi, sombreri, atmosfere e musiche messicane fanno da sfondo al viaggio, su strade interrotte da mucche al pascolo e da novelli sposi che chiedono qualche spiccio in offerta agli automobilisti di passaggio.
Cosa spinge una ventottenne a partire con due ragazzini? Louisa è una donna totalmente sola, sposata con un uomo che la tradisce continuamente. Lei sa e accetta, sperando il marito possa cambiare. Le poche certezze su cui fonda una molto flebile serenità crollano quando fa una terribile scoperta. Da quel momento, Louisa cercherà di cogliere voluttuosamente ogni istante, scoprendosi una donna sensuale e trasgressiva e dando prova di estremo coraggio e dignità.
Louisa è gravemente malata. La malattia, nella pellicola, non produce segni sul suo corpo: Cuarón ha tratteggiato il ritratto di una donna bella, sfrontata e piena di vita. Le situazioni che si producono durante la gita permettono a Tenoch e Julio di fare chiarezza sulla veracità della loro amicizia, sul rapporto con le donne e sulla loro stessa sessualità. Louisa determina infatti, con gesti e comportamenti irriverenti e sfacciati, una totale apertura alla vita e con essa, alla verità, spesso dolorosa. Nessuna censura, nessuna paura tra i tre. Sono cinque giorni densi di eventi, in cui i ragazzi fanno i conti con scheletri nell’armadio e segreti, in cui vedranno cadere convinzioni e proveranno emozioni forti e inaspettate. Non si accorgeranno però del dramma che, sola, Louisa ha deciso di affrontare. I ragazzi ripartiranno, sconvolti, dopo una notte di sesso a tre con la donna. Lei deciderà di rimanere assieme ad una famiglia di pescatori. Di spalle la vediamo dirigersi verso il mare. Libero, assoluto, senza legami. Come lei. <<La vita è come la schiuma - dirà ai ragazzi - per questo bisogna allontanarsi come il mare>>.
L’espediente narrativo del viaggio on the road conferisce dinamicità e ritmo alla pellicola, permettendo ai tre di ricordare esperienze vissute. Gli eventi fluiscono nella memoria e si traducono in parole mentre l’auto procede verso il mare. Ricordare è un po’ come rivivere, dilatare e recuperare il tempo passato. E allora Louisa vive di nuovo l’emozione del suo primo amore, attraverso il racconto che decide di fare ai ragazzi. I luoghi, specie la fantomatica Boca del Cielo, diventano il corrispettivo dei bisogni dell’animo della donna: il viaggio è il tentativo di vivere quanto più si possa, alla ricerca dell’infinito incanto delle acque cristalline del mare e di un rapporto quasi carnale con la natura, che la accoglie in un abbraccio di conforto.
Viaggio di formazione per i diciassettenni e addio alla vita per Louisa. Sebbene il regista abbia inserito degli elementi che preannunciano il tragico epilogo e pur non avendo dei toni strappalacrime, il film commuove sul finale. Cuarón non ha scelto di curvare la trama sull’elemento patologico, sul suo essere inevitabilmente causa di deterioramento fisico. Esso al contrario e, poco realisticamente, è assente in questo senso. Diventa invece lo stimolo a nutrirsi di ogni attimo di felicità, a goderne senza porsi limiti, a guardare la realtà con il sorriso malinconico di chi sa che niente è per sempre. Tenoch e Julio usciranno cambiati dalla vicenda. Si rincontrano dopo del tempo in un bar. Sono due estranei ormai. La voce narrante chiude la pellicola: <<i due non si vedranno mai più>> - dirà - a sottolineare ancora una volta l’unicità degli eventi, e più in generale, della vita le cui stagioni non durano per sempre.
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Finisce il nostro viaggio alla scoperta della 73’ edizione del festival d’arte cinematografica di Venezia, un ultimo approfondimento sui vincitori e le pellicole premiate dalla giuria...
In pochi ieri alla cerimonia di chiusura della 73’ mostra d’arte cinematografica di Venezia si aspettavano che alla fine a trionfare sarebbe stato proprio il lungo film del regista filippino Lav Diaz. Ebbene la pellicola The Woman who Left si è aggiudicata il Leone d’Oro, ipnotizzando Sam Mendes, presidente della giuria e tutti i componenti.
Alcuni hanno gradito la piacevole sorpresa, altri invece storcono il naso, ribattendo che la pellicola avrà anche conquistato il pubblico festivaliero ma che difficilmente riuscirà a conquistare il pubblico delle sale cinematografiche. Le opere di Lav Diaz sono senza dubbio vere e proprie esperienze cinematografice ma allo stesso tempo, quasi delle prove di resistenza fisica, dato che la loro durata varia dalle 4 alle 11 ore, ma il regista ha già detto svariate volte che per lui il concetto di durata è relativo. Premi in piena tradizione veneziana visto che alla fine hanno accontentato un po tutti.
A partire dal meritatissimo Leone d’Argento Gran Premio della Giuria alla pellicola Nocturnal Animals di Tom Ford, amatissimo regista che non appena è apparso sul tappeto rosso ha scatenato una vera e propria esplosione di entusiasmo, compresa in sala stampa dove in genere gioie e polemiche hanno toni più accesi.
Il Leone d’Argento per la Miglior Regia è stato invece l’unico colpo di scena, dato che è stato un ex aequo tra Paradise del maestro russo Andrei Konchalovsky e La region Salvaje del messicano Amat Escalante.
Giubilo di pubblico e stampa per la decisione di assegnare la Coppa Volpi per la Migliore Interpretazione alla splendida attrice americana Emma Stone, protagonista di La La Land, entusiasmante e fantasiosa pellicola di Damien Chazelle. Mentre la Coppa Volpi per Il miglior attore viene assegnata al navigato attore argentino Oscar Martinez per El Ciudadano Ilustre, dei registi Mariano Cohn e Gaston Duprat, una delle sorprese più gradite del festival.
Miglior Attrice emergente è invece la talentuosa rivelazione tedesca Paula Beer, protagonista di Frantz di Francois Ozon, mentre il tanto discusso Jackie del cileno Pablo Larraìn si porta a casa il premio per la miglior sceneggiatura, firmata da Noah Oppenheim.
Un caso che fa ancora discutere è stata la premiazione della ‘’Tarantino in gonnella’’ ovvero Ana Lily Amirpour, che si è aggiudicata il Premio Speciale della Giuria con il suo The Bad Batch, ma che nello stesso tempo ha indignato molti critici che ritenevano il film non all’altezza e troppo confusionario. A trionfare quest’anno al lido sostanzialmente è stato il cinema d’autore che si è presentato in bianco e nero, con linguaggi forti, nuovi e sperimentali e con forme narrative assolutamente inedite.
Purtroppo per l’ennesima volta per le pellicole italiane non c’è stato nessun riconoscimento, a parte l’interessante documentario Liberami di Federica Di Giacomo, premiato nella sezione Orizzonti come Miglior Film.
Venezia73: Tutti i Premi
LEONE D’ORO per il miglior film a: ANG BABAENG HUMAYO (THE WOMAN WHO LEFT) di Lav Diaz (Filippine) LEONE D’ARGENTO - GRAN PREMIO DELLA GIURIA a: NOCTURNAL ANIMALS di Tom Ford (USA) LEONE D’ARGENTO - PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA ex-aequo a: Andrei Konchalovsky per il film PARADISE (Federazione Russa, Germania) Amat Escalante per il film LA REGIÓN SALVAJE (THE UNTAMED) (Messico, Danimarca, Francia, Germania, Norvegia, Svizzera) COPPA VOLPI per la migliore attrice a: Emma Stone nel film LA LA LAND di Damien Chazelle (USA) COPPA VOLPI per il miglior attore a: Oscar Martínez nel film EL CIUDADANO ILUSTRE di Mariano Cohn e Gastón Duprat (Argentina, Spagna) PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a: Noah Oppenheim per il film JACKIE di Pablo Larraín (Regno Unito) PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a: THE BAD BATCH di Ana Lily Amirpour (USA) PREMIO MARCELLO MASTROIANNI a una giovane attrice emergente a: Paula Beer nel film FRANTZ di François Ozon (Francia, Germania) PREMIO VENEZIA LEONE DEL FUTURO OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” a: Akher Wahed Fina (The Last of Us) di Ala Eddine Slim (Tunisia, Qatar, E.A.U., Libano) Il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a: LIBERAMI di Federica Di Giacomo (Italia, Francia) Il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a: Fien Troch per HOME (Belgio) Il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a: KOCA DÜNYA (BIG BIG WORLD) di Reha Erdem (Turchia) Il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE ATTRICE a: Ruth Díaz nel film TARDE PARA LA IRA di Raúl Arévalo (Spagna) Il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR ATTORE a: Nuno Lopes nel film SÃO JORGE di Marco Martins (Portogallo, Francia) PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a: KU QIAN (BITTER MONEY) di Wang Bing (Francia, Hong Kong) PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a: LA VOZ PERDIDA di Marcelo Martinessi (Paraguay, Venezuela, Cuba) Il VENICE SHORT FILM NOMINATION FOR THE EUROPEAN FILM AWARDS 2016 a: AMALIMBO di Juan Pablo Libossart (Svezia, Estonia) Il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA a: LE CONCOURS di Claire Simon (Francia) Il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR FILM RESTAURATO a: BREAK UP – L’UOMO DEI CINQUE PALLONI di Marco Ferreri (1963 e 1967, Italia, Francia) LEONE D’ORO ALLA CARRIERA 2016 a: JEAN-PAUL BELMONDO JERZY SKOLIMOWSKI JAEGER-LECOULTRE GLORY TO THE FILMMAKER AWARD 2016 a: Amir Naderi PERSOL TRIBUTE TO VISIONARY TALENT AWARD 2016 a: Liev Schreiber PREMIO L’ORÉAL PARIS PER IL CINEMA a: Matilde Gioli
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Anche se non siete potuti andare al Lido per respirare la meravigliosa aria carica di Cinema che solo la Biennale sa offrirvi, IlTermopolio vi offre la possibilità di rimediare con un ampio reportage. In questo terzo appuntamento vi racconteremo il festival a partire da Mercoledì 7 sino ad arrivare alla giornata di Venerdì 9...
Cari lettori continua l’approfondimento de IlTermopolio sulla 73’ mostra d’arte cinematografica del festival di Venezia e ripartiamo senza perder tempo dalla giornata di Mercoledì 7. Assoluta protagonista di questo giorno è senza dubbio la grande attrice e ormai diva Natalie Portman che veste i panni dell’icona americana Jackie Kennedy, nel film in concorso del regista cileno Pablo Larrain: Jackie.
Il quarantenne Pablo è uno degli autori più influenti del cinema contemporaneo e ci tiene a sottolineare che il suo film non è affatto un Biopic sulla donna più discussa d’America, ha deciso appunto di soffermarsi sui quattro giorni vissuti dalla First Lady tra l’assassinio di Dallas e il funerale nella cattedrale di St.Matthews a Washingtown D.C. Nella sua opera ci offre il suo punto di vista sulla sofferenza e l’orgoglio di una donna che in pochi giorni si è ritrovata gli occhi di tutto il mondo puntati addosso e per rendere ancora più profonda la pellicola ha scelto un’attrice completa e dalla somiglianza disarmante, ovvero la bella e piena di talento Portman che dalla critica è stata letteralmente osannata, dopo la visione del film al festival.
L’attesa attorno all’opera di Larraìn era tanta e ha diviso un po il giudizio della stampa cinematografica, molti hanno visto ben poco del cinema del regista cileno, altri invece hanno apprezzato che proprio lui abbia scelto di dirigere questa pellicola, sfidando il giudizio dell’America intera, che tanto ha odiato e amato l’affascinante personaggio di Jacky. Senza dubbio possiamo dire che il film riscuoterà tanto successo e pare già scontato che finirà nella lista dei dieci titoli destinati all’Oscar. Altro film in concorso da tenere d’occhio e che tutti stavano aspettando con ansia è quello del regista Terrence Malick ovvero: Voyage of Time: Life’s Journey.
Chi altri se non il colto e fantasioso Malick poteva portare sul grande schermo un film-documentario sulla storia della nascita della Terra, con effetti visivi mozzafiato diretti da Dan Glass e la voce fuori campo dell’attrice Cate Blanchett. Il regista promette che: <<Lo spettatore verrà immerso nella vastità degli eoni per esplorare quasi quattordici miliardi di anni del nostro universo per poi porsi degli interrogativi>>. Lo aspettiamo con ansia perchè per realizzare quest’opera Malick ha impiegato più di trent’anni e critica e pubblico sono sempre fortemente incuriositi dagli esperimenti, innovativi e profondi del cineasta statunitense. Concludiamo la giornata di Mercoledì segnalandovi le pellicole entrambe fuori concorso: The Journey di Nick Hamm e Robinù di Michele Santoro.
La prima racconta l’incontro su un jet privato dei due politici, nonchè nemici giurati irlandesi Martin McGuinness e Ian Paisley e di come siano potuti giungere, ipotizza il regista, a un compromesso epocale che segnerà la storia travagliata dell’Irlanda del Nord.
La seconda opera è invece diretta dal nostro Michele Santoro, un docu-film interessante in cui il giornalista salernitano parla e denuncia il fenomeno dei baby boss della camorra senza mezze misure, intervistando e dando la parola proprio a quei ragazzi che vivono quotidianamente una realtà oscura. Giungiamo alla giornata di Giovedì 8 dove troviamo il terzo film italiano in concorso: Questi Giorni di Giuseppe Piccioni.
Il regista di Ascoli Piceno sbarca per la settima volta al Lido con una pellicola che racconta il viaggio tra adolescenza e maturità di quattro amiche, interpretate da Maria Roveran, Marta Gastini, Laura Adriani e Caterina Le Casselle. Il regista spiega che la storia di questo film nasce da un racconto inedito di Marta Bertini e da una poesia di Ada Negri, intitolata Mia Giovinezza. La critica dopo la visione della pellicola non è rimasta molto soddisfatta, chiedendosi se realmente questo è il tipo di cinema italiano ‘’innovativo’’ di cui abbiamo bisogno. Da segnalare l’ottima prova dell’attrice Margherita Buy, che interpreta la mamma di una delle ragazze, al suo sesto film con il regista Piccioni. Sempre in concorso troviamo la pellicola del regista Andrej Konchalovsky: Paradise. Vincitore proprio a Venezia nel 2014 del Leone d’Argento con il film Le notti bianche di un postino, il regista russo quest’anno arriva con un film drammatico in cui racconta le storie di tre individui che devono sopravvivere alla terribile seconda guerra mondiale.
Tra orrori bellici e campi di concentramento rivivremo, come ci assicura la stampa della Biennale, un periodo storico molto buio attraverso l’occhio esperto di un cineasta del livello di Konchalovsky, che in oltre cinquant’anni di carriera ci ha abituati a pellicole di grande qualità. Alcuni spettatori dicono di essere rimasti folgorati dalla scena in cui la meravigliosa attrice Julia Vysotskaya s’incammina nel forno crematorio ‘’graffiando’’ parole su una una pietra. E infine per concludere questo Giovedì veneziano vi raccontiamo il grande arrivo della leggenda ‘’Bebel’’, soprannome del divo senza tempo, Jean Paul Belmondo.
Il volto del cinema della Nouvelle Vague sbarca al lido per ritirare il Leone d’Oro alla carriera e lo fa in grande stile, non inchinandosi all’età e percorrendo un tratto del red carpet accompagnato solo dal suo bastone. Nel 2011 un’ischemia celebrale sembrava averlo messo K.O. ma l’attore diretto da registi del calibro di Jean Luc Godard, Truffaut e Vittorio de Sica torna a ruggire ancora, facendoci assaporare quel cinema d’altri tempi, in cui col suo ammaliante sorriso riusciva a far breccia nel cuore di tante donne. E siamo arrivati alla giornata di Venerdì 9 dove dopo trentacinque anni fa il suo ritorno il regista giramondo Emir Kusturica, con la sua pellicola in concorso: On the Milky Road.
Il cineasta serbo più anarchico e imprevedibile di sempre si presenta con un’opera ispirata da un racconto, tratto dalla sua raccolta Lungo la Via Lattea. Il regista descrive la sua opera come una fiaba moderna e ci tiene a sottolineare come si sia concentrato molto sulla regia, cercando di cogliere sfumature e effetti visivi particolari da tutti gli esterni dove ha girato. Insieme a lui nel cast troviamo la musa ispiratrice di questa pellicola, stiamo parlando della bellissima Monica Bellucci, che interpreta una misteriosa donna che sconvolge la vita del personaggio interpretato dal regista, il povero lattaio Kosta. La giornata continua e sempre in concorso troviamo una pellicola dalla durata di 226 minuti, poco meno di quattro ore, stiamo parlando dell’opera del regista filippino Lavrente Indico Diaz che presenta The Woman Who Left.
Il cineasta della provincia di Maguindanao ci ha abituati a pellicole ben più lunghe ma per lui il concetto di durata è solo un’opinione, preferisce cogliere gli infiniti spunti dello spazio e della natura. In quest’opera s’ispira a uno dei racconti per contadini di Tolstoj e descrive le vicende che accaddero a Manila nel’97, che divenne la capitale asiatica dei rapimenti. Una vera esperienza per lo spettatore che assiste alla magnificenza del cinema di Diaz, che magari all’inizio può risultare molto ostico ma non appena ci entri dentro ha la capacità di coinvolgere con la profondità e la bellezza delle sue immagini. I critici e gli spettatori che l’hanno visto assicurano che sarà il vincitore del Leone d’Oro, staremo a vedere. La giornata di Venerdì finisce con il film di Lav Diaz ma non finisce di certo lo speciale de IlTermopolio sulla Biennale di Venezia. Torneremo infatti eccezionalmente di Lunedì per raccontarvi cos’è accaduto durante la cerimonia di chiusura del festival. Non parleremo solo dei vincitori ma anche delle ultime pellicole fuori concorso, come la difficile sfida che attende il regista statunitense Antoine Fuqua con il suo remake de I Magnifici Sette.
Possiamo anticiparvi prima di salutarvi che la rosa dei papabili vincitori al Leone d’Oro è davvero ristretta quest’anno e che purtroppo stando al gradimento di pubblico e critica non dovrebbero esserci film italiani premiati. Vi auguriamo come sempre un buon Cinema e ci rivediamo prestissimo, Lunedì 12 infatti conosceremo i nomi dei vincitori della 73’ edizione del festival di Venezia, buon proseguimento con gli altri articoli de IlTermopolio.
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Anche se non siete potuti andare al Lido IlTermopolio vi offre la possibilità di vivere le intense giornate del festival con un ampio reportage, alla scoperta dei film in concorso e non solo. Oggi ripartiamo da Domenica 4 sino ad arrivare a Martedì 6...
Cari lettori continua come promesso il viaggio che vi porterà alla scoperta della Biennale di Venezia numero 73. Nel precedente capitolo ci eravamo fermati a Sabato, giorno di presentazione della nuova serie Tv di Sorrentino, ovvero The Young Pope. Oggi riprendiamo il nostro reportage descrivendovi la giornata di Domenica 4 iniziando dal primo film italiano in concorso, stiamo parlando dell’ambizioso progetto Spira Mirabilis, documentario e sinfonia visiva che s’interroga sul concetto d’immortalità. Gli autori sono due documentaristi molto apprezzati che fanno coppia pure nella vita, Martina Parenti e Massimo D’Anolfi che si sono spinti sino ai quattro angoli del globo per scoprire la ricetta dell’immortalità che si nasconde dietro la ‘’spirale meravigliosa’’.
Il progetto si presenta affascinante ed originale e gli autori spiegano come sin dal primo loro lavoro abbiano cercato di eliminare l’uso della parola, provando a raccontare in maniera diversa, spingendosi oltre, alla ricerca di nuovi modi di comunicazione. Chi ha visto il documentario parla di un’opera splendida, contemplativa e sensoriale, capace di catapultarti negli angoli più remoti della terra e di trasmetterti un’infinità di emozioni. Il film racconta quattro storie di esseri umani che cercano di elevarsi a qualcosa di bello, quasi appunto immortale. I due registi vanno alla ricerca dell’aspetto migliore dell’essere umano, descrivendoci storie vere, storie che diano l’esempio e che rendono i loro protagonisti veri e propri uomini del futuro. Non perdetevi quest’interessante documentario accolto positivamente dalla critica nazionale e internazionale in sala il 22 Settembre. Al Lido la giornata è proseguita con il tanto atteso arrivo del leggendario ‘’William Wallace’’, vi dice qualcosa questo nome? Ovviamente gli appassionati non avranno dimenticato l’eroe scozzese interpretato da Mel Gibson e proprio il regista americano sbarca in Laguna con la sua ultima pellicola fuori concorso: Hacksaw Ridge.
Il film racconta la storia vera del coraggioso soldato Desmond Doss che a Okinawa, in uno degli episodi più cruenti della seconda guerra mondiale, riuscì a salvare settantacinque uomini senza mai sparare un colpo. Il protagonista della pellicola è l’ormai navigato ma giovane attore Andrew Garfield, capace di calarsi perfettamente nei ruoli drammatici. Le prime voci che ci giungono sono quelle di un Mel Gibson ostinato e controcorrente, uno dei pochi registi americani non allineati con l’industria Hollywoodiana, autonomo come non mai e che ci racconta una storia molto patriottica e violenta. La critica si divide nei giudizi, c’è chi lo ama e c’è chi lo odia, ma in fondo non possiamo non sottolineare l’ostinazione del ‘’director’’ americano nel continuare a fare un suo personale genere di cinema. Infine passiamo alla sezione GIORNATE DEGLI AUTORI dove per la seconda volta il regista partenopeo Edoardo De Angelis sbarca in laguna presentando il suo ultimo film Indivisibili.
Dopo Perez, presentato fuori concorso, De Angelis ci racconta la storia di Viola e Dasy, due gemelle siamesi cantanti fuse per il bacino e la vita. La pellicola è ambientata a Castel Volturno e come sempre l’autore vuole dare spazio ai tanti splendidi luoghi martoriati dalla criminalità della sua regione, non vuole nascondere nulla e il suo modo di fare cinema viene apprezzato proprio per la schiettezza e la ruvidità con cui affronta i diversi temi oscuri della sua Campania. Stavolta il regista si è servito di due talentuose attrici, le sorelle Angela e Marianna Fontana (che hanno recitato veramente legate per il bacino), per far percepire allo spettatore quanto sia dura crescere e talvolta per farlo bisogna pure separarsi. Uno dei film più attesi qui al lido e non vediamo l’ora di poterlo vedere pure in sala. Arriva il Lunedì e una piuma si posa leggiadra su un’imbarcazione veneziana, cari lettori è il giorno del regista Roan Johnson con il secondo film italiano in concorso: Piuma.
L’acclamato regista (pisano d’adozione) di I primi della lista e Fino a qui tutto bene presenta un film che narra le vicende di due ragazzi diciottenni Cate e Ferro, che scoprono di aspettare una figlia e in controtendenza con le scelte odierne decidono di tenerla. Il regista si misura con la scelta di diventare genitori e lo fa attraverso gli occhi di due giovani ragazzi, puri, impauriti ma estremamente coraggiosi. Spiega al pubblico della biennale che questo è un film scritto con la sua compagna di vita e nasce proprio per esorcizzare la paura di avere un figlio. Attraverso l’amore e una bella manciata di sfrontatezza Johnson ci fa notare come sia possibile battere il timore, librandosi leggeri sopra la spietata realtà, come fa Ferro il protagonista della pellicola che suggerisce appunto di chiamare la bimba Piuma. Lo troveremo in sala il 20 Ottobre, non fatevelo sfuggire. La giornata prosegue ricca di eventi e oltre alla presentazione fuori concorso del documentario del regista Andrew Dominik sul tormentato musicista dall’anima infernale Nick Cave (pare una delle opere più controverse di questa mostra), arriviamo all’opera che ha suscitato clamore e scandalo durante il Lunedì della 73’ mostra, ovvero il film in concorso del regista messicano Amat Escalante: La Region Salvaje.
Ambientato tra le piccole cittadine che sorgono sulla regione del Guanajuato, il film di Escalante (premiato a Cannes nel 2013 per Heli) si pone l’obbiettivo di abbattere le barriere dei pregiudizi sociali e i bigotti insegnamenti della religione cattolica, mettendo in scena uno spettacolo sensuale, macabro e grottesco. Non voglio svelarvi i dettagli della trama ma il film ha diviso nettamente il pubblico di Venezia, i pro e i tanti contro si son fatti sentire con arringhe feroci sui vari blog e siti web ma il regista ci ha sicuramente regalato un’opera che con il suo mistero e il suo fascino repellente ha senza dubbio conquistato i riflettori dell’intera mostra. Siamo giunti alla giornata di oggi, ovvero Martedì 6 Settembre. Dopo Frantz, arriva il secondo film francese in concorso: Une Vie di Stéphane Brizé.
La pellicola è tratta dal capolavoro letterario nonchè primo libro di Guy De Maupassant e ci racconta le vicende della giovane, bella e inesperta Jeanne le Perthuis des Vauds interpretata dall’incantevole attrice Judith Chemla. La giovane dovrà confrontarsi con l’universo degli adulti senza essere mai passata attraverso importanti e delicate fasi della vita come il passaggio dall’infanzia alla maturità, vivendo vicende forti e sopportando i continui vizi e tradimenti di un marito privo di valori, il visconte Julien de Lamare interpretato dall’attore Swann Arlaud. Percorsi di vita da dover intraprendere, dure scelte da compiere, i primi dolori, le prime delusioni umane sono alcuni dei temi trattati dall’elegante film di Brizé che pare abbia conquistato ottimi giudizi. Il Martedì continua con i brutti, sporchi, violenti ma soprattutto cannibali personaggi messi in scena dall’eclettica regista e attrice statunitense di origini iraniane Ana Lily Amirpour con il suo western psichedelico The Bad Batch.
La regista che si è guadagnata l’appellativo di ‘’Tarantino in gonnella’’ ama avventurarsi nel citazionismo e non nasconde nella sua pellicola le forti passioni per i capolavori di Sergio Leone, Alejandro Jodorowsky e David Lynch. Nel suo film appunto possiamo trovare diversi richiami al cinema dei registi appena citati. Lei ama definire quest’opera come un fanta-pschedelic-western ma in realtà dietro i selvaggi cannibali che cercano di azzannare la protagonista del film Arlen (interpretata da Suki Waterhouse), allontanata dalle ultime cittadine rimaste verso le lande desolate del deserto di un futuro distopico dove alcuni americani vengono banditi, si nasconde l’ovvia metafora di coloro che sono stati emarginati dai benpensanti perchè diversi. Un riflesso profondo dell’America di oggi diretto stando ai primi commenti in maniera eccellente.
Inoltre oltre ad essere scandito da una bella dose di azione aspettiamo The Bad Batch per il suo esplosivo e variopinto cast formato da Jim Carrey, Giovanni Ribisi, Jason Momoa e il bel tenebroso Keanu Reeves. Il nostro approfondimento per oggi finisce qui, in attesa di scoprire pieni di curiosità la giornata di domani vi auguriamo una buona lettura e come sempre vi invitiamo a riempire le sale cinematografiche delle vostre città. A Domenica con l’ultimo speciale sulla Biennale di Venezia numero 73 da tutta la redazione de IlTermopolio.
Immagini tratte da: Immagine Copertina: www.Veneziatoday.it Immagine 1: www.Tg24.Sky.it Immagine 2: www.vanityfair.it Immagine 3: www.Rbcasting.com Immagine 4: www.Themalaymailonline.com Immagine 5: www.critic.De Immagine 6: www.In.Reuters.com Immagine 7: www.Movieplayer.it Immagine 8: www.Comingsoon.net |
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Giugno 2023
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